TORTURA E SUPPLIZI NELL’ANTICHITÀ

TORTURA E SUPPLIZI NELL’ANTICHITÀ

Pagine oscure nella storia dell’umanità?

di

Silvio Nascimben

Non esiste leggenda, nella lunga storia dell’uomo, che non includa atrocità e crimini, quasi sempre commessi tra consanguinei. Le leggendo, di Caino che uccide Abele, di Romolo e Remo, di Zeus che evira Cronos, il padre colpevole di aver divorato i propri figli, rappresentano il basamento di tutta la mitologia greca e, secondo la Bibbia, della storia della umanità. Caino, infatti, viene associato a Romolo perché, entrambi violenti, uccisero accecati dalla gelosia; in Zeus, invece, si rileva una certa premeditazione nell’attuare l’evirazione, non tanto per il sadico rituale adottato nel togliere di mezzo il proprio padre, ma per la tortura inflittagli con la menomazione.

Tantalo fu, quasi certamente, il primo noto torturato della storia, unitamente a Laoconte, stretto tra le enormi spire di due serpenti, assieme ai suoi giovani figli.

Tutto ciò, pur appartenendo al mondo delle leggende e dei miti poetici, evidenzia in maniera inequivocabile che la tortura veniva largamente praticata in Grecia, tanto da essere considerata da Demoslene e Aristotele decisamente insostituibile per estorcere confessioni.

Di riguardanti i supplizi a cui venivano sottoposti gli stranieri sospetti, e gli schiavi, questi ultimi spesso in sostituzione dei loro padroni. Anche Cicerone, nell’orazione Pro Sulla, parla di una tortura in usa a Roma che faceva parte di una consuetudine giuridica corrente: la botte contenente all’interno chiodi acuminati. A questo crudele supplizio venne sottoposto il Console romano, Attilio Regolo notevole interesse sono gli scritti di Aristofane, il grande commediografo satirico ateniese vissuto ben 2300 anni addietro,

Per quanto disumano fosse questo metodo di tortura, ben poca cosa era rispetto alle pratiche in uso nella Roma della Repubblica, epoca in cui ogni padrone poteva torturare a suo piacimento i propri schiavi.

Nel periodo imperiale, invece, le pratiche suppliziali venivano applicate anche ai cittadini liberi, con esclusione di alcune categorie: i nobili e i propri diretti discendenti, le donne in stato di gravidanza, e i fanciulli. Le torture più usate erano l’equuleus, le lamina, le plumbatae, la mala mansio, le ungulae.

Cicerone, nel descrivere il primo supplizio, evidenzia la particolare struttura dello strumento simile ad un cavallo di legno (equus), sulla cui groppa era infisso un corpo contundente, Al condannato, fatto sedere in groppa, venivano legati enormi pesi ai piedi per favorire una maggiore pressione del corpo e, di conseguenza, rendere più atroce l’impalamento. Le lamina erano oggetti arroventati che, a contatto del corpo, piagavano particolarmente le parti più delicate; le ungulae, invece, erano attrezzi con denti uncinati che venivano utilizzati dai carnefici per ridurre a brandelli le carni delle sfortunate vittime.

Meno impietosa, ma certamente non meno crudele, era la mala mansio, una tenebrosa grotta molto simile a quella del carcere Mamertino, sotto il colle Capitolino, dove i condannati venivano rinchiusi e lasciati morire di fame e sete fra indicibili atroci sofferenze.

La crocifissione poi, come pena alternativa, venne largamente applicata nelle terre straniere dominate da Roma, e in particolare nella Palestina.

Particolarmente inquietante e la storia dello scultore Perillo, a cui Falaride, tiranno di Agrigento vissuto nel VI secolo a.C., commissionò un nuovo e particolare strumento di tortura.

Perillo, infatti, realizzò un grande toro di bronzo dal ventre capiente, entro cui venivafatto entrare il condannato. Alla base dello strumento di tortura, l’accensione di un enorme braciere provocava la morte lenta del malcapitato, fra atroci sofferenze. Il crudele Falaride, pur ammirando la grande genialità dell’ideatore, lo condannò ad entrare per primo nell’ordigno infernale. “Le grida raccapriccianti dello scultore, arrostito vivo – racconta Dionigi d’Alicarnasso – si ripercossero nella mostruosa scultura tanto da sembrare il ruggito di un toro colpito a morte’.

Le atroci macchine di tortura, per amor di verità, non sono da addebitarsi al solo mondo greco-romano. Dalla germanica vergine di Norimberga alla ruota della tortura utilizzata spesso sotto il regno di Enrico VI, dalle pratiche orientali di impalamento alle raffinate tecniche di tortura in uso tra i giapponesi, stivaletto di ferro compreso, innumerevoli erano le diaboliche pratiche inflitte alle vittime, per l’ottenimento di confessioni estorte tra atroci sofferenze.

Nelle pagine del Talmud, il libro sacro dei “figli di Abramo”, viene spesso menzionata la pena della fustigazione: il numero delle frustate, non doveva essere superiore a trentanove. La non osservanza di questa regola sacra prevedeva la condanna a morte del fustigatore.

Gli strumenti di tortura, pur facendo parte di un passato certamente poco edificante per la stirpe umana, attualmente vengono esposti in bella mostra in musei e collezioni periodiche itineranti, sia come attrattiva storico-culturale, e per ricordarci quanto crudeli fossero a quel tempo i nostri progenitori.

Pur tuttavia, viene spontaneo chiedersi: alla luce delle recenti conquiste tecnologiche della chimica e della fisica, ma ancor più della propensione a migliorare le condizioni di vita e di benessere dell’umanità, i comportamenti l’uomo dei nostri giorni è veramente diverso da quello di ieri. Volgendo lo sguardo, però, a quel passato non molto lontano, in cui erano in uso raffinate torture e sui roghi venivano arsi vivi eretici e presunte streghe – in nome e per conto di un Dio implacabile e per nulla misericordioso – e confrontandolo con quanto oggi avviene, non possiamo che renderci conto, ahimè, che non vi è stato miglioramento alcuno. Anzi, in peggio. Nel modo contemporaneo d’oggi, le pratiche suppliziali che nella remota antichità erano praticate nei confronti dei singoli, si sono via via trasformate, raffinate direi, e sempre più protese all’annientamento delle masse. Lamina, ungulae, plumbatae, mala mansio, e tutte le diavolerie del passato non più in uso, sono state accantonate. Al loro posto, in virtù dell’incalzante progresso tecnologico, sono subentrate le camere a gas, bombe atomiche e al napalm, armi batteriologiche e chimiche, e tant’altri stramaledetti congegni di morte e distruzione di popoli interi.

La nostra epoca, ahimè, è contrassegnata da impietosi genocidi, da crudeli epurazioni etniche e, non da meno, da assurdi attentati perpetrati da fanatici gruppi religiosi di ispirazione integralista.

La crudeltà, forse, non cesserà mai di esistere. E’ da sempre compagna dell’uomo, fin dal tempo delle caverne, e lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni perché ha eletto a dimora, l’animo umano.

E’ una triste, forse, pessimistica considerazione. Stranamente però, se raffrontati alle diaboliche tecniche di pulizia etnica e alle innumerevoli vicende di sangue e di morte che si abbattono sull’umanità contemporanea, i desueti strumenti di tortura del passato, malgrado le spietate regole d’applicazione, appaiono contornati da un alone meno impietoso e più vicini alla dimensione umana.•

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