PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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GRANDE ORIENTE DEL PAESI BASSI

GRANDE ORIENTE DEL PAESI BASSI

Ambasciata della Repubblica Italiana

Z.E. Andrea Perugini

Alexanderstraat 12

2514 J’. Den Haag

Paesi Bassi

L’Aja, 16 giugno 2018

Eccellenza,

oggi, durante l’annuale assemblea generale dell’Ordine della Massoneria dei Paesi Bassi a Bussum, ho espresso la mia preoccupazione sull’intenzione del nuovo Governo italiano di escludere massoni da funzioni pubbliche. È noto che ai regimi autoritari non piacciano i liberi pensatori, ma è uno choc che in un democratico paese europeo si stia preparando un divieto professionale per massoni.

Abbiamo inviato una dichiarazione di sostegno al Grande Oriente d’Italia (GOI), con il quale manteniamo fraterni legami. Allegata a questa lettera troverà la dichiarazione dello stesso Gran Maestro Stefano Bisi, che condividiamo di tutto cuore. I veri massoni sono lontani da attività illegali. La massoneria non è un marchio registrato: chiunque può definirsi massone, oppure cristiano o musulmano. La massoneria è sempre allerta ai gruppi che abusano del suo buon nome a propri fini, perché la massoneria riconosciuta a livello internazionale non persegue obiettivi politici.

E proprio per via del ruolo patriottico che i massoni hanno esercitato nella storia d’Italia, che pseudo-massoni hanno creato logge finte, nascondendo così le loro attività. Queste logge non appartengono alla massoneria riconosciuta d’Italia. Insieme ai nostri fratelli del GOI offriamo al Governo italiano la nostra assistenza nello smascherare di finte logge massoniche.

I fondatori dell’Italia furono massoni. In ogni città ci sono piazze o strade che hanno preso il nome da Garibaldi, Mazzini o Cavour. I nostri fratelli Paganini e Puccini hanno composto la più bella musica. È impensabile che gli italiani si dimentichino di tutto questo per schierarsi tra i paesi come l’Iran e la Corea del Nord, in cui la massoneria è proibita. L’Italia sta presentando il brutto esempio e sarà superato da paesi come la Cuba e la Turchia, dove la massoneria è permessa. E un diritto inalienabile di ogni cittadino di scegliere la propria convinzione politica o religiosa.

Ovunque in Europa si prepara una nuova legislazione sulla privacy, mentre il Governo italiano esige la pubblicazione di elenchi dei soci. La Corte Europeo ha rispinto tali azioni già nel 2009. L’esitazione dei fratelli italiani di farsi conoscere, ovviamente, ha a che fare con la persecuzione della massoneria durante la seconda guerra mondiale.

Javastraat 2-8 2585 AM Den Haag

T 070 3460046 E orde@vrijmetselarij.nl

W vrijmetselarij.nt IBAN NL24 INGB 0000 352474

La massoneria è una linea di condotta per liberi cittadini. Libertà, tolleranza e fratellanza sono le sue caratteristiche. In questo conflittoso mondo il nostro ideale di fratellanza è attuale più che mai. Per noi conta solo la dignità dell’essere umano, indipendente da razza, fede, inclinazione sessuale o convinzione politica.

La prego di trasmettere le nostre preoccupazioni, eppure l’offerta della nostra assistenza al Presidente della Repubblica Italiana eppure al Primo Ministro. Lavoriamo insieme per il futuro dei cittadini in genere e per quelli d’Italia in particolare.

PorgendoLe la mia più alta stima,

Gerrit van Eijk

Gran Maestro del Grande Oriee dei Paesi Bassi

tradotto da Marinus Schouten, L’Aja, 15 giugno 2018 

Allegato 1: La dichiarazione della Giunta del Grande Oriente d’Italia

Per il Grande Oriente d’Italia è Incostituzionale la clausola sulla Massoneria del

Contratto stipulato tra le parti del futuro esecutivo. E chiede l’intervento del Presidente della Repubblica

I Massoni del Grande Oriente d’Italia giurano solennemente fedeltà alla Repubblica Italiana. Lo fanno sulla Carta Costituzionale e s’impegnano a rispettarne le norme e le leggi. L’idea di inserire una clausola antimassonica nel contratto stretto tra Lega e M5S è contraria ai principi costituzionali. Ricorda le leggi fasciste che i Massoni hanno sempre denunciato e che sono la conseguenza di una pericolosa deriva liberticida. Gli articoli 2, 3, 18 e 21 della Costituzione sono molto chiari e non ammettono patti negoziali che impediscano a categorie di cittadini di esercitare la libertà di partecipazione, d’espressione e d’associazione in tutte le sue forme. Chi pensa per fini politici di sfruttare una campagna contro i Massoni e di impedire l’esercizio dei diritti primari commette un abuso e deve assumersene ogni responsabilità.

Questa odiosa discriminazione non solo reca offesa alla storia d’Italia, al cui farsi come

Nazione e al cui progresso civile i Massoni da Garibaldi a Carducci, da Mameli a Crispi, da Fermi a Ruini, a Quasimodo, hanno dato un contributo fondamentale; ma procura anche inquietudine nell’opinione pubblica di tutte le grandi Democrazie Occidentali, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, alla Francia, nelle quali l’appartenenza alla Massoneria è sinonimo di attaccamento patriottico e lealismo costituzionale. Ricordiamo a tutti i Deputati e Senatori neoeletti e in modo particolare ai leader ed ai Parlamentari delle due formazioni che si candidano a reggere le sorti della nostra Nazione che essi devono rappresentare tutti i cittadini e li invitiamo a ri-leggere qualche utile pagina di storia partendo dal Risorgimento e finendo all’Istituzione della Repubblica Italiana.

I Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia hanno inviato una lettera al Capo dello Stato, garante di tutti gli italiani, in cui chiedono che vigili perché la Costituzione sia applicata nella sua interezza e senza discriminazioni.

La Giunta del Grande Oriente d’Italia

Roma, Il Vascello 18 maggio 2018

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IL LAVORO DEL MURATORE

Il lavoro del muratore

Si seguì poi la folla, che procedeva lentamente e che ora aveva formato un cerchio intorno all ‘area della futura casa. Il proprietario, la sua famiglia e i principali fra gli ospiti, furono invitati a scendere nella fossa, dove 1a prima pietra, appoggiata a una parete, era già pronta per essere posta. Un muratore tutto in ghingheri, con la cazzuola in una mano e il martello nell’altra, tenne un brioso discorso in versi, che in prosa possiamo rendere solo imperfettamente.

“A tre cose”, egli cominciò, “bisogna badare in una costruzione: che sia opportunamente situata, ben fondata e perfettamente eseguita. Il primo punto è certamente di competenza del proprietario; poiché, come in città solo il principe e il comune possono determinare dove si debba costruire, cosi in campagna è prerogativa del padrone dire: qui e non altrove ha da essere la mia casa”.

A queste parole Edoardo ed Ottilia non osarono guardarsi, benché fossero vicinissimi e l’uno in faccia all ‘altra.

“11 terzo punto, l’esecuzione, è a cura di molti operai; che sono pochi quelli cui non tocchi occuparsene. Ma il secondo, le fondamenta, è compito del muratore e, per dirla schietta, è il cardine di tutta l’opera. E un lavoro serio, e serio è questo nostro invito, poiché questa solennità si comincia nel profondo della terra. Qui, dentro a questo spazio strettamente scavato, fateci l’onore d’essere testimoni del nostro lavoro segreto. Ora deporremo questa pietra ben stagliata e tra poco queste pareti di terra, ora adorne di belle e degne persone, non saranno più accessibili e verranno completamente colmate.

“Questa pietra, che col suo angolo determina l’angolo retto della costruzione, col suo profilo rettangolare ne informa la regolarità, colla sua orizzontalità e verticalità suggerisce l’equilibrata posizione di tutti i muri e di tutte le pareti, noi potremmo senz’altro deporla, poiché riposa perfettamente sul suo stesso peso. Ma neppur qui deve mancare la calce, quale elemento di coesione: poiché come le creature che già per natura si sentono l’una verso l’altra inclinate, si associano ancor meglio quando la legge le unisce, cosi anche le pietre, che già combaciano per la forma, si saldano ancor meglio per mezzo di queste forze coibenti; e poiché non s’ addice rimanere oziosi fra gente che lavora, così voi pure non sdegnerete di farvi qui nostri collaboratori”.

Cosi dicendo porse la cazzuola a Carlotta, che con essa spruzzò di calce la faccia inferiore della pietra. Altri furono invitati a far lo stesso e la pietra fu subito posata; dopo di che a Carlotta ed agli altri fu offerto il martello perché con un triplice colpo consacrassero formalmente l’unione della pietra col suolo.

“11 lavoro del muratore”, prosegui l’oratore, “che ora vedete all’aria aperta, anche se non si svolge in segreto, è però destinato a restar nascosto. Le fondamenta accuratamente eseguite vengono sotterrate, e in presenza delle mura che noi stessi abbiamo tratte alla luce, v’è appena chi alla fine si ricordi di noi. I lavori dello scalpellino e dello scultore seducono di più la vista, e noi dobbiamo perfino reputare una fortuna che l’imbianchino cancelli completamente la traccia delle nostre mani e si appropri  del nostro lavoro nell’atto di rivestirlo, lisciarlo e colorirlo.

“Chi, dunque, meglio che il muratore lavora per soddisfazione personale quando eseguisce bene quello che fa? Chi più di lui agisce unicamente in forza di quella molla che è, la coscienza del proprio valore? Quando la casa è compiuta, il suolo spianato e lastricato, il muro esterno rivestito d’ornamenti, attraverso tutte le sovrapposizioni penetra ancor sempre l’occhio del muratore e riconosce quelle regolari accurate commessure, a cui l’insieme deve la sua esistenza e la sua conservazione.

“Ma come colui che ha commesso una mala azione deve temere che, nonostante ogni cautela, essa venga ugualmente alla luce, cosi chi ha fatto il bene in segreto deve attendersi che anche questo venga un giorno alla luce, contro la sua intenzione. Questo è il motivo per cui di questa pietra angolare noi facciamo anche una lapide commemorativa. Qui in queste nicchie variamente scavate, vari oggetti devono essere sotterrati a testimonianza per una lontana posterità. Queste scatole metalliche saldate contengono notizie scritte; su queste lastre di rame vengono incise varie cose degne di memoria; in queste belle ampolle di vetro sotterriamo il miglior vino vecchio, con la sua data di nascita; non mancano monete di vario valore, coniate quest’anno; tutte cose che abbiamo ottenuto dalla generosità del nostro padrone. E rimane ancora del posto, per il caso che qualcuno dei signori qui presenti avesse desiderio di trasmettere qualche cosa alla posterità”.

Facendo una breve pausa il compare girò lo sguardo intorno, ma come suole accadere in simili casi, nessuno era preparato, tutti erano colti alla sprovvista, finché un giovane e vivace ufficiale prese I ‘iniziativa e disse: “Se devo contribuire con qualche cosa che ancora non sia stato deposto in questo prezioso ripostiglio, mi tagliere un paio di bottoni dall ‘uniforme, poiché meritano bene di passare ai posteri”. Detto fatto! e allora molti altri ebbero idee del genere. Le donne non tardarono a depositare qualcuna delle loro piccole forcine; fialette di profumo ed altri ornamenti non furono risparmiati; solo Ottilia esitava, finché Edoardo non la riscosse con una parola amichevole dalla contemplazione di tutti gli oggetti offerti e collocati nella pietra. Allora ella sciolse dal collo la catena d’oro, cui aveva tenuto appeso il ritratto del padre, e la depose lievemente sopra gli altri ricordi: dopo di che Edoardo diede ordine in fretta che immediatamente si calasse e si cementasse il ben commesso coperchio.

Il giovane muratore, che in quest’operazione s’era mostrato attivissimo, riprese la sua posa d’oratore e continuò: “Noi poniamo questa pietra per l’eternità, a garanzia del più lungo godimento possibile da parte dei proprietari presenti e futuri di questa casa. Ma mentre qui sotterriamo una specie di tesoro, pure insieme pensiamo, durante la più stabile di tutte le operazioni, alla caducità delle cose umane; noi presupponiamo una possibilità che questo coperchio saldamente sigillato possa di nuovo venire sollevato, il che non potrebbe avvenire altrimenti se non quando tutto fosse distrutto ciò che noi non abbiamo ancor neppure compiuto. Ma appunto perché questo venga compiuto, distogliamo il pensiero dall ‘awenire, ritorniamo al presente! Sollecitiamo il nostro lavoro, appena terminata questa festa, si che nessuno degli operai che dovranno proseguire l’opera sulle nostre fondamenta debba restare ozioso, e la casa cresca rapidamente fino al suo compimento, e dalle finestre, che ancora non ci sono, il padrone, coi suoi e cogli ospiti, possa lietamente contemplare la contrada, alla cui salute, come a quella di tutti i presenti, ora beviamo!”

Cosi dicendo vuotò d’un fiato un finissimo calice di cristallo e poi lo gettò in aria, poiché significa un empito di gioia spezzare la coppa di cui ci si serve nell ‘allegria.

Wolfgang Goethe, “Le affinità elettive”, capitolo IX, Einaudi editore (Traduzione di Massimo Mila).

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INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

L’iniziazione muratoria ha mantenuto, nonostante tutto, un aspetto traumatico nei confronti di un profano che bussa alla porta del Tempio.

Tale aspetto traumatico è forse necessario da un punto di vista di tecnica rituale, per consentire il trasferimento e il conferimento dell ‘influenza spirituale propria dell’iniziazione stessa.

Traumatico deve essere anche, perché indica il passaggio da uno stato dell’essere ad un altro profondamente diverso (non si dimentichi che l’iniziazione rappresenta una “morte”).

Traumatico deve infine essere in quanto predispone una materia grezza alla ricezione dell’influenza spirituale.

Inizialmente, al profano impreparato, il Rito di Iniziazione può sembrare uno dei tanti cerimoniali propri della vita profana e religiosa, ma quasi immediatamente, una differenza dovrebbe apparire chiara; tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che viene Retto, sono stimoli a riflettere, a pensare, non una serie di atti da subire passivamente, quasi inconsciamente.

Al contrario, l’atteggiamento del candidato deve essere eminentemente attivo nei confronti del Rito. Egli ha scelto liberamente e spontaneamente di aderirvi ed è stato ammesso dai rappresentanti autorizzati della via iniziatica per i quali egli è risultato qualificato. Tutto ciò lo differenzia enormemente dall ‘exoterista, il cui atteggiamento è eminentemente passivo.

Gli inviti alla riflessione si ripetono nel corso del Rito e si fanno via via più incalzanti. Dagli stati emozionali delle tre prove e del giuramento, si passa ad un approccio più diretto con i simboli, quando il Fratello Esperto insegna all’iniziato a compiere il suo lavoro nella pietra grezza.

E verosimile che, a questo punto, risulti difficile non comprendere il livello molto diverso su cui ci si pone intraprendendo la strada iniziatica.

E che sia una strada irta di difficoltà e di ostacoli, ben lo sa chi si ponga con giusta predisposizione d’animo a percorrere tale cammino. Si può dire che tra il profano e l’iniziato non esista comune misura, poiché al primo non è possibile, nella migliore delle ipotesi, andare più in là del mondo sottile, mentre al secondo, mediante la trasmissione dell’influenza spirituale, sono aperte le possibilità di un ordine più elevato, cioè quello spirituale.

E una via che sposta, quasi completamente, almeno per taluni, l’asse degli interessi che sono propri della vita profana. È chiaro che, bussando alla porta del Tempio, ci si era in qualche modo resi conto dell’inutilità e della vacuità di ciò che, nella vita profana, è invece considerato un traguardo ambito, ma si può affermare tuttavia che l’approccio con la via iniziatica sia comunque estremamente duro.

Intanto si deve passare da si deve passare ad un’attività fisica e mentale (anche se tale termine va inteso, generalmente, nella sua eccezione più grossolana) ad un ‘attività essenzialmente spirituale: dalla facile comprensione di cose semplici al difficile compenetramento del simbolismo.

La via profana è, nella stragrande maggioranza dei casi, lastricata di “certezze”; nella via iniziatica il dubbio, il ripensamento l’incertezza, la crisi, sono pane quotidiano. Si deve essere disposti a mettere in discussione quello che, il giorno prima, sembrava assodato e questo, nella vita profana, difficilmente avviene.

Si vuol dire con questo non che la via iniziatica sia la via del dubbio e dell’incertezza costante  ma che, essendosi ormai smarrita la strada che porta alla verità, il suo ritrovamento, all’inizio, è frutto di tentativi continui e quindi aperti all ‘errore.

L’unica certezza che l’iniziato deve comunque sempre avere è che la sua vita deve essere dedicata alla ricerca della Luce, pur sapendo che tale Luce a pochissimi è dato di trovare.

I

LA SIMBOLOGIA

Uno degli avvenimenti  della mia esistenza fu la scoperta che il senso della vita era “comprendere”. E che questa parola designava una mutua integrazione dei due principi costituenti il pensiero: la coscienza e il fenomeno. Ciò posto, è evidente che il punto di impatto tra questi due principi, perché divengano intelligibili, è una riduzione a denominatore comune, riduzione che si può designare sotto la parola di “simbolismo” (Moise Engelson – Ginevra).

Questa definizione di uno dei fondatori dei “Quaderni di simbologia” si riferisce evidentemente alla attività creatrice del simbolo, che più propriamente possiamo chiamare simbolismo. Il nostro approccio vuole partire da un passo ancora precedente, provando ad affrontare alcuni concetti relativi alla simbologia generale o scienza dei simboli, senza assolutamente voler pretendere di dare dei codici di decifrazione, ma piuttosto cercando di definire i processi logici ed i postulati che tale scienza si pone, come qualunque altra scienza.

“D’altra parte, nel campo simbolico, non esistono codici di decifrazione generali, ma solo sistemi particolari, che esigono essi stessi una interpretazione. Il simbolo non significa qualcosa: esso evoca, focalizza, concentra una molteplicità di significati che non si riducono ad uno solo, né a qualcuno solamente. Una nota di musica non ha un senso determinato una volta per tutte, anche se è una nota determinata. Essa dipende strettamente dal suo contesto ritmico e rituale che gli è associato. Penetrare nel mondo dei simboli è provare a percepire delle vibrazioni armoniche e, in qualche modo, è scoprire la musica dell’Universo” (René Allau, “La science des Symboles”, .

Il simbolo

All’origine il simbolo è un oggetto spezzato in due parti. Due persone sono le depositarie di ciascuna delle parti, e si tratta sempre di due persone destinate a perdersi di vista per lungo tempo, che desiderano creare una manifestazione fisica ed unica in un legame che le unisce: il riavvicinamento delle parti per ricreare l’oggetto primitivo, ricreerà automaticamente il legame, non fosse altro che per il riconoscimento della sua esistenza. I simboli erano ancora, presso i Greci antichi, il modo con cui i genitori potevano riconoscere i figli abbandonati. Malgrado l’estensione che il termine ha raggiunto, a partire dal suo significato originale, possiamo affermare che esso continua ad implicare fondamentalmente le due idee di separazione e riunificazione che ne contraddistinsero I ‘origine.

Allegoria e simbolo

Come tutte le scienze, la Simbologia deve ammettere delle nozioni primarie non dimostrabili, i cosiddetti postulati.

Il primo è quello dell’esistenza dell’ordine nell’universo. In realtà tale ordine non è dimostrabile, poiché i nostri sistemi di misura e riferimento sono meno generali e contenuti nell’oggetto da misurare; tuttavia molte delle nostre scienze moderne ammettono tale ipotesi e la verificano, almeno parzialmente, scoprendo le leggi.

Il secondo postulato è quello della probabilità della analogia delle strutture tra un ordine parziale e quello totale: ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso. Meno facile da ammettere del precedente, non è tuttavia smentito dall ‘osservazione della natura (basti pensare ai modelli atomici sistemi solari).

Le funzioni  del simbolo

Una prima funzione del simbolo è di ordine “esplorativa”;. il simbolo permette infatti di cogliere ed esprimere legami tra due termini, di cui uno è conosciuto e l’altro no, estendendo il campo della coscienza in sfere ove la misura esatta è impossibile e ove l’inoltrarsi comporta sempre un aspetto di avventura, di rischi e di sfida.

“Ciò che noi chiamiamo simbolo – scrive C. G. Joung – è un termine, un nome o una immagine che, anche quando ci sono famigliari nella vita quotidiana, possiedono tuttavia delle implicazioni che si aggiungono al loro significato convenzionale ed evidente. Il simbolo implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di nascosto per noi … Quando li spirito intraprende l’esplorazione di un simbolo, esso è condotto a delle idee che si situano al di là dei limiti cui può giungere la nostra ragione … Ed è per il fatto che innumerevoli cose si collocano al di là dei limiti dell’intendimento umano, che noi utilizziamo continuamente il simbolo per rappresentare dei concetti che non possiamo né definire, né comprendere pienamente”, pur tuttavia simbolo presuppone sempre che l’espressione scelta designi o formuli nel modo più perfetto possibile, certi fatti relativamente ignoti, ma la cui esistenza è stabilita o appare necessaria”.

Punta avanzata dall’intelligenza creatrice, il pensiero simbolico rende possibile, secondo l’espressione di Mircea Eliade “la libera circolazione attraverso tutti i livelli del reale”.

Possiamo cioè definire una seconda funzione del simbolo, quella di mediatore: esso getta dei ponti tra elementi separati, collegando il cielo e la terra, la materia e lo spirito, la realtà tangibile e quella intangibile, stati di coscienza separati da salti qualitativi.

Occorre aggiungere che tale funzione mediatrice non è da vedersi in forma statica, ma in termini dinamici di reale forza unificatrice.

L’uomo, diviso e disperso nei suoi momenti di uomo lavoratore, di uomo politico, di uomo religioso, di uomo sociale, ritrova condensata nei simboli fondamentali la globalità della sua coerenza a livello fisico, psichico e spirituale: essi realizzano la sintesi del mondo, mostrandone la fondamentale unità dei suoi tre piani.

Non da ultimo, la funzione mediatrice si manifesta nel collegare, nel “religare” l’uomo, il mondo e la trascendenza, inserendo il processo di realizzazione personale del primo in quello globale del secondo, sottoposti ambedue alla medesima tensione verso la terza, senza isolamento, né confusione: è grazie al simbolo che l’uomo può trovare il mezzo di non sentirsi esfraneo all ‘universo, ma anzi di comprendere le fondamentali, mutue, infinite inter relazioni.

Unificatore, il simbolo esercita per ciò stesso anche una funzione pedagogica e terapeutica. Procura in effetti una sensazione se non di costante identificazione, per lo meno di partecipazione ad una forza sovra individuale. Collegando elementi tanto differenti, esso riesce a far sentire all’uomo di non essere cellula isolata e perduta nel vasto insieme che lo circonda.

Ma occorre stare bene attenti a non confondere il simbolo con l’illusione o con il culto dell’irreale. Sotto una forma “scientificamente inesatta”, cioè in genere, il simbolo esprime una realtà che risponde a molteplici bisogni dell’umanità, di conoscenza, di amore, di sicurezza. La realtà che esso esprime non è tuttavia quella espressa dal suo aspetto esteriore e immediato, ariete, stella o spiga di grano: è qualcosa di indefinibile, ma di profondamente sentito, come la presenza di una energia fisica e psichica che al contempo feconda, eleva e nutrisce. Attraverso le sue “molteplici” intuizioni, l’individuo si sperimenta apparentemente ad un tutto che lo spaventa e lo rassicura allo stesso tempo e che, in ogni caso, gli insegna a vivere.

Resistere ai simboli sarebbe come amputarsi una parte di noi stessi, impoverire l’intera natura e fuggire, sotto il pretesto di malinteso realismo, il più autentico invito ad una vita integrale (Dictionaire des Symboles )-.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA

“Il simbolismo è un lato immediato della coscienza totale – afferma Mircea Eliade – cioè dell’uomo che si scopre come tale, dell’uomo che prende coscienza della sua posizione nell ‘universo; queste scoperte primordiali sono legate in nodo talmente organico al suo dramma, che gli stessi simboli determinano tutte le sue attività, da quelle del subconscio alle più nobili

espressione della vita spirituale”. Dobbiamo dunque attenderci due importanti caratteristiche di una via iniziata basata sul simbolismo:

l . che la percezione del simbolo escluda l’attitudine di semplice spettatore ed esiga una partecipazione attiva. Il simbolo esiste solo a livello del soggetto che lo percepisce, ma è basato sull’oggetto percepito. Attitudini e percezioni soggettiva fanno appello e traggono fondamento da esperienze e non da concettualizzazioni. La proprietà del simbolo è di rimanere “in definitivamente suggestivo: ciascuno vi scorge ciò che la sua potenza visiva gli permette di vedere. Mancando la penetrazione, nulla di profondo può essere percepito” (O. Wirth). Dunque una via simbolica è sinonimo di una via attiva, di lavoro reale per raggiungere dei risultati che, a loro volta, saranno sempre parziali, aprendosi nuovi orizzonti ad ogni gradino raggiunto.

2. che il legame organico con il dramma umano faccia si che il simbolo debba interagire con l’operatore a tutti i livelli di manifestazione. La tradizione orientale, la Qabbalah, la stessa tradizione cristiana (Paolina) indicano nell ‘uomo almeno tre livelli di manifestazione. La Teosofia dei madame H. P. Blavaysky ne indica sette, perché due dei precedenti sono divisi, l’uno (l ‘inferiore) in tre “sotto livelli” e l’altro (il mentale) in due.

In termini semplificati, questi tre (più uno, il corpo fisico) livelli sono:

I  il psicofisico, cioè il livello del corpo fisico, insieme con le componenti che gli sono più strettamente legate: il “corpo vitale”, sede della “!direzione tecnica”, sede degli istinti, delle passioni e dei desideri-ripulsioni. E la triade inferiore delle Sephiroth

II. il mentale, sede dei processi di elaborazione e di coordinamento dei dati forniti dai sensi, i quali recepiscono i messaggi che giungono dal mondo esterno, fisico e manifestato. Il mentale ha due aspetti, o due settori (è paragonato ad uno specchio con due facce, una rivolta verso il “basso”, verso il mondo sensoriale e l’altra verso “l’alto”, il mondo della trascendenza). Corrisponde alla triade intermedia delle Sephiroth.

III. l’intelletto, dove per “intelletto si intende quella facoltà che l’uomo ha di percepire quei messaggi che non vengono dalla sfera dei sensi; Kant, anche se contraddetto poi, ha classificato tra di essi “l’imperativo categorica”, ossia l’intuizione di un codice morale, che non ha origine nel mondo fisico. B. Croce ha parlato dell ‘arte come “intuizione lirica”, affermando che certe visioni dell ‘artista non provengono dall ‘esperienza dei sensi.

Per esempio, nei “Dàrshana” indiani emergono tre punti di vista, che per un europeo sarebbero totalmente contraddittori o mutualmente escludentisi: il materialismo, il dualismo materia-spirito, e il non-dualismo, per il quale la sola realtà è lo spirito. Ebbene, anzitutto l’intelletto indiano non li vede come “sistemi” esclusivistici, ma li chiama “punti di vista”, “dàrshana”, e li ammette per validi tutti e tre. Ad un certo livello, quello dei nostri contatti con il mondo fisico, il primo “dàrshana” è perfettamente valido; quello che conta sono le leggi fisiche e null’altro. Ma, per intanto, si vede subito che c’è un altro livello; quello delle scelte “etiche”; l’uomo vede che si deve rispettare una certa scala di valori; ecco un caso nel quale, accanto o sopra il mondo fisico, c’è una normativa, una legge – il “Dharma” – che è poi quella che ci viene insegnata durante l’iniziazione al primo grado, che “controlla” questo insieme di cose e di azioni che sono spesso comuni all’uomo e agli animali, e, per un certo settore, anche alle piante. A questo livello si constata la presenza della “dualità” Spirito-Materia.

Coloro che si dedicano all’indagine spirituale approfondita possono sperimentare un terzo livello, nel quale si ha la completa percezione del Tutto, Unico, nel quale l’osservatore, l’osservazione e l’oggetto della osservazione diventano una Unità sola ed universale. Questo, che dovrebbe corrispondere al livello di Maestro Muratore, è il livello dell’esperienza dell’Assoluto, che comprende tutto e trascende.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA SUL PIANO FISICO

Sul piano fisico ciò che l’Apprendista deve fare è mirabilmente rappresentato dalla 14A carta dei Tarocchi, la “temperanza”: una giovane donna travasa il contenuto di un recipiente d’argento in un altro d’oro, simbolo di una forma più perfetta, cioè di un veicolo meglio condizionato. Veicolo che deve essere sempre meglio padroneggiato, tramite varie forme e modalità di controllo, in maniera di essere sempre più rispondente al morso della volontà.

Alla realizzazione effettiva del lavoro di Apprendista, che è il primo lavoro del Massone, il rituale offre un aiuto ed una via.

Il lavoro compiuto su noi stessi e realizzato nel Tempio, deve essere portato e continuato al di fuori nel mondo profano, altrimenti tutto si ridurrebbe a una riunione settimanale di qualche ora, invece di essere un punto di partenza e di sostegno.

Con al realizzazione scrupolosa del rituale, I ‘Iniziato che entra nel Tempio lascia fuori dalla porta le proprie preoccupazioni, siede immobile, rilassato, nella posizione del “faraone”, eliminando ogni movimento fisico istintivo, cominciando quindi a sottomettere il corpo alla volontà, con una disciplina simile a quella delle posizioni nella pratica dello Yoga.

Un altro elemento che caratterizza il rituale dell’Apprendista è il silenzio. Questa disciplina è stata praticata da varie scuole iniziatiche, tra le quali la più nota è la scuola di Pitagora.

Si parte anche qui da un dominio da realizzare sul piano fisico, per poi indirizzarlo verso un ulteriore progresso. L’ Apprendista deve riuscire a dominare l’istintività del fisico e del mentale inferiore, soprattutto quando è in disaccordo con le affermazioni di colui che incide la tavola.

Fatta tacere ogni emotività personale, l ‘ Apprendista deve controbilanciare la diminuita attività esterna e ciò è possibile, sviluppando in sé un’attività interiore, realizzando una ricettività attiva verso tutto quanto scorra nella catena costituitasi nella Loggia in un piano di vita più elevato.

La vita vera, quella costruttiva, è fatta di silenzio, in modo che il pensiero penetri nella profondità e venga illuminato dall ‘intuizione.

Un altro riferimento può essere fatto con il cammino dello Yoga, almeno per quello che riguarda la prima parte. La prima operazione che deve fare il praticante (il “Sadhaka”) è la “purificazione”, ossia la messa in atto, come modo di essere in ogni momento della vita, dei “divieti” (Yama) e dei “precetti” (Niyama). Il praticante diventa un uomo nuovo e i valori non sono più quelli del profano. Il primo e il più importante è la non-violenza (Ashima); astensione dalla violenza fisica, verbale e mentale verso chiunque, persone, esseri viventi e cose inanimate, e neppure contro se stesso.

E evidente che I ‘Iniziazione Massonica tende a fare dell’Apprendista un Uomo Nuovo e che, prima di agire sul livello mentale, ed in pratica attuazione di ciò che percepisce la mente, si deve operare sul piano fisico e su quelli ad esso più vicini: appetiti, istinti e passioni.

Cioè sul piano etico, sempre facendo intendere – come dice il Fratello Ward – che l’etica non è fine a se stessa, ma prepara I ‘uomo a raggiungere stati superiori dell ‘essere.

Pare quindi che l’affermazione per la quale l’Apprendista impara anzitutto a sgrossare la pietra grezza, cioè a perfezionare la sua condizione umana, eliminando tutte le irregolarità del suo carattere, corrisponda a quello che nello Yoga è la fase delle purificazioni e che nella Tradizione Indiana corrisponde alla fase di “brahmaciawa”. Si noti che in questa fase il discente pratica “la sgrossatura” a livello comportamentistico, ma, a livello mentale, prende conoscenza della dottrina tradizionale e quindi ha già una visione del lavoro che lo attende nelle fasi successive della sua evoluzione … se evoluzione ci sarà.

IL LAVORO VERSO L’ESTERNO

Il travaglio del Gabinetto di Riflessione, la sala dei passi perduti, il Tempio, la prova dell’iniziazione: è il viaggio essenziale che il profano deve percorrere per fare scaturire nel proprio animo, se porta in sé gli elementi necessari, la scintilla che lo porterà a conoscere la forza reale della dimensione massonica. Se il neofita, attraverso quella conoscenza, avrà raggiunto il dominio sulle passioni, sui sentimenti, sui fanatismi, sui pregiudizi, sugli scontri ideologici, è chiamato al compito glorioso, ma talvolta difficile, di costruttore sociale.

Il Fratello in Loggia ha udito sovente le parole fratellanza, uguaglianza, tolleranza, obiettività, libertà, verità; ne ha discusso con i Fratelli, ha affinato con l’insegnamento massonico i propri sentimenti, la propria educazione morale e civica; l’insegnamento massonico ricevuto lo ha portato a distinguere ciò che bisogna distruggere e ciò che invece bisogna ricostruire.

Questo insegnamento non può rimanere fine a se stesso.

Nella vita profana di ogni giorno il Massone è circondato da persone di chiusi orizzonti, settari, che professano la distruzione di tutte le forme. Il Fratello deve avere la forza d’animo di nuotare contro corrente, di scostarsi dall’atteggiamento conformistico, non già per individualistica presunzione, per fanatica rigidezza di principi, ma in nome dell’etica, della responsabilità, della libertà umana.

Nella vita di ogni giorno occorre orientare, documentare, educare, con interventi privi di passionalità, com’è consuetudine dei Liberi Muratori, l’opinione pubblica su situazioni e problemi particolari o generali, tenendone ben presenti gli aspetti morali e sociali; far notare le situazioni del mondo d’oggi, sensibilizzare le persone con le quali si discute, praticando la tolleranza che è la base della concordia tra gli uomini, discutere con intelligente obiettività, convincere gli interlocutori ai quali, comportandosi con identica tolleranza, permetterà di raggiungere soluzioni, anche in situazioni che a prima vista possono apparire insolubili.

Non è un lavoro facile, ma se il Fratello durante la giornata profana fa mente locale, ricordandosi di essere un Massone, di aver ricevuto un’iniziazione, questo pensiero gli sarà d’aiuto, trattenendolo dal tracciare facili critiche e affrettati giudizi, impedendogli di comportarsi da profano, ma ottenendogli il rispetto dell’interlocutore, in modo che no si smarrisca nei sentimenti passivi, nella paura, nei facili, allettanti svaghi di massa, ma giunga con il pensiero e con I ‘azione ad un comportamento libero, personale, responsabile.

Pertanto il Massone, che più di ogni altro è portato a valorizzare i rapporti umani, onde edificare una società nuova, fondata su basi umane, sull’integrazione di tutti i membri, sul riconoscimento della dignità e libertà dei singoli, deve adoperarsi affinché il trinomio “Libertà Uguaglianza, Fratellanza” si realizzi non solo nelle Logge, ma nel mondo esterno.

E pure nostro compito primo diffondere ovunque un po’ di quella luce che abbiamo ricevuto, cercare nella società profana quelle intelligenze libere da pregiudizi, i cuori elevati, gli spiriti avventurosi che, vincendo gli ostacoli di una vita facile, cercano una nuova vita e possono essere elementi potenziali per la diffusione delle idee massoniche.

Si deve fare in modo che la catena universale costituita dalla Massoneria aumenti suoi anelli, per dare all’umanità, ogni giomo, un po’ più di luce, un po’ più di benessere e di ragione.

Così facendo, forse un giorno il verbo di fratellanza e di amore troverà la sua completa realizzazione.

IL LAVORO DELL ‘ APPRENDISTA: ASPETTI MORALI

Con l’iniziazione un profano muore e nasce un Apprendista Libero Muratore. Nel corso del Rito al profano viene rivolta una domanda su ciò che sa dell’Istituzione ed egli risponde, ritualmente, di non conoscere nulla. Anche se suggerita e rituale, questa risposta è sempre, assolutamente sincere; niente, tra quanto ha vissuto fino a quel giorno nel mondo profano, o ha letto, o gli è stato detto, o ha dedotto, lo ha preparato a vivere l’esperienza del lavoro in Loggia ad Iniziazione avvenuta.

Il distacco dal mondo, come lo conosceva in precedenza, ne sia egli più o meno cosciente, è totale. Il suo ingresso nell’istituzione è avvenuto secondo le modalità della morte: sepolto nella terra, è stato poi purificato da elementi via via più sottili, fino a che il suo spirito, libero da vincoli materiali, è stato portato a ricevere in forma anche esteriormente sensibile, con le tre spade del Maestro e dei Sorveglianti, quella “sostanza” che fa di lui un uomo diverso.

In questo momento ha iniziato il suo vero lavoro, per la cui esecuzione gli sono state impartite istruzioni rituali e suggerimenti ed è stato avvertito che in ogni momento potrà attendersi il totale appoggio dei Fratelli, che in cambio lo attenderanno da lui.

Il significato di quanto è stato detto, dei simboli che lo attendono e di tutti i dettagli del Rito per il quale è passato non gli è sicuramente chiaro; per quest’ultimo, in particolare, l’occasione di comprendere appieno ciò che ha vissuto gli sarà data non tanto dall ‘esperienza immediata o dalla memoria, ma dal rivivere e rimeditare lo stesso Rito, ogni volta che, lui presente, un nuovo anello verrà ad aggiungersi alla Catena iniziatica di cui ora fa parte.

Conviene però che, con l’approfondimento dei significati, che costituiscono una buona parte della sostanza del suo lavoro, egli proceda con ordine. E stato ammesso nell ‘Istituzione sulla base di alcuni presupposti e di una dichiarazione, che costituisce un impegno.

L’impegno è quello della ricerca della Luce, motivo unico che deve averlo spinto e che ogni volta in Loggia il Primo Sorvegliante gli ricorda: con i Fratelli deve “costruire Templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio” e ciò “per il bene e il progresso dell ‘Umanità”.

I presupposti, senza i quali non sarebbe stato considerato degno di essere messo alla prova in questo compito, sono che egli sia risultato “uomo libero e di buoni costumi” e inoltre “sia in grado di assumere i pesi derivanti dall ‘appartenenza alla Istituzione”.

In tutto ciò sono bene evidenti aspetti morali. Ma c’è da chiedersi in quale modo tutte queste cose vadano intese: se infatti il passaggio dal mondo profano a quello iniziatico, sia col simbolo della morte, che con la risposta “Nulla” costituisce un vero e proprio salto qualitativo, in particolare ogni modo di intendere i criteri morali nel mondo profano deve essere, come minimo, rimesso in discussione.

Come ulteriore stimolo in questa direzione, l’Apprendista ha costantemente sotto gli occhi, nella sua vita di Loggia, il pavimento a scacchi bianchi e neri, attorno al quale deve circolare ogni volta che entra ed esce dal Tempio. La più immediata interpretazione di questo simbolo può essere quella del distacco, a lavori aperti, dal movimento che hanno le forze contrapposte nel mondo profano; in particolare, per scendere al nocciolo delle cose, dallo stesso senso che colà possono avere il bene ed il male.

Si è cioè chiamati ad apprendere l’arte della Discriminazione: a saper distinguere tra i sistemi di valori contingenti e limitati, generalmente convenzioni di validità circoscritta nel tempo e nello spazio, aventi per fine la regolazione della convivenza sociale, allo scopo di prendere coscienza di un “altro” sistema di valori, cui ha fatto cenno il Maestro Venerabile sempre nel corso dell’iniziazione.

L’Apprendista deve cosi avere coscienza della necessità di demolire ulteriormente ogni criterio che ha assimilato nel mondo profano e che sia sopravvissuto al passaggio per I ‘Iniziazione.

Questo lavoro è estremamente arduo: può infatti facilmente trasmutarsi in una visione delle cose che è semplicemente cinica e spregiudicata; ossia di comodo e capace di giustificare ogni debolezza e cedimento.

Se avviene così, nulla di male per un ordine di cose più ampio, ma molto di male per colui che in questo modo ha mostrato che, almeno questa volta, non ha saputo superare nemmeno la prima prova del suo cammino iniziatico.

La “demolizione” ha cioè senso soltanto se prepara la strada ad una ancora più solida “ricostruzione”. Quella “saldezza morale” che, provenendo dal mondo profano, l’Apprendista ha visto nella sua vera luce di “guscio vuoto” o “condizionamento” deve essere il frutto di una amara e sofferta riconquista.

Su questa strada non trova direttive rigide: quella “morale universale ed eterna” di cui gli è stato detto non può (come è di tutto il resto dell’insegnamento muratorio) venire codificata e comunicata in forma razionale, che la costringerebbe di nuovo nelle “camicie di forza” inevitabili per le espressioni del mondo profano.

Per questo gli si dice che la squadratura della pietra grezza (della sua pietra grezza) può avvenire solo nel Tempio, col contatto continuo con i Fratelli (e di qui l’assiduità ai lavori), con contatto con i simboli, con l’umiltà e la perseveranza (e di qui il silenzio e l’immobilità, vissuti come esperienze interiori, e non come costrizioni, assurde in quanto tali).

E così, e soltanto così, che alla chiusura dei lavori potrà “manifestamente attestare” la sua soddisfazione per gli stessi, mettendo a frutto l’opportunità che gli è stata data e, in definitiva, lavorando.

IL LAVORO ESOTERICO DELL’APPRENDISTA

Il profano è stato iniziato al grado di Apprendista.

È detto che l’Apprendista rappresenta l’età giovane dell’uomo: egli sosta alla porta del Tempio ed è al confine tra la realtà profana apparente, appena lasciata alle spalle, e la presa di coscienza con i simboli che sono il supporto della meditazione, di quel ‘atto cioè che pone in stato di ricerca interiore, per conseguire conoscenza di ciò che i simboli rappresentano.

Ha il conforto dei Fratelli che gli sono accanto con la loro spiritualità.

Da profano è diventato pietra attraverso l’attestazione (testamentum) resa nel Gabinetto di Riflessione.

Umilmente e in silenzio persegue il simbolismo sino al punto di “riconoscere la scrittura che fa apprendere a leggere”, e abituarsi a comprendere che cosa il martello impugnato nella mano destra e lo scalpello nella mano sinistra significhino nella proiezione interiore di quei due simboli, e penetrarvi fino quasi ad una identificazione di volontà e di forza.

Guardarsi intorno e rendersi conto della volta del Tempio che è il cielo e che il Tempio è sacro, poiché sovrasta in esso il  e perciò ogni movimento non è più una parte cerimoniale (che è pratica del profano), ma di un rituale proprio perché dà regole e misure nel Tempio nel quale è allocata e riconosciuta la sacralità.

Stare in ascolto, seduto ed eretto, con gli occhi all ‘infinito nella posizione del “faraone”, con i piedi allineati sul pavimento a scacchi, alternando la propria attenzione mentale al bianco e al nero. Meditare sulla collocazione della Loggia, orientata verso la sorgente della Luce, ad Oriente, nei due assi verticale (del sole) e orizzontale (equatore) e sapere che quello è il punto unico e noto nel quale con gli altri Fratelli apprende l’arte del pensiero, poiché, come Apprendista, ha tutto da apprendere. Cosi sentirsi in quella camera di concentrazione massima, come dice it Wirth, e operare in se stesso in questo “uovo” che è la Loggia e sentire “sé” in sviluppo e gestazione.

Compiere i gesti, le parole scandite, esprimenti modi di realizzazione della volontà. Elevarsi giorno per giorno, quindi distanziarsi dalla materialità, secondo l’avvertimento della pericolosità dei metalli, se operanti la loro suggestione.

Trovare il giusto modo di ispirarsi alla Saggezza, all Forza e alla Bellezza.

Sapere che dopo la prova della terra, avvenuta nell’isolamento della camera di meditazione, egli è morto e quindi ritornato alla terra, iniziando sé ad una vita superiore attraverso la purificazione delle tre prove rimanenti e che a quel momento egli ha collocato la prima pietra alla edificazione del tempio interiore del quale, per il suo grado, egli provvede allo zoccolo. Approfittando del rituale espresso dalle Luci, non ottundersi mai, debole alla sonnolenza mentale; in una parola egli deve “vegliare”.

Così nei componenti di una realtà non diversamente esprimibile se non attraverso i simboli, proiettata nei suoi significati nel proprio essere interiore, con il supporto dei medesimi, confortato della fratellanza spirituale di tutti, attraverso anche la significanza esteriore del rituale (che è l’exoterismo) ricordare ciò che è detto dell’Apocalisse: “A colui che vincerà io donerò una pietra bianca sulla quale è scritto il Suo Nuovo Nome che nessuno conosce se non quello che lo riceve”.

Cosi inizia il cammino di accesso dell ‘arte rituale che gli permetterà di leggere e di scrivere il linguaggio iniziatico.

L’APPRENDISTA E L’ISTRUZIONE MASSONICA

Un Apprendista si trova tra i suoi vari compiti, anche quello di apprendere, come dice il suo appellativo. Ma apprendere che cosa?

In ogni caso, tutto ciò che egli dovrà apprendere può benissimo andare sotto l’etichetta di istruzione massonica.

L’istruzione massonica, che non deve essere confusa con la cultura massonica (la cultura la può benissimo avere chiunque, anche profano, che abbia voglia di leggere i circa 4.000 libri che sono stati scritti sulla Massoneria; un buon esempio di ciò è padre Esposito), può essere identificata in queste tre fasi:

l) Quella impartita al neofita la sera stessa dell’iniziazione. Essa, data dal Maestro Terribile (0 1 0 Esperto) e dallo stesso Maestro Venerabile in base al rituale, fornisce tutta una serie di norme di comportamento, essenziali per la vita intera del Fratello Libero Muratore.

  • Quella impartita dall’intera Loggia nei suoi lavori rituali, anche senza avere ciò come scopo precipuo. In fatti il Fratello Apprendista dovrà uniformarsi a certi comportamenti e si formerà così un “habitus mentis” che gli consentirà, quando diverrà Compagno, di inserirsi bene nella vita attiva, di partecipazione della Loggia.
  • Quella che gli verrà impartita direttamente dal Maestro Venerabile, dall ‘Oratore e soprattutto dal 2 0 Sorvegliante in tomate specifiche o comunque in riunioni indette con questo scopo preciso.

A questi, che sono concetti di massima, vediamo che cosa si può aggiungere, senza andare ad interferire nell ‘organizzazione di ogni singola Loggia.

L’istruzione deve essere data, sempre in linea di principio, dal 20 Sorvegliante, in quanto è lui che sovrintende la Colonna degli Apprendisti. Egli si deve preoccupare affinché tutto si svolga in maniera tale che, al termine del periodo di apprendistato, il Fratello Apprendista sia pronto a passare di grado. Quindi presenze (fisiche e psichiche) e apprendimento.

L’apprendimento deve essere cioè sovente saggiato, in modo da poter sapere se tutto procede per il meglio, anche nella considerazione che, non potendo l’ Apprendista parlare in Tempio, ma dovendo parlare per lui il 2 0 Sorvegliante, questi deve conoscere il pensiero di ogni Apprendista.

L’insegnamento deve essere dato nel pieno rispetto delle opinioni di ogni Fratello. Non deve cioè essere un indottrinamento, ma piuttosto un preparare la mente e il cuore ad affrontare temi vecchi con mentalità nuova.

L’istruzione è un dovere del Fratello Libero Muratore. E un dovere che egli ha verso se stesso, per quanto ha dichiarato all’atto della sua ammissione: è un dovere verso gli altri Fratelli che lo hanno accettato in Catena d’ Unione e che quindi si aspettano da lui quanto è nelle sue capacità; è un dovere infine verso il G:.A:.D :. U :. , poiché io credo che sia giusto “cercare” di capire di più.

Non ritengo, per contro, che si possa parlare di diritto all’Istruzione. In Massoneria il termine “diritto”, concepito nella sua accezione normale (profana) non deve trovare posto.

Da noi, tutto deve essere dato (o ricevuto) con amore, per solidarietà, per dovere, per poter procedere e far procedere sulla via dell’Illuminazione, ma mai per un diritto. Infine I ‘istruzione più importante:

l) quella offerta dai simboli preposti a tutti i Fratelli in Tempio. Ognuno fin dalla sera dell ‘iniziazione, deve cercare di comprenderli.

2) quella offerta dalla regola del silenzio, obbligatorio per tutto il periodo di apprendistato. Questo è, a parer mio, il più importante e, così come per il segreto massonico, non può essere spiegato, deve essere capito. Solo vivendolo e meditandoci sopra, se ne può intuire la bellezza.

L’istruzione si differenzia, a prima vista, da tutto ciò che è richiesto all ‘Apprendista, poiché richiede un impegno attivo, di fare, mentre, per il resto, è un impegno identificabile in senso passivo.

L’Apprendista ha, in ogni caso, la possibilità di rivivere l’insegnamento dei quattro viaggi propostogli nella sera dell’iniziazione, già sufficienti di per sé ad un’auto istruzione di grossa efficacia.

Un ulteriore suddivisione può essere costituita dall’apprendimento compiuto nell’ambito dell’Officina (sia a lavori aperti che no), con quello fatto per proprio conto, riproponendosi fatti, parole e immagini viste e udite nelle riunione. Se manca uno di questi aspetti, inevitabilmente l’apprendimento è incompleto.

1 NEMICI SULLA STRADA INIZIATICA

Un proverbio cita: “La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Senza tema di apostasia, si può parafrasare il detto succitato come segue: “La strada iniziatica è pure lei lastricata di buone intenzioni”.

Se ne può dedurre che con ogni probabilità le buone intenzioni sono il coacervo dei nemici iniziatici. Perché? Perché purtroppo sono, malauguratamente, troppo sovente l’alibi per fermarci dopo solo pochi passi di strada. Non per nulla fanno testo le due parole che noi leggiamo nel Gabinetto di Riflessione, sulla parete di fronte al panno nero sul quale abbiamo scritto il nostro testamento: Vigilanza Perseveranza.

In ogni moneto della nostra non coerenza massonica nella vita profana, ci possiamo rendere conto della mancanza di prudenza e della pigrizia che è congenita al grave peso della parte materiale di noi. Guardiamoci ancora attorno, sempre nello stesso Gabinetto di Riflessione.

E scritto: “Se la curiosità ti ha condotto qui, vattene”.

Almeno in linea di principio, si dovrebbe presumere che chi ha scelto la via iniziatica, lo abbia fatto con coscienza di causa, per cui la leggerezza e la superficialità che sono legate a questo invito non dovrebbero toccare l’iniziato.

Continuiamo a leggere: “Se temi di essere scoperto dei tuoi difetti, ti troverai male con noi”.

“Se la tua anima ha scelto lo spavento non andare oltre”.

In queste due frasi si cela uno dei grossi nemici della via che abbiano scelto: la paura.

La paura di se stessi, la paura dell’inconscio, cioè di quello che, continuando a percorrere la stessa strada, dovrebbe, a poco a poco, divenire conscio, la paura delle cose più grandi di noi. E il microcosmo che lotta invano il macrocosmo per poterlo raggiungere e per poterlo compenetrare.

Sovente la paura di conoscere, la paura dei nostri limiti, che prose in realtà non esistono. Ci costruiamo noi stessi delle barriere, legate a pregiudizi, a conformismi, ad abitudini che diventano parte integrante di noi, pietre grezze, che solo con fatica riusciamo a scalpellare.

“Se sei capace di dissimulare, trema, sarai scoperto”.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri è il freno alla ricerca di cosa siamo. “Conosci te stesso” ci hanno insegnato gli antichi filosofi; aggiungerei “senza paura e senza ipocrisia”. L’equilibrata valutazione di noi stessi, la presa di coscienza che non vegetiamo solamente, ma che esistiamo, è la base per iniziare a salire la lunga e difficile scala che ci conduce alla Luce.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri. La difficile via della verità non si confà alla vita profana, che ci obbliga invece a continui compromessi, alla continua prostituzione, a vari gradi, dei nostri ideali, in favore dei nostri interessi materiali.

Solo se avremo il coraggio di scalpellare, senza pietismi, le asperità, le rugosità, le impurezze della nostra pietra grezza, ci metteremo nelle condizioni di ricevere e recepire il Verbo.

“Se tieni alle distinzioni umane, qui non se ne conoscono”.

C’è un modo di dire che può mettere in evidenza il pericolo insito nelle distinzioni.

“Siamo tutti buoni, ma io sono il migliore”. Il rischio dei “distinguo” non è solo umano o materiale, ma anche e più spesso morale.

La distinzione. la gara, la competizione, mettono in evidenza in tarlo del più forte. “Io sono più forte, più veloce, più intelligente, più potente”.

Ecco, in sintesi, il grosso nemico della via iniziatica: “il più”! “11 più” significa potenza che si contrappone alla mancanza di umiltà, che non consiste nella diminuzione della nostra personalità, ma nella presa di coscienza della nostra vera personalità.

Più si salgono i gradini ascetici, più si diventa potenti. Dipende da come usiamo questa potenza. “Così in alto, così in basso” è indicato nelle Tavole Smeraldine. Lucifero ha scelto il basso!

Qualcun altro, un Rabbi, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, fu condotto dal demonio in un monte molto elevato, da dove gli furono mostrati tutti i regni della terra, il loro splendore e la loro potenza.

Il Maligno Gli disse. “Ti darò tutte queste cose se tu, prostrato, mi adorerai”. Allora rispose il Maestro: “Vattene, satana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai culto”.

Il cerchio si è chiuso con due anelli: su uno è scritto Vigilanza, sull’altro è scritto Perseveranza.

Questa raccolta di tavole, frutto del lavoro di alcuni Fratelli delle RR.•.LL.•. Propaganda no 14 e Pedemontana no 696 all ‘Oriente di Torino, riunite in tornate congiunte.

dell’apprendista I I

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LA MASSONERIA TORNA ALLA RIBALTA IN ITALIA

Un’immagine interna della sede massonica del Grande Oriente d’Italia nella galleria Umberto I, eccezionalmente aperta al pubblico, a Napoli, 22 aprile 2017. ANSA / CIRO FUSCO

La Massoneria torna alla ribalta in Italia

DIVISIONI E MOLTIPLICAZIONI DEI GRANDI ORIENTI

Oggi sono riapparsi sui giornali e sui muri i simboli e le iscrizioni sibilline della fratellanza dei Franchi Muratori. La gente ci capisce poco o nulla. Le giovani generazioni, poi, non credo abbiano della Massoneria un’idea molto più chiara di quella che ne aveva l’illustre epurando, Per giunta le Massonerie sembrano non essere una o due, ma tre, quattro, cinque, e combattono fra di loro, polemizzano oscuramente: il che non contribuisce davvero ad illuminare l’opinione pubblica. Cercheremo di farlo noi, almeno su alcuni punti essen-

Non si può qui risalire alle origini leggendarie o storiche della misteriosa confraternita: le quali si riallaccerebbero alla costruzione del tempio di Gerusalemme, ad opera del Re David: ed il nome franc-maçon, libero muratore e la terminologia (Grande Architetto dell’Universo, loggia, balaustra, ecc.) non sarebbero altro che echi di quella colossale opera architettonica. Un’altra tradizione a cui riferirsi sarebbe quella pitagorica; ed anche qui militano a favore della tesi i simboli (squadra, triangolo, valore mistico, e indicativo dei numeri) di cui i massoni fanno uso. Ma forse è più attendibile la tesi che ci riporta a tempi più recenti ed esattamente al medio evo e a quegli ordinamenti di costruttori edili, inglesi, scozzesi ed anche italiani (i maestri comacini) che prosperavano come organi corporativi e come centri d’arte e di studio. Ancora sarebbero da ricordare l’ordine dei Templari, i Rosa Croce (associazioni più propriamente mistiche) ed alcuni centri di studio del periodo umanistico.

Quest’ultimo riferimento ci comincia a riportare nella storia, se è vero che si trova registrata una “Confraternita di S. Giovanni” amne in molti elementi alla Massoneria, in Germania nel 1440. Viceversa un’inglese “Company of Masson of the City” esisterebbe dal 1620. A tali associazioni si iscrivevano persone di alto rango, particolarmente inclini a studi filosofici ed umanitari. L’avvenimento più importante ed indubitabile, da cui data la storia della massoneria moderna, è comunque la unificazione delle sei Logge di Londra in una sola Gran Loggia” in data 1717, il 24 giugno, giorno sacro a S. Giovanni di Scozia.

Dall’ Inghilterra, la massoneria dilagò nel mondo. È abbastanza noto il contributo dato dai massoni alla causa del Risorgimento, per la quale essi lavorarono al fianco dei loro fratelli carbonari: massoni furono Foscolo, Romagnesi, Pisacane, Rossetti, Manin, La Farina.

Nelle varie logge disperse per l’Italia risorgimentale, si era venuto sviluppando – accanto al rito tradizionale, detto “Rito scozzese antico ed accettato” – un rito propriamente italiano o “Rito simbolico”. E su questa doppia ritualistica che verteranno tutte le questioni interne della massoneria italiana, le sue polemiche, le sue scissioni.

Già molto faticoso fu il processo di unificazione delle varie logge, al momento dell’unificazione nazionale: la Costituente massonica dovette riunirsi più volte e solo nel 1864 si riuscì ad unire le diverse tendenze ed associazioni, proclamato un unico Grande Oriente, del quale fu chiamato a Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. Rimane dissidente solo la massoneria siciliana, che pure aveva avuto a capo fin allora proprio lo stesso Garibaldi; solo qualche anno dopo essa aderì alla massoneria unita ed ormai ufficiale.

Il Grande Oriente d’Italia contribuì vivacemente, attraverso i suoi iscritti, militanti nel campo politico, all ‘annessione di Roma all’Italia; e dopo Porta Pia, trasferì a Roma la sua sede principale, Oggi s’usa chiamarla “Massoneria di Palmo Giustiniani” dal nome del palazzo, sito fra il Pantheon ed il Senato, dove il Gran Maestro Ernesto Nathan la installò il 18 aprile 1899. Precedentemente essa aveva sede in Via del Governo Vecchio III ; ed il 20 settembre 1893 si era trasferita nelle storiche sale di Paolo V a Palazzo Borghese.

“L’organizzazione massonica italiana – chiarisce il Nathan – si riassume in una serie di logge od associazioni locali, sparse nei vari centri, libere della loro azione singolare periferica, ma sotto la direzione e il governo unificatore di un consiglio centrale, detto Grande Oriente. I capi delle Logge, come il capo del Consiglio – denominato Gran Maestro – e il suo supplente sono nominati con elezioni a doppio grado; gli altri funzionari a maggioranza assoluta di voti. Nei rapporti fra i diversi paesi, solo i Consigli centrali corrispondono fra loro e dove esiste una massoneria regolarmente costituita un’altra Nazione non può impiantare logge sue: così abbiamo logge di Italiani dipendenti dal Grande Oriente degli Stati Uniti, Logge di inglesi dipendenti da noi e così via”.

La bandiera della massoneria è verde listata di rosso con al centro la squadra ed il compasso incrociati in oro. La sigla A.G.D.G.A.D.U. “Alla gloria del Grande Architetto dell ‘Universo”; anche in fraicese essa corrisponde “a la gloire du Gran Architecte de l’ Universe”: ragione per cui essa è adottata universalmente e si chiama “formula cosmopolita”. La ritualistica e la simbologia massonica sono naturalmente tenute segretissime; comunque alcune cose i profani conoscono, come i grembiuli di cui si cingono i fianchi alcuni gradi durante le sedute, ed il cenno di portarsi una mano alla gola che significa ‘tratterrò nel mio petto le parole che ne vorrebbero uscire”. Al posto del punto, scrivendo, i massoni adoperano tre puntini disposti a triangolo, probabilmente in omaggio al valore simbolico tradizionale del numero tre: quanto al triangolo, rientra evidentemente nella serie dei simboli “architetturali”.

Nel 1908 avvenne quella scissione che ha diviso in due la massoneria italiana. Essa fu originata da due fatti:

  1. una proposta di unificazione in un unico rito Scozzese Antico ed Accettato e del Rito Simbolico, proposta che fu respinta dal Supremo Consiglio.
  2. il voto dato alla Camera da alcuni deputati militanti nella Massoneria in occasione della discussione del progetto di legge sulla soppressione dell ‘insegnamento religioso nella scuola primaria. Tali deputati s ‘erano manifestati non del tutto contrari a tale insegnamento, contrastando in ciò alle vedute della Massoneria, che propugnava la laicizzazione dell’intera vita civile, senz’altra autorità di quella libera dell’uomo.

I dissidenti si riunirono intorno a Saverio Fera, formando la Massoneria così detta di Piazza del Gesù, nella quale si esercita soltanto il Rito Scozzese Antico ed Accettato.

Se interrogate un massone di Piazza del Gesù, vi dirà che solo la sua confraternita tende a mantenere intatto il carattere puramente spirituale dell’ordine, mentre a “Palazzo Giustiniani” si fa della politica. Per altro noi abbiamo l’impressione che da tutte due le parti se ne faccia: solo che a Piazza del Gesù essa è politica conservatrice, mentre a Palazzo Giustiniani si tratta di politica democratica, repubblicana e progressista,

Non è senza significato che a tale massoneria abbiano appartenuto quasi tutti i principali rappresentanti dei partiti repubblicano e radicale; da Bovio a Carducci, da Rapisardi a Barzilai.

Le due massonerie continuano a convivere, avversarie spesso pacifiche, fin all’avvento del fascismo, Piazza del Gesù ottenne riconoscimenti stranieri; ma non ne mancarono neanche a Palazzo Giustiniani. Curioso è il caso degli Stati Uniti, dove il Grande Oriente di Wasington riconobbe soltanto la Massoneria di Piazza del Gesù, in quanto professante il “Rito Scozzese Antico ed Accettato” mentre la loggia di New-York non volle riconoscere altro che la loggia tradizionale di “Palazzo Giustiniani”, giudicando irregolare il modo in cui gli altri fratelli se ne erano allontanati.

Affacciatosi alla ribalta Mussolini, a Palazzo Giustiniani l’opposizione fu subito recisa ed inesorabile. A Piazza del Gesù viceversa il Gran Maestro Raul Vittore Palermi, fece una manovra di accostamento; riuscì, pare, ad attrarre nella loggia alcuni gerarchi, fra cui Balbo, Rossoni, Farinacci; e nel 1924 fece un formale atto di adesione e fedeltà al fascismo, a nome di tutti i fratelli.

Ma Mussolini, che aveva nell’animo, quell’infantile terrore di cui si parlava, e che della massoneria era antico avversario (al congresso socialista di Reggio Emilia era stato lui a proclamare I ‘incompatibilità del marxismo con le dottrine massoniche) non volle saperne e nel 1926 sciolse ambedue gli ordini. Il Palermi però rimase sempre ben accetto al fascismo ed indisturbato, tanto da ottenere una sinecura al Ministero delle Comunicazioni e, sembra, anche alcuni incarichi all’estero.

Qualunque rappresentante di qualunque massoneria interroghiate, vi dirà che, – tranne sporadici incontri di persone – di vera e propria attività massonica, nel ventennio fascista non è il caso di parlare. Tutti i fratelli – come si dice in gergo – caddero in sonno”. Il risveglio avvenne poco prima del 25 luglio, quando Domenico Maiocco, già “33” a Palazzo Giustiniani, poi esule in Francia, raccolse alcuni militanti di alcune logge tradizionali e costituì una massoneria così detta umificata” della quale off il grado di Gran Maestro al Palermi. Ma quest’ultimo ebbe paura delle ire dittatoriali e delle orecchie finissime dell’OVRA e declinò l’incarico, “girandolo” al Maiocco stesso.

Dopo l’ 8 settembre tornò a costituirsi ufficialmente la massoneria di Palazzo Giustiniani, rinviando a dopo la liberazione dell ‘intera Italia la nomina del Gran Maestro, e nominando una specie di consiglio di reggenza, formato da Cipollone, Lai, Guastalla.

Piazza del Gesù aveva fatto altrettanto già dal periodo badogliano, richiamando in carica il Palermi. Il quale, però, venuti i Tedeschi, preso da un altro impulso…di coraggio, diede le dimissioni ed affidò la carica di Gran Maestro al suo luogotenente De Cantellis, in data 4 dicembre 1943.

Ma alcuni “fratelli” non approvarono l’operato del De Cantellis, e decisero di seguire l’esempio di Palazzo Giustiniani, nominando un triunvirato di reggenza. Il De Cantellis (che fra l’altro è un gran decorato della grande Guerra ed ha un bel passato di attività benefiche nel campo sociale) trascinò con se un buon numero di adepti.

Nel frattempo il Maiocco si riavvicinò a Palazzo Giustiniani, dove però pretese di essere nominato Gran gli fu risposto che aspettasse la liberazione d’Italia, dopo di che avrebbe avuto anch’egli, come tutti gli altri fratelli, le sue probabilità di essere eletto. Al che il Maiocco replicò adducendo un’investitura ricevuta in una loggia di Parigi. Ma, dati

i principi che regolano la rete massonica internazionale, e a cui si riferisce la citazione di Nathan di cui abbiamo parlato più sopra, tale investitura non ha nessun valore (è come se un Deputato della Camera dei Comuni pretendesse dei essere Deputato anche della Camera Italiana). Così il Maiocco (meglio primo in Gallia che secondo a Roma), si allontanò di nuovo e tenne per se la massoneria unificata di sua creazione, quella stessa che oggi si trova mescolata all’affare Salvarezza-Gobbo del Quarticciolo, chi dice per la sede (Sita, com’è noto, a Via Fornovo, nel Palazzo, ormai famosissimo, dell’ex G.I.L.) chi dice per altri e più oscuri motivi.

Il 4 giugno, degli Alleati, il triunvirato, della diciamo così “Piazza del Gesù, bis” nuovamente la carica suprema al Palermi, sperando nei benefici effetti di una sua pretesa autorità internazionale e specie nel mondo anglosassone (a noi consterebbe però che egli sia stato radiato dal Grandi Oriente di Wasington per il suo filofascismo). Nacque così 1a massoneria di Via della Mercede; nella quale, però il 10 ottobre 1944 si verificarono nuove del Palermi, sostituito da Gustavo Scevrini, un odontoiatra di Napoli. E tutto sarebbe finito qui, se il Palermi (il cui comportamento, sia pure giustificato, dall ‘età senile, appare per lo meno bizzarro) il 20 dicembre non avesse fatto, seguito da alcuni ex fascisti di Bari e da altri energumeni, un atto di forza, irrompendo nella loggia di Via della Mercede e mettendone alla porta i suoi designati successori.

La morale è che abbiamo oggi a Roma la bellezza di cinque Massonerie; Palazzo Giustiniani senza Gran Maestro; Piazza del Gesù con De Catellis; Piazza del Gesù bis con Scevrini; Via della Mercede con Palermi; Vla Fornovo con Maiocco.

Tutta questa ridda di particolarismi e di arrivismi non fa certo bene alla veneranda istituzione, anzi conferma nell’opinione pubblica la sensazione, fomentata da vent’anni di propaganda fascista, che la massoneria non sia altro che un’associazione di mutuo soccorso politico e materiale, un colossale imbroglio per i gonzi al servizio delle ambizioni di pochi.

Se tuttavia le “massonerie serie”, cioè non inquinate da queste deviazioni personalistiche, vorranno agire come per il passato ed influire sugli avvenimenti italiani, quali probabilmente di credito e di successo hanno?

Si può considerare ancora attuale la massoneria, insomma?

La massoneria, considerata nel suo contenuto filosofico, altro non è, ci sembra, che schietto “illuminismo”: essa risente di quell ‘entusiasmo per la divinità dell’uomo e della ragione, per la scienza intesa a soppiantare ogni fede, per l’umanità come indefinito progresso, che fece dell ‘ illuminismo un preromanticismo, generando le così dette “società di anime belle”. L’uomo moderno è viceversa portato a creder poco nel progresso, a pensare che la scienza non sia altro che strumento di distribuzione e che il potenziamento dell’individuo altro non sia che volontà di potenza e dunque egoismo piuttosto che dedizione alla causa dell’umanità. L’uomo moderno è portato a pensare che il male non si vinca con uno slancio romantico dell’anima, ma piuttosto con le leggi, con l’autorità, con la costrizione; e che alla fine di questo stato di cose generi un rapporto duro e violento tra una massa informe ed un’elite politica.

Tuttavia è indubitato che quest’uomo così scettico, più fiducioso negli istinti che negli ideali, abbisogni una fede; ed ecco che il ad esempio, lo richiama proprio ad un’idea del progresso civile e del bene comune; ed ecco che i più avvertiti pensatori denunciano nell’irrazionalismo il male del mondo moderno.

Per queste vie potremo ritrovare sulla strada anche la massoneria, la quale appunto si fonda sui criteri di progresso e ragione. Ma soprattutto la ritroveremo sul terreno politico; perché proprio in questo lo scettico uomo di cui stiamo parlando ha ragione da vendere; nel ritenere che nessuna ideologia abbia valore determinante se non si converte in una forza sociale.

Da questo punto di vista è probabile che la massoneria di Palazzo Giustiniani sia la più pronta e vivace a venire incontro alle esigenze attuali. Il suo neo-illuminismo (di un neo-illuminismo oggi si vocifera da molti) lo ha posto, sempre, in Italia fianco delle sinistre; repubblicani, radicali, socialisti e riformisti l’hanno nutrito di capi e di gregari; una dichiarazione di Domizio Torrigiani, I ‘ultimo Gran Maestro (a cui avrebbe dovuto seguire Placido Martini, fucilato alle Fosse Ardeatine) che risale al 1920, si dichiara aperta a qualunque elevazione del lavoro, anche al comunismo, purché avvenga sul piano della libertà, Questo equilibrio di libertà e giustizia potrebbe condurre la linea politica di questa Massoneria su un piano affine a quello, per intenderci, del Partito d’Azione, o al socialismo di Saragat. L’importante è che i vecchi uomini non si isteriliscano nelle posizioni di un mauinianismo e radicalismo superato.

D’altra parte le varie massonerie provenienti da Piazza del Gesù faranno più volentieri il gioco della reazione, Ecco dunque trasferita sul piano della lotta per la Costituente la tradizionale antitesi massonica. Monarchia e Repubblica, malgrado la dichiarata apoliticità dell ‘ordine, diventeranno domani anche per esso i termini della battaglia.

Ma quale peso effettivo potrà avere questa “forza oscura”? Essa conta fra gli anziani molti aderenti, e si dice che a Palazzo Giustiniani vi siano due Ministri del Governo attuale, di cui uno Capo-Partito. Ma la vitalità di un movimento è soprattutto nella sua possibilità di fare nuove leve. Aderiranno i giovani?

I giovani d’oggi non sembrano molto disposti al mistero. Ed ecco il primo degli elementi che possono rendere inattuale la massoneria ai loro occhi.

Circa il segreto massonico, dichiarava il Nathan: “La istituzione aspira alla sua abolizione, ma condizione indispensabile è la reciprocità. Fin quando la Compagnia del Gesù ed altre congreghe siffatte ordiscono le loro trame al buio, non siamo molto disposti a pubblicare elenchi a loro totale beneficio e a nostro danno”. Va bene, ma la disincantata gioventù del 1945, tra cui è già difficile trovare una disposizione alla “Società di anime belle” tratterrà poi il riso di fronte all ‘armamentario simbolico di cui il segreto s’ ammanta?

Nella citazione del Nathan echeggia poi un’altra delle direttive massoniche che oggi possono sembrare inattuali: I ‘anticlericalismo. Ma è questo un punto che crediamo, i massoni non possono rivedere senza svuotare d’ogni contenuto la loro ideologia. Né è a dire che fra mondo laico e mondo ecclesiastico non sia più desiderabile una tregua, ed un reciproco rispetto, che una rispettiva ingerenza: ad una tregua così intesa, forse i massoni potrebbero arrivare. Certo che ha destato in tutti loro la dichiarazione di morte decretata per l’anticlericalismo recentemente dal Palermi.

La Massoneria non può fare a meno di svolgere azione politica. D’altra parte non può rinunziare alla sua struttura segreta, altrimenti diventerebbe un partito e non un’associazione nella quale convengono uomini di tutti i partiti? La Massoneria non può fare a meno di essere l’araldo dello spirito laico; d’altra parte non può non tener conto della mutata situazione degli animi nei riguardi delle religioni. Su queste antinomie s’imposta la sua situazione d’oggi, che potrebbe diventare un vicolo cieco,

Ruggero Jacobbi      Dal settimanale romano “Domenica ” del 4/2/45    

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LA VITA È UN SOGNO

LA VITA È UN SOGNO

In verità l’uomo si impegna sempre per il futuro: il passato è per lui un ricordo, e cosi tutta la vita trascorsa appare un sogno, dilettevole od orrendo. Il guaio è che si vive sempre in ciò che passa, sicché se la speranza stimola lo spirito vitale, l’opera nostra si rinnova continuamente daccapo. Per questo l ‘attività umana non ha limiti, né di tempo, né di fini: solo la morte tronca tale connubio, questa relazione fra uomo e lavoro, togliendo al primo lo spirito vitale. Ov’esso vada, come sopravviva al corpo, come si ricongiunga e ritorni al mondo dello spirito, ognuno la veda come vuole: resta certo però che difficilmente esso riesce a riprendere il contatto con la materia, prova ne sia (a parte per chi crede, le miracolose apparizioni che, per altro, vengono appunto a ribadire l’eccezionalità di tale contatto e le sedute spiritiche, di incerto valore) the spiriti intelligenti, a noi ben cari, benché pregati, supplicati, non si sono più fatti sentire, malgrado ogni accordo preso con essi in questo mondo. C’è dunque una volontà che vieta loro di manifestarsi, in qualche modo, a noi, anche se noi avvertiamo la loro presenza confortatrice e protettrice in momenti gravi. Dal fatto della inesorabilità e impossibilità di un ponte fra anima dei trapassati e i viventi, alcuni deducono una ennesima (ma non superflua) prova della seconda, « diversa vita » , propria dello spirito, congiuntosi ormai con il grande Spirito dell’universo; altri invece colgono occasione dalla constatazione del silenzio dei morti, per trarre ed affermare la loro convinzione sulla inesistenza dell’al di là: muore, con il corpo, anche la ragione, lo spirito: si muore come le bestie, come le piante, come muore la natura effettuato il suo ciclo. Resta a chi vive il « ricordo » della persona che non c’è più, poche ossa ancora: resta, ciò che vive nella nostra memoria, l’eredità di affetti finché vive memoria di essi. Il sogno continua: la vita è attesa, è speranza ed è ricordo: è memoria estesa al passato, è presentimento del futuro e sensibilità in atto di ciò che passa. Il presentimento del futuro va pero di là della durata della vita terrena: che cos’è dunque tale ansia, che significa questo sguardo oltre la tomba? Chi ce l’ha suggerito? Chi ci spinge a pensare, a volere eterni i nostri morti, e beati? La ragione, che si rifiuta di accettare la tesi della fine dell’uomo come bestia, insiste nell’avvertire l’uomo anima immortale. Tale fede è comune a tutte le religioni, ossia a tutti i popoli. Perché, dunque? Tale speranza è dovuta soltanto al perdurare degli affetti per la persona estinta? o al bisogno di protezione, venuta a cessare con la dipartita del genitore, del capo famiglia, della madre? o alla necessita (spirituale) di ritrovare il bene momentaneamente perduto? ossia, lo spirito non può dunque arrestarsi alle barriere terrene e ha bisogno di un suo mondo?

La risposta a detti interrogativi non può essere che positiva: secondo quali motivi si potrebbe negare questa forza dello spirito che sopravvive al corpo; che accende, con l’educazione, altri spiriti; che inonda di sé il creato; che dà un  significato al nostro turbamento di esseri in transito, di passaggio in questo breve mondo, di turisti verso l’eterno? Come non si potrebbe ammettere la volontà dello spirito di perdurare in eterno?

Beati i popoli che onorano le tombe degli avi perché, nella luce del loro ammaestramento, conservano e migliorano i propri costumi! La forza del Giappone e della Cina, ad esempio, è questa virtù, più potente di ogni esercito perché è l’anima di ogni sacrificio e di ogni impresa. Un popolo che ha il culto degli antenati, non può perire, qualunque siano le prove che sopporta e che lo attendono.

Lo scetticismo invece non solo ruba all’uomo la speranza, ma gli nega la conquista dei valori morali, e cosi della verità, relegandolo in una notte senza fine. Il superuomo, privo di ogni legge morale, muove a pietà: si è grandi davvero, quando si compiono regolarmente e scrupolosamente i nostri doveri di piccoli uomini, di uomini morali. In tal caso la vita diventa kantianamente dovere e il piacere deriverà, incontenibilmente gioioso, dal dovere compiuto; e appare essa realtà certa e confortante e il nostro destino chiaro, logico, naturale, e il ricordo del passato, sogno di beatitudine e di gloria. Il dubbio potrà sopravvenire soltanto in merito alla bontà o meno, al valore, al pregio delle nostre azioni, e quindi sulla validità ed efficacia di esse in relazione ai talenti di cui disponiamo, in quanto ognuno è responsabile di sé « sulla base di ciò che è », principio di cui la legge dei tribunali deve tenere conto per essere veramente « uguale per tutti ». Dico dunque agli uomini di buona volontà: lasciamo gli insoddisfatti per carattere, gli increduli, i saccenti, i « bastian côntrari » agitarsi nel loro mondo di contraddizioni, di paure, di sgomenti, di cecità e di irrisione; diamo anzi ad essi una mano fraterna per un aiuto a vedere e a credere; ma non lasciamoci distrarre dalle loro argomentazioni, arzigogolature o derisioni. Preghiamo invece affinché venga il giorno in cui la santa volontà del Signore sarà fatta in cielo e in terra: in quel giorno questo mondo della materia avrà fine, perché sarà cessata la ragione della sua esistenza e dell’« esilio » dell’uomo

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L’INVOLUZIONE

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L’INVOLUZIONE

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Per altro l’ascesa dallo stato selvaggio a quello umano e da questo a quello civile, non fu e non è sempre costante: v1 sono i famosi corsi e ricorsi storici, i ritorni, gli annebbiamenti dei costume e dell’intelligenza, epoche in cui si riscatenarono violenze e istinti che covano in quel primitivo bestione che seguita a celarsi nel subcosciente dell ‘uomo, uomini feroci e primitivi in mezzo ad altri uomini più evoluti e miti. Le guerre rappresentano il ritorno alla forza belluina, all’omicidio, alla distruzione: e vi sono guerre di nazioni (mai di popoli, perché il popolo ama la pace in quanto vive allo stato umano) e guerre di famiglie e in famiglia. Oggigiorno assistiamo ai deleteri effetti di due guerre mondiali: homo homini lupus; bellum omnium contra omnes. Hobbes aveva individuato il carattere del tipo e della specie dopo il peccato d’origine, e tale substrato ritorna se non ad  affossare, ogni tanto, a frenare il cammino della civiltà morale, sociale, dello spirito, anche se sollecita il progresso tecnico. Oggigiorno l’egoismo, la superficialità, l’insensibilità ai propri doveri, la corsa all’ozio, ai piaceri del corpo, l’incredulità, la derisione della virtù, il misconoscimento e il rinnegamento dei valori, l’irriguardoso atteggiamento verso la verità umana, divenuta sfacciata, prepotente e oscena perché le si sono tolti i veli del Fudore e della riverenza e l’ostracismo e la lotta alla verità divina, comportano una umanità convulsa, affaticata, angosciata, amorale, che vive nel terrore della morte, di non far carriera

e non far denaro.

Si ritornerà, certamente, a tempi migliori e faticosamente, ma gradualmente e fatalmente, riprenderemo a vivere secondo grazia e sapienza, cioè salvando le varie oasi di bene che hanno pur resistito alla burrasca e che rappresentano gli anelli a cui ancorare la navicella del futuro. La saggezza riprenderà il sopravvento e gli uomini rinsaviranno: altrimenti si ritornerebbe al bestione, anche se rivestito di un completo di flanella di pura lana e in grado di solcare i cieli, come i mari del suo regno, il regnum hominis di Bacone, di un uomo perô che sa comportarsi da re del creato. La scienza non dà la virtù: questa è la grande lezione della storia; ne vale portare nel giuoco Montaigne, che addita il fine della istruzione nella virtù (fosse pur sempre così, come dovrebbe essere, almeno, il caso della scienza teologica), essendo questo un compito particolare (e importantissimo) addimandato e permesso agli educatori nell’ambito della scuola. La virtù è pure (e vorrei dire, soprattutto) degli analfabeti, di gente priva di istruzione: il regno dei Cieli non è certo monopolio dei laureati. La scienza può approfondire la virtù, ma non la crea: l’umiltà ammirabile dello scienziato è frutto della sua natura morale e non già dell’acquisto di conoscenze. Si sono visti (e si vedono) uomini di cultura astiosi, superbi, gonfi di sé; si sono visti gangster istruitissimi; delinquenti politici (come Hitler ed altri) dotati di una certa cultura. Il neoidealismo è utopista: la formazione della mente non coincide più (non coincide, perlomeno, ancora), ad un certo livello, ad una certa età (uscito cioè dalla giovinezza), con quella del cuore. Il che significa che esistono in noi degli allarmi, delle ataviche diffidenze e tendenze, delle suscettibilità, delle rivalità con i nostri simili, invidie, ecc. che è molto difficile vincere. L’uomo capace di tanto, è un santo e cioè superiore alle miserie umane e immerso nella grazia del Signore.

Possedere scienza, fede e virtù è un particolare dono di Dio, segno di predilizione per un’anima veramente eletta, che sa soffrire per la giustizia e che rappresenta, per tutti, un richiamo, un ammonimento, un ammaestramento. Per lo più la prudenza, la malafede e gli inganni, le delusioni, purtroppo, debellano l’onestà, e in un mondo di falsi il giusto viene sommerso; e a ben pochi è dato di patire per la virtù. Chi però fa progredire l ‘ Umanità, sono gli uomini di rottura, insofferenti della tradizione e soprattutto di ogni stasi o adagiarsi della società, e quindi dello stato attuale di essa. Questi uomini vivi e veri preparano il domani, un’ umanità migliore, che li ripaga oggi con la diffidenza, l ‘ostilità, il tradimento, l’accusa e la condanna, alla stregua stessa con cui profeti e pionieri vennero ringraziati dal mondo, che poi avidamente s ‘ appropria dei loro beni, delle loro verità, dei loro principi, delle loro scoperte.

Finché ci saranno uomini tali, uomini nuovi, la civiltà non dovrà patire di involuzioni, perché essi saranno capaci di scoprire e di affidarle nuovi mondi nel quali lo spirito dell’uomo, che è infinito, possa seguitare a svolgersi per nuove vie.

Civiltà di massa o civiltà di gruppo, il problema non è questo: il problema, di fronte alla uniformità e al livellamento, è quello di conservare se stessi, la propria personalità. L’individuo scompare nella nuova società, ed in effetti socializzarsi  significa acquisire una personalità sociale, passare da persona isolata a socio di un gruppo. Però la persona, come testa senziente, coscienza attiva, intelligenza libera, va formata, altrimenti i nuovi valori, prima retaggio di poche minoranze e ora aspirazione di tutti, non saranno né realizzati, né goduti, Non basta volere l’istruzione che educa (e la auguriamo presto anche a l•ivello universitario), il benessere fisico ed economico, la possibilità di esercitare la volontà di esprimere e di far valere le proprie idee quali doni estesi a tutti: occorre preparare questo tutto (e cosi ogni individuo) ad esprimere, produrre, essere cosi in grado di usufruire e di coltivare tali beni. Anche qui ritorna facile dire che bisogna agire sullo spirito vitale, indirizzarlo ai fini suddetti

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L’EVOLUZIOMISMO

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A quale altro essere del Creato è stato dato di opporsi alla volontà di Dio? Tutti gli altri obbediscono alle leggi di natura, stabilite dal Creatore: soltanto l’uomo ha questa particolare concessione, che non tocca, ad esempio, alle scimmie.

A parte il fatto che la teoria evoluzionistica prevede la scomparsa delle razze inferiori (e le scimmie ancora sussistono nella varietà dei tipi e delle famiglie), tale privilegio accordato solo all’uomo lo differenzia immediatamente da tutto il creato e lo afferma direttamente creato da Dio. Non può darsi difatti che, ad un dato momento della vita dell’universo, il Creatore abbia conferito particolari facoltà ad un animale derivato dal pesce attraverso gli artropodi più che ad un altro animale; e ubbie e sogni di fantascienza sono le teorie di coloro che hanno reputato il rene strumento capace di compiere una simile trasformazione, dando così non solo una forma fisica diversa (e ciò sarebbe possibile), ma addirittura una « ragione » a chi prima non la possedeva.

E giusto, è bene che si indaghino tutte le vie possibili per cercare la verità: in questo caso si torna pero sempre a ribadire, a riconfermare la verità data. La scienza, così, finisce con l’approvare la fede anche se, tomisticamente, ognuna di esse procede nel campo proprio. Iddio ha formato nell’uomo, « l ‘unico » essere uomo, per i Suoi imperscrutabili disegni: si voglia o non si voglia accettare, non si hanno a tutt’oggi motivi validi per negare o porre in dubbio tale verità di fede.

Possiamo pensare che le prime due creature uscite dalle mani d’Iddio, fossero perfette in quanto cesellate dal più grande artista dell’universo; possiamo pensare che, con il peccato e la conseguente caduta, anche il corpo dei nostri primogenitori si avvilisse. Perdendo la grazia, essi perdevano anche la bellezza, scemando in armonia di membra e acquistando, per il loro compito, in forza fisica: e pertanto ci raffiguriamo Adamo e la sua donna diventati semi animaleschi, con muscoli vigorosi e petti enormi, e viso prognato, atti cosi a sopravvivere in una atmosfera apocalittica, di miasmi, di bestie feroci, di malattie, di climi che per noi, ora, sarebbero letali. Le convulsioni della terra precedettero le convulsioni dell’uomo, che lo corazzarono contro le avversità e gli permisero di guadagnarsi il pane col sudore della fronte: ma l’uomo conserva, nella grossa massa cranica, arruffata di lunghi capelli, due occhi intelligenti che scrutarono il suo campo di lavoro: il creato, e una ragione che gli permise di organizzare e di iniziare la lotta, onde e redimersi e vivere, contro le forze della natura, contro l’ambiente naturale ostile, per renderlo sempre più confortevole al suo soggiorno terreno. Tale lotta, iniziata decine di migliaia di anni fa, seguiterà sino alla fine del mondo, rendendo l’uomo sempre più civile, più umano, e la Terra sempre più ubbidiente al suo comando e pronta a soddisfare ai suoi bisogni.

Ecco la vera evoluzione dell’uomo, nella interazione fra l’uomo e l’ambiente, per cui, migliorato dal primo il secondo, questo migliora chi alberga e così il primo, come ben vide il Dewey. L’ambiente naturale è ormai quadro di romantiche contemplazioni: è l’ambiente creato dalle opere dell’uomo che infiora questo

mondo e che si offre a Dio come testimonianza dell’attività della Sua creatura. E Dio benedice l’opera dell’uomo, mezzo da Lui datoci per realizzare il bene e renderei degni della Sua visione: e l’uomo, da quando un riso di donna e Io sguardo stupefatte del padre, salutarono il primo vagito, dal mondo dei bestioni cacciatori accesi di fantasia (di vichiana memoria), passa al mondo dei pastori guidati dalla riflessione e anziché uccidere soltanto, alleva, e anziché imitare le fiere, le ammansisce e se ne serve. Ecco allora come sorgono l’arte e la poesia, forze creative per cui l’uomo «fa nascere » fantasticamente il mondo che gli abbisogna: quello che sfama la sua intelligenza, il mondo dello spirito. Cosi il cuore partecipa, nel tripudio e nel terrore, a questa trasformazione, e l’uomo si intenerisce e piange, si addolcisce e ama, e i costumi ferini si cangiano in costumi umani. La rudezza e grossezza di un tempo, cedono il posto a sentimenti delicati; l’uomo diventa un essere gentile. È questo il grande momento della storia umana, in cui il sole splende nelle spelonche. L’uomo gentile rende gentile la foresta, il fiore, la belva: le piante, coltivate da mani inoffensive e cortesi, lasciano cadere le spine oramai inutili e le sostituiscono con nuovi fiori; gli altissimi alberi, liberati dalla stretta delle liane e del bosco intricate, non hanno più bisogno di lanciare le loro vette al cielo per rapire al sole un raggio di luce e di calore e farlo scendere sino al tronco ammuffito e sepolto nelle tenebre della giungla; la belva trova cibo e difesa accanto all’uomo e allora ritira gli artigli, accorda le corna, posa la corazza e si adatta a servire il padrone, che le dà la vita Così sorridono i giardini, i prati, i campi, a Dio Padre. Benedetto il giorno ln cul una donna vide per la prima volta, il suo uomo offrirle due tremuli fiori nelle vigorose mani! Da quel giorno accanto alla caccia, all’allevamento, alla coltivazione, ebbe inizio la dolcezza e la riconoscenza negli affetti familiari, si che i lineamenti stessi dell’uomo si addolcirono e si rimbellirono. E Dio sempre sorrideva e benediva all’opera buona dell’uomo e cioè alla Sua opera

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IL REGNO Dl DIO

IL REGNO Dl DIO

Se la fede è viva, la speranza è molta e la carità abbonda nelle nostre azioni. Venga il Tuo Regno, imploriamo con Gesù, l’eterno Padre di tutte le genti davanti all’ingiustizia, alla cecità, al sopruso, alle iniquità, all’omicidio, alla frode, alla fame, alla crudeltà, alla menzogna, alle miserie, alle oscenità, alle turpitudini de! mondo: e sia fatta la Tua volontà come in Cielo, « così » in terra. Tale atto non può non avvenire che con il « consenso » della creatura che Dio ha forgiato a Sua immagine, altrimenti Dio smentirebbe se stesso, non essendoGIi possibile non volere ciò che ha voluto. L’uomo ha quindi questa duplice nobiltà: di essere il mezzo, lo strumento, con cui Dio si è obbligato a manifestare la Sua volontà, ed esplicare i Suoi disegni, e, al tempo stesso, di potere disubbidire al Creatore. Dopo il peccato di origine che fu l’inizio della ribellione e cioè il pronunciamento diverso da quello di Dio, l’uomo è condannalo a conquistare Dio e cioè a meritare di ascoltare e seguire la Sua volontà. Perciò la nostra « libera » volontà, altro non è se non « difetto » di volontà, che cerca il completamento nella volontà della Legge, della Rivelazione, nel dettato dei Santi Padri, nello spirito di coloro a cui Dio concedette di illuminare fedeli e non credenti con la luce della Sua parola. Facciamo difatti distinzione fra volontà desiderata e volontà ordinata, fra volontà cosi detta libera e cioè anarchica e la volontà buona o volontà nella legge; parliamo difatti di arrivare alla conquista e alla realizzazione della « volontà etica » , che ci assicura la « libertà » nella legge, l’unica possibile all’essere razionale. Perciò se il Regno di Dio non è di questo mondo per quanto riguarda il prevalere del male sul bene e l’infelicità del giusto e la fortuna (apparente e caduca) di chi inganna il prossimo, e del malvagio, aiutati e protetti dalle forze demoniache nei loro misfatti, può essere benissimo realizzato nei singoli individui, in gruppi di individui votati a tenere accesa la lampada per lo Sposo promesso; quando essi cioè lealmente e moralmente sottomettono l’orgoglio e la superbia (conseguenza di una volontà senza limiti e quindi senza un fine, una guida, una regola, una luce) alla volontà dell ‘Onnipotente, trasformandola in volontà d’amore, di dedizione, di sacrificio per il bene delle anime e la maggiore gloria d’Iddi0.

Tanto più si estenderà tale regno nel sacrario della coscienza umana, tanto meno avremo ad assistere a fatti rattristanti e a scemenze, che ci fanno temere sulla sanità mentale dell’uomo. Saggi e savi, dovrebbe essere lo slogan di ogni scuola che non deve cercare solo di formare l’individuo a ben esercitare il suo mestiere di uomo, e quindi solo sottomesso a sé, ma di uomo credente e cioè sottomesso ai voleri di Dio: la prima educazione è volutamente parziale, mentre la seconda appaga « tutti » i bisogni dell’uomo compresi (e in primis) quelli dell’anima, coronando l’ansia divina che è nell’uomo.

Basterebbe un nulla a Dio per « obbligare » tutte le volontà a seguirlo, ma con ciò cancellerebbe, in un attimo, la nobiltà e l’eccellenza della ragione umana, il segno distintivo dell’uomo, che rimane arbitro di realizzare il regno di Dio nel mondo dell’uomo e quindi pienamente colpevole di subire le conseguenze della non realizzazione di un mondo di verità e di pace. Spiegami, o mio Dio, il mistero del perché gli uomini sono cosi ciechi, da pervicacemente tener Ti lontano, vantandosi di non conoscer Ti, di ripudiar Ti, di – o vaneggiamenti di dementi! – combatter Ti? Perché Ti offendiamo? Quanta pazienza e misericordia è la Tua, per attendere l’ora del nostro rinsavimento, senza punire le offese, tutto macerando all’altare del sacrificio, incredibile olocausto dove, per volontà Tua (o inaudito mistero d’amore!) mandasti il Figlio a riscattare con il Suo sangue, a farsi uccidere dagli uomini per i delitti ei peccati dell’uman genere

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LA VOLONTÀ LIBERA

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LA VOLONTÀ LIBERA

La libertà è tale in quanto e fin dove la ragione la può comprendere. ln effetti l’uomo ha avuto da Dio, volontà assoluta, il gran dono della volontà libera, magistrale lezione di democrazia, governo fatto per cittadini intelligenti, istruiti e coscienziosi. Questo dono ha reso responsabile l’uomo delle proprie decisioni, ma ha altresì aperto la via al giudizio critico di ogni verità, riducendo quindi la verità a verità individuale, relativa ad ogni essere dotato di ragione. Cadono cosi tutti i sistemi filosofici (compreso quello kantiano del dovere inteso quale legge universale che io affermo con la mia condotta) fondati su principi universali, validi in ogni tempo e luogo, in quanto non ciò che vale per i più, non ciò che « potrebbe » valere per tutti vale per me, ma ciò che ritengo debba » valere per me, ossia ciò che io ritengo valido. Pertanto anche « l ‘ostinazione » nel difendere la propria tesi e nel non accettare il punto di vista altrui, ha la sua legittimità. Anche la verità assoluta, e cioè quella divina, viene ad essere inevitabilmente sottoposta a simile setaccio, sicché la Rivelazione e ogni raggio di luce divina vengono sottoposti a vaglio, soppesati e, purtroppo, accolti in tutto o in parte o in nulla, il che fa meraviglia sulla cecità dell’uomo, ma sanziona la sua libertà d’azione. Di qui l’orgoglio di sapere e di credere; di qui il vanto di ciò che possediamo, la « fede » in ciò che riteniamo vero. Convincere, portare un’ altra ragione a ragionare veramente come la nostra, è ufficio straordinario, che nessuna lode può premiare: e pure e l’ufficio di quanti vogliono formare gli altri a loro immagine e somiglianza o confortare cuori, dei missionari dell’idea, della fede, della verità, di civiltà; ed è pure svago dei sofisti antichi e nuovi e degli affaristi e dei ciarlatani di piazza, che vilipendono tale sublime azione e possibilità di vincere il libero arbitrio dell’uomo, di persuadere la sua volontà.

Entrare nel sacro culto delle memorie care ad ogni essere, nel retaggio di cultura, convinzioni, evidenze che ogni uomo possiede, e scalfirne la compattezza o renderne insostenibile la fede che tanto sorreggeva, non è cosa di breve momento: le vere conversioni si contano sulla punta delle dita; ma gettare un essere nel dubbio, nello smarrimento, nell’angoscia perché gli si è incrinata la pietra angolare su cui poggiava la « sua » verità, senza sostituirla con un’ altra, è cosa diabolica, assassina, malvagia. La conversione vuol la « scelta tra due verità »: quella che si aveva e quella che altri ci vengono ad offrire e rientra quindi nel ferace compito dell’uomo verso se stesso e i suoi singoli: ma la distruzione di un’idea, non seguita da una critica costruttiva, è uno dei mali peggiori che a mente umana possa capitare. Si può dover scegliere fra il bene e Ciò che ci appare un male (e allora la scelta è facile); oppure fra due beni (l’uno di maggiore e l’altro di minor valore: e allora la scelta è più ardua); ma lasciare senza ricevere, perdere e non sostituire, significa rompere l’equilibrio interiore in chi c’è la serenità, la compostezza, la calma, la equità dell’uomo. Meglio lasciare gli uomini nella ignoranza, che generare l’inquietudine: l’istruzione deve servire a rendere più tranquillo e felice l’uomo, e a migliorare i costumi, altrimenti è distruzione di animi e di cuori. Beati invero i nostri morti, che ormai vivono nella volontà di Dio e possono finalmente riposare lo stanco affanno della ragione!

Ritornare a Dio significa difatti perdere la volontà libera, ma imperfetta che ci lascia insoddisfatti perennemente, per acquistare la volontà eterna e perfetta che completamente e infinitamente ci appaga. Volontà volente, volontà di vivere, di essere, di fare, di affermarsi, di credere, di operare, di volere, o sinonimi di libertà, per cui è degno il mondo di essere vissuto e degna è in me la vita dell’uomo, voi ci rendete l’esistenza terrena faticosamente gioiosa, mirabilmente divina, i mali affrontando e superando e sopportando, nell’eterno ritmo del creato ove il nascere ha bisogno dei perire, e i beni creando e recependo, per concreare con Dio, soggetti e signori dei mondo, pur nel breve arco di tempo delle nostre singole vite

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LA LEGGE DELLA NECESSITÀ

LA LEGGE DELLA NECESSITÀ

E dunque la legge della necessità che grava sull’umano consorzio: non ai beni più alti, non alle aspirazioni più nobili, si mira dapprima, ma a soddisfare alle necessità di ordine fisiologico e di ordine contingente, come il lavarsi, il vestirsi, ecc., attività che rappresentano un lavoro forzato, ripetuti come sono tutti i giorni, lungo e faticoso, a cui non si pon mente nel computo del lavoro quotidiano e che invece impegna le ore importanti della giornata (han mai fatto il conto, gli economisti, dell ‘enorme quantità di tempo e di lavoro che I ‘Umanità quotidianamente spende in tali improduttive occupazioni?) e che tocca non una élite ma tutti gli uomini, compresi quelli che, o per incuria, o ignoranza, o insensibilità, non curano affari superiori a quelli che riguardano la vita animale. Anche se affranti dal più grande dolore, la legge della necessità riappare in noi: è lo spirito vitale che ci sprona a vivere, che pone in movimento tutti i congegni del nostro corpo, anche contro la nostra volontà. Quando si parla della seconda vita dell’uomo, quella dello spirito, non ci domandiamo mai a quanti esseri essa è aperta e non ricordiamo come i 3/4 dell’umanità non superino, oggi, quella dei sensi, delle necessità primordiali.

In effetti la legge della necessità regola pure la vita spirituale, ed infatti il cibo dell’anima, il pan degli angeli, è vizio e droga tali che, gustatolo, non se ne potrà più fare a meno: « Non de solo pane vivit homo, sed de omni verbo qui procedit de ore Dei ». Pane, adunque, per l’esistenza fisiologica; scienza divina, per la vita dell’anima: la legge della necessità lega la terra e il cielo. D’ altra parte non vi è profondità umana o celeste, maggiore di quella del pensiero umano, che esplora e varca, d’un solo balzo, tali immensità, e che sorrda abissi ben Più paurosi e immani, eco dell’infinità che l’ha originato e annuncio dell’infinità che lo attende.

Ed ecco che una demanda pur si pone, in questo mondo del contingente: siamo

noi necessari, bastanti a noi stessi? Come può l’uomo essere necessario (e non inutile) a sé? L’ Umanità si farà più furba e più saggia, se si porrà sovente tale domanda, se il politico, il sociologo, l’educatore, il sacerdote, il padre e la madre di famiglia, il giovine e via discorrendo, si rappresenteranno la questione di come si possa essere utili a se stessi, nell’esercizio della propria professione o semplicemente nel mestiere di uomo che tutti esercitiamo.

Orbene, prima di tutto occorre essere se stessi, presenti a noi in ogni momento (il che non è facile: basti pensare che alle volte la coscienza e il buon senso si ergono a nostri giudici, per accusarci: ma che razza di bestione sono mai io? quali idee mi sono scervellate in capo? quale orecchio ho mai io prestato ad esse? ma sono io o è « un altro » ben diverso da me, che ha potuto pensare, o commettere, simili sciocchezze, stupidaggini, oscenità, iniquità? c’ è dunque un « secondo io » in noi, che opera all’insaputa o comunque contrariamente alla volontà del primo? c’è l ‘io dello spirito e l’io dell’animale, l ‘ io eterno e l’io della materia? se un conflitto sorge fra i due, qual è dei due quello che lo vince? e in virtù di che, per quali ragioni o cause, di cui la mia persona è responsabile o non piuttosto per necessita intrinseche alla mia natura terrena, da cui non posso sempre svincolarmi? Che l’educazione sia dunque proprio liberazione dall’istinto, dall’incoscienza, dagli appetiti della natura umana inferiore e che la dottrina della metempsicosi non rappresenti invero la necessità della graduale purificazione, in bagni successivi, per essere degni dello spirito divino lievitando sempre più il peso » del corpo?) . Essere « compos sui » , come ad esempio, lo sa essere una buona, vera madre, eccellente per virtù naturale, questo è il punto. Se so stare in equilibrio con le mie necessità ed i miei obblighi, sono a posto: se me ne rendo schiavo, sono in debito; e pagherò con l’aritmia della mia vita, e la conseguente insoddisfazione, angoscia, impossibilità di godere dei beni che la vita dispensa, volontà di morire nel senso della disfatta del vinto. Se all’opposto non mi faccio comprare e pago cioè quanto il corpo e la società da me reclamano, resto libero, sovrano, tranquillo, padrone di me e del mio destino, pater fortunae meae. A questo fine sì importante, vanno convogliate le forze e le capacità dell’individuo, gli uni aiutando gli altri, per « salvarsi » a vicenda. Solo se la mia risposta alla legge della necessità è piena e positiva, potrò sperare di non far naufragio in questo mondo, che è mondo della necessità perché mondo della realtà; mondo del fare perché mondo dell’essere e quindi dell’attività: mondo del riparare ai consumi perché mondo dell’usura. Per essere bastanti a sé, occorre essere in grado di giovare anche agli altri, di cui faccio parte e che sono gli altri « me stessi ». Siamo in catena: la socialità val bene questo anello, che mi congiunge al prossimo; se soddisfo alle necessità mie e del gruppo a cui appartengo, sono a posto perché « tutti siamo a posto » : in una Umanità dove si piange, non c’è posto per chi ride; in una Umanità dove si pena e si sta male, non c’è posto per chi gode: se voglio la mia felicità, mi dice Stuart Mill e l’utilitarismo, è necessario che procuri la felicità di coloro che mi stanno attorno e con i quali vengo a contatto. A tanto ci porta la legge della necessità: a vincolarci l’un l’altro, a mettere in comune le nostre sorti e i nostri beni. Essa è dunque guida e scuola di fraternità, carità, umiltà, umanità: essa è dunque da benedire, anche se significa (o forse, appunto perché anche significa) sforzo, impegno, richiamo ai valori morali e ai nostri limiti, sacrificio, bontà e offre un significato positivo, spirituale alla vita, aiutandoci a guadagnare, su questa terra l’eterna felicita in Dio

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