MEDICINA E MEDICI NELL’ANTICO EGITTO

MEDICINA E MEDICI NELL’ANTICO EGITTO

Nell’antichità, i medici egiziani avevano fama di essere i migliori, di tutto il mondo allora conosciuto. Sovrani di tutti i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo, inviavano messi al faraone, affinché inviasse loro un medico di palazzo, non fidandosi dei sanitari di casa propria. La medicina egizia fu così rinomata che influenzò anche quella delle civiltà successive, come quella greca, che ebbe la sua punta di diamante nel grande Ippocrate.

La conoscenza della materia ci deriva da fonti indirette, come lo studio degli scritti di storici e viaggiatori del tempo e come l’osservazione di statue, bassorilievi, pitture e ostraca; e da fonti dirette, come la silloge papirea, e dallo studio di mummie e reperti anatomici. E chiaro che se le fonti indirette rivestono notevole interesse, ma vanno sempre analizzate con una certa cautela, le fonti dirette, al contrario, ci permettono di ottenere dati sicuri e inconfutabili.

Fra i principali storici che ci trasmisero notizie sulla medicina egizia, ma che, non dimentichiamolo, visitarono la valle del Nilo in tarda epoca, allorquando l’Egitto classico era già allora materia archeologica, annoveriamo Erodoto, il padre della storia, che descrisse perfettamente le varie tecniche di mummificazione, lasciandoci, inoltre, notizie sulla struttura del corpus sanitario e sull’uso dei farmaci dell’epoca. Notizie ulteriori di farmacopea, ci derivano dalla testimonianza di Diodoro Siculo, mentre Strabone ci descrisse le tecniche chirurgiche dell’epoca. La lettura stessa dell’Antico Testamento, ci consente di avere informazioni su termini medici, su malattie e su tecniche di ostetricia, oltre che a farci sapere che la medicina ebraica assorbì avidamente il sapere egizio in merito.

Ovviamente è cardine fondamentale lo studio dei papiri medici che ci sono giunti nell ‘ordine di una decina. Tutti incompleti, ma ricchi di notizie, anche se restano ancora oscuri, per noi, molti termini soprattutto di natura tecnica, relativi a sintomi, malattie e medicamenti.

La leggenda vuole che i libri medici, che furono all’origine di questi papiri, furono donati all ‘umanità da Thot, il dio dalle sembianze vuoi di ibis, vuoi di babbuino, inventore della scrittura, quindi patrono degli scribi e medico degli dei (salvò la vita ad Horus, guarendolo da una puntura di scorpione). Thot venne assimilato alla figura di Hermes, infatti Galeno ci dice che i medici greci si recavano a Menfi per consultare i libri ermetici di Thot.

Il papiro Ebers è il più completo. Lungo più di venti metri, è composto di 110 pagine, tante quanti sono gli anni di una perfetta longevità, secondo gli Egizi.. Risale alla XVIII dinastia, ma è copia di testi molto più antichi. Tratta le malattie del cuore e dei vasi sanguigni, dà “istruzioni per curare coloro che soffrono di male allo stomaco”; fornisce “principi dei rimedi per la cura delle donne”, tratta inoltre varie patologie internistiche, ci illustra le varie specialità medicinali e le relative formule magiche da affiancare ad esse.

Il papiro Edwin Smith, anch’esso databile alla XVIII dinastia, ma di origine più antica, costituisce un vero e proprio trattato di chirurgia, descrivendo 48 casi di ferite, fratture e lesioni varie. Argomentando di medicina esterna e quindi a causa nota; manca in questo papiro, a differenza del precedente, la componente terapeutica legata alla magia, essendo la chirurgia un campo eminentemente pratico.

Questo documento ci illustra con rigore scientifico la metodologia dell ‘approccio al malato e la semeiotica dell’epoca. Voglio fare un esempio di com’erano articolate le istruzioni per i discenti, sui testi medici di allora. Si iniziava con un titolo del tipo: “Istruzioni riguardanti una ferita aperta della testa, che penetra fino all ‘osso e che perfora la scatola cranica”. Seguiva l’esame obiettivo, che cominciava sempre in questo modo: “Se tu esamini un uomo che ha una ferita aperta nella testa, che penetra fino all ‘osso e che perfora la scatola cranica, devi allora palpare la sua ferita. Noterai la sua incapacità a guardarsi le spalle ed il petto, essendo il suo collo dolorante e rigido (possibili segni meningei o di tetano cefalico)”. Seguiva quindi la diagnosi che ripeteva le parole del titolo, introdotte per lo più da questa frase: “Dirai a questo proposito: si tratta di un individuo che presenta una ferita aperta nella testa, che penetra fino all ‘osso e che perfora la scatola cranica e che soffre di rigidità al collo”.

Dopo la diagnosi veniva emesso il verdetto che equivale alla nostra prognosi: “È un male che tratterÒ”. Infine viene descritto il trattamento: “Ora, dopo aver suturato con un punto, devi applicare carne fresca sulla ferita per il primo giorno. Non devi fasciarlo. Fissalo al suo palo, che lo trattenga fino a quando non sia trascorso tutto il tempo della lesione. Successivamente, ogni giorno, devi medicarlo con grasso, miele e garza”. Al riguardo è da notare che esistevano tre tipi di verdetto: “è una malattia che curerò” (quindi prognosi fausta), “è una malattia contro cui combatterò” (prognosi riservata), “è una malattia per la quale non c ‘è nulla da fare” (prognosi infausta).

Cito per completezza altri papiri interessanti come I ‘Hearst (sui farmaci), quello di Londra (malattie degli occhi, ginecologiche, medicamenti), quello di Berlino (294 ricette, testi di magia, ginecologia), di Kahun (ginecologia), il Cester Beatty (malattie dell ‘anno), eccetera.

Un’idea delle patologie che affliggevano gli Egizi ci deriva dall’osservazione delle arti figurative espresse da questo antico popolo. Se, ad un osservatore superficiale, l’iconografia egizia può sembrare stucchevole e scarsamente differenziata, in virtù della tendenza alla idealizzazione della figura umana, che vincolava gli artisti, un occhio più esperto può invece notare quanto realismo permeava la ritrattistica dell’epoca. E quindi possibile riconoscere malattie o deformazioni fisiche di molti personaggi, crudelmente riprodotte dall ‘artista. Partendo dalla mostruosa lipodistrofia della regina di Punt, evidente in un bassorilievo nel tempio di Hatchepsout, si nota come l’obesità appesantiva molti notabili; apprendiamo che molti arpisti erano ciechi; troviamo figure affette da nanismo di varia etiologia; notiamo poi ernie scrotali o ombelicali, tumefazioni varie, rachitismo derivante da gravi carestie (Saqqara); interessanti poi sono il riscontro di elefantiasi degli arti inferiori in una statua del re Montuhotep (verosimilmente affetto da filariosi) e gli evidenti di poliomielite a carico del siriano Ruma riprodotta sulla sua stele funeraria.

Rilevanti sono poi i ritrovamenti archeologici di strumenti medici, così come la rappresentazione sulla parete del tempio di Kom Ombo, di un intero set di strumenti chirurgici.

Ben più intensi e significativi sono i dati che ci derivano dallo studio delle mummie, la cui osservazione si basa fondamentalmente sull’esame obiettivo macroscopico, sui rilievi radiografici, sulla microscopia ottica ed elettronica, sullo studio dei gruppi sanguigni ed in prospettiva, sulla biologia môlecolare.

Le collezioni egizie sparse per il mondo annoverano ben 8977 mummie, di cui 1 1 18 ospitate e studiate al museo di Antropologia dell ‘Università di Torino, dove tra l’altro si trova la mummia di una donna morta durante il parto, per estroflessione dell’utero (reperto per cui il Museo ha ricevuto offerte miliardarie da parte di altri musei, desiderosi di acquisirlo). Sono noti, poi, 475 resti mummificati, di cui 105 a Torino.

Lo studio radiografico, di cui il Marro fu capostipite a Torino, permette di evidenziare un gran numero di patologie osteo articolari ed odontoiatriche, la presenza di calcoli biliari e renali e di calcificazioni arteriosclerotiche. Interessantissimo al proposito lo studio della mummia del re Sekenenra Tao (che i fantasiosi autori del libro “La chiave di Hiram” pretendono di assimilare alla figura di Hiram stesso) che mise in evidenza le orrende e mortali ferite riportate dal sovrano, combattendo contro gli invasori Hyksos, ferite che per la loro netta conformazione hanno potuto essere messe in relazione con ben precise armi dell ‘epoca.

Altre importanti notizie ci vengono dallo studio bioptico dei tessuti mummificati, riconoscendo in tal modo malattie degenerative, tumorali, cirrosi, silicosi, antracosi, epatiti, parassitosi e molte altre. Possiamo inoltre ottenere notizie del colore della pelle e quindi renderci conto del tipo di razze che abitavano la valle del Nilo nell’antichità.

Dai gruppi sanguigni e dalla genetica siamo in grado oggi di stabilire i legami di parentela, tanto importanti dal punto di vista storiografico.

La cura delle malattie, specie quelle che oggi chiamiamo internistiche e per quei tempi ad origine sconosciuta, non poteva prescindere dal ricorso alla magia. E una vexata quesito, se sia nata prima la medicina e quindi la farmacia empirica o la magia: attualmente i reperti filologici ci forniscono indirizzi contrastanti. In ogni caso, lo studio dei testi medici egizi ci fa pensare che l’importanza della magia cresca col progredire di questa civiltà.

La magia impiegata dai medici egizi era fondamentalmente quella detta di “tipo simpatico o di trasmissione”, basata su due principi essenziali: la legge della similitudine o rito omeopatico e la legge di contatto o rito di contagio. Ecco un esempio della prima legge: “Istruzioni da seguire qualora una donna sia soggetta a dolori dell ‘utero mentre cammina”. “Tu le domanderai: che odore emani?” Se essa ti risponderà: “l ‘odore della carne bruciata (segno di tumore all’utero)”. Allora tu le dirai: “sono nemsu dell ‘utero”. “Affumicala con ogni sorta di carne bruciata, che corrisponda esattamente all ‘odore che essa emana”.

Meno seguita era quella parte della magia che corrisponde alla legge di contatto, per cui le cose che siano state a contatto una volta continuano ad agire una sull’altra, anche quando questo contatto sia cessato (vedi i vari riti eseguiti sui vestiti, capelli, unghie di una persona che ancora oggi trovano grande seguito tra le persone credulone). Le formule magiche, pronunciate dal medico o dal malato stesso o da parenti, contenevano ingiunzioni, proibizioni, inviti o minacce; talvolta l’officiante affermava addirittura di parlare a nome di una divinità, nel tentativo di scacciare il male. Gli esorcismi dovevano essere effettuati in luoghi e ore precisi e ripetuti più volte in base a numeri magici (per lo più il quattro nell’epoca classica, il sette nell’epoca tolemaica). Numerosissimi erano gli oggetti magici, i cosiddetti amuleti e le statue guaritrici, ma spesso i medicamenti stessi erano substrato su cui gli esorcismi si estrinsecavano. Tipico era anche l’uso dei cosiddetti rimedi repellenti, generalmente derivati fecali, che introdotti nel corpo del paziente avevano il potere di scacciare il male, per repulsione. Un esempio: “preparerai una pozione di semi di papavero e sterco di mosca, per calmare un bambino che strilla”! E intuitivo che Pazione sedativa richiesta era opera degli oppiacei che, come noto, sono contenuti nel seme del papavero.

Ma veniamo a parlare, ora, dei medici stessi, di come agivano, di come erano organizzati. Già allora sussisteva l’attuale divisione in medici generici e specialisti. Di loro Omero diceva: “Terrafertile l’Egitto che produce droghe in abbondanza; alcune sono medicine, altre veleni. E il paese dei medici più sapienti della terra”. Ed Erodoto: “La medicina in Egitto è così ripartita: ogni medico si occupa di una ed una sola malattia. Esiste un ‘infinità di medici; gli uni curano gli occhi, gli altri la testa, altri ancora i denti, altri I ‘addome, altri le malattie ad incerta localizzazione”.

Il geroglifico che noi leggiamo “Sunu” e che traduciamo “medico” era rappresentato da una freccia sovrapposta ad un vasetto rotondo. Tale parola deriva dal verbo “sun”, ovverosia “essere malato”, quindi sunu significa “colui che appartiene a chi è malato”. Quindi ad esempio “sunu irty” era il nostro oculista, “sunu khet” il gastroenterologo, “sunu per aa” il medico reale. Esistevano medici di collettività: medici militari, medici del lavoro, medici della necropoli tebana. sappiamo come erano gerarchicamente strutturati, per cui troviamo lo “Ur sunu”: il più grande dei medici o archiatra. Abbiamo notizie poi di un capo dei medici dell’Alto Egitto e di uno del Basso Egitto, eccetera.

Essi compivano il loro apprendistato nelle università di allora: le case della vita, che sorgevano presso e alle dipendenze dei principali templi, dove apprendevano la materia specifica, ma anche altre dottrine, vuoi esoteriche, vuoi pratiche, per cui la storia ci ha tramandato il nome di grandi medici, ma al tempo stesso anche astronomi e architetti, come Amenhotep, figlio di Hapu, e Imhotep, costruttore della prima grande piramide della storia, quella di Djoser a Saqqara, figura che i Greci identificarono in Esculapio.

Diodoro Siculo ci racconta che i medici assistevano gratuitamente i malati, in quanto pagati dalla società. Ma ciò verosimilmente avveniva in bassa epoca, poiché è noto che nel periodo classico essi venivano remunerati in natura, non esistendo in Egitto la moneta. Leggiamo, a proposito di una partita di semi destinata ai lavoratori della necropoli reale: “Due kar di semi per due scribi, tre kar per un addetto al portale, un kar per un medico”. Ma sappiamo che medici valenti venivano retribuiti in oro e oggetti preziosi, tanto da poter accumulare, nella loro vita, notevoli fortune.

In sostanza i medici egizi erano sicuramente, per l’epoca, molto validi. Seguivano il concetto, poi fatto suo da Ippocrate, “Primum non nocere”. Seguivano ortodossamente la letteratura, lasciando poco spazio all ‘improvvisazione. Erano buoni conoscitori dell’anatomia umana e della fisiologia, ignorando soltanto le funzioni del cervello, da loro attribuite al cuore. Raccomandavano l’igiene come prima fonte di benessere e consideravano l’eccessiva alimentazione come causa della maggior parte dei mali. Conoscevano i farmaci, per lo più di origine vegetale (quasi tutta la flora egizia era sfruttata all’uopo), più raramente minerale; verosimilmente non usavano veleni. Preparavano essi stessi i medicamenti che somministravano come bevanda (in acqua, birra, vino), come pappa (con miele, sangue, grassi, bile, midollo) o come pillole e cataplasmi (con cera o argilla).

Diciamo, infine, che il quadro fisiopatologico dell’Antico Egitto era sovrapponibile a quello dei popoli attuali, a più alto livello civile. È altresì importante rilevare l’assenza quasi certa di malattie veneree, la rarità delle malattie mentali, la frequenza elevata di malattie odontoiatriche (con conseguenti ascessi dentari, talvolta con esito infausto per setticemia), tumori vari (soprattutto ossei), malattie infettive, parassitosi, malformazioni da carenza di calcio, malattie degli occhi (tracoma), artriti, calcoli. , eccetera, fino al mal d’amore.

E concludo descrivendovi quella che è forse la prima documentazione scientifica di uno dei mali attuali più preoccupanti e più frequenti, l’infarto cardiaco: “Se esamini un malato sofferente alla bocca del cuore, mentre ha dolori al braccio, al petto e ad un lato del suo stomaco, puoi dire di lui è la malattia uadj, ed a tal proposito dirai: è qualche cosa che gli è entrata in bocca, è la morte che lo minaccia. Preparerai per lui una medicazione benefica a base di erbe: semi di pisello 1, brionia 1, niuniu 1, innek 1, chicchi rossi di sekhet 1; cuocerai tutto nell’olio e lo farai bere al paziente. Porrai su di lui la tua mano, tenendola distesa, sino a quando il suo braccio andrà meglio, essendosi liberato dal dolore e dirai: questa sofferenza è scesa al retto, all ‘ano. Non ho più alcun bisogno di ripetere la medicazione”. Cari Fratelli, lo stress esisteva anche allora!

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