PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI
NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo. Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere». Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
oggi,
durante l’annuale assemblea generale dell’Ordine della Massoneria dei Paesi
Bassi a Bussum, ho espresso la mia preoccupazione sull’intenzione del nuovo
Governo italiano di escludere massoni da funzioni pubbliche. È noto che ai
regimi autoritari non piacciano i liberi pensatori, ma è uno choc che in un
democratico paese europeo si stia preparando un divieto professionale per
massoni.
Abbiamo
inviato una dichiarazione di sostegno al Grande Oriente d’Italia (GOI), con il
quale manteniamo fraterni legami. Allegata a questa lettera troverà la
dichiarazione dello stesso Gran Maestro Stefano Bisi, che condividiamo di tutto
cuore. I veri massoni sono lontani da attività illegali. La massoneria non è un
marchio registrato: chiunque può definirsi massone, oppure cristiano o
musulmano. La massoneria è sempre allerta ai gruppi che abusano del suo buon
nome a propri fini, perché la massoneria riconosciuta a livello internazionale
non persegue obiettivi politici.
E proprio per via del ruolo patriottico che i massoni
hanno esercitato nella storia d’Italia, che pseudo-massoni hanno creato logge
finte, nascondendo così le loro attività. Queste logge non appartengono alla
massoneria riconosciuta d’Italia. Insieme ai nostri fratelli del GOI offriamo
al Governo italiano la nostra assistenza nello smascherare di finte logge
massoniche.
I fondatori
dell’Italia furono massoni. In ogni città ci sono piazze o strade che hanno
preso il nome da Garibaldi, Mazzini o Cavour. I nostri fratelli Paganini e
Puccini hanno composto la più bella musica. È impensabile che gli italiani si
dimentichino di tutto questo per schierarsi tra i paesi come l’Iran e la Corea
del Nord, in cui la massoneria è proibita. L’Italia sta presentando il brutto
esempio e sarà superato da paesi come la Cuba e la Turchia, dove la massoneria
è permessa. E un diritto inalienabile di ogni cittadino di scegliere la propria
convinzione politica o religiosa.
Ovunque in Europa si prepara una nuova legislazione
sulla privacy, mentre il Governo italiano esige la pubblicazione di elenchi dei
soci. La Corte Europeo ha rispinto tali azioni già nel 2009. L’esitazione dei
fratelli italiani di farsi conoscere, ovviamente, ha a che fare con la
persecuzione della massoneria durante la seconda guerra mondiale.
Javastraat
2-8 2585 AM Den Haag
T 070 3460046 E
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W vrijmetselarij.nt IBAN NL24 INGB
0000 352474
La massoneria è una linea di condotta
per liberi cittadini. Libertà, tolleranza e fratellanza sono le sue
caratteristiche. In questo conflittoso mondo il nostro ideale di fratellanza è
attuale più che mai. Per noi conta solo la dignità dell’essere umano,
indipendente da razza, fede, inclinazione sessuale o convinzione politica.
La prego di
trasmettere le nostre preoccupazioni, eppure l’offerta della nostra assistenza
al Presidente della Repubblica Italiana eppure al Primo Ministro. Lavoriamo
insieme per il futuro dei cittadini in genere e per quelli d’Italia in
particolare.
PorgendoLe la mia più alta stima,
Gerrit van Eijk
Gran Maestro del Grande Oriee dei Paesi Bassi
tradotto da Marinus Schouten, L’Aja,
15 giugno 2018
Allegato 1: La dichiarazione della Giunta del Grande
Oriente d’Italia
Per il Grande Oriente d’Italia è Incostituzionale la
clausola sulla Massoneria del
Contratto stipulato tra le parti del futuro esecutivo. E
chiede l’intervento del Presidente della Repubblica
I Massoni
del Grande Oriente d’Italia giurano solennemente fedeltà alla Repubblica
Italiana. Lo fanno sulla Carta Costituzionale e s’impegnano a rispettarne le
norme e le leggi. L’idea di inserire una clausola antimassonica nel contratto
stretto tra Lega e M5S è contraria ai principi costituzionali. Ricorda le leggi
fasciste che i Massoni hanno sempre denunciato e che sono la conseguenza di una
pericolosa deriva liberticida. Gli articoli 2, 3, 18 e 21 della Costituzione
sono molto chiari e non ammettono patti negoziali che impediscano a categorie
di cittadini di esercitare la libertà di partecipazione, d’espressione e
d’associazione in tutte le sue forme. Chi pensa per fini politici di sfruttare
una campagna contro i Massoni e di impedire l’esercizio dei diritti primari
commette un abuso e deve assumersene ogni responsabilità.
Questa
odiosa discriminazione non solo reca offesa alla storia d’Italia, al cui farsi
come
Nazione e
al cui progresso civile i Massoni da Garibaldi a Carducci, da Mameli a Crispi,
da Fermi a Ruini, a Quasimodo, hanno dato un contributo fondamentale; ma
procura anche inquietudine nell’opinione pubblica di tutte le grandi Democrazie
Occidentali, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, alla Francia, nelle quali
l’appartenenza alla Massoneria è sinonimo di attaccamento patriottico e
lealismo costituzionale. Ricordiamo a tutti i Deputati e Senatori neoeletti e
in modo particolare ai leader ed ai Parlamentari delle due formazioni che si
candidano a reggere le sorti della nostra Nazione che essi devono rappresentare
tutti i cittadini e li invitiamo a ri-leggere qualche utile pagina di storia
partendo dal Risorgimento e finendo all’Istituzione della Repubblica Italiana.
I Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia hanno inviato
una lettera al Capo dello Stato, garante di tutti gli italiani, in cui chiedono
che vigili perché la Costituzione sia applicata nella sua interezza e senza
discriminazioni.
Si seguì poi la folla, che procedeva lentamente e che ora
aveva formato un cerchio intorno all ‘area della futura casa. Il proprietario,
la sua famiglia e i principali fra gli ospiti, furono invitati a scendere nella
fossa, dove 1a prima pietra, appoggiata a una parete, era già pronta per essere
posta. Un muratore tutto in ghingheri, con la cazzuola in una mano e il
martello nell’altra, tenne un brioso discorso in versi, che in prosa possiamo
rendere solo imperfettamente.
“A tre cose”, egli cominciò, “bisogna badare
in una costruzione: che sia opportunamente situata, ben fondata e perfettamente
eseguita. Il primo punto è certamente di competenza del proprietario; poiché,
come in città solo il principe e il comune possono determinare dove si debba
costruire, cosi in campagna è prerogativa del padrone dire: qui e non altrove
ha da essere la mia casa”.
A queste
parole Edoardo ed Ottilia non osarono guardarsi, benché fossero vicinissimi e
l’uno in faccia all ‘altra.
“11 terzo
punto, l’esecuzione, è a cura di molti operai; che sono pochi quelli cui non
tocchi occuparsene. Ma il secondo, le fondamenta, è compito del muratore e, per
dirla schietta, è il cardine di tutta l’opera. E un lavoro serio, e serio è
questo nostro invito, poiché questa solennità si comincia nel profondo della
terra. Qui, dentro a questo spazio strettamente scavato, fateci l’onore
d’essere testimoni del nostro lavoro segreto. Ora deporremo questa pietra ben
stagliata e tra poco queste pareti di terra, ora adorne di belle e degne
persone, non saranno più accessibili e verranno completamente colmate.
“Questa pietra, che col suo angolo determina l’angolo
retto della costruzione, col suo profilo rettangolare ne informa la regolarità,
colla sua orizzontalità e verticalità suggerisce l’equilibrata posizione di
tutti i muri e di tutte le pareti, noi potremmo senz’altro deporla, poiché
riposa perfettamente sul suo stesso peso. Ma neppur qui deve mancare la calce,
quale elemento di coesione: poiché come le creature che già per natura si
sentono l’una verso l’altra inclinate, si associano ancor meglio quando la
legge le unisce, cosi anche le pietre, che già combaciano per la forma, si
saldano ancor meglio per mezzo di queste forze coibenti; e poiché non s’ addice
rimanere oziosi fra gente che lavora, così voi pure non sdegnerete di farvi qui
nostri collaboratori”.
Cosi dicendo porse la cazzuola a Carlotta, che con essa
spruzzò di calce la faccia inferiore della pietra. Altri furono invitati a far
lo stesso e la pietra fu subito posata; dopo di che a Carlotta ed agli altri fu
offerto il martello perché con un triplice colpo consacrassero formalmente
l’unione della pietra col suolo.
“11 lavoro del muratore”, prosegui l’oratore,
“che ora vedete all’aria aperta, anche se non si svolge in segreto, è però
destinato a restar nascosto. Le fondamenta accuratamente eseguite vengono
sotterrate, e in presenza delle mura che noi stessi abbiamo tratte alla luce,
v’è appena chi alla fine si ricordi di noi. I lavori dello scalpellino e dello
scultore seducono di più la vista, e noi dobbiamo perfino reputare una fortuna
che l’imbianchino cancelli completamente la traccia delle nostre mani e si
appropri del nostro lavoro nell’atto di
rivestirlo, lisciarlo e colorirlo.
“Chi, dunque, meglio che il muratore lavora per
soddisfazione personale quando eseguisce bene quello che fa? Chi più di lui
agisce unicamente in forza di quella molla che è, la coscienza del proprio
valore? Quando la casa è compiuta, il suolo spianato e lastricato, il muro
esterno rivestito d’ornamenti, attraverso tutte le sovrapposizioni penetra
ancor sempre l’occhio del muratore e riconosce quelle regolari accurate
commessure, a cui l’insieme deve la sua esistenza e la sua conservazione.
“Ma come colui che ha commesso una mala azione
deve temere che, nonostante ogni cautela, essa venga ugualmente alla luce, cosi
chi ha fatto il bene in segreto deve attendersi che anche questo venga un
giorno alla luce, contro la sua intenzione. Questo è il motivo per cui di
questa pietra angolare noi facciamo anche una lapide commemorativa. Qui in
queste nicchie variamente scavate, vari oggetti devono essere sotterrati a
testimonianza per una lontana posterità. Queste scatole metalliche saldate
contengono notizie scritte; su queste lastre di rame vengono incise varie cose
degne di memoria; in queste belle ampolle di vetro sotterriamo il miglior vino
vecchio, con la sua data di nascita; non mancano monete di vario valore,
coniate quest’anno; tutte cose che abbiamo ottenuto dalla generosità del nostro
padrone. E rimane ancora del posto, per il caso che qualcuno dei signori qui
presenti avesse desiderio di trasmettere qualche cosa alla posterità”.
Facendo una breve
pausa il compare girò lo sguardo intorno, ma come suole accadere in simili
casi, nessuno era preparato, tutti erano colti alla sprovvista, finché un
giovane e vivace ufficiale prese I ‘iniziativa e disse: “Se devo
contribuire con qualche cosa che ancora non sia stato deposto in questo
prezioso ripostiglio, mi tagliere un paio di bottoni dall ‘uniforme, poiché
meritano bene di passare ai posteri”. Detto fatto! e allora molti altri
ebbero idee del genere. Le donne non tardarono a depositare qualcuna delle loro
piccole forcine; fialette di profumo ed altri ornamenti non furono risparmiati;
solo Ottilia esitava, finché Edoardo non la riscosse con una parola amichevole
dalla contemplazione di tutti gli oggetti offerti e collocati nella pietra.
Allora ella sciolse dal collo la catena d’oro, cui aveva tenuto appeso il
ritratto del padre, e la depose lievemente sopra gli altri ricordi: dopo di che
Edoardo diede ordine in fretta che immediatamente si calasse e si cementasse il
ben commesso coperchio.
Il giovane muratore, che in quest’operazione s’era
mostrato attivissimo, riprese la sua posa d’oratore e continuò: “Noi
poniamo questa pietra per l’eternità, a garanzia del più lungo godimento
possibile da parte dei proprietari presenti e futuri di questa casa. Ma mentre
qui sotterriamo una specie di tesoro, pure insieme pensiamo, durante la più
stabile di tutte le operazioni, alla caducità delle cose umane; noi
presupponiamo una possibilità che questo coperchio saldamente sigillato possa
di nuovo venire sollevato, il che non potrebbe avvenire altrimenti se non
quando tutto fosse distrutto ciò che noi non abbiamo ancor neppure compiuto. Ma
appunto perché questo venga compiuto, distogliamo il pensiero dall ‘awenire,
ritorniamo al presente! Sollecitiamo il nostro lavoro, appena terminata questa
festa, si che nessuno degli operai che dovranno proseguire l’opera sulle nostre
fondamenta debba restare ozioso, e la casa cresca rapidamente fino al suo
compimento, e dalle finestre, che ancora non ci sono, il padrone, coi suoi e
cogli ospiti, possa lietamente contemplare la contrada, alla cui salute, come a
quella di tutti i presenti, ora beviamo!”
Cosi dicendo vuotò d’un fiato un finissimo calice di cristallo
e poi lo gettò in aria, poiché significa un empito di gioia spezzare la coppa
di cui ci si serve nell ‘allegria.
Wolfgang Goethe, “Le affinità
elettive”, capitolo IX, Einaudi editore (Traduzione di Massimo Mila).
L’iniziazione muratoria ha
mantenuto, nonostante tutto, un aspetto traumatico nei confronti di un profano
che bussa alla porta del Tempio.
Tale aspetto traumatico è forse necessario da un punto di
vista di tecnica rituale, per consentire il trasferimento e il conferimento
dell ‘influenza spirituale propria dell’iniziazione stessa.
Traumatico deve essere anche, perché indica il passaggio
da uno stato dell’essere ad un altro profondamente diverso (non si dimentichi
che l’iniziazione rappresenta una “morte”).
Traumatico deve infine essere in quanto predispone una
materia grezza alla ricezione dell’influenza spirituale.
Inizialmente, al profano impreparato, il Rito di
Iniziazione può sembrare uno dei tanti cerimoniali propri della vita profana e
religiosa, ma quasi immediatamente, una differenza dovrebbe apparire chiara;
tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che viene Retto, sono stimoli a riflettere,
a pensare, non una serie di atti da subire passivamente, quasi inconsciamente.
Al contrario, l’atteggiamento del candidato deve essere
eminentemente attivo nei confronti del Rito. Egli ha scelto liberamente e
spontaneamente di aderirvi ed è stato ammesso dai rappresentanti autorizzati
della via iniziatica per i quali egli è risultato qualificato. Tutto ciò lo
differenzia enormemente dall ‘exoterista, il cui atteggiamento è eminentemente
passivo.
Gli inviti alla riflessione si ripetono nel corso del Rito e
si fanno via via più incalzanti. Dagli stati emozionali delle tre prove e del
giuramento, si passa ad un approccio più diretto con i simboli, quando il
Fratello Esperto insegna all’iniziato a compiere il suo lavoro nella pietra
grezza.
E verosimile che, a questo punto, risulti difficile non
comprendere il livello molto diverso su cui ci si pone intraprendendo la strada
iniziatica.
E che sia una strada irta di difficoltà e di ostacoli, ben
lo sa chi si ponga con giusta predisposizione d’animo a percorrere tale
cammino. Si può dire che tra il profano e l’iniziato non esista comune misura,
poiché al primo non è possibile, nella migliore delle ipotesi, andare più in là
del mondo sottile, mentre al secondo, mediante la trasmissione dell’influenza
spirituale, sono aperte le possibilità di un ordine più elevato, cioè quello
spirituale.
E una via che sposta, quasi completamente, almeno per
taluni, l’asse degli interessi che sono propri della vita profana. È chiaro
che, bussando alla porta del Tempio, ci si era in qualche modo resi conto
dell’inutilità e della vacuità di ciò che, nella vita profana, è invece
considerato un traguardo ambito, ma si può affermare tuttavia che l’approccio
con la via iniziatica sia comunque estremamente duro.
Intanto si deve passare da si deve passare ad un’attività
fisica e mentale (anche se tale termine va inteso, generalmente, nella sua
eccezione più grossolana) ad un ‘attività essenzialmente spirituale: dalla
facile comprensione di cose semplici al difficile compenetramento del simbolismo.
La via profana è, nella stragrande maggioranza dei casi,
lastricata di “certezze”; nella via iniziatica il dubbio, il
ripensamento l’incertezza, la crisi, sono pane quotidiano. Si deve essere
disposti a mettere in discussione quello che, il giorno prima, sembrava
assodato e questo, nella vita profana, difficilmente avviene.
Si vuol dire con questo non che la via iniziatica sia la
via del dubbio e dell’incertezza costante ma che, essendosi ormai smarrita la strada che
porta alla verità, il suo ritrovamento, all’inizio, è frutto di tentativi
continui e quindi aperti all ‘errore.
L’unica certezza che l’iniziato deve comunque sempre avere
è che la sua vita deve essere dedicata alla ricerca della Luce, pur sapendo che
tale Luce a pochissimi è dato di trovare.
I
LA SIMBOLOGIA
Uno degli avvenimenti della mia esistenza fu la scoperta che il
senso della vita era “comprendere”. E che questa parola designava una
mutua integrazione dei due principi costituenti il pensiero: la coscienza e il
fenomeno. Ciò posto, è evidente che il punto di impatto tra questi due
principi, perché divengano intelligibili, è una riduzione a denominatore
comune, riduzione che si può designare sotto la parola di
“simbolismo” (Moise Engelson – Ginevra).
Questa definizione di uno dei fondatori dei
“Quaderni di simbologia” si riferisce evidentemente alla attività
creatrice del simbolo, che più propriamente possiamo chiamare simbolismo. Il
nostro approccio vuole partire da un passo ancora precedente, provando ad
affrontare alcuni concetti relativi alla simbologia generale o scienza dei simboli,
senza assolutamente voler pretendere di dare dei codici di decifrazione, ma
piuttosto cercando di definire i processi logici ed i postulati che tale
scienza si pone, come qualunque altra scienza.
“D’altra parte, nel campo simbolico, non
esistono codici di decifrazione generali, ma solo sistemi particolari, che
esigono essi stessi una interpretazione. Il simbolo non significa qualcosa:
esso evoca, focalizza, concentra una molteplicità di significati che non si
riducono ad uno solo, né a qualcuno solamente. Una nota di musica non ha un
senso determinato una volta per tutte, anche se è una nota determinata. Essa
dipende strettamente dal suo contesto ritmico e rituale che gli è associato.
Penetrare nel mondo dei simboli è provare a percepire delle vibrazioni
armoniche e, in qualche modo, è scoprire la musica dell’Universo” (René
Allau, “La science des Symboles”, .
Il simbolo
All’origine il simbolo è un oggetto spezzato in due
parti. Due persone sono le depositarie di ciascuna delle parti, e si tratta
sempre di due persone destinate a perdersi di vista per lungo tempo, che
desiderano creare una manifestazione fisica ed unica in un legame che le
unisce: il riavvicinamento delle parti per ricreare l’oggetto primitivo,
ricreerà automaticamente il legame, non fosse altro che per il riconoscimento
della sua esistenza. I simboli erano ancora, presso i Greci antichi, il modo
con cui i genitori potevano riconoscere i figli abbandonati. Malgrado
l’estensione che il termine ha raggiunto, a partire dal suo significato originale,
possiamo affermare che esso continua ad implicare fondamentalmente le due idee
di separazione e riunificazione che ne contraddistinsero I ‘origine.
Allegoria e simbolo
Come tutte le scienze, la Simbologia deve ammettere
delle nozioni primarie non dimostrabili, i cosiddetti postulati.
Il primo è quello dell’esistenza dell’ordine
nell’universo. In realtà tale ordine non è dimostrabile, poiché i nostri
sistemi di misura e riferimento sono meno generali e contenuti nell’oggetto da
misurare; tuttavia molte delle nostre scienze moderne ammettono tale ipotesi e
la verificano, almeno parzialmente, scoprendo le leggi.
Il secondo postulato è quello della probabilità della
analogia delle strutture tra un ordine parziale e quello totale: ciò che sta in
alto è come ciò che sta in basso. Meno facile da ammettere del precedente, non
è tuttavia smentito dall ‘osservazione della natura (basti pensare ai modelli
atomici sistemi solari).
Le funzioni del simbolo
Una prima funzione del simbolo è di ordine
“esplorativa”;. il simbolo permette infatti di cogliere ed esprimere
legami tra due termini, di cui uno è conosciuto e l’altro no, estendendo il
campo della coscienza in sfere ove la misura esatta è impossibile e ove
l’inoltrarsi comporta sempre un aspetto di avventura, di rischi e di sfida.
“Ciò che noi chiamiamo simbolo – scrive C. G.
Joung – è un termine, un nome o una immagine che, anche quando ci sono
famigliari nella vita quotidiana, possiedono tuttavia delle implicazioni che si
aggiungono al loro significato convenzionale ed evidente. Il simbolo implica
qualcosa di vago, di sconosciuto o di nascosto per noi … Quando li spirito
intraprende l’esplorazione di un simbolo, esso è condotto a delle idee che si
situano al di là dei limiti cui può giungere la nostra ragione … Ed è per il
fatto che innumerevoli cose si collocano al di là dei limiti dell’intendimento
umano, che noi utilizziamo continuamente il simbolo per rappresentare dei
concetti che non possiamo né definire, né comprendere pienamente”, pur
tuttavia simbolo presuppone sempre che l’espressione scelta designi o formuli
nel modo più perfetto possibile, certi fatti relativamente ignoti, ma la cui
esistenza è stabilita o appare necessaria”.
Punta avanzata dall’intelligenza creatrice, il pensiero
simbolico rende possibile, secondo l’espressione di Mircea Eliade “la
libera circolazione attraverso tutti i livelli del reale”.
Possiamo cioè definire una seconda funzione del
simbolo, quella di mediatore: esso getta dei ponti tra elementi separati,
collegando il cielo e la terra, la materia e lo spirito, la realtà tangibile e
quella intangibile, stati di coscienza separati da salti qualitativi.
Occorre aggiungere che tale funzione
mediatrice non è da vedersi in forma statica, ma in termini dinamici di reale
forza unificatrice.
L’uomo, diviso e disperso nei suoi momenti di uomo
lavoratore, di uomo politico, di uomo religioso, di uomo sociale, ritrova
condensata nei simboli fondamentali la globalità della sua coerenza a livello
fisico, psichico e spirituale: essi realizzano la sintesi del mondo,
mostrandone la fondamentale unità dei suoi tre piani.
Non da ultimo, la funzione mediatrice si manifesta nel
collegare, nel “religare” l’uomo, il mondo e la trascendenza,
inserendo il processo di realizzazione personale del primo in quello globale
del secondo, sottoposti ambedue alla medesima tensione verso la terza, senza
isolamento, né confusione: è grazie al simbolo che l’uomo può trovare il mezzo
di non sentirsi esfraneo all ‘universo, ma anzi di comprendere le fondamentali,
mutue, infinite inter relazioni.
Unificatore, il simbolo esercita per ciò stesso anche
una funzione pedagogica e terapeutica. Procura in effetti una sensazione se non
di costante identificazione, per lo meno di partecipazione ad una forza sovra
individuale. Collegando elementi tanto differenti, esso riesce a far sentire
all’uomo di non essere cellula isolata e perduta nel vasto insieme che lo
circonda.
Ma occorre stare bene attenti a non confondere il
simbolo con l’illusione o con il culto dell’irreale. Sotto una forma
“scientificamente inesatta”, cioè in genere, il simbolo esprime una
realtà che risponde a molteplici bisogni dell’umanità, di conoscenza, di amore,
di sicurezza. La realtà che esso esprime non è tuttavia quella espressa dal suo
aspetto esteriore e immediato, ariete, stella o spiga di grano: è qualcosa di
indefinibile, ma di profondamente sentito, come la presenza di una energia
fisica e psichica che al contempo feconda, eleva e nutrisce. Attraverso le sue
“molteplici” intuizioni, l’individuo si sperimenta apparentemente ad
un tutto che lo spaventa e lo rassicura allo stesso tempo e che, in ogni caso,
gli insegna a vivere.
Resistere ai simboli sarebbe come amputarsi una parte
di noi stessi, impoverire l’intera natura e fuggire, sotto il pretesto di
malinteso realismo, il più autentico invito ad una vita integrale (Dictionaire
des Symboles )-.
IL LAVORO DELL’APPRENDISTA
“Il simbolismo è un lato immediato della coscienza
totale – afferma Mircea Eliade – cioè dell’uomo che si scopre come tale, dell’uomo
che prende coscienza della sua posizione nell ‘universo; queste scoperte
primordiali sono legate in nodo talmente organico al suo dramma, che gli stessi
simboli determinano tutte le sue attività, da quelle del subconscio alle più
nobili
espressione della vita spirituale”.
Dobbiamo dunque attenderci due importanti caratteristiche di una via iniziata
basata sul simbolismo:
l . che la percezione del simbolo
escluda l’attitudine di semplice spettatore ed esiga una partecipazione attiva.
Il simbolo esiste solo a livello del soggetto che lo percepisce, ma è basato
sull’oggetto percepito. Attitudini e percezioni soggettiva fanno appello e
traggono fondamento da esperienze e non da concettualizzazioni. La proprietà
del simbolo è di rimanere “in definitivamente suggestivo: ciascuno vi
scorge ciò che la sua potenza visiva gli permette di vedere. Mancando la
penetrazione, nulla di profondo può essere percepito” (O. Wirth). Dunque
una via simbolica è sinonimo di una via attiva, di lavoro reale per raggiungere
dei risultati che, a loro volta, saranno sempre parziali, aprendosi nuovi
orizzonti ad ogni gradino raggiunto.
2. che il legame organico con il dramma
umano faccia si che il simbolo debba interagire con l’operatore a tutti i
livelli di manifestazione. La tradizione orientale, la Qabbalah, la stessa
tradizione cristiana (Paolina) indicano nell ‘uomo almeno tre livelli di
manifestazione. La Teosofia dei madame H. P. Blavaysky ne indica sette, perché
due dei precedenti sono divisi, l’uno (l ‘inferiore) in tre “sotto livelli”
e l’altro (il mentale) in due.
In termini semplificati, questi tre (più
uno, il corpo fisico) livelli sono:
I il
psicofisico, cioè il livello del corpo fisico, insieme con le componenti che
gli sono più strettamente legate: il “corpo vitale”, sede della
“!direzione tecnica”, sede degli istinti, delle passioni e dei
desideri-ripulsioni. E la triade inferiore delle Sephiroth
II. il mentale,
sede dei processi di elaborazione e di coordinamento dei dati forniti dai
sensi, i quali recepiscono i messaggi che giungono dal mondo esterno, fisico e
manifestato. Il mentale ha due aspetti, o due settori (è paragonato ad uno
specchio con due facce, una rivolta verso il “basso”, verso il mondo
sensoriale e l’altra verso “l’alto”, il mondo della trascendenza).
Corrisponde alla triade intermedia delle Sephiroth.
III. l’intelletto, dove per
“intelletto si intende quella facoltà che l’uomo ha di percepire quei
messaggi che non vengono dalla sfera dei sensi; Kant, anche se contraddetto
poi, ha classificato tra di essi “l’imperativo categorica”, ossia
l’intuizione di un codice morale, che non ha origine nel mondo fisico. B. Croce
ha parlato dell ‘arte come “intuizione lirica”, affermando che certe
visioni dell ‘artista non provengono dall ‘esperienza dei sensi.
Per esempio, nei “Dàrshana” indiani emergono tre
punti di vista, che per un europeo sarebbero totalmente contraddittori o
mutualmente escludentisi: il materialismo, il dualismo materia-spirito, e il
non-dualismo, per il quale la sola realtà è lo spirito. Ebbene, anzitutto l’intelletto
indiano non li vede come “sistemi” esclusivistici, ma li chiama
“punti di vista”, “dàrshana”, e li ammette per validi tutti
e tre. Ad un certo livello, quello dei nostri contatti con il mondo fisico, il
primo “dàrshana” è perfettamente valido; quello che conta sono le
leggi fisiche e null’altro. Ma, per intanto, si vede subito che c’è un altro
livello; quello delle scelte “etiche”; l’uomo vede che si deve
rispettare una certa scala di valori; ecco un caso nel quale, accanto o sopra il
mondo fisico, c’è una normativa, una legge – il “Dharma” – che è poi
quella che ci viene insegnata durante l’iniziazione al primo grado, che
“controlla” questo insieme di cose e di azioni che sono spesso comuni
all’uomo e agli animali, e, per un certo settore, anche alle piante. A questo
livello si constata la presenza della “dualità” Spirito-Materia.
Coloro che si dedicano all’indagine spirituale approfondita
possono sperimentare un terzo livello, nel quale si ha la completa percezione
del Tutto, Unico, nel quale l’osservatore, l’osservazione e l’oggetto della
osservazione diventano una Unità sola ed universale. Questo, che dovrebbe
corrispondere al livello di Maestro Muratore, è il livello dell’esperienza
dell’Assoluto, che comprende tutto e trascende.
IL LAVORO DELL’APPRENDISTA SUL PIANO FISICO
Sul piano fisico ciò che l’Apprendista deve fare è
mirabilmente rappresentato dalla 14A carta dei Tarocchi, la
“temperanza”: una giovane donna travasa il contenuto di un recipiente
d’argento in un altro d’oro, simbolo di una forma più perfetta, cioè di un
veicolo meglio condizionato. Veicolo che deve essere sempre meglio
padroneggiato, tramite varie forme e modalità di controllo, in maniera di
essere sempre più rispondente al morso della volontà.
Alla realizzazione effettiva del lavoro di Apprendista, che è
il primo lavoro del Massone, il rituale offre un aiuto ed una via.
Il lavoro compiuto su noi stessi e
realizzato nel Tempio, deve essere portato e continuato al di fuori nel mondo
profano, altrimenti tutto si ridurrebbe a una riunione settimanale di qualche
ora, invece di essere un punto di partenza e di sostegno.
Con al realizzazione scrupolosa del rituale, I ‘Iniziato che
entra nel Tempio lascia fuori dalla porta le proprie preoccupazioni, siede
immobile, rilassato, nella posizione del “faraone”, eliminando ogni
movimento fisico istintivo, cominciando quindi a sottomettere il corpo alla
volontà, con una disciplina simile a quella delle posizioni nella pratica dello
Yoga.
Un altro elemento che caratterizza il rituale
dell’Apprendista è il silenzio. Questa disciplina è stata praticata da varie
scuole iniziatiche, tra le quali la più nota è la scuola di Pitagora.
Si parte anche qui da un dominio da realizzare sul
piano fisico, per poi indirizzarlo verso un ulteriore progresso. L’ Apprendista
deve riuscire a dominare l’istintività del fisico e del mentale inferiore,
soprattutto quando è in disaccordo con le affermazioni di colui che incide la
tavola.
Fatta tacere ogni
emotività personale, l ‘ Apprendista deve controbilanciare la diminuita
attività esterna e ciò è possibile, sviluppando in sé un’attività interiore,
realizzando una ricettività attiva verso tutto quanto scorra nella catena
costituitasi nella Loggia in un piano di vita più elevato.
La vita vera, quella costruttiva, è fatta di silenzio, in
modo che il pensiero penetri nella profondità e venga illuminato dall ‘intuizione.
Un altro riferimento può essere fatto con il cammino dello
Yoga, almeno per quello che riguarda la prima parte. La prima operazione che
deve fare il praticante (il “Sadhaka”) è la
“purificazione”, ossia la messa in atto, come modo di essere in ogni
momento della vita, dei “divieti” (Yama) e dei “precetti”
(Niyama). Il praticante diventa un uomo nuovo e i valori non sono più quelli
del profano. Il primo e il più importante è la non-violenza (Ashima);
astensione dalla violenza fisica, verbale e mentale verso chiunque, persone,
esseri viventi e cose inanimate, e neppure contro se stesso.
E evidente che I ‘Iniziazione Massonica tende a fare
dell’Apprendista un Uomo Nuovo e che, prima di agire sul livello mentale, ed in
pratica attuazione di ciò che percepisce la mente, si deve operare sul piano
fisico e su quelli ad esso più vicini: appetiti, istinti e passioni.
Cioè sul piano etico, sempre facendo intendere – come dice il
Fratello Ward – che l’etica non è fine a se stessa, ma prepara I ‘uomo a raggiungere
stati superiori dell ‘essere.
Pare quindi che l’affermazione per la quale l’Apprendista
impara anzitutto a sgrossare la pietra grezza, cioè a perfezionare la sua
condizione umana, eliminando tutte le irregolarità del suo carattere,
corrisponda a quello che nello Yoga è la fase delle purificazioni e che nella
Tradizione Indiana corrisponde alla fase di “brahmaciawa”. Si noti
che in questa fase il discente pratica “la sgrossatura” a livello
comportamentistico, ma, a livello mentale, prende conoscenza della dottrina
tradizionale e quindi ha già una visione del lavoro che lo attende nelle fasi
successive della sua evoluzione … se evoluzione ci sarà.
IL LAVORO VERSO L’ESTERNO
Il travaglio del Gabinetto di Riflessione, la sala dei passi
perduti, il Tempio, la prova dell’iniziazione: è il viaggio essenziale che il
profano deve percorrere per fare scaturire nel proprio animo, se porta in sé
gli elementi necessari, la scintilla che lo porterà a conoscere la forza reale
della dimensione massonica. Se il neofita, attraverso quella conoscenza, avrà
raggiunto il dominio sulle passioni, sui sentimenti, sui fanatismi, sui
pregiudizi, sugli scontri ideologici, è chiamato al compito glorioso, ma
talvolta difficile, di costruttore sociale.
Il Fratello in Loggia ha udito sovente le parole
fratellanza, uguaglianza, tolleranza, obiettività, libertà, verità; ne ha
discusso con i Fratelli, ha affinato con l’insegnamento massonico i propri
sentimenti, la propria educazione morale e civica; l’insegnamento massonico
ricevuto lo ha portato a distinguere ciò che bisogna distruggere e ciò che
invece bisogna ricostruire.
Questo insegnamento non può rimanere fine a
se stesso.
Nella vita profana di ogni giorno il Massone è circondato
da persone di chiusi orizzonti, settari, che professano la distruzione di tutte
le forme. Il Fratello deve avere la forza d’animo di nuotare contro corrente,
di scostarsi dall’atteggiamento conformistico, non già per individualistica
presunzione, per fanatica rigidezza di principi, ma in nome dell’etica, della
responsabilità, della libertà umana.
Nella vita di ogni giorno occorre orientare, documentare,
educare, con interventi privi di passionalità, com’è consuetudine dei Liberi
Muratori, l’opinione pubblica su situazioni e problemi particolari o generali,
tenendone ben presenti gli aspetti morali e sociali; far notare le situazioni
del mondo d’oggi, sensibilizzare le persone con le quali si discute, praticando
la tolleranza che è la base della concordia tra gli uomini, discutere con
intelligente obiettività, convincere gli interlocutori ai quali, comportandosi
con identica tolleranza, permetterà di raggiungere soluzioni, anche in
situazioni che a prima vista possono apparire insolubili.
Non è un lavoro
facile, ma se il Fratello durante la giornata profana fa mente locale,
ricordandosi di essere un Massone, di aver ricevuto un’iniziazione, questo
pensiero gli sarà d’aiuto, trattenendolo dal tracciare facili critiche e
affrettati giudizi, impedendogli di comportarsi da profano, ma ottenendogli il
rispetto dell’interlocutore, in modo che no si smarrisca nei sentimenti
passivi, nella paura, nei facili, allettanti svaghi di massa, ma giunga con il
pensiero e con I ‘azione ad un comportamento libero, personale, responsabile.
Pertanto il Massone, che più di ogni altro è portato a
valorizzare i rapporti umani, onde edificare una società nuova, fondata su basi
umane, sull’integrazione di tutti i membri, sul riconoscimento della dignità e
libertà dei singoli, deve adoperarsi affinché il trinomio “Libertà Uguaglianza,
Fratellanza” si realizzi non solo nelle Logge, ma nel mondo esterno.
E pure nostro compito primo diffondere ovunque un po’ di
quella luce che abbiamo ricevuto, cercare nella società profana quelle
intelligenze libere da pregiudizi, i cuori elevati, gli spiriti avventurosi
che, vincendo gli ostacoli di una vita facile, cercano una nuova vita e possono
essere elementi potenziali per la diffusione delle idee massoniche.
Si deve fare in modo che la catena universale costituita
dalla Massoneria aumenti suoi anelli, per dare all’umanità, ogni giomo, un po’
più di luce, un po’ più di benessere e di ragione.
Così facendo, forse un giorno il verbo di fratellanza e di
amore troverà la sua completa realizzazione.
IL LAVORO DELL ‘ APPRENDISTA: ASPETTI
MORALI
Con l’iniziazione un profano muore e nasce un Apprendista
Libero Muratore. Nel corso del Rito al profano viene rivolta una domanda su ciò
che sa dell’Istituzione ed egli risponde, ritualmente, di non conoscere nulla.
Anche se suggerita e rituale, questa risposta è sempre, assolutamente sincere;
niente, tra quanto ha vissuto fino a quel giorno nel mondo profano, o ha letto,
o gli è stato detto, o ha dedotto, lo ha preparato a vivere l’esperienza del
lavoro in Loggia ad Iniziazione avvenuta.
Il distacco dal mondo, come lo conosceva in precedenza, ne
sia egli più o meno cosciente, è totale. Il suo ingresso nell’istituzione è
avvenuto secondo le modalità della morte: sepolto nella terra, è stato poi
purificato da elementi via via più sottili, fino a che il suo spirito, libero
da vincoli materiali, è stato portato a ricevere in forma anche esteriormente
sensibile, con le tre spade del Maestro e dei Sorveglianti, quella
“sostanza” che fa di lui un uomo diverso.
In questo momento ha iniziato il suo vero lavoro, per la cui
esecuzione gli sono state impartite istruzioni rituali e suggerimenti ed è
stato avvertito che in ogni momento potrà attendersi il totale appoggio dei
Fratelli, che in cambio lo attenderanno da lui.
Il significato di quanto è stato detto, dei simboli che
lo attendono e di tutti i dettagli del Rito per il quale è passato non gli è
sicuramente chiaro; per quest’ultimo, in particolare, l’occasione di
comprendere appieno ciò che ha vissuto gli sarà data non tanto dall ‘esperienza
immediata o dalla memoria, ma dal rivivere e rimeditare lo stesso Rito, ogni
volta che, lui presente, un nuovo anello verrà ad aggiungersi alla Catena
iniziatica di cui ora fa parte.
Conviene però che, con l’approfondimento dei significati, che
costituiscono una buona parte della sostanza del suo lavoro, egli proceda con
ordine. E stato ammesso nell ‘Istituzione sulla base di alcuni presupposti e di
una dichiarazione, che costituisce un impegno.
L’impegno è quello della ricerca della Luce, motivo
unico che deve averlo spinto e che ogni volta in Loggia il Primo Sorvegliante
gli ricorda: con i Fratelli deve “costruire Templi alla virtù, scavare
oscure e profonde prigioni al vizio” e ciò “per il bene e il
progresso dell ‘Umanità”.
I presupposti, senza i quali non sarebbe stato considerato degno
di essere messo alla prova in questo compito, sono che egli sia risultato
“uomo libero e di buoni costumi” e inoltre “sia in grado di
assumere i pesi derivanti dall ‘appartenenza alla Istituzione”.
In tutto ciò sono
bene evidenti aspetti morali. Ma c’è da chiedersi in quale modo tutte queste
cose vadano intese: se infatti il passaggio dal mondo profano a quello
iniziatico, sia col simbolo della morte, che con la risposta “Nulla”
costituisce un vero e proprio salto qualitativo, in particolare ogni modo di
intendere i criteri morali nel mondo profano deve essere, come minimo, rimesso
in discussione.
Come ulteriore stimolo in questa direzione, l’Apprendista ha
costantemente sotto gli occhi, nella sua vita di Loggia, il pavimento a scacchi
bianchi e neri, attorno al quale deve circolare ogni volta che entra ed esce
dal Tempio. La più immediata interpretazione di questo simbolo può essere
quella del distacco, a lavori aperti, dal movimento che hanno le forze
contrapposte nel mondo profano; in particolare, per scendere al nocciolo delle
cose, dallo stesso senso che colà possono avere il bene ed il male.
Si è cioè chiamati ad apprendere l’arte della
Discriminazione: a saper distinguere tra i sistemi di valori contingenti e
limitati, generalmente convenzioni di validità circoscritta nel tempo e nello
spazio, aventi per fine la regolazione della convivenza sociale, allo scopo di
prendere coscienza di un “altro” sistema di valori, cui ha fatto
cenno il Maestro Venerabile sempre nel corso dell’iniziazione.
L’Apprendista deve cosi avere coscienza della necessità di
demolire ulteriormente ogni criterio che ha assimilato nel mondo profano e che
sia sopravvissuto al passaggio per I ‘Iniziazione.
Questo lavoro è estremamente arduo:
può infatti facilmente trasmutarsi in una visione delle cose che è
semplicemente cinica e spregiudicata; ossia di comodo e capace di giustificare
ogni debolezza e cedimento.
Se avviene così, nulla di male per un ordine di cose più
ampio, ma molto di male per colui che in questo modo ha mostrato che, almeno
questa volta, non ha saputo superare nemmeno la prima prova del suo cammino
iniziatico.
La “demolizione” ha cioè senso soltanto se prepara
la strada ad una ancora più solida “ricostruzione”. Quella
“saldezza morale” che, provenendo dal mondo profano, l’Apprendista ha
visto nella sua vera luce di “guscio vuoto” o
“condizionamento” deve essere il frutto di una amara e sofferta
riconquista.
Su questa strada non trova direttive rigide: quella
“morale universale ed eterna” di cui gli è stato detto non può (come
è di tutto il resto dell’insegnamento muratorio) venire codificata e comunicata
in forma razionale, che la costringerebbe di nuovo nelle “camicie di
forza” inevitabili per le espressioni del mondo profano.
Per questo gli si dice che la squadratura della pietra
grezza (della sua pietra grezza) può avvenire solo nel Tempio, col contatto
continuo con i Fratelli (e di qui l’assiduità ai lavori), con contatto con i
simboli, con l’umiltà e la perseveranza (e di qui il silenzio e l’immobilità,
vissuti come esperienze interiori, e non come costrizioni, assurde in quanto
tali).
E così, e soltanto così, che alla chiusura dei lavori potrà
“manifestamente attestare” la sua soddisfazione per gli stessi,
mettendo a frutto l’opportunità che gli è stata data e, in definitiva,
lavorando.
IL LAVORO ESOTERICO DELL’APPRENDISTA
Il profano è stato iniziato al grado di
Apprendista.
È detto che l’Apprendista rappresenta l’età giovane
dell’uomo: egli sosta alla porta del Tempio ed è al confine tra la realtà profana
apparente, appena lasciata alle spalle, e la presa di coscienza con i simboli
che sono il supporto della meditazione, di quel ‘atto cioè che pone in stato di
ricerca interiore, per conseguire conoscenza di ciò che i simboli
rappresentano.
Ha il conforto dei Fratelli che gli sono
accanto con la loro spiritualità.
Da profano è
diventato pietra attraverso l’attestazione (testamentum) resa nel Gabinetto di
Riflessione.
Umilmente e in silenzio persegue il simbolismo sino al
punto di “riconoscere la scrittura che fa apprendere a leggere”, e
abituarsi a comprendere che cosa il martello impugnato nella mano destra e lo
scalpello nella mano sinistra significhino nella proiezione interiore di quei
due simboli, e penetrarvi fino quasi ad una identificazione di volontà e di
forza.
Guardarsi intorno e rendersi conto della volta del Tempio
che è il cielo e che il Tempio è sacro, poiché sovrasta in esso il e perciò ogni movimento non è più una parte
cerimoniale (che è pratica del profano), ma di un rituale proprio perché dà
regole e misure nel Tempio nel quale è allocata e riconosciuta la sacralità.
Stare in ascolto, seduto ed eretto, con
gli occhi all ‘infinito nella posizione del “faraone”, con i piedi
allineati sul pavimento a scacchi, alternando la propria attenzione mentale al
bianco e al nero. Meditare sulla collocazione della Loggia, orientata verso la
sorgente della Luce, ad Oriente, nei due assi verticale (del sole) e
orizzontale (equatore) e sapere che quello è il punto unico e noto nel quale
con gli altri Fratelli apprende l’arte del pensiero, poiché, come Apprendista,
ha tutto da apprendere. Cosi sentirsi in quella camera di concentrazione
massima, come dice it Wirth, e operare in se stesso in questo “uovo”
che è la Loggia e sentire “sé” in sviluppo e gestazione.
Compiere i gesti, le parole scandite, esprimenti modi di
realizzazione della volontà. Elevarsi giorno per giorno, quindi distanziarsi
dalla materialità, secondo l’avvertimento della pericolosità dei metalli, se
operanti la loro suggestione.
Trovare il giusto modo di ispirarsi alla
Saggezza, all Forza e alla Bellezza.
Sapere che dopo la prova della terra, avvenuta
nell’isolamento della camera di meditazione, egli è morto e quindi ritornato
alla terra, iniziando sé ad una vita superiore attraverso la purificazione
delle tre prove rimanenti e che a quel momento egli ha collocato la prima
pietra alla edificazione del tempio interiore del quale, per il suo grado, egli
provvede allo zoccolo. Approfittando del rituale espresso dalle Luci, non ottundersi
mai, debole alla sonnolenza mentale; in una parola egli deve
“vegliare”.
Così nei componenti di una realtà non diversamente
esprimibile se non attraverso i simboli, proiettata nei suoi significati nel
proprio essere interiore, con il supporto dei medesimi, confortato della
fratellanza spirituale di tutti, attraverso anche la significanza esteriore del
rituale (che è l’exoterismo) ricordare ciò che è detto dell’Apocalisse: “A
colui che vincerà io donerò una pietra bianca sulla quale è scritto il Suo
Nuovo Nome che nessuno conosce se non quello che lo riceve”.
Cosi inizia il cammino di accesso dell ‘arte rituale che
gli permetterà di leggere e di scrivere il linguaggio iniziatico.
L’APPRENDISTA E L’ISTRUZIONE MASSONICA
Un Apprendista si trova tra i suoi vari compiti, anche
quello di apprendere, come dice il suo appellativo. Ma apprendere che cosa?
In ogni caso, tutto ciò che egli dovrà apprendere può
benissimo andare sotto l’etichetta di istruzione massonica.
L’istruzione massonica, che non deve essere confusa con la
cultura massonica (la cultura la può benissimo avere chiunque, anche profano,
che abbia voglia di leggere i circa 4.000 libri che sono stati scritti sulla
Massoneria; un buon esempio di ciò è padre Esposito), può essere identificata
in queste tre fasi:
l) Quella impartita al neofita la sera
stessa dell’iniziazione. Essa, data dal Maestro Terribile (0 1 0 Esperto)
e dallo stesso Maestro Venerabile in base al rituale, fornisce tutta una serie
di norme di comportamento, essenziali per la vita intera del Fratello Libero
Muratore.
Quella impartita dall’intera Loggia
nei suoi lavori rituali, anche senza avere ciò come scopo precipuo. In fatti il
Fratello Apprendista dovrà uniformarsi a certi comportamenti e si formerà così
un “habitus mentis” che gli consentirà, quando diverrà Compagno, di
inserirsi bene nella vita attiva, di partecipazione della Loggia.
Quella
che gli verrà impartita direttamente dal Maestro Venerabile, dall ‘Oratore e
soprattutto dal 2 0 Sorvegliante in tomate specifiche o comunque in
riunioni indette con questo scopo preciso.
A questi, che sono concetti di massima, vediamo che cosa si
può aggiungere, senza andare ad interferire nell ‘organizzazione di ogni
singola Loggia.
L’istruzione deve essere data, sempre in linea di principio,
dal 20 Sorvegliante, in quanto è lui che sovrintende la Colonna
degli Apprendisti. Egli si deve preoccupare affinché tutto si svolga in maniera
tale che, al termine del periodo di apprendistato, il Fratello Apprendista sia
pronto a passare di grado. Quindi presenze (fisiche e psichiche) e
apprendimento.
L’apprendimento deve essere cioè sovente saggiato, in modo da
poter sapere se tutto procede per il meglio, anche nella considerazione che,
non potendo l’ Apprendista parlare in Tempio, ma dovendo parlare per lui il 2 0
Sorvegliante, questi deve conoscere il pensiero di ogni Apprendista.
L’insegnamento deve essere dato nel pieno rispetto delle
opinioni di ogni Fratello. Non deve cioè essere un indottrinamento, ma
piuttosto un preparare la mente e il cuore ad affrontare temi vecchi con
mentalità nuova.
L’istruzione è un dovere del Fratello Libero Muratore. E un
dovere che egli ha verso se stesso, per quanto ha dichiarato all’atto della sua
ammissione: è un dovere verso gli altri Fratelli che lo hanno accettato in
Catena d’ Unione e che quindi si aspettano da lui quanto è nelle sue capacità;
è un dovere infine verso il G:.A:.D :. U :. , poiché io credo che sia giusto
“cercare” di capire di più.
Non ritengo, per contro, che si possa parlare di diritto
all’Istruzione. In Massoneria il termine “diritto”, concepito nella
sua accezione normale (profana) non deve trovare posto.
Da noi, tutto deve essere dato (o ricevuto) con amore, per
solidarietà, per dovere, per poter procedere e far procedere sulla via
dell’Illuminazione, ma mai per un diritto. Infine I ‘istruzione più importante:
l) quella offerta dai simboli preposti
a tutti i Fratelli in Tempio. Ognuno fin dalla sera dell ‘iniziazione, deve
cercare di comprenderli.
2) quella offerta dalla regola del
silenzio, obbligatorio per tutto il periodo di apprendistato. Questo è, a parer
mio, il più importante e, così come per il segreto massonico, non può essere
spiegato, deve essere capito. Solo vivendolo e meditandoci sopra, se ne può
intuire la bellezza.
L’istruzione si differenzia, a prima vista, da tutto ciò
che è richiesto all ‘Apprendista, poiché richiede un impegno attivo, di fare,
mentre, per il resto, è un impegno identificabile in senso passivo.
L’Apprendista ha, in ogni caso, la possibilità di rivivere
l’insegnamento dei quattro viaggi propostogli nella sera dell’iniziazione, già
sufficienti di per sé ad un’auto istruzione di grossa efficacia.
Un ulteriore suddivisione può essere costituita
dall’apprendimento compiuto nell’ambito dell’Officina (sia a lavori aperti che
no), con quello fatto per proprio conto, riproponendosi fatti, parole e
immagini viste e udite nelle riunione. Se manca uno di questi aspetti,
inevitabilmente l’apprendimento è incompleto.
1 NEMICI SULLA STRADA INIZIATICA
Un proverbio cita: “La strada dell’inferno è lastricata
di buone intenzioni”. Senza tema di apostasia, si può parafrasare il detto
succitato come segue: “La strada iniziatica è pure lei lastricata di buone
intenzioni”.
Se ne può dedurre
che con ogni probabilità le buone intenzioni sono il coacervo dei nemici
iniziatici. Perché? Perché purtroppo sono, malauguratamente, troppo sovente
l’alibi per fermarci dopo solo pochi passi di strada. Non per nulla fanno testo
le due parole che noi leggiamo nel Gabinetto di Riflessione, sulla parete di
fronte al panno nero sul quale abbiamo scritto il nostro testamento: Vigilanza
Perseveranza.
In ogni moneto della nostra non coerenza massonica nella vita
profana, ci possiamo rendere conto della mancanza di prudenza e della pigrizia
che è congenita al grave peso della parte materiale di noi. Guardiamoci ancora
attorno, sempre nello stesso Gabinetto di Riflessione.
E scritto: “Se la curiosità ti ha
condotto qui, vattene”.
Almeno in linea di principio, si dovrebbe presumere che chi ha
scelto la via iniziatica, lo abbia fatto con coscienza di causa, per cui la
leggerezza e la superficialità che sono legate a questo invito non dovrebbero
toccare l’iniziato.
Continuiamo a leggere: “Se temi di
essere scoperto dei tuoi difetti, ti troverai male con noi”.
“Se la tua anima ha scelto lo spavento
non andare oltre”.
In queste due frasi si cela uno dei grossi
nemici della via che abbiano scelto: la paura.
La paura di se stessi, la paura dell’inconscio, cioè di
quello che, continuando a percorrere la stessa strada, dovrebbe, a poco a poco,
divenire conscio, la paura delle cose più grandi di noi. E il microcosmo che
lotta invano il macrocosmo per poterlo raggiungere e per poterlo compenetrare.
Sovente la paura di conoscere, la paura dei nostri
limiti, che prose in realtà non esistono. Ci costruiamo noi stessi delle
barriere, legate a pregiudizi, a conformismi, ad abitudini che diventano parte
integrante di noi, pietre grezze, che solo con fatica riusciamo a scalpellare.
“Se sei capace di dissimulare, trema,
sarai scoperto”.
L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri è il
freno alla ricerca di cosa siamo. “Conosci te stesso” ci hanno
insegnato gli antichi filosofi; aggiungerei “senza paura e senza
ipocrisia”. L’equilibrata valutazione di noi stessi, la presa di coscienza
che non vegetiamo solamente, ma che esistiamo, è la base per iniziare a salire
la lunga e difficile scala che ci conduce alla Luce.
L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri. La
difficile via della verità non si confà alla vita profana, che ci obbliga
invece a continui compromessi, alla continua prostituzione, a vari gradi, dei
nostri ideali, in favore dei nostri interessi materiali.
Solo se avremo il coraggio di scalpellare, senza pietismi, le
asperità, le rugosità, le impurezze della nostra pietra grezza, ci metteremo
nelle condizioni di ricevere e recepire il Verbo.
“Se tieni alle distinzioni umane, qui
non se ne conoscono”.
C’è un modo di dire che può mettere in
evidenza il pericolo insito nelle distinzioni.
“Siamo tutti buoni, ma io sono il migliore”. Il
rischio dei “distinguo” non è solo umano o materiale, ma anche e più
spesso morale.
La distinzione. la gara, la competizione, mettono in evidenza
in tarlo del più forte. “Io sono più forte, più veloce, più intelligente,
più potente”.
Ecco, in sintesi, il grosso nemico della
via iniziatica: “il più”! “11 più” significa potenza che si
contrappone alla mancanza di umiltà, che non consiste nella diminuzione della
nostra personalità, ma nella presa di coscienza della nostra vera personalità.
Più si salgono i gradini ascetici, più si diventa
potenti. Dipende da come usiamo questa potenza. “Così in alto, così in
basso” è indicato nelle Tavole Smeraldine. Lucifero ha scelto il basso!
Qualcun altro, un
Rabbi, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, fu condotto dal
demonio in un monte molto elevato, da dove gli furono mostrati tutti i regni
della terra, il loro splendore e la loro potenza.
Il Maligno Gli disse. “Ti darò tutte queste cose
se tu, prostrato, mi adorerai”. Allora rispose il Maestro: “Vattene,
satana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai
culto”.
Il cerchio si è chiuso con due anelli: su uno è scritto
Vigilanza, sull’altro è scritto Perseveranza.
Questa raccolta di tavole, frutto del
lavoro di alcuni Fratelli delle RR.•.LL.•. Propaganda no 14 e
Pedemontana no 696 all ‘Oriente di Torino, riunite in tornate
congiunte.
Un’immagine interna della sede massonica del Grande Oriente d’Italia nella galleria Umberto I, eccezionalmente aperta al pubblico, a Napoli, 22 aprile 2017. ANSA / CIRO FUSCO
La Massoneria torna alla ribalta in Italia
DIVISIONI E MOLTIPLICAZIONI DEI GRANDI ORIENTI
Oggi sono riapparsi sui giornali e sui muri i simboli
e le iscrizioni sibilline della fratellanza dei Franchi Muratori. La gente ci
capisce poco o nulla. Le giovani generazioni, poi, non credo abbiano della
Massoneria un’idea molto più chiara di quella che ne aveva l’illustre epurando,
Per giunta le Massonerie sembrano non essere una o due, ma tre, quattro,
cinque, e combattono fra di loro, polemizzano oscuramente: il che non
contribuisce davvero ad illuminare l’opinione pubblica. Cercheremo di farlo
noi, almeno su alcuni punti essen-
Non si può qui risalire alle origini leggendarie o
storiche della misteriosa confraternita: le quali si riallaccerebbero alla
costruzione del tempio di Gerusalemme, ad opera del Re David: ed il nome
franc-maçon, libero muratore e la terminologia (Grande Architetto
dell’Universo, loggia, balaustra, ecc.) non sarebbero altro che echi di quella colossale
opera architettonica. Un’altra tradizione a cui riferirsi sarebbe quella
pitagorica; ed anche qui militano a favore della tesi i simboli (squadra,
triangolo, valore mistico, e indicativo dei numeri) di cui i massoni fanno uso.
Ma forse è più attendibile la tesi che ci riporta a tempi più recenti ed
esattamente al medio evo e a quegli ordinamenti di costruttori edili, inglesi,
scozzesi ed anche italiani (i maestri comacini) che prosperavano come organi
corporativi e come centri d’arte e di studio. Ancora sarebbero da ricordare
l’ordine dei Templari, i Rosa Croce (associazioni più propriamente mistiche) ed
alcuni centri di studio del periodo umanistico.
Quest’ultimo riferimento ci
comincia a riportare nella storia, se è vero che si trova registrata una
“Confraternita di S. Giovanni” amne in molti elementi alla
Massoneria, in Germania nel 1440. Viceversa un’inglese “Company of Masson
of the City” esisterebbe dal 1620. A tali associazioni si iscrivevano
persone di alto rango, particolarmente inclini a studi filosofici ed umanitari.
L’avvenimento più importante ed indubitabile, da cui data la storia della
massoneria moderna, è comunque la unificazione delle sei Logge di Londra in una
sola Gran Loggia” in data 1717, il 24 giugno, giorno sacro a S. Giovanni di
Scozia.
Dall’ Inghilterra, la massoneria dilagò nel mondo. È
abbastanza noto il contributo dato dai massoni alla causa del Risorgimento, per
la quale essi lavorarono al fianco dei loro fratelli carbonari: massoni furono
Foscolo, Romagnesi, Pisacane, Rossetti, Manin, La Farina.
Nelle varie logge disperse per l’Italia
risorgimentale, si era venuto sviluppando – accanto al rito tradizionale, detto
“Rito scozzese antico ed accettato” – un rito propriamente italiano o
“Rito simbolico”. E su questa doppia ritualistica che verteranno
tutte le questioni interne della massoneria italiana, le sue polemiche, le sue
scissioni.
Già molto faticoso fu il processo di unificazione
delle varie logge, al momento dell’unificazione nazionale: la Costituente
massonica dovette riunirsi più volte e solo nel 1864 si riuscì ad unire le
diverse tendenze ed associazioni, proclamato un unico Grande Oriente, del quale
fu chiamato a Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. Rimane dissidente solo la
massoneria siciliana, che pure aveva avuto a capo fin allora proprio lo stesso
Garibaldi; solo qualche anno dopo essa aderì alla massoneria unita ed ormai
ufficiale.
Il Grande Oriente
d’Italia contribuì vivacemente, attraverso i suoi iscritti, militanti nel campo
politico, all ‘annessione di Roma all’Italia; e dopo Porta Pia, trasferì a Roma
la sua sede principale, Oggi s’usa chiamarla “Massoneria di Palmo
Giustiniani” dal nome del palazzo, sito fra il Pantheon ed il Senato, dove
il Gran Maestro Ernesto Nathan la installò il 18 aprile 1899. Precedentemente
essa aveva sede in Via del Governo Vecchio III ; ed il 20 settembre 1893 si era
trasferita nelle storiche sale di Paolo V a Palazzo Borghese.
“L’organizzazione massonica italiana – chiarisce
il Nathan – si riassume in una serie di logge od associazioni locali, sparse
nei vari centri, libere della loro azione singolare periferica, ma sotto la
direzione e il governo unificatore di un consiglio centrale, detto Grande
Oriente. I capi delle Logge, come il capo del Consiglio – denominato Gran
Maestro – e il suo supplente sono nominati con elezioni a doppio grado; gli
altri funzionari a maggioranza assoluta di voti. Nei rapporti fra i diversi
paesi, solo i Consigli centrali corrispondono fra loro e dove esiste una
massoneria regolarmente costituita un’altra Nazione non può impiantare logge
sue: così abbiamo logge di Italiani dipendenti dal Grande Oriente degli Stati
Uniti, Logge di inglesi dipendenti da noi e così via”.
La bandiera della massoneria è verde listata di rosso
con al centro la squadra ed il compasso incrociati in oro. La sigla
A.G.D.G.A.D.U. “Alla gloria del Grande Architetto dell ‘Universo”;
anche in fraicese essa corrisponde “a la gloire du Gran Architecte de l’
Universe”: ragione per cui essa è adottata universalmente e si chiama
“formula cosmopolita”. La ritualistica e la simbologia massonica sono
naturalmente tenute segretissime; comunque alcune cose i profani conoscono,
come i grembiuli di cui si cingono i fianchi alcuni gradi durante le sedute, ed
il cenno di portarsi una mano alla gola che significa ‘tratterrò nel mio petto
le parole che ne vorrebbero uscire”. Al posto del punto, scrivendo, i
massoni adoperano tre puntini disposti a triangolo, probabilmente in omaggio al
valore simbolico tradizionale del numero tre: quanto al triangolo, rientra
evidentemente nella serie dei simboli “architetturali”.
Nel 1908 avvenne quella scissione che ha diviso in due la
massoneria italiana. Essa fu originata da due fatti:
una proposta di unificazione in un unico rito
Scozzese Antico ed Accettato e del Rito Simbolico, proposta che fu respinta dal
Supremo Consiglio.
il voto dato alla Camera da alcuni deputati
militanti nella Massoneria in occasione della discussione del progetto di legge
sulla soppressione dell ‘insegnamento religioso nella scuola primaria. Tali
deputati s ‘erano manifestati non del tutto contrari a tale insegnamento,
contrastando in ciò alle vedute della Massoneria, che propugnava la
laicizzazione dell’intera vita civile, senz’altra autorità di quella libera
dell’uomo.
I dissidenti si riunirono
intorno a Saverio Fera, formando la Massoneria così detta di Piazza del Gesù,
nella quale si esercita soltanto il Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Se interrogate un massone di Piazza del Gesù, vi dirà che
solo la sua confraternita tende a mantenere intatto il carattere puramente
spirituale dell’ordine, mentre a “Palazzo Giustiniani” si fa della
politica. Per altro noi abbiamo l’impressione che da tutte due le parti se ne
faccia: solo che a Piazza del Gesù essa è politica conservatrice, mentre a Palazzo
Giustiniani si tratta di politica democratica, repubblicana e progressista,
Non è senza significato che a tale massoneria abbiano
appartenuto quasi tutti i principali rappresentanti dei partiti repubblicano e
radicale; da Bovio a Carducci, da Rapisardi a Barzilai.
Le due massonerie continuano a convivere, avversarie
spesso pacifiche, fin all’avvento del fascismo, Piazza del Gesù ottenne
riconoscimenti stranieri; ma non ne mancarono neanche a Palazzo Giustiniani.
Curioso è il caso degli Stati Uniti, dove il Grande Oriente di Wasington
riconobbe soltanto la Massoneria di Piazza del Gesù, in quanto professante il
“Rito Scozzese Antico ed Accettato” mentre la loggia di New-York non
volle riconoscere altro che la loggia tradizionale di “Palazzo Giustiniani”,
giudicando irregolare il modo in cui gli altri fratelli se ne erano
allontanati.
Affacciatosi alla ribalta Mussolini, a Palazzo Giustiniani
l’opposizione fu subito recisa ed inesorabile. A Piazza del Gesù viceversa il
Gran Maestro Raul Vittore Palermi, fece una manovra di accostamento; riuscì,
pare, ad attrarre nella loggia alcuni gerarchi, fra cui Balbo, Rossoni,
Farinacci; e nel 1924 fece un formale atto di adesione e fedeltà al fascismo, a
nome di tutti i fratelli.
Ma Mussolini, che aveva nell’animo, quell’infantile
terrore di cui si parlava, e che della massoneria era antico avversario (al
congresso socialista di Reggio Emilia era stato lui a proclamare I
‘incompatibilità del marxismo con le dottrine massoniche) non volle saperne e
nel 1926 sciolse ambedue gli ordini. Il Palermi però rimase sempre ben accetto
al fascismo ed indisturbato, tanto da ottenere una sinecura al Ministero delle
Comunicazioni e, sembra, anche alcuni incarichi all’estero.
Qualunque
rappresentante di qualunque massoneria interroghiate, vi dirà che, – tranne
sporadici incontri di persone – di vera e propria attività massonica, nel
ventennio fascista non è il caso di parlare. Tutti i fratelli – come si dice in
gergo – caddero in sonno”. Il risveglio avvenne poco prima del 25 luglio,
quando Domenico Maiocco, già “33” a Palazzo Giustiniani, poi esule in
Francia, raccolse alcuni militanti di alcune logge tradizionali e costituì una
massoneria così detta umificata”
della quale off il grado di Gran Maestro al Palermi. Ma quest’ultimo ebbe paura
delle ire dittatoriali e delle orecchie finissime dell’OVRA e declinò
l’incarico, “girandolo” al Maiocco stesso.
Dopo l’ 8 settembre tornò a costituirsi ufficialmente
la massoneria di Palazzo Giustiniani, rinviando a dopo la liberazione dell ‘intera
Italia la nomina del Gran Maestro, e nominando una specie di consiglio di
reggenza, formato da Cipollone, Lai, Guastalla.
Piazza del Gesù aveva fatto altrettanto già dal
periodo badogliano, richiamando in carica il Palermi. Il quale, però, venuti i Tedeschi,
preso da un altro impulso…di coraggio, diede le dimissioni ed affidò la
carica di Gran Maestro al suo luogotenente De Cantellis, in data 4 dicembre
1943.
Ma alcuni “fratelli” non approvarono
l’operato del De Cantellis, e decisero di seguire l’esempio di Palazzo
Giustiniani, nominando un triunvirato di reggenza. Il De Cantellis (che fra
l’altro è un gran decorato della grande Guerra ed ha un bel passato di attività
benefiche nel campo sociale) trascinò con se un buon numero di adepti.
Nel frattempo il Maiocco si riavvicinò a Palazzo
Giustiniani, dove però pretese di essere nominato Gran gli fu risposto che
aspettasse la liberazione d’Italia, dopo di che avrebbe avuto anch’egli, come
tutti gli altri fratelli, le sue probabilità di essere eletto. Al che il
Maiocco replicò adducendo un’investitura ricevuta in una loggia di Parigi. Ma,
dati
i principi che regolano la rete massonica
internazionale, e a cui si riferisce la citazione di Nathan di cui abbiamo
parlato più sopra, tale investitura non ha nessun valore (è come se un Deputato
della Camera dei Comuni pretendesse dei essere Deputato anche della Camera
Italiana). Così il Maiocco (meglio primo in Gallia che secondo a Roma), si
allontanò di nuovo e tenne per se la massoneria unificata di sua creazione,
quella stessa che oggi si trova mescolata all’affare Salvarezza-Gobbo del Quarticciolo,
chi dice per la sede (Sita, com’è noto, a Via Fornovo, nel Palazzo, ormai
famosissimo, dell’ex G.I.L.) chi dice per altri e più oscuri motivi.
Il 4 giugno,
degli Alleati, il triunvirato, della diciamo così “Piazza del Gesù,
bis” nuovamente la carica suprema al
Palermi, sperando nei benefici effetti di una sua pretesa autorità internazionale
e specie nel mondo anglosassone (a noi consterebbe però che egli sia stato
radiato dal Grandi Oriente di Wasington per il suo filofascismo). Nacque così
1a massoneria di Via della Mercede; nella quale, però il 10 ottobre 1944 si
verificarono nuove del Palermi, sostituito da Gustavo Scevrini, un odontoiatra
di Napoli. E tutto sarebbe finito qui, se il Palermi (il cui comportamento, sia
pure giustificato, dall ‘età senile, appare per lo meno bizzarro) il 20
dicembre non avesse fatto, seguito da alcuni ex fascisti di Bari e da altri
energumeni, un atto di forza, irrompendo nella loggia di Via della Mercede e
mettendone alla porta i suoi designati successori.
La morale è che abbiamo oggi a Roma la bellezza di
cinque Massonerie; Palazzo Giustiniani senza Gran Maestro; Piazza del Gesù con
De Catellis; Piazza del Gesù bis con Scevrini; Via della Mercede con Palermi;
Vla Fornovo con Maiocco.
Tutta questa ridda di particolarismi e di arrivismi
non fa certo bene alla veneranda istituzione, anzi conferma nell’opinione
pubblica la sensazione, fomentata da vent’anni di propaganda fascista, che la
massoneria non sia altro che un’associazione di mutuo soccorso politico e
materiale, un colossale imbroglio per i gonzi al servizio delle ambizioni di
pochi.
Se tuttavia le “massonerie serie”, cioè non
inquinate da queste deviazioni personalistiche, vorranno agire come per il
passato ed influire sugli avvenimenti italiani, quali probabilmente di credito
e di successo hanno?
Si può considerare ancora attuale la
massoneria, insomma?
La massoneria, considerata nel suo contenuto
filosofico, altro non è, ci sembra, che schietto “illuminismo”: essa
risente di quell ‘entusiasmo per la divinità dell’uomo e della ragione, per la
scienza intesa a soppiantare ogni fede, per l’umanità come indefinito
progresso, che fece dell ‘ illuminismo un preromanticismo, generando le così
dette “società di anime belle”. L’uomo moderno è viceversa portato a
creder poco nel progresso, a pensare che la scienza non sia altro che strumento
di distribuzione e che il potenziamento dell’individuo altro non sia che
volontà di potenza e dunque egoismo piuttosto che dedizione alla causa
dell’umanità. L’uomo moderno è portato a pensare che il male non si vinca con
uno slancio romantico dell’anima, ma piuttosto con le leggi, con l’autorità,
con la costrizione; e che alla fine di questo stato di cose generi un rapporto
duro e violento tra una massa informe ed un’elite politica.
Tuttavia è indubitato che quest’uomo così scettico,
più fiducioso negli istinti che negli ideali, abbisogni una fede; ed ecco che
il ad esempio, lo richiama proprio ad un’idea del progresso civile e del bene
comune; ed ecco che i più avvertiti pensatori denunciano nell’irrazionalismo il
male del mondo moderno.
Per queste vie
potremo ritrovare sulla strada anche la massoneria, la quale appunto si fonda
sui criteri di progresso e ragione. Ma soprattutto la ritroveremo sul terreno
politico; perché proprio in questo lo scettico uomo di cui stiamo parlando ha
ragione da vendere; nel ritenere che nessuna ideologia abbia valore
determinante se non si converte in una forza sociale.
Da questo punto di vista è probabile che la
massoneria di Palazzo Giustiniani sia la più pronta e vivace a venire incontro
alle esigenze attuali. Il suo neo-illuminismo (di un neo-illuminismo oggi si
vocifera da molti) lo ha posto, sempre, in Italia fianco delle sinistre;
repubblicani, radicali, socialisti e riformisti l’hanno nutrito di capi e di
gregari; una dichiarazione di Domizio Torrigiani, I ‘ultimo Gran Maestro (a cui
avrebbe dovuto seguire Placido Martini, fucilato alle Fosse Ardeatine) che
risale al 1920, si dichiara aperta a qualunque elevazione del lavoro, anche al
comunismo, purché avvenga sul piano della libertà, Questo equilibrio di libertà
e giustizia potrebbe condurre la linea politica di questa Massoneria su un
piano affine a quello, per intenderci, del Partito d’Azione, o al socialismo di
Saragat. L’importante è che i vecchi uomini non si isteriliscano nelle
posizioni di un mauinianismo e radicalismo superato.
D’altra parte le varie massonerie provenienti da
Piazza del Gesù faranno più volentieri il gioco della reazione, Ecco dunque
trasferita sul piano della lotta per la Costituente la tradizionale antitesi
massonica. Monarchia e Repubblica, malgrado la dichiarata apoliticità dell
‘ordine, diventeranno domani anche per esso i termini della battaglia.
Ma quale peso effettivo potrà avere questa “forza
oscura”? Essa conta fra gli anziani molti aderenti, e si dice che a Palazzo
Giustiniani vi siano due Ministri del Governo attuale, di cui uno Capo-Partito.
Ma la vitalità di un movimento è soprattutto nella sua possibilità di fare
nuove leve. Aderiranno i giovani?
I giovani d’oggi non sembrano molto disposti al
mistero. Ed ecco il primo degli elementi che possono rendere inattuale la
massoneria ai loro occhi.
Circa il segreto massonico, dichiarava il Nathan:
“La istituzione aspira alla sua abolizione, ma condizione indispensabile è
la reciprocità. Fin quando la Compagnia del Gesù ed altre congreghe siffatte
ordiscono le loro trame al buio, non siamo molto disposti a pubblicare elenchi
a loro totale beneficio e a nostro danno”. Va bene, ma la disincantata
gioventù del 1945, tra cui è già difficile trovare una disposizione alla
“Società di anime belle” tratterrà poi il riso di fronte all
‘armamentario simbolico di cui il segreto s’ ammanta?
Nella citazione
del Nathan echeggia poi un’altra delle direttive massoniche che oggi possono
sembrare inattuali: I ‘anticlericalismo. Ma è questo un punto che crediamo, i
massoni non possono rivedere senza svuotare d’ogni contenuto la loro ideologia.
Né è a dire che fra mondo laico e mondo ecclesiastico non sia più desiderabile
una tregua, ed un reciproco rispetto, che una rispettiva ingerenza: ad una tregua
così intesa, forse i massoni potrebbero arrivare. Certo che ha destato in tutti
loro la dichiarazione di morte decretata per l’anticlericalismo recentemente
dal Palermi.
La Massoneria non può fare a meno di svolgere azione
politica. D’altra parte non può rinunziare alla sua struttura segreta,
altrimenti diventerebbe un partito e non un’associazione nella quale convengono
uomini di tutti i partiti? La Massoneria non può fare a meno di essere l’araldo
dello spirito laico; d’altra parte non può non tener conto della mutata
situazione degli animi nei riguardi delle religioni. Su queste antinomie
s’imposta la sua situazione d’oggi, che potrebbe diventare un vicolo cieco,
Ruggero Jacobbi Dal
settimanale romano “Domenica ” del 4/2/45
In verità l’uomo si impegna sempre per il futuro: il
passato è per lui un ricordo, e cosi tutta la vita trascorsa appare un sogno,
dilettevole od orrendo. Il guaio è che si vive sempre in ciò che passa, sicché
se la speranza stimola lo spirito vitale, l’opera nostra si rinnova
continuamente daccapo. Per questo l ‘attività umana non ha limiti, né di tempo,
né di fini: solo la morte tronca tale connubio, questa relazione fra uomo e
lavoro, togliendo al primo lo spirito vitale. Ov’esso vada, come sopravviva al
corpo, come si ricongiunga e ritorni al mondo dello spirito, ognuno la veda
come vuole: resta certo però che difficilmente esso riesce a riprendere il
contatto con la materia, prova ne sia (a parte per chi crede, le miracolose
apparizioni che, per altro, vengono appunto a ribadire l’eccezionalità di tale
contatto e le sedute spiritiche, di incerto valore) the spiriti intelligenti, a
noi ben cari, benché pregati, supplicati, non si sono più fatti sentire,
malgrado ogni accordo preso con essi in questo mondo. C’è dunque una volontà
che vieta loro di manifestarsi, in qualche modo, a noi, anche se noi avvertiamo
la loro presenza confortatrice e protettrice in momenti gravi. Dal fatto della
inesorabilità e impossibilità di un ponte fra anima dei trapassati e i viventi,
alcuni deducono una ennesima (ma non superflua) prova della seconda, « diversa
vita » , propria dello spirito, congiuntosi ormai con il grande Spirito
dell’universo; altri invece colgono occasione dalla constatazione del silenzio
dei morti, per trarre ed affermare la loro convinzione sulla inesistenza
dell’al di là: muore, con il corpo, anche la ragione, lo spirito: si muore come
le bestie, come le piante, come muore la natura effettuato il suo ciclo. Resta a
chi vive il « ricordo » della persona che non c’è più, poche ossa ancora:
resta, ciò che vive nella nostra memoria, l’eredità di affetti finché vive
memoria di essi. Il sogno continua: la vita è attesa, è speranza ed è ricordo:
è memoria estesa al passato, è presentimento del futuro e sensibilità in atto
di ciò che passa. Il presentimento del futuro va pero di là della durata della
vita terrena: che cos’è dunque tale ansia, che significa questo sguardo oltre
la tomba? Chi ce l’ha suggerito? Chi ci spinge a pensare, a volere eterni i
nostri morti, e beati? La ragione, che si rifiuta di accettare la tesi della
fine dell’uomo come bestia, insiste nell’avvertire l’uomo anima immortale. Tale
fede è comune a tutte le religioni, ossia a tutti i popoli. Perché, dunque?
Tale speranza è dovuta soltanto al perdurare degli affetti per la persona
estinta? o al bisogno di protezione, venuta a cessare con la dipartita del
genitore, del capo famiglia, della madre? o alla necessita (spirituale) di
ritrovare il bene momentaneamente perduto? ossia, lo spirito non può dunque
arrestarsi alle barriere terrene e ha bisogno di un suo mondo?
La risposta a detti interrogativi non
può essere che positiva: secondo quali motivi si potrebbe negare questa forza
dello spirito che sopravvive al corpo; che accende, con l’educazione, altri
spiriti; che inonda di sé il creato; che dà un significato al nostro turbamento di esseri in
transito, di passaggio in questo breve mondo, di turisti verso l’eterno? Come
non si potrebbe ammettere la volontà dello spirito di perdurare in eterno?
Beati i popoli che onorano le tombe degli avi perché,
nella luce del loro ammaestramento, conservano e migliorano i propri costumi!
La forza del Giappone e della Cina, ad esempio, è questa virtù, più potente di
ogni esercito perché è l’anima di ogni sacrificio e di ogni impresa. Un popolo
che ha il culto degli antenati, non può perire, qualunque siano le prove che
sopporta e che lo attendono.
Lo scetticismo invece non solo
ruba all’uomo la speranza, ma gli nega la conquista dei valori morali, e cosi
della verità, relegandolo in una notte senza fine. Il superuomo, privo di ogni
legge morale, muove a pietà: si è grandi davvero, quando si compiono
regolarmente e scrupolosamente i nostri doveri di piccoli uomini, di uomini
morali. In tal caso la vita diventa kantianamente dovere e il piacere deriverà,
incontenibilmente gioioso, dal dovere compiuto; e appare essa realtà certa e
confortante e il nostro destino chiaro, logico, naturale, e il ricordo del
passato, sogno di beatitudine e di gloria. Il dubbio potrà sopravvenire
soltanto in merito alla bontà o meno, al valore, al pregio delle nostre azioni,
e quindi sulla validità ed efficacia di esse in relazione ai talenti di cui
disponiamo, in quanto ognuno è responsabile di sé « sulla base di ciò che è »,
principio di cui la legge dei tribunali deve tenere conto per essere veramente
« uguale per tutti ».
Dico dunque agli uomini di buona volontà: lasciamo gli insoddisfatti per
carattere, gli increduli, i saccenti, i « bastian côntrari » agitarsi nel loro
mondo di contraddizioni, di paure, di sgomenti, di cecità e di irrisione; diamo
anzi ad essi una mano fraterna per un aiuto a vedere e a credere; ma non
lasciamoci distrarre dalle loro argomentazioni, arzigogolature o derisioni.
Preghiamo invece affinché venga il giorno in cui la santa volontà del Signore
sarà fatta in cielo e in terra: in quel giorno questo mondo della materia avrà
fine, perché sarà cessata la ragione della sua esistenza e dell’« esilio »
dell’uomo
Per altro l’ascesa dallo stato selvaggio
a quello umano e da questo a quello civile, non fu e non è sempre costante: v1
sono i famosi corsi e ricorsi storici, i ritorni, gli annebbiamenti dei costume
e dell’intelligenza, epoche in cui si riscatenarono violenze e istinti che
covano in quel primitivo bestione che seguita a celarsi nel subcosciente dell
‘uomo, uomini feroci e primitivi in mezzo ad altri uomini più evoluti e miti.
Le guerre rappresentano il ritorno alla forza belluina, all’omicidio, alla
distruzione: e vi sono guerre di nazioni (mai di popoli, perché il popolo ama
la pace in quanto vive allo stato umano) e guerre di famiglie e in famiglia.
Oggigiorno assistiamo ai deleteri effetti di due guerre mondiali: homo homini
lupus; bellum omnium contra omnes. Hobbes aveva individuato il carattere del
tipo e della specie dopo il peccato d’origine, e tale substrato ritorna se non
ad affossare, ogni tanto, a frenare il cammino
della civiltà morale, sociale, dello spirito, anche se sollecita il progresso
tecnico. Oggigiorno l’egoismo, la superficialità, l’insensibilità ai propri
doveri, la corsa all’ozio, ai piaceri del corpo, l’incredulità, la derisione
della virtù, il misconoscimento e il rinnegamento dei valori, l’irriguardoso
atteggiamento verso la verità umana, divenuta sfacciata, prepotente e oscena
perché le si sono tolti i veli del Fudore e della riverenza e l’ostracismo e la
lotta alla verità divina, comportano una umanità convulsa, affaticata,
angosciata, amorale, che vive nel terrore della morte, di non far carriera
e non far denaro.
Si ritornerà, certamente, a tempi migliori e
faticosamente, ma gradualmente e fatalmente, riprenderemo a vivere secondo
grazia e sapienza, cioè salvando le varie oasi di bene che hanno pur resistito
alla burrasca e che rappresentano gli anelli a cui ancorare la navicella del
futuro. La saggezza riprenderà il sopravvento e gli uomini rinsaviranno:
altrimenti si ritornerebbe al bestione, anche se rivestito di un completo di
flanella di pura lana e in grado di solcare i cieli, come i mari del suo regno,
il regnum hominis di Bacone, di un uomo perô che sa comportarsi da re del
creato. La scienza non dà la virtù: questa è la grande lezione della storia; ne
vale portare nel giuoco Montaigne, che addita il fine della istruzione nella
virtù (fosse pur sempre così, come dovrebbe essere, almeno, il caso della
scienza teologica), essendo questo un compito particolare (e importantissimo)
addimandato e permesso agli educatori nell’ambito della scuola. La virtù è pure
(e vorrei dire, soprattutto) degli analfabeti, di gente priva di istruzione: il
regno dei Cieli non è certo monopolio dei laureati. La scienza può approfondire
la virtù, ma non la crea: l’umiltà ammirabile dello scienziato è frutto della
sua natura morale e non già dell’acquisto di conoscenze. Si sono visti (e si
vedono) uomini di cultura astiosi, superbi, gonfi di sé; si sono visti gangster
istruitissimi; delinquenti politici (come Hitler ed altri) dotati di una certa
cultura. Il neoidealismo è utopista: la formazione della mente non coincide più
(non coincide, perlomeno, ancora), ad un certo livello, ad una certa età
(uscito cioè dalla giovinezza), con quella del cuore. Il che significa che
esistono in noi degli allarmi, delle ataviche diffidenze e tendenze, delle
suscettibilità, delle rivalità con i nostri simili, invidie, ecc. che è molto
difficile vincere. L’uomo capace di tanto, è un santo e cioè superiore alle
miserie umane e immerso nella grazia del Signore.
Possedere scienza, fede e virtù è un particolare dono
di Dio, segno di predilizione per un’anima veramente eletta, che sa soffrire
per la giustizia e che rappresenta, per tutti, un richiamo, un ammonimento, un
ammaestramento. Per lo più la prudenza, la malafede e gli inganni, le
delusioni, purtroppo, debellano l’onestà, e in un mondo di falsi il giusto
viene sommerso; e a ben pochi è dato di patire per la virtù. Chi però fa
progredire l ‘ Umanità, sono gli uomini di rottura, insofferenti della
tradizione e soprattutto di ogni stasi o adagiarsi della società, e quindi
dello stato attuale di essa. Questi uomini vivi e veri preparano il domani, un’
umanità migliore, che li ripaga oggi con la diffidenza, l ‘ostilità, il
tradimento, l’accusa e la condanna, alla stregua stessa con cui profeti e
pionieri vennero ringraziati dal mondo, che poi avidamente s ‘ appropria dei
loro beni, delle loro verità, dei loro principi, delle loro scoperte.
Finché ci saranno uomini tali, uomini nuovi, la
civiltà non dovrà patire di involuzioni, perché essi saranno capaci di scoprire
e di affidarle nuovi mondi nel quali lo spirito dell’uomo, che è infinito,
possa seguitare a svolgersi per nuove vie.
Civiltà di massa o civiltà di
gruppo, il problema non è questo: il problema, di fronte alla uniformità e al
livellamento, è quello di conservare se stessi, la propria personalità.
L’individuo scompare nella nuova società, ed in effetti socializzarsi significa acquisire una personalità sociale,
passare da persona isolata a socio di un gruppo. Però la persona, come testa
senziente, coscienza attiva, intelligenza libera, va formata, altrimenti i
nuovi valori, prima retaggio di poche minoranze e ora aspirazione di tutti, non
saranno né realizzati, né goduti, Non basta volere l’istruzione che educa (e la
auguriamo presto anche a l•ivello universitario), il benessere fisico ed
economico, la possibilità di esercitare la volontà di esprimere e di far valere
le proprie idee quali doni estesi a tutti: occorre preparare questo tutto (e
cosi ogni individuo) ad esprimere, produrre, essere cosi in grado di usufruire
e
di coltivare tali beni. Anche qui ritorna facile dire che bisogna agire
sullo spirito vitale, indirizzarlo ai fini suddetti
A quale altro essere del Creato è stato dato di opporsi
alla volontà di Dio? Tutti gli altri obbediscono alle leggi di natura,
stabilite dal Creatore: soltanto l’uomo ha questa particolare concessione, che
non tocca, ad esempio, alle scimmie.
A parte il fatto che la teoria evoluzionistica prevede la
scomparsa delle razze inferiori (e le scimmie ancora sussistono nella varietà
dei tipi e delle famiglie), tale privilegio accordato solo all’uomo lo
differenzia immediatamente da tutto il creato e lo afferma direttamente creato
da Dio. Non può darsi difatti che, ad un dato momento della vita dell’universo,
il Creatore abbia conferito particolari facoltà ad un animale derivato dal
pesce attraverso gli artropodi più che ad un altro animale; e ubbie e sogni di
fantascienza sono le teorie di coloro che hanno reputato il rene strumento
capace di compiere una simile trasformazione, dando così non solo una forma
fisica diversa (e ciò sarebbe possibile), ma addirittura una « ragione » a chi
prima non la possedeva.
E giusto, è bene
che si indaghino tutte le vie possibili per cercare la verità: in questo caso
si torna pero sempre a ribadire, a riconfermare la verità data. La scienza,
così, finisce con l’approvare la fede anche se, tomisticamente, ognuna di esse
procede nel campo proprio. Iddio ha formato nell’uomo, « l ‘unico » essere
uomo, per i Suoi imperscrutabili disegni: si voglia o non si voglia accettare,
non si hanno a tutt’oggi motivi validi per negare o porre in dubbio tale verità
di fede.
Possiamo pensare che le prime due creature uscite dalle
mani d’Iddio, fossero perfette in quanto cesellate dal più grande artista
dell’universo; possiamo pensare che, con il peccato e la conseguente caduta,
anche il corpo dei nostri primogenitori si avvilisse. Perdendo la grazia, essi
perdevano anche la bellezza, scemando in armonia di membra e acquistando, per
il loro compito, in forza fisica: e pertanto ci raffiguriamo Adamo e la sua
donna diventati semi animaleschi, con muscoli vigorosi e petti enormi, e viso
prognato, atti cosi a sopravvivere in una atmosfera apocalittica, di miasmi, di
bestie feroci, di malattie, di climi che per noi, ora, sarebbero letali. Le
convulsioni della terra precedettero le convulsioni dell’uomo, che lo
corazzarono contro le avversità e gli permisero di guadagnarsi il pane col
sudore della fronte: ma l’uomo conserva, nella grossa massa cranica, arruffata
di lunghi capelli, due occhi intelligenti che scrutarono il suo campo di
lavoro: il creato, e una ragione che gli permise di organizzare e di iniziare
la lotta, onde e redimersi e vivere, contro le forze della natura, contro
l’ambiente naturale ostile, per renderlo sempre più confortevole al suo
soggiorno terreno. Tale lotta, iniziata decine di migliaia di anni fa,
seguiterà sino alla fine del mondo, rendendo l’uomo sempre più civile, più
umano, e la Terra sempre più ubbidiente al suo comando e pronta a soddisfare ai
suoi bisogni.
Ecco la vera evoluzione dell’uomo, nella interazione fra
l’uomo e l’ambiente, per cui, migliorato dal primo il secondo, questo migliora
chi alberga e così il primo, come ben vide il Dewey. L’ambiente naturale è
ormai quadro di romantiche contemplazioni: è l’ambiente creato dalle opere
dell’uomo che infiora questo
mondo e che si
offre a Dio come testimonianza dell’attività della Sua creatura. E Dio benedice
l’opera dell’uomo, mezzo da Lui datoci per realizzare il bene e renderei degni
della Sua visione: e l’uomo, da quando un riso di donna e Io sguardo stupefatte
del padre, salutarono il primo vagito, dal mondo dei bestioni cacciatori accesi
di fantasia (di vichiana memoria), passa al mondo dei pastori guidati dalla
riflessione e anziché uccidere soltanto, alleva, e anziché imitare le fiere, le
ammansisce e se ne serve. Ecco allora come sorgono l’arte e la poesia, forze
creative per cui l’uomo «fa nascere » fantasticamente il mondo che gli
abbisogna: quello che sfama la sua intelligenza, il mondo dello spirito. Cosi
il cuore partecipa, nel tripudio e nel terrore, a questa trasformazione, e l’uomo
si intenerisce e piange, si addolcisce e ama, e i costumi ferini si cangiano in
costumi umani. La rudezza e grossezza di un tempo, cedono il posto a sentimenti
delicati; l’uomo diventa un essere gentile. È questo il grande momento della
storia umana, in cui il sole splende nelle spelonche. L’uomo gentile rende
gentile la foresta, il fiore, la belva: le piante, coltivate da mani
inoffensive e cortesi, lasciano cadere le spine oramai inutili e le
sostituiscono con nuovi fiori; gli altissimi alberi, liberati dalla stretta
delle liane e del bosco intricate, non hanno più bisogno di lanciare le loro
vette al cielo per rapire al sole un raggio di luce e di calore e farlo
scendere sino al tronco ammuffito e sepolto nelle tenebre della giungla; la
belva trova cibo e difesa accanto all’uomo e allora ritira gli artigli, accorda
le corna, posa la corazza e si adatta a servire il padrone, che le dà la vita
Così sorridono i giardini, i prati, i campi, a Dio Padre. Benedetto il
giorno ln cul una donna vide per la prima volta, il suo uomo offrirle due
tremuli fiori nelle vigorose mani! Da quel giorno accanto alla caccia,
all’allevamento, alla coltivazione, ebbe inizio la dolcezza e la riconoscenza
negli affetti familiari, si che i lineamenti stessi dell’uomo si addolcirono e
si rimbellirono. E Dio sempre sorrideva e benediva all’opera buona dell’uomo e
cioè alla Sua opera
Se la fede è
viva, la speranza è molta e la carità abbonda nelle nostre azioni. Venga il Tuo
Regno, imploriamo con Gesù, l’eterno Padre di tutte le genti davanti
all’ingiustizia, alla cecità, al sopruso, alle iniquità, all’omicidio, alla
frode, alla fame, alla crudeltà, alla menzogna, alle miserie, alle oscenità,
alle turpitudini de! mondo: e sia fatta la Tua volontà come in Cielo, « così »
in terra. Tale atto non può non avvenire che con il « consenso » della creatura
che Dio ha forgiato a Sua immagine, altrimenti Dio smentirebbe se stesso, non
essendoGIi possibile non volere ciò che ha voluto. L’uomo ha quindi questa
duplice nobiltà: di essere il mezzo, lo strumento, con cui Dio si è obbligato a
manifestare la Sua volontà, ed esplicare i Suoi disegni, e, al tempo stesso, di
potere disubbidire al Creatore. Dopo il peccato di origine che fu l’inizio della
ribellione e cioè il pronunciamento diverso da quello di Dio, l’uomo è
condannalo a conquistare Dio e cioè a meritare di ascoltare e seguire la Sua
volontà. Perciò la nostra « libera » volontà, altro non è se non « difetto » di
volontà, che cerca il completamento nella volontà della Legge, della
Rivelazione, nel dettato dei Santi Padri, nello spirito di coloro a cui Dio
concedette di illuminare fedeli e non credenti con la luce della Sua parola.
Facciamo difatti distinzione fra volontà desiderata e volontà ordinata, fra
volontà cosi detta libera e cioè anarchica e la volontà buona o volontà nella
legge; parliamo difatti di arrivare alla conquista e alla realizzazione della «
volontà etica » , che ci assicura la « libertà » nella legge, l’unica possibile
all’essere razionale. Perciò se il Regno di Dio non è di questo mondo per
quanto riguarda il prevalere del male sul bene e l’infelicità del giusto e la
fortuna (apparente e caduca) di chi inganna il prossimo, e del malvagio,
aiutati e protetti dalle forze demoniache nei loro misfatti, può essere
benissimo realizzato nei singoli individui, in gruppi di individui votati a
tenere accesa la lampada per lo Sposo promesso; quando essi cioè lealmente e
moralmente sottomettono l’orgoglio e la superbia (conseguenza di una volontà
senza limiti e quindi senza un fine, una guida, una regola, una luce) alla
volontà dell ‘Onnipotente, trasformandola in volontà d’amore, di dedizione, di
sacrificio per il bene delle anime e la maggiore gloria d’Iddi0.
Tanto più si estenderà tale regno
nel sacrario della coscienza umana, tanto meno avremo ad assistere a fatti
rattristanti e a scemenze, che ci fanno temere sulla sanità mentale dell’uomo.
Saggi e savi, dovrebbe essere lo slogan di ogni scuola che non deve cercare
solo di formare l’individuo a ben esercitare il suo mestiere di uomo, e quindi
solo sottomesso a sé, ma di uomo credente e cioè sottomesso ai voleri di Dio:
la prima educazione è volutamente parziale, mentre la seconda appaga « tutti »
i bisogni dell’uomo compresi (e in primis) quelli dell’anima, coronando l’ansia
divina che è nell’uomo.
Basterebbe un nulla a Dio per « obbligare » tutte le
volontà a seguirlo, ma con ciò cancellerebbe, in un attimo, la nobiltà e
l’eccellenza della ragione umana, il segno distintivo dell’uomo, che rimane
arbitro di realizzare il regno di Dio nel mondo dell’uomo e quindi pienamente
colpevole di subire le conseguenze della non realizzazione di un mondo di
verità e di pace.
Spiegami, o mio Dio, il mistero del perché gli uomini sono cosi ciechi,
da pervicacemente tener Ti lontano, vantandosi di non conoscer Ti, di ripudiar
Ti, di – o vaneggiamenti di dementi! – combatter Ti? Perché Ti offendiamo?
Quanta pazienza e misericordia è la Tua, per attendere l’ora del nostro
rinsavimento, senza punire le offese, tutto macerando all’altare del
sacrificio, incredibile olocausto dove, per volontà Tua (o inaudito mistero
d’amore!) mandasti il Figlio a riscattare con il Suo sangue, a farsi uccidere
dagli uomini per i delitti ei peccati dell’uman genere
La libertà è tale
in quanto e fin dove la ragione la può comprendere. ln effetti l’uomo ha avuto
da Dio, volontà assoluta, il gran dono della volontà libera, magistrale lezione
di democrazia, governo fatto per cittadini intelligenti, istruiti e coscienziosi.
Questo dono ha reso responsabile l’uomo delle proprie decisioni, ma ha altresì
aperto la via al giudizio critico di ogni verità, riducendo quindi la verità a
verità individuale, relativa ad ogni essere dotato di ragione. Cadono cosi
tutti i sistemi filosofici (compreso quello kantiano del dovere inteso quale
legge universale che io affermo con la mia condotta) fondati su principi
universali, validi in ogni tempo e luogo, in quanto non ciò che vale per i più,
non ciò che « potrebbe » valere per tutti vale per me, ma ciò che ritengo debba
» valere per me, ossia ciò che io ritengo valido. Pertanto anche « l
‘ostinazione » nel difendere la propria tesi e nel non accettare il punto di
vista altrui, ha la sua legittimità. Anche la verità assoluta, e cioè quella
divina, viene ad essere inevitabilmente sottoposta a simile setaccio, sicché la
Rivelazione e ogni raggio di luce divina vengono sottoposti a vaglio, soppesati
e, purtroppo, accolti in tutto o in parte o in nulla, il che fa meraviglia
sulla cecità dell’uomo, ma sanziona la sua libertà d’azione. Di qui l’orgoglio
di sapere e di credere; di qui il vanto di ciò che possediamo, la « fede » in
ciò che riteniamo vero. Convincere, portare un’ altra ragione a ragionare
veramente come la nostra, è ufficio straordinario, che nessuna lode può
premiare: e pure e l’ufficio di quanti vogliono formare gli altri a loro
immagine e somiglianza o confortare cuori, dei missionari dell’idea, della
fede, della verità, di civiltà; ed è pure svago dei sofisti antichi e nuovi e degli
affaristi e dei ciarlatani di piazza, che vilipendono tale sublime azione e
possibilità di vincere il libero arbitrio dell’uomo, di persuadere la sua
volontà.
Entrare nel sacro culto delle memorie care ad ogni
essere, nel retaggio di cultura, convinzioni, evidenze che ogni uomo possiede,
e scalfirne la compattezza o renderne insostenibile la fede che tanto
sorreggeva, non è cosa di breve momento: le vere conversioni si contano sulla
punta delle dita; ma gettare un essere nel dubbio, nello smarrimento, nell’angoscia
perché gli si è incrinata la pietra angolare su cui poggiava la « sua » verità,
senza sostituirla con un’ altra, è cosa diabolica, assassina, malvagia. La
conversione vuol la « scelta tra due verità »: quella che si aveva e quella che
altri ci vengono ad offrire e rientra quindi nel ferace compito dell’uomo verso
se stesso e i suoi singoli: ma la distruzione di un’idea, non seguita da una
critica costruttiva, è uno dei mali peggiori che a mente umana possa capitare.
Si può dover scegliere fra il bene e Ciò che ci appare un male (e allora la
scelta è facile); oppure fra due beni (l’uno di maggiore e l’altro di minor
valore: e allora la scelta è più ardua); ma lasciare senza ricevere, perdere e
non sostituire, significa rompere l’equilibrio interiore in chi c’è la
serenità, la compostezza, la calma, la equità dell’uomo. Meglio lasciare gli
uomini nella ignoranza, che generare l’inquietudine: l’istruzione deve servire
a rendere più tranquillo e felice l’uomo, e a migliorare i costumi, altrimenti
è distruzione di animi e di cuori. Beati invero i nostri morti, che ormai
vivono nella volontà di Dio e possono finalmente riposare lo stanco affanno
della ragione!
Ritornare a Dio significa difatti perdere la volontà
libera, ma imperfetta che ci lascia insoddisfatti perennemente, per acquistare
la volontà eterna e perfetta che completamente e infinitamente ci appaga.
Volontà volente, volontà di vivere, di essere, di fare, di affermarsi, di
credere, di operare, di volere, o sinonimi di libertà, per cui è degno il mondo
di essere vissuto e degna è in me la vita dell’uomo, voi ci rendete l’esistenza
terrena faticosamente gioiosa, mirabilmente
divina, i mali affrontando e superando e sopportando, nell’eterno ritmo
del creato ove il nascere ha bisogno dei perire, e i beni creando e recependo,
per concreare con Dio, soggetti e signori dei mondo, pur nel breve arco di
tempo delle nostre singole vite
E dunque la legge della necessità che grava sull’umano
consorzio: non ai beni più alti, non alle aspirazioni più nobili, si mira
dapprima, ma a soddisfare alle necessità di ordine fisiologico e di ordine
contingente, come il lavarsi, il vestirsi, ecc., attività che rappresentano un
lavoro forzato, ripetuti come sono tutti i giorni, lungo e faticoso, a cui non
si pon mente nel computo del lavoro quotidiano e che invece impegna le ore
importanti della giornata (han mai fatto il conto, gli economisti, dell ‘enorme
quantità di tempo e di lavoro che I ‘Umanità quotidianamente spende in tali
improduttive occupazioni?) e che tocca non una élite ma tutti gli uomini,
compresi quelli che, o per incuria, o ignoranza, o insensibilità, non curano
affari superiori a quelli che riguardano la vita animale. Anche se affranti dal
più grande dolore, la legge della necessità riappare in noi: è lo spirito
vitale che ci sprona a vivere, che pone in movimento tutti i congegni del
nostro corpo, anche contro la nostra volontà. Quando si parla della seconda
vita dell’uomo, quella dello spirito, non ci domandiamo mai a quanti esseri
essa è aperta e non ricordiamo come i 3/4 dell’umanità non superino, oggi,
quella dei sensi, delle necessità primordiali.
In effetti la legge della necessità regola pure la vita
spirituale, ed infatti il cibo dell’anima, il pan degli angeli, è vizio e droga
tali che, gustatolo, non se ne potrà più fare a meno: « Non de solo pane vivit homo, sed de omni verbo qui procedit de ore Dei
». Pane, adunque, per l’esistenza fisiologica; scienza divina, per la vita
dell’anima: la legge della necessità lega la terra e il cielo. D’ altra parte
non vi è profondità umana o celeste, maggiore di quella del pensiero umano, che
esplora e varca, d’un solo balzo, tali immensità, e che sorrda abissi ben Più
paurosi e immani, eco dell’infinità che l’ha originato e annuncio dell’infinità
che lo attende.
Ed ecco che una demanda pur si pone, in questo mondo del
contingente: siamo
noi necessari, bastanti a noi
stessi? Come può l’uomo essere necessario (e non inutile) a sé? L’ Umanità si
farà più furba e più saggia, se si porrà sovente tale domanda, se il politico,
il sociologo, l’educatore, il sacerdote, il padre e la madre di famiglia, il
giovine e via discorrendo, si rappresenteranno la questione di come si possa
essere utili a se stessi, nell’esercizio della propria professione o
semplicemente nel mestiere di uomo che tutti esercitiamo.
Orbene, prima di
tutto occorre essere se stessi, presenti a noi in ogni momento (il che non è
facile: basti pensare che alle volte la coscienza e il buon senso si ergono a
nostri giudici, per accusarci: ma che razza di bestione sono mai io? quali idee
mi sono scervellate in capo? quale orecchio ho mai io prestato ad esse? ma sono
io o è « un altro » ben diverso da me, che ha potuto pensare, o commettere,
simili sciocchezze, stupidaggini, oscenità, iniquità? c’ è dunque un « secondo
io » in noi, che opera all’insaputa o comunque contrariamente alla volontà del
primo? c’è l ‘io dello spirito e l’io dell’animale, l ‘ io eterno e l’io della
materia? se un conflitto sorge fra i due, qual è dei due quello che lo vince? e
in virtù di che, per quali ragioni o cause, di cui la mia persona è responsabile
o non piuttosto per necessita intrinseche alla mia natura terrena, da cui non
posso sempre svincolarmi? Che l’educazione sia dunque proprio liberazione
dall’istinto, dall’incoscienza, dagli appetiti della natura umana inferiore e
che la dottrina della metempsicosi non rappresenti invero la necessità della
graduale purificazione, in bagni successivi, per essere degni dello spirito
divino lievitando sempre più il peso » del corpo?) . Essere « compos sui » , come ad esempio, lo sa
essere una buona, vera madre, eccellente per virtù naturale, questo è il punto.
Se so stare in equilibrio con le mie necessità ed i miei obblighi, sono a
posto: se me ne rendo schiavo, sono in debito; e pagherò con l’aritmia della
mia vita, e la conseguente insoddisfazione, angoscia, impossibilità di godere
dei beni che la vita dispensa, volontà di morire nel senso della disfatta del
vinto. Se all’opposto non mi faccio comprare e pago cioè quanto il corpo e la
società da me reclamano, resto libero, sovrano, tranquillo, padrone di me e del
mio destino, pater fortunae meae. A
questo fine sì importante, vanno convogliate le forze e le capacità
dell’individuo, gli uni aiutando gli altri, per « salvarsi » a vicenda.
Solo se la mia risposta alla legge della necessità è piena e positiva,
potrò sperare di non far naufragio in questo mondo, che è mondo della necessità
perché mondo della realtà; mondo del fare perché mondo dell’essere e quindi
dell’attività: mondo del riparare ai consumi perché mondo dell’usura. Per
essere bastanti a sé, occorre essere in grado di giovare anche agli altri, di
cui faccio parte e che sono gli altri « me
stessi ». Siamo in catena: la socialità val bene questo anello, che mi
congiunge al prossimo; se soddisfo alle necessità mie e del gruppo a cui
appartengo, sono a posto perché « tutti
siamo a posto » : in una Umanità dove si piange, non c’è posto per chi
ride; in una Umanità dove si pena e si sta male, non c’è posto per chi gode: se
voglio la mia felicità, mi dice Stuart Mill e l’utilitarismo, è necessario che
procuri la felicità di coloro che mi stanno attorno e con i quali vengo a
contatto. A tanto ci porta la legge della necessità: a vincolarci l’un l’altro,
a mettere in comune le nostre sorti e i nostri beni. Essa è dunque guida e
scuola di fraternità, carità, umiltà, umanità: essa è dunque da benedire, anche
se significa (o forse, appunto perché anche significa) sforzo, impegno,
richiamo ai valori morali e ai nostri limiti, sacrificio, bontà e offre un
significato positivo, spirituale alla vita, aiutandoci a guadagnare, su questa
terra l’eterna felicita in Dio