PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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RISCOPRIRE DANTE

RISCOPRIRE DANTE

(Per gentile concessione della rivista “Sotto il velame”) di Renzo Guerci

Si può ancora riscoprire Dante? Dopo secoli e secoli caratterizzati da una sterminata e minuziosa esegesi sull’opera del Sommo Poeta, esiste ancora un territorio poco esplorato?

Il punto di partenza è costituito dal presupposto che possa esserci una lettura diversa, se vogliamo “alcune” letture diverse, rispetto a quella per così dire ufficiale, quella che possiamo chiamare storico-letteraria, validissima a pieno titolo, ma incompleta, non sufficiente.

Riscoprire Dante è come aprirsi ad un mondo immenso, ad un paesaggio sterminato, è come ritrovare un mare di cose là dove sembrava di aver ormai trovato tutto.

E farlo in chiave esoterico-simbolica è un grande progetto, una sfida profonda e allettante poiché la Divina Commedia è la summa dell’esoterismo cristiano o più in generale dell’esoterismo occidentale e non soltanto di questo perché, a voler scavare con pazienza e con spirito libero, potremmo trovare frammenti e luci anche di altre saggezze e conoscenze.

Il primo ad avvertire l’esigenza di una più ampia visione interpretativa del poema dantesco è Ugo Foscolo. Nel 1818 in un saggio sulla Edinburgh Review, paragonava il poema dantesco ad una intricata e affascinante foresta, in cui una strada era stata tracciata ma “la maggior parte di questa foresta è ancora, dopo le fatiche di cinque secoli, avvolta nella sua primitiva oscurità”. E confessava nello stesso anno ad un amico: “credo di aver scoperto una terra sconosciuta sino ad ora

Nel suo “Discorso sul testo del poema di Dante” del 1825, egli vede nella Commedia il bando di una rinascita cristiana del mondo, di una revisione evangelica della Chiesa, della quale peraltro accetta i dogmi e la gerarchia.

La Divina Commedia non è pertanto il frutto di una finzione poetica, ma di una visione vera, come quella di S. Paolo e dell’Apocalis.se, in cui Dante si sarebbe sentito investito dallo Spirito Santo nella sua missione di rinnovamento religioso.

E interessante rilevare come il Foscolo adombri un tema di grande interesse, che potremmo sintetizzare nella dicotomia “Dante santo o eretico?” , interrogativo che permea una parte consistente dell’interpretazione dantesca non ufficiale dall’800 ad oggi.

Diatriba solo apparente: Dante non è un santo e la Chiesa si è sempre ben guardata dal beatificarlo; al contrario qualche rogo nel ‘300 lo ha perpetrato (ad esempio sul De Monarchia) o lo ha tentato (iniziativa del vescovo Bertrando del Poggctto).

Se approfondiamo però la storia dell’amicizia tra Dante e Guido Cavalcanti (e gli altri Fedeli d’Amore) diventa chiaro come Dante non possa essere considerato in alcun modo un eretico.

Il sogno di Dante è quello di una Chiesa non riformata, ma rigidamente ricondotta alle origini, al messaggio del Vangelo, prima che la donazione di Costantino la allontani dalla sua missione spirituale; una Chiesa che in un certo senso riconquisti la dimensione esoterica dei Vangeli e del Cristianesimo delle origini, che la Chiesa stessa ha distrutto per non mettere a repentaglio il suo potere terreno.

Dopo il Foscolo chi aprì un ‘altra strada di grande importanza nella foresta dantesca fu Giovanni Pascoli. A detta della sorella Maria il poeta iniziò gli studi danteschi subito dopo la laurea e li sviluppò per tutta la vita, tra molte amarezze perché la critica ufficiale, così prodiga di lodi per Pascoli poeta, accolse con freddezza e non fu in grado o non volle comprendere le sue prodigiose intuizioni sulla Divina Commedia.

Questo silenzio e indifferenza è uno degli aspetti più evidenti dell’atteggiamento conformista ed ostile che fu riservato, sino ad oggi, nei confronti di chi si è addentrato in una interpretazione esotericosimbolica dell’opera di Dante.

Tra il 1898 e il 1902 vedono la luce tre testi: “Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione” in cui vengono espresse le tesi dell’interpretazione pascoliana di Dante, quali:

— l’unità strutturale del poema e la sua costruzione imperniata sul numero settenario

— la contrapposizione e l’abbandono della vita attiva verso quella contemplativa — la simmetria della croce e dell’aquila (Impero e Chiesa) che permea il Poema.

Ma il concetto di fondo dell’esegesi pascoliana è l’intenzione criptografica di Dante, che avrebbe racchiuso il contenuto mistico del poema in un piano preordinato di segni: pertanto scopo precipuo della critica sarebbe quello di impadronirsi del codice segreto. Sulla strada tracciata da Foscolo e Pascoli si avventurarono tutta una serie di studiosi, su cui torneremo. Da essi fu nuovamente avvalorato e riportato in luce qualcosa che non bisognava dimenticare: che tutta l’opera dantesca “poteva e doveva” essere letta secondo due criteri, entrambi ugualmente importanti e indissolubili: ciò che appare e ciò che è nascosto, secondo progressivi livelli di comprensione (letterale, allegorica, morale, analogica) che non possono essere “saltati” e che non sono in contraddizione tra loro.

È la dottrina del “polisenso”, come Dante stesso ce la presenta, indispensabile per l’interpretazione delle Sacre Scritture, un poco estranea alla nostra sensibilità moderna, ma cardine della cultura medievale e, vorrei dire, molto utile e feconda per comprendere meglio le contraddizioni dei nostri giorni.

Ci spiega ad esempio il disagio che c’è nella cultura e nella spiritualità del nostro mondo moderno, che ha perduto la visione polisensa della realtà ed è scientificamente tutto rivolto alla descrizione e comprensione “letterale” della realtà stessa: questa visione scientifica ci dà dettagliate spiegazioni su “come” avviene un processo o un avvenimento ma non sa spiegarci il “perché”:

Anche nell’iter della nostra vita Dante sembra darci un’indicazione, proprio nel suo insistere sulla necessità della comprensione letterale alla base di ogni conoscenza. In altre parole sembra dirci che lo zoccolo della nostra quotidianità è letterale, che ad esso non dobbiamo sfuggire isolandoci dal mondo, tentando di “saltare” alla comprensione allegorica senza passare attraverso la lettura — e quindi la comprensione — dell’intelaiatura letterale del mondo del divenire in cui siamo calati tutti i giorni e che altrimenti ci appare incomprensibile. Tutta l’esistenza umana, ci dice Dante, è un’ascesa iniziatica, dall’in-

ferno, mondo diabolico della “separazione” , al paradiso, mondo del simbolo, della conoscenza che unisce. Così saremo portati a comprendere il polisenso negli eventi della nostra vita.

L’interpretazione del mondo dantesco, come si è detto, passa quindi attraverso le due dimensioni di apparente e nascosto: tutta l’esegesi dantesca dal 1300 in poi si svilupperà intorno a questi due filoni. Sul filone dell”‘apparente” si concentrerà tutta la critica storico letteraria che nei secoli esalterà più o meno il Dante poeta e letterato. Assai meno sviluppata — per motivi che vedremo — sarà nei secoli l’interpretazione dei sensi “nascosti” ed è a questi che noi vogliamo dedicare l’attenzione.

Per farlo dobbiamo sviluppare due considerazioni.

La prima è su: “che cosa è nascosto”, “sotto il velame delli versi strani ” ? Impresa ardua: “conoscere e descrivere Dante sarà mai possibile? ” si chiede Pascoli in “Minerva oscura”. E prosegue “Egli eclissa nella profondità del suo pensiero: volontariamente eclissa”.

Per comprendere il “pensiero nascosto” occorre partire da quei “Fedeli d’Amore” che Dante cita alcune volte, da quel Dolce Stil novo che la scuola ci ha abituati a vedere come una sorta di corrente letterario-poetica.

Sotto questo profilo ci troviamo davanti una cospicua produzione di sonetti e canzoni in cm, in una forma a dir poco complessa, ma comunque piuttosto fredda ed estremamente cerebrale, questi letterati — che poi sono personaggi di spicco della classe dirigente della loro città — si scambiano notizie sui loro amori.

Amori per delle improbabili donne, rigorosamente mai descritte in modo realistico — e (salvo che per Dante) mai storicamente individuate —, con toni e immagini che sono francamente noiosi e sovente incongruenti.

E da notare, per inciso, che, con scarse eccezioni, questi “letterati non ci lasciano altro che queste poesie amorose, pur essendo considerati dai contemporanei (vedasi Dante stesso) i migliori ingegni dell ‘epoca.

In realtà chi ha affrontato in chiave diversa questo aspetto ha dimostrato — o cercato di farlo — che i fedeli d’amore erano un gruppo (qualcuno l’ha chiamato setta), con forti connotati esoterici ed iniziatici

, forse eretici. Un gruppo, dati i tempi* caratterizzato da un ‘parlar coverto” che portava i suoi componenti a comunicare tra di loro, per scambiarsi concetti, speranze, fatti e avvenimenti, mediante componimenti poetici apparentemente amorosi, componimenti che in realtà erano scritti in un “gergo” la cui chiave di interpretazione era nota soltanto agli adepti del gruppo.

Chi ha tentato di decifrare questo ” gergo”, ci ha lasciato indicazioni che  forse possono essere oggetto di discussione e di approfondimento ma che aprono orizzonti infiniti di comprensione di opere poetiche che diversamente ci appaiono un poco anacronistiche, talvolta veramente ostiche e incomprensibili.

La chiave del gergo ci indica invece tutto un fermento spirituale e culturale tra uomini accomunati da un profondo senso mistico ed esoterico e impegnati in un’opera di rinnovamento profondo della religione cristiana.

Con questa chiave acquistano significati ben diversi molti dei termini che troviamo nelle loro canzoni e sonetti, come ad esempio, per citare i più ricorrenti: Amore (amore per la sapienza santa, la dottrina e il gruppo dei Fedeli d’Amore) — Donna (l’adepto, il fedele d’amore) — Beatrice (la sapienza santa) — Morte, Pietra (la Chiesa corrotta e persecutrice) — Dormire, Sonno (essere nell’errore) — Piangere (simulare fedeltà alla Chiesa ufficiale) — Saluto (è l’iniziazione e il grado dell’iniziazione; si pensi al saluto di Beatrice e Dante) — Noia (è il mondo profano o avverso alla setta) — Cuore, gentile (è l’acquisizione della dottrina iniziatica — la sede ove avviene l’illuminazione della conoscenza spirituale).

Questa interpretazione la dobbiamo ad un gruppo di studiosi, tra i quali in particolare: Luigi Valli, allievo del Pascoli (Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore, di recente ristampato), Gabriele Rossetti (La Beatrice di Dante) Alfredo Ricolfi (Studi sui Fedeli d’Amorc) e Mario Alessandrini (Dante fedele d’amore); e, nel filone degli studi tradizionali, René Guénon (Esoterismo di Dante) e Robert John (Dante templare).

La seconda considerazione che è opportuno fare è: ” perché nascosto”? Gli sviluppi che possono trarsi da tale considerazione hanno due possibili strade.

Una fa riferimento al contesto storico-culturale in cui vive Dante. Il poeta nasce nel 1265 e nello scorcio di secolo sino al 1300 si sviluppa il gruppo dei Fedeli d’Amore, le cui radici sono da ricercare, circa un secolo prima, nelle Corti d’amore e nel trobar clus che si sviluppa in Francia, segnatamente — e non casualmente — tra i poeti mistico-allegorici della Provenza (a questo riguardo il citato libro del Ricolfi rappresenta sempre una pietra miliare).

Intorno all’anno 1000 sorge e cresce tutta una corrente di pensatori e mistici che in qualche modo rappresentano potenziali rivoli e rivoletti di riforma e di eresia, con feroci reazioni da parte della Chiesa di Roma.

Il panorama è vastissimo: Ci basti qui ricordare due avvenimenti chiave, che ruotano intorno al 1265. Nel 1244 c’è la caduta e il rogo di Montségur, che conclude nella più feroce repressione tutta l’avventura dei catari in Provenza.

Il catarismo peraltro era diffuso anche in Italia (si chiamavano patarini) e segnatamente in Toscana e a Firenze. E condanne per catarismo rischiarono i Farinata degli Uberti e i Cavalcanti. Ed alcuni dei Fedeli d’Amore (ad es. Guido Cavalcanti) subirono probabilmente l’influenza del catarismo.

Tra il 1300 e il 1314 inoltre si compie la distruzione dell’Ordine del Tempio e la dispersione e morte dei Templari ad opera di Clemente V e di Filippo il Bello. E una corrente di studi ha posto in luce l’influenza templare su Dante e sui Fedeli d’Amore.

È quindi comprensibile che gruppi o sette che in qualche modo si ricollegavano alla gnosi e al templarismo escogitassero delle modalità di espressione in cui il significato letterale non potesse suscitare sospetti da parte dell’inquisizione.

L’ambiente culturale infine, elemento fondamentale nella crescita spirituale di Dante, può essere considerato come motivo di “attenzione” nell’esprimersi da parte dei Fedeli d’Amore.

Qui non si possono fare che cenni, ma si pensi a tutto l’aristotelismo, così come si sviluppa nei corsi universitari di Parigi, sede di controversie teologiche feroci (con qualche ricorrente Concilio che sconfessa qualche studioso troppo ardito).

Trapelava sotterraneo in questi studiosi un aristotelismo e un culto

dell’intelletto poco gradito all’ortodossia religiosa: il concetto aristotelico di intelletto agente, unico per tutti gli uomini e l’interpretazione averroistica, ponevano in seria difficoltà la dottrina cristiana della immortalità personale di ogni uomo.

E d’altro canto operarono in quegli anni in Toscana, intorno al 1288/ 89 e poi oltre, Pietro Olivi e Ubertino da Casale. LI primo in particolare fu il portatore del messaggio degli Spiritualisti francescani e delle profezie di Gioacchino del Fiore che riecheggiano nella visione profetica del Divino Poema.

Dante ha in quel periodo poco più di 20 anni ed è nel pieno della sua formazione spirituale e intellettuale e già milita nei Fedeli dell’Amore. Di tre anni dopo è La Vita Nova in cui descriverà questo suo processo iniziatico.

Né si può dimenticare che (come Dante stesso ci indica nell’Epistola a Cangrande) uno dei suoi principali maestri fu Riccardo da S. Vittore: è significativa la concezione di questi sulla “morte mistica’

e l’allegoria della morte della Rachele biblica. Quella che Riccardo spiega essere la “morte” della ragione di fronte alla suprema contemplazione del mondo spirituale, fornisce una prodigiosa chiave di lettura sul significato della morte di Beatrice e in genere di molte donne dei Fedeli d’Amore.

Una seconda strada di interpretazione del “perché nascosto” è più attinente ad una visione di carattere esoterico-iniziatico, e più generalmente alla conoscenza tradizionale. Molti studi hanno portato a rilevare come, in generale, anche senza un pericolo incombente (quindi senza una necessità contingente di “parlare in gergo”), tutta la poesia e le opere letterarie esoterico-simboliche si esprimono attraverso modelli molto simili, ossia attraverso simboli in cui l’amore e la donna sono una delle allegorie ricorrenti.

Si pensi, per fare un esempio diverso, al vino, simbolo per eccellenza, sia in un poeta mistico come Omar Kaiyam, sia in altre opere esoteriche, sino al Vangelo stesso. O ancora al simbolo mistico della

rosa che, già presente nei riti iniziatici pagani (l’eco lo troviamo nell’Asino d’oro di Apuleio in cui il protagonista ritorna uomo mangiando un serto di rosa), diffuso nella poesia sufica persiana e presente in tutta la lirica provenzale (il Roman de la Rose) e siciliana

(“Rosa fresca aulentissima…”), sino alla rosa mistica del Paradiso dantesco.

E sulla base delle considerazioni sopra dette che si può impostare una analisi dell’esegesi esoterica dell’opera di Dante e dei Fedeli d’Amore.

Come si è accennato più sopra è 1’800 a segnare l’inizio di una Comprensione del messaggio esoterico e simbolista dell’opera dantesca. Questa interpretazione di Dante si è profondamente sviluppata a partire da quegli anni ed oggi sono certamente maturi i tempi perché finalmente si aprano gli occhi sul messaggio dantesco e sulla sua validità anche ai nostri giorni.

Perché il velo sembra sollevarsi dopo circa 7 secoli? I perché si possono ricondurre fondamentalmente a due motivi.

Uno è di tipo storico sociologico: sottrarre Dante e la Divina Commedia ad un ambito puramente letterario e cercare per esso una valenza di carattere teologico, orientata in chiave di riforma della Chiesa o addirittura eretico-gnostica, è un’operazione che poteva avvenire soltanto dopo le grandi rivoluzioni liberali del secolo scorso. Prima l’opposizione della Chiesa sarebbe stata determinante: valga per tutte la posizione del Bellarmino che rivendicò la Commedia all’ortodossia cattolica allorché i primi protestanti cercarono di impossessarsene.

Un secondo motivo è di carattere più esoterico-tradizionale e si ricollega ad una presunta profezia secondo cui la Commedia sarebbe stata compresa dopo sette secoli.

Il tema è molto ampio e ci riconduce da un lato al valore simbolico del 7 (numero di Dante come dice il Singleton, mentre ad esempio il 9 è il numero di Beatrice) e d’altro lato al concetto di ciclo e di fasi di evoluzione per il compimento di qualsiasi evoluzione simbolica (valga per tutti come esempio quello dei 6 giorni + 1 della Creazione).

Le due motivazioni sono alla base delle due correnti seguite dagli interpreti in chiave esoterico-simbolica di Dante e dei Fedeli d’Amore.

La prima vede in essi una setta politico-religiosa, mirata a combattere la Chiesa corrotta, in qualche modo legata al clima di eresie che infiammava l’Europa, per la quale il “gergo” era un modo di comunicare per sfuggire agli strali dell’inquisizione.

La seconda corrente, meno storicamente connotata, pur non ignorando gli aspetti di cui sopra, pone maggiormente  l’accento sulla natura esoterica ed iniziatica del gruppo dei Fedeli d’Amore, cui Dante appartenne, ma da cui in parte si staccò, perché i suoi orizzonti di conoscenza spirituale si allargavano, corrente che attribuisce il gergo segreto alla natura appunto iniziatica della setta dei Fe- deli d’Amore ed al percorso interiore che ciascun adepto doveva percorrere per pervenire a comprendere completamente la dottrina segreta.

Quest’ultima corrente interpretativa è certamente quella più feconda, perché ci permette di ritrovare le radici di quell’esoterismo cristiano che è andato perduto dopo il cristianesimo dei primi secoli, per motivi che sarebbe complesso analizzare.

Esoterismo cristiano che peraltro non andò completamente perduto nell’opera nascosta di molti filosofi e letterati, sempre osteggiato dalla Chiesa ufficiale, che permeò di sé anche il gruppo dei Fedeli d’Amore e del quale Dante, nella Divina Commedia, seppe fornire una summa che seppe raccogliere in sé anche gli echi degli altri esoterismi occidentali e non soltanto di quelli.

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FUNZIONE REALE DELL’INIZIAZIONE

FUNZIONE REALE DELL’INIZIAZIONE

dI SILVIO  BROGGI

Nei riti di passaggio, in ogni epoca si è marcato un momento fondante di un diverso livello di conoscenza.

ln sintesi, esistono solo due aspetti della ricerca degl)i di essere presi in considerazione: l’esplorazione della materia (sia a livello microscopico che dell’universo) e la discesa nell’abisso dell’inconscio, per la quale lo strumento più efficace resta la tecnica dell’iniziazione, Il Fuori e il Dentro: ecco la grande questione. Nel corso dell’avventura umana il resto è poca cosa.

Ogni giorno ciascuno di noi sfiora senza saperlo persone che hanno ricevuto l’iniziazione.

Questi esseri hanno raggiunto livelli qualitativi di coscienza diversi da quelli occupati dai comuni mortali; eppure solo raramente ci si può rendere conto fin dall’inizio dell ‘importanza della persona con cui si ha a che fare.

Ebbene, non basta lasciarsi portare dalle onde dell’esistenza. Le correnti della vita sono disseminate di scogli che vanno superati con successo. Mancare il proprio percorso è vedersi condannato ad essere solo una caricatura d’uomo. Per gli umani il viaggio inizia quando, alla nascita, il bambino riceve un nome. Il primo ostacolo importante è rappresentato dal raggiungimento della pubertà, accompagnata da metamorfosi psicofisiche importanti: sembra che sia nato un nuovo essere. Anche il momento del matrimonio annuncia un’ alba di nuova esistenza. Quanto al lento declino, esso porta con sé nuovi problemi. Per poter sussistere, l’uomo ha bisogno di saggezza, altrimenti sarà preda della disperazione. Infine sopraggiunge la morte. Nascita, pubertà, matrimonio, invecchiamento e morte rappresentano quindi delle inevitabili prove. Che le si affronti serenamente o con smarrimento, che siano celebrate o passate sotto silenzio, esse scandiscono il cammino dell’uomo. Ad ogni ostacolo superato segue una nuova fase della vita; al termine di ogni stagione dell’esistenza si delinea realmente un nuovo essere.

Purtroppo, l’uomo di oggi tende a non celebrare più le sue tappe. Egli non sa più percepire con la stessa intensità i propri cambiamenti ad ogni prova; perde a poco a poco coscienza delle proprie metamorfosi. Spianando il cammino della vita, il suo passo dimentica I ‘indispensabile cadenza vitale. I popoli arcaici e le antiche civiltà, invece, percepivano intensamente quanto fosse importante celebrare ogni prova della vita.

Ogni celebrazione rituale a carattere iniziatico inaugura un nuovo periodo dell’esistenza. Non basta però che l’essere umano prenda coscienza della propria ‘metamorfosi: conviene prepararlo ad affrontare l’ignoto e temprarlo in vista degli ostacoli che si presenteranno.

L’ iniziazione imiterà, anticipandole, le prove che scandiscono il mistero dell’esistenza. Essa in fondo è un sogno ad occhi aperti. Così l’iniziato, in seno alla comunità festante, sogna la sua vita futura. Egli simula le azioni della sua prossima metamorfosi. La stessa anticipazione si ritrova, ugualmente intensa, presso i popoli arcaici che si preparano alla guerra: le loro danze in armi, accompagnate da ritmi incalzanti, mimano con realismo la battaglia dell’ indomani.

Esistono anche, evento capitale, delle iniziazioni alla morte. La morte, l’estremo trapasso, è la suprema iniziazione. Tutti i popoli del mondo esigono dai neofita che subisca la prova del trapasso e ne conosca i tormenti affinchè  possa rinascere.

Così, tramite giochi che simula  l’azione futura, la Natura anticipa il momento in cui l’essere si confronterà con gli ostacoli del suo successivo stadio di esistenza. E come se essa avesse un programma. In effetti tutta una eredità sembra trasmessa al bambino Quando nasce egli è già vecchio di tutti i secoli precedenti. A ciascuno va lasciato il compito di riflettere sulle sue esperienze per spiare, nella quotidianità, dei momenti eccezionali nei quali egli sembra un ‘altra persona. Allora ci si sorprende a reagire in modo insolito, non previsto dalla coscienza lucida. Ci si sente perfino più persone contemporaneamente e molteplici coscienze sembrano convivere nell’uomo. In questi momento privilegiati, l’unità dell’individuo non ha più un grande significato; sembrano riapparire delle facoltà anteriori alla coscienza presente.

Se allo stato embrionale la Natura sembra prevedere un programma che prepari l’essere umano alla vita terrestre, la nascita appare un evento, un’ammissione a livello di coscienza lucida e, in qualche modo, una iniziazione. Il bambino entra nella vita, passa nel mondo dei vivi. Presso la gran parte dei popoli egli subirà quello che viene chiamato un rito di passaggio, di cui il battesimo cristiano è un esempio. Ogni nascita tuttavia non è che un primo gradino della vita: la pubertà, il matrimonio, la malattia. la morte saranno altrettante soglie da attraversare. Bisogna guardarsi dal ritenere i riti iniziatici che si svolgono in queste occasioni delle semplici feste. Si tratta piuttosto di prove cariche di un indicibile mistero. Subire una iniziazione equivale ad abbandonare la superficie degli avvenimenti, scendere nelle profondità dell’oceano psichico, perdere la coscienza lucida per seguire la corrente tumultuosa dell’Universo; infine vedere in faccia lo splendore stesso della Forza vitale. Quando l’uomo torna tra i suoi simili, dopo aver superato la prova. è stato toccato dal mistero: è diventato un altro. •

Presso tutti i popoli i riti di passaggio hanno uno svolgimento simile: una separazione dal mondo profano, la grande esperienza e un ritorno dell’essere rigenerato in seno alla comunità.

Ma ecco il fatto fondamentale: l’antico rito di passaggio non comporta più solo l’integrazione, per magia, dell’individuo al gruppo: ad essa si aggiunge la trasmissione di un insegnamento segreto. D’ora in poi l’ iniziato non trarrà più la sua forza solo dall ‘ apparenza alla comunità, ma avrà il privilegio di imparare; presto egli conoscerà tutto ciò che un uomo può conoscere; e colui che sa tutto, può tutto. Nella iniziazione il neofita, unendo la sua coscienza al gruppo, perde la propria individualità, ma perdendo questo involucro che lo isola dal Mondo, egli diventa capace di percepire la sublime Unità dell’Universo. Egli si fonde con il divino e ne trae i propri poteri. Tuttavia, se la morte dell’antenato aurorale fu la prima iniziazione, tutte le iniziazioni a venire si acquisiranno tramite morte rituale. Ecco perché, a tutte le conoscenze segrete sull’origine del Mondo, sulla natura del Divino sulla salvezza personale, già trasmesse con l’iniziazione, si aggiunge spesso il supremo sapere al quale si giunge con una morte rituale. La soglia della morte è stata varcata e per questo si è raggiunto un nuovo livello di coscienza.

Il pensiero razionalista concepisce la Storia come un perfezionamento infinito, a partire dai primi utensili immaginati dall’animale verticale fino al completo dominio dell’universo ad opera dell’intelligenza umana. Per la mentalità religiosa, al contrario, gli eventi importanti hanno avuto luogo all’inizio. Così il mito del razionalismo si trova al termine del cammino, mentre quello dell’uomo religioso si situa all’origine della Storia. L’uomo religioso quindi vive fin dall’origine in un mondo sacro; fu all’inizio dei tempi che apparve il Mistero al quale lo spirito umano deve rifarsi continuamente, se non vuole piombare nella decadenza. Ogni generazione quindi farà bene a trasmettere intatto il contenuto di questo Mistero originario. Ogni eletto dovrà veder giocare, o giocare lui stesso il gioco sacro della morte e della risurrezione aurorali. Quando avrà identificato il proprio destino con quello del Progenitore dell’alba dei tempi, egli diventerà immortale come lui. Questo è lo scopo delle dottrine e pratiche segrete denominate Misteri, comuni al Medio Oriente, alla Grecia ed a Roma antica. Esse mirano a trasformare la qualità dell’anima del novizio, ad elevare la sua coscienza ad un livello sovrumano, a farne un essere eterno.

I riti iniziatici del passato dovrebbero spiegare l’ideale delle società segrete di oggi, a patto che la loro tradizione non sia stata interrotta. Per quanto riguarda l’iniziato alla Massoneria o ad altre società esoteriche, nessun segno svela la sua appartenenza, tranne un segreto equilibrio interiore, un dominio del corpo e dello spirito, frutto di un’ azione dell’uomo su se stesso. Ma tale dominio e serenità sono davvero il risultato di una tradizione intatta? Le tecniche iniziatiche dell’antichità portavano tutte lo stesso messaggio: lo spirito umano poteva emergere tramite l’iniziazione.

La questione è di primaria importanza. Infatti se le dottrine, i riti ed i simboli antichi si fossero tramandati intatti fino alle organizzazioni segrete di oggi, gli iniziati contemporanei avrebbero la certezza di compiere, negli scenari di un tempo. gli stessi gesti efficaci. Custodi di conoscenze venerabili, garantite da una tradizione uscita indenne dalla rovina del mondo antico, essi sarebbero gli ultimi prestigiosi anelli di una catena tesa al di sopra dei secoli.

A prima vista la storia non induce a credere in questa ideale continuità. Eppure i quattro millenni della civiltà egizia non potevano sparire senza lasciare traccia. E’ molto probabile che il grande mito faraonico delle creazioni del Mondo attraverso la Parola abbia influenzato la teologia giudaico cristiana del Logos, il Verbo creatore. Se dunque l’Europa medioevale non ha raccolto che un ‘eredità smembrata e talvolta snaturata, non di meno ha scoperto in essa degli elementi sopravvissuti non sempre irrimediabilmente alterati. Tra questi elementi sopravvissuti i l processo iniziatico ha conservato una integrità sorprendente. Se le parole e i simboli ai quali ricorrono gli iniziati di oggi sono ben lontani dalle loro forme originarie, sembra però che le tecniche segrete abbiano mantenuto la loro antica efficacia. E’ a questo punto che ci vengono in aiuto alcune decifrazioni di antichi papiri e l’identificazione precisa di alcuni siti archeologici di cui non si avevano notizie certe. Tra i molteplici esempi riferiremo le nozioni riguardanti gli antichi riti iniziatici di Osiride compiuti ad Abido, grazie ad una nuova interpretazione e traduzione del papiro di Leida. Il fatto che l’uomo possa sottrarsi alla propria condizione terrena, diventare un Superuomo e dare così un significato più alto al proprio destino, è senza dubbio la più sorprendente emergenza dello spirito umano inserito nell’evoluzione biologica. Fu nella valle del Nilo che venne elaborato per la prima volta il processo psicologico dell’iniziazione ed il papiro di Leida ne descrive le varie tappe in successione.

L’arrivo del postulante

l . Il gesto di benvenuto: il visitatore riceve dei fiori del Signore dell’Occidente (Osiride) o forse la corona dei giustificati osiriaci.

  • L’apertura delle Porte del regno dei Morti: il nuovo venuto penetra in un Aldilà simbolico.
  • L’apparizione di Anubi, ossia di un sacerdote che indossa la maschera dello sciacallo divino guida dei morti (e dei defunti iniziati): comincia il grande viaggio che preparerà la grande nascita di un nuovo

uomo.

  • La discesa della Terra, la Madre Terra. fonte di vita e dispensatrice di immortalità. Un cammino regressivo, fino alla Madre Terra, permetterà di rinascere.

I – Giustificazione del postulante

5. L’ingresso nella grande Sala sotterranea dove riposa il dio. Il visitatore conosce, da vivo, la gloria dei defunti: è proclamato maakheru (giustificato)

II – Rigenerazione

6. Il bagno rituale nell’acqua della rinascita. Dopo essere stato giustificato, il neofita risuscita grazie all’acqua primordiale.

III – Illuminazione

  • La rilevazione osiriaca. Divenuto immortale al pari degli dei, il postulante può finalmente contemplare la più sacra delle reliquie. La visione ineffabile trasferisce la sua coscienza su di un piano inaccessibile ai comuni mortali. E l’illuminazione personale e sublime.

Fine del rituale

If sonno nel tempio: l’iniziazione è terminata. La notte trascorsa nel santuario permetterà senza dubbio al nuovo iniziato di vedere il suo dio in sogno e di riconoscersi suo servitore radioso.

Giustificazione, rigenerazione, illuminazione sono le tre fasi principali dell’iniziazione ad Abido secondo il papiro di Leida. La loro successione è semplice, rigorosa e l’ascesa, sapientemente ordinata, è liberatrice: non vi è rigenerazione senza prima una giustificazione dell’anima e non si ha rivelazione del divino prima che l’uomo stesso sia divinizzato dalla rigenerazione. Queste tre tappe provocano l’emergenza spirituale si ritrovano nelle iniziazioni di oggi. Certo la terminologia e lo scenario sono cambiati, ma l’itinerario imposto al neofita moderno ricorda stranamente quello dell’antico Egitto. In effetti Ordini segreti di oggi badano in primo luogo a plasmare la coscienza del postulante, suggerendogli un tema sul quale riflettere o attribuendogli un titolo (la giustificazione del papiro di Leida); in seguito ha luogo un rito rigeneratore (il bagno di Horsiesis); infine si ha la rivelazione improvvisa, in una luce abbagliante, del sacro emblema dell’Ordine (in Egitto la reliquia osiriaca). Perciò per diventare iniziati bisogna — come il sacerdote di Amon — essere stati prima psicologicamente rivelati a sé stessi, poi rigenerati e infine illuminati.

Lo studioso indaga i fatti religiosi, il sacerdote li difende; il fedele vi si sottomette. L’iniziato vive costantemente nel Mistero. I turbamenti dell’anima si placano. L’uomo conosce l’autentica pace interiore. L’iniziazione l’ha aperto all’armonia universale. Per vivere al livello di coscienza raggiunto da un iniziato non vi è che un mezzo: subire l’iniziazione. Oggi perciò si dovrà bussare alle porte di una società iniziatica. In realtà, le società definite iniziatiche non dissimulano affatto il luogo in cui si riuniscono, né la loro storia e le dottrine sulle quali si fondano. Però preservano i loro riti, i loro segni di riconoscimento ed il lavoro sperimentale da esse compiuto. Segrete, le società esoteriche lo sono solo nella misura in cui procurano ai loro membri i mezzi per trasformare il loro mentale. ln verità esse sono aperte a lutti coloro i quali ne sono spiritualmente degni. Il segreto, l’indicibile segreto, è nel cuore dell ‘iniziato. Per trasformare una coscienza si usano delle tecniche che ricorrono, in un primo tempo, alla dissoluzione delle tendenze umane, troppo umane, del neofita.

Ricordiamo ad esempio quanto succede nelle nostre iniziazioni quando il neofita è lasciato solo nel gabinetto di riflessione di fronte alla parola VITRIOL (motto latino attribuito al leggendario monaco e adepto Basilo Valentino: visita interiora terrae recti.ficandoque invenies occultum lapidem). Il senso è chiaro: rinuncia ai clamori del mondo, scendi in te stesso; lì si trova il tesoro nascosto della tua spiritualizzazione. Non si tratta perciò di apprendere una dottrina. La tecnica iniziatica è addirittura opposta all’acquisizione di conoscenze. Isolamento, sottomissione, rinuncia, sacrificio di sé, questo è il preludio a qualunque iniziazione. Solo allora avrà inizio la grande esperienza. Il processo è misterioso e rimarrà tale perché sfugge ad ogni spiegazione razionale. Orbene, nell’uomo vi è un bisogno di divinità, ma come realizzare questo sublime incontro che unirà l’uomo al divino? Svelando di colpo un simbolo della Potenza universale, cioè un’ intensa luce. Così il cammino, a partire dall’oscuro gabinetto di riflessione fino alla grande Luce, annovera spesso alcuni tra i momenti più intensi di una esistenza. Una volta che essa vi sia riuscita, l’iniziazione diventa una condizione permanente che determina una autentica metamorfosi dell’uomo. Per raggiungere

tale risultato non è affatto necessario che le prove siano spaventose, ma psicologicamente efficaci. Dopo le parole rituali che chiedono la sua ammissione nel Tempio, la porta si apre, il neofita viene introdotto nel Tempio ed intraprende un cammino disseminato di ostacoli e quindi deve superare prove dell’ aria, dell ‘acqua e del fuoco. Dopo aver solennemente giurato di custodire per sempre il segreto della iniziazione, il neofita viene liberato della benda. Che la Luce sia! Egli vede la grande Luce (il Sacro lo illumina) e scorge intorno a sé i fratelli che ormai lo proteggeranno. Si sente divenuto davvero più di un uomo, quasi un dio.

L’ avvento del Superuomo può essere suggerito per mezzo della prova suprema: la morte iniziatica seguita dalla resurrezione. E ciò che si verifica nel mito di Hiram. Infatti. Quando  il suo corpo venne scoperto, fu esumato e trasferito in una tomba degna di lui. ln quel momento, misteriosamente. il sapere del defunto (la parola del Maestro) penetrò nello spirito dei fratelli caritatevoli.

L’ Universo è stato creato o è eterno? La sua evoluzione nasconde un volere supremo? Qual è il ruolo dell’uomo in questo immenso crogiolo di energia? Qual è l’origine della vita? Esistono altre forme di vita nello spazio? Che cos’è in realtà la motte? Dove porta l’avventura umana? Perché il male e la sofferenza? Che cos’è infine l’uomo? In altre parole l’interrogativo principale è: sono o no tutt’uno con I ‘Universo? Non rendendosi conto di questo, l’uomo trascura una possibile alleanza con il Mondo.

I famosi libri ermetici, adattati da greci che avevano frequentato gruppi esoterici alessandrini alla fine delta civiltà egizia, restano l’esempio impressionante di un lungo sforzo per giungere, attraverso la via razionale, ad una conoscenza totale. Ma se l’edificio crollò fu in seguito al fuoco appiccato dalla scienza greca. L’uomo allora arretrò. Volle misurare il Sacro. Il sacro divenne per lui I’ Avversario da intrappolare nella robusta gabbia dei principi generali. Ormai solo in un mondo di oggetti, l’uomo calcolava. Si ricominciava ancora una volta verso un’impresa totale, ma per un ‘altra via. Lo strumento era cambiato: la ragione, non lo spirito intero, agendo su un piano esclusivamente materiale, attraverso il calcolo e l’esperienza, si arrogava tutti i diritti di comprendere l’Universo. Alla fine del cammino però che cosa si sarebbe scoperto? Che dopo la distruzione dell ‘ Alleanza sacra, [a ragione conquistatrice, esplorando la materia, finisce per spogliarla di ogni rappresentazione sensoriale. La massa e l’energia diventano intercambiabili. La ragione ed i suoi principi miravano allora ad incatenare l’Universo. Ora si rinuncia alla comprensione dei fenomeni fisici sul piano oggettivo. Ecco che il Sacro riprende ciò che gli è dovuto. L’intelletto ha i suoi limiti che l’uomo non oltrepassa. Le facoltà irrazionali, seconda gamma di conoscenze, sembrano generare altrettante verità di quanto non faccia la ragione, cara allo studioso. Esistono concezioni spiritualistiche nel mondo nate da un’ istituzione immediata della coscienza. Per questo sono fuori dalla portata della critica razionale. In modo particolare l’insegnamento iniziatico, dispensato dalle scuole segrete, appare una evidenza.

Se l’uomo accetta di aderirvi, senza trascurare le scienze, la sua visione si amplia insieme alla sua condizione di uomo.

Lo sviluppo dello spirito umano, sotto la pressione dell’istinto di conservazione, inizialmente prese avvio in una sola direzione: ‘quella dell’efficacia. L’uomo fu affascinato in primo luogo dall’intuizione della propria eternità. La sua riflessione si appuntava sulle stelle, sul corso instancabile del sole e della luna, sul ritorno annuale della vegetazione. Nascite. morti e rinascite gli parlavano di eternità. In uno spettacolo mobile, l’uomo si percepiva in movimento. In un Mondo eterno, egli era eterno. Era minuscolo, una minuscola parte di un Essere misterioso. L’ Universo lo trascinava nei suoi immensi circuiti dove l’uomo respirava come un frammento irradiante energia cosmica. Ma come concepire una tale energia? La forza vitale racchiusa in lui non era forse la stessa che faceva crescere la spiga di grano e sorgere il sole? L’uomo la chiamò Spirito. Lo Spirito è ovunque, lo Spirito è in tutto. La Potenza sacra è ovunque manifesta. Il Mondo è questa Potenza. Il Mondo è la Potenza di cui gli oggetti non sono che la parte più pesante. Ciò che l’uomo chiama realtà è una manifestazione dello Spirito invisibile. In effetti tutto è spirituale. Tutto è in tutto ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso.

Ma allora che cos’è l’uomo? Una parte d’infinito. Se l’infinito lo assorbe, egli, essendone una parte, ne possiede i poteri. Così l’uomo è sacro, onnipotente come il Mondo. Gli organi di senso, creatori di illusioni (quella di spazio ad esempio) scavano un abisso apparente tra l’intelligenza e il mondo delle cose. Di qui il vuoto dell’anima che atterrisce l’uomo. Per allontanare questo spettro bisogna eliminare innanzitutto ogni illusione di spazio; ciò che significa cercare la notte. la penombra che regna in tutti i santuari. L’ equilibrio ritorna, l’essere umano di nuovo disponibile, si unisce in pace alla Potenza e ritorna ad irradiare.

Il nemico principale dell’uomo è lui stesso. Da quando la sua condotta si personalizza ed egli si appropria di esseri e di oggetti, il suo potere cresce e la sua anima diminuisce. L’uomo divorzia dal Sacro. Più si vuole materialmente forte, più diventa spiritualmente debole. Cancellare la persona, ecco quindi la prima tappa sulla via della realizzazione umana e dell’attivazione di poteri che ognuno possiede. Tale attivazione dipende da una neutralizzazione psicologica, da principio intermittente e poi permanente, acquisita attraverso tecniche segrete. Il mondo visibile non è che una manifestazione dell’Invisibile. Le realtà, solide e rassicuranti, esistono solo nella mente dell’uomo. In definitiva la sua realtà non ha nulla in comune con l’Universo reale. Il significato sta nell’Invisibile. Ma come conoscere l ‘ Invisibile? L’ Invisibile è ovunque, lo Spirito è in tutto. Così, sin dall’ alba della civiltà si è cercato di rendere manifesta la presenza dello Spirito nell’uomo. Nel segreto dei Templi si svelano così le immagini più percepibili dell’Uomo spirituale. Ma la via della spiritualità va percorsa con lenta tenacia e sotto l’egida di un alto Insegnamento. Del resto, l’accesso a livelli diversi di coscienza non si realizza per via intellettuale. Per tale motivo i membri delle Società iniziatiche non si incontrano per scambiarsi conoscenze. Al momento di penetrare nei Templi segreti, ognuno di essi ha già raggiunto un grado di percezione personale. L’importante non è mantenerlo segreto alla comunità ma ricreare, nel Tempio iniziatico, uno stato di coscienza che renda possibile compiere esperienze di gruppo. La visione del corpo psichico, in particolare. è una rivelazione per un neofita. Che dire allora dell’ esperienza di sdoppiamento? Gli iniziati dicono che il corpo psichico ha lasciato il suo veicolo terrestre e si sposta liberamente. L’uomo ha così rotto i pesanti ormeggi della sua condizione naturale. La manifestazione del corpo psichico tuttavia non è che un preludio ad esperienze i cui effetti, sul piano materiale, non dovrebbero lasciare nessuno indifferente. Se si vive quotidianamente con questa convinzione secondo la quale non esiste alcuna discontinuità tra il Visibile e l’Invisibile, e l’Universo è un immenso clavicembalo di tutte le vibrazioni cosmiche, tra le quali le più basse sono la Materia, si apre la via ad una giusta comprensione delle cure psichiche.

Lo Spirito è in tutto. Ogni essere umano è un deposito dell’ Invisibile ed ha in sé una scintilla della sua energia: goni uomo irradia. Nell’ ambito dell’alta spiritualità, qualunque esitazione nella messa in atto del Sacro appesantisce l’essere umano e lo priva di efficacia. Nulla si realizza senza aver prima abbandonato la persona. Finché essa è presente nel mentale non succede niente. Ogni trasmissione  di energia non si può ottenere senza un completo oblio di sé. Il resto, cioè l’utilizzazione progressiva della Potenza, è solo una questione di livello. Certo non è ancora tempo per l’ Uomo di essere onnipotente, ma in un futuro non lontano egli si accorgerà di poterlo un giorno diventare.

Ma cos’è esattamente il mondo degli oggetti? La terra gira nello spazio infinito. Alla percezione della notte segue quella del giorno; dal loro dualismo nasce il fluire del tempo. Tra lo spirito umano e l’oggetto che esso percepisce si apre il vuoto che genera a sua volta il concetto di spazio. E sul mare che si oscura al tramonto, lo smeraldo delle onde volge lentamente al violetto suggerendo il movimento. Così tempo, spazio, movimento, si manifestano nella coscienza urnana solo facendo leva su una duplice apparenza. Su un doppio supporto emerge. davanti all’uomo, la Manifestazione. Il suo Mondo è quello delle manifestazioni. E come se un Tre misterioso, un Triangolo ideale, dominasse l ‘ Universo. Il Tre appare ovunque. In primo luogo nell’uomo: le due metà del corpo agiscono in armonia creando un essere intero. Gli iniziati affermano che ingrandendo questo triangolo su scala cosmica, il vertice raggiunge il piano dell’invisibile e la base poggia, sempre su due punti, nel campo del visibile. La coscienza dei Maestri è un Tre luminoso: la sua base, già evanescente al livello materiale, si slancia verso un vertice che ha lo splendore dell’Invisibile. D’altronde, i membri delle scuole iniziatiche che hanno raggiunto i livelli più alti del sapere sono detti Illuminati.

Per quanto riguarda ka morte, essa suscita un turbamento senza pari, perché obbliga a guardare in faccia l’irrazionale; cosa c’è dunque oltre la grande porta? I membri delle società esoteriche, grazie alle ripetute iniziazioni subite, hanno sperimentato più volte il trapasso simbolico seguito dalla rinascita. Il loro mentale, posto ritualmente e periodicamente in stato di morte, si è incontestabilmente caricato di emozioni che, interpretate nel modo giusto, potrebbero comunicare una visione premonitrice di un al di là dell’uomo. La morte non si conosce, ma quando sopraggiunge, ciascuno la prova. Perciò bisogna rinunciare a dissertare su di essa. Vita e morte, giorno e notte, bene e male sono inesorabili contrari inseriti nel piano del visibile; sono i due termini della manifestazione sulla quale si edifica il Triangolo sacro. il cui vertice, terzo punto dell’Invisibile, farà sorgere la percezione nella coscienza umana. Con la morte, di colpo, si rompe la base esistenziale dell’uomo. Il corpo fisico si decompone. L’essere psichico, a lungo contenuto entro limiti triangolari, si trova libero e si congiunge all’Invisibile. Il trapasso non è una prova più dolorosa della nascita. In questi istanti cruciali predomina un senso di liberazione: morire è vivere altrimenti. Del resto, nascere è in un certo senso morire, perché la coscienza si trova di colpo presa nella rete delle più basse vibrazioni cosmiche, quelle del piano materiale. Perciò non esistono né nascite né morti, ma solo delle differenze di livello nelle metamorfosi dell’essere psichico. Inizialmente “il defunto-iniziato” non è cosciente del proprio stato, non sa di essere mollo, come il neonato non sa di essere nato. E necessario un certo tempo per il lento risveglio della coscienza. Lentamente essa comincia a sapere di aver raggiunto un nuovo livello dove non esistono tutti gli ostacoli creati dalle basse vibrazioni del mondo materiale. L’uomo diventa allora realmente ciò che ha sempre presentito: energia in libertà. Per l’uomo che semplicemente decide di restare tale, ciò che importa sapere è che in realtà il problema della morte non esiste.

La grande opera delle Società esoteriche è quella di dispensare per gradi ripetute iniziazioni. Queste devono precedere a successive morti rituali seguite da rinascite, per scuotere il mentale nel profondo e suscitare infine delle emozioni che non soltanto saranno analoghe a quelle precedenti il vero trapasso, Ina faranno anche prevedere il destino ulteriore della coscienza in una sorte di visione premonitrice. Le diverse cerimonie iniziatiche sono perciò i momenti più alti di una lunga alchimia mentale. E vero che nei giovani iniziati le impressioni nate dalla morte per anticipazione restano fugaci. Questa sorta di stato di grazia perdura tutt’al più qualche giorno. La vita profana, come una marea montante, ben presto ricopre le tracce del cammino spirituale. Si dovranno perciò moltiplicare i rituali ripetendo i gesti creatori dello stato iniziatico fino a rendere quest’ultimo permanente. Si raggiunge così la condizione di illuminato. Ma questi è ancora un uomo? Certo ne ha l’aspetto; però la sua vita interiore vibra ad un livello qualitativo che nessuno, tranne lui stesso, è in grado di valutare. Ciò che l’Illuminato considera essenziale è la sua unione definiti va al mondo delle alte vibrazioni. il suo contatto permanente con l’ Invisibile. Credere al divino o arrivare a presentirlo è poca cosa. L’illuminato sente il divino intensamente e costantemente. I segni che egli ne riceve, visivi, uditivi. tattili o più sottilmente interiori, riservano al suo viaggio gli stati d’animo più preziosi che l’uomo possa provare: quelli della pace interiore, nata dalla consapevolezza del proprio destino. Perciò per diventare un iniziato bisogna esser stato prima psicologicamente rivelato a sé stesso, poi rigenerato ed infine illuminato. Queste sono le tre fasi dell’alchimia dello spirito umano. L’iniziazione è quindi una epifania provocata che dispone lo spirito a conoscere l’autentico contatto cosmico. L’estrema tensione ottenuta con l’iniziazione si rilassa a poco a poco, cedendo il posto ad una gioia indicibile: quella dello spirito umano che muta avanzando verso vette inconcepibili per un’umanità non ancora realizzata che soffre nelle tenebre. Negli antichi riti egizi l’ascesa verso la conoscenza non dipende tanto da nozioni precise, acquisite tramite apprendimento intellettivo, ma è il risultato di una paziente sottomissione dello spirito alla visione di immagini simboliche e l’esecuzione di gesti rituali. La conoscenza o l’intelligenza del divino non basta per 1-111ire i fedeli a Dio, scrive Giamblico nel IV secolo della nostra era, altrimenti i filosofi con le loro speculazioni realizzerebbero l’unione con gli dei… E  l’esecuzione perfetta e superiore all’intelligenza di atti ineffabili; è la forza inesplicabile dei simboli che darà l’intelligenza delle cose divine. Il contatto con il divino si ottiene tramite il gesto e la parola; il mistico non ha spada, la sua spada è ciò che sta al di sopra della ragione. Il neofita riceve progressivamente più luce grazie a gesti allegorici, alla manipolazione ed alla contemplazione di oggetti simbolici. Egli non confonderà mai le conoscenze dello studioso con la Conoscenza che al termine del cammino salvifico gli è promessa. Nessuno gli chiederà di fissare nella memoria i principi di una dottrina. Nessuno si azzarderà ad indottrinarlo. Lentamente, attraverso la riflessione personale, egli otterrà il controllo della mente: la grande opera di ogni iniziato sul piano terreno. Le tecniche iniziatiche si limitano a mettere in atto quadri simbolici, parole e gesti destinati a suscitare un mutamento di livello spirituale, mentre ciò che l’iniziazione condanna sono proprio le nozioni dogmaticamente insegnate.

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LA MASSONERIA OGGI, E ANCORA ATTUALE?

LA MASSONERIA OGGI, E ANCORA ATTUALE?

Di Arnaldo Francia

In una recente tornata di loggia si ripropose un dibattito sul tema frequentemente ricorrente della validità e dell’attualità della Massoneria ai giorni nostri. Dopo una prima serie di interventi non ancora esauriti ad ora tarda, si decise di rimandare la discussione alla tornata succesSiva per consentire a tutti di esprimere il proprio pensiero sull ‘argomento.

ln quell’occasione ciascuno si sforzò di descrivere la situazione politica, sociale, religiosa, comportamentale di questa nostra epoca, facendo del suo meglio per evidenziare ed esaltare quegli aspetti che più riteneva meritevoli di segnalazione a conforto dell’esistenza e della validità della Massoneria nonchè della sua persistente attualità.

Ma ci si potrebbe chiedere, senza enfasi e senza polemica, se sia necessaria una documentazione del mondo esterno, dei suoi aspetti contingenti, dei suoi problemi attuali e delle caratteristiche della civiltà contemporanea per rispondere affermativamente alla domanda. O non sarebbe più semplice rispondere che la Massoneria, nata con I ‘ uomo e tramandatasi nei secoli, propone principi che possono sembrare arcaici e oggi anacronistici soltanto ai meno provveduti mentre sono immutabili ed eterni, costantemente attuali e in perfetta armonia e corrispondenza con i tempi.

Al limite, la semplice proposizione di una domanda del genere potrebbe già far sorgere dubbio e sospetto sulla maturazione iniziatica di chi la propone così come, indipendentemente dal credo religioso, dal costume morale, dalla pratica di vita, non si può disconoscere la validità tuttora attuale delle tavole di Mosè, dell ‘opera di ConfUcio, della parola di Cristo.

Un Uomo dotto e famoso non seppe rispondere alla domanda se fossero i tempi a creare i grandi uomini o se fossero questi, con il loro genio, la forza, le azioni a creare e plasmare i loro tempi; io personalmente, che dotto e famoso non sono, non arrossisco se non so rispondere alla domanda se i tempi differiscano tra loro, almeno per quanto concerne le passioni, le lotte, le ambizioni, le aspirazioni dell uomo.

E quasi sarei tentato di rispondere che i tempi sono ilnmutabili e si ripropongono quindi sempre uguali, invocando a conforto le opere dei grandi scrittori e dei grandi poeti che si è soliti definire eterne e i cui personaggi, riposti i costumi del romanzo e della rappresentazione, non hanno epoca e neppure nazionalità definita. Proprio perché immutabile è la scena e l’arnbiente di vita e immutabili sono i sentimenti degli uomini, eterni e quindi moderni e quindi attuali sono e rimangono gli eroi della tragedia greca, i personaggi di Shakespeare, Don Chisciotte e il Dottor Faust e, con le dovute differenze. le creature di Molière e di Goldoni e le maschere del teatro popolare.

Ma forse questa mia risposta potrebbe risultare troppo semplicistica e sbrigativa e apparire maldestro tentativo per concludere che l’ideologia massonica, squisita sintesi politica, nel senso etimologico della parola, e quindi morale, costituisce una concezione inimitabile di vita sempre e comunque in armonia con i tempi.

Per completare e migliorare la risposta cercherò di appellarmi a quella saggezza popolare forse un po’ ingenua, magari troppo disponibile ma solo apparentemente contradditoria che con tanta sicumera talora rammenta che «nulla di nuovo avviene sotto il sole» rna per ammonire subito dopo, con un ‘velo di rassegnazione, che «i tempi cambiano» o talora, con maggior senso di nostalgia e di rammarico, che «i tempi sono cambiati».

Si potrebbe allora concludere che pur nella immutabilità di quei parametri rappresentati dai sentimenti eterni degli uomini, ogni epoca non sfugge ad una sua caratterizzazione in funzione di tutta una serie di elementi culturali, scientifici. artistici, religiosi, politici, tanto è vero che, a distanza, possiamo ricordare secoli bui c secoli brillanti, secoli in cui sembra prevalere un oscurantismo senza speranza e secoli in cui sembra di assistere ad una rivincita dello spirito quasi ad una sua rinascita, forieri talora di aneliti e di messaggi d’avanguardia.

La lontananza di quelle epoche, il comprensibile distacco dei nostri cuori e delle nostre menti dai tanti episodi che si sono succeduti, la possibilità di un ‘analisi storica a posteriori che colleghi in grossi capitoli gli avvenimenti salienti del passato facilita l’opera dello storico e consente ai posteri una più semplice anche se spesso grossolana catalogazione che permette con una certa facilità di apporre una etichetta, talora anche azzeccata, ai periodi storici del nostro passato.

Non diversamente i nostri posteri potranno esprimere un più distaccato giudizio in merito a questa nostra epoca, ulteriormente agevolati per la quantità di messaggi, di documenti, di ricordi che il progresso loro concede. Ma noi, attori di quest’epoca, partecipi interessati di queste nostre vicende, protagonisti, spettatori o vittime del momento attuale, con quale superbia c quanta presunzione possiamo permetterci un giudizio sereno, impersonale, disinteressato? Potremmo essere enfatici o entusiasti citando tutta una serie di conquiste e di successi della nostra civiltà o potremmo essere troppo severi censori dei tanti aspetti negativi che la contraddistinguono.

Non credo sia possibile aggiungere nulla di nuovo o di originale a quanto è già stato detto in merito alla nostra epoca, tanto frequentemente anche nell ‘ambito della nostra Organizzazione, né intendo indulgere ad una critica già fin troppo severa: credo semplicemente di poter configurare e comprendere gli aspetti più deteriori del tempo che viviamo nello sbigottimento che si pervade di fronte alla povertà morale, alla mortificazione della spiritualità c alla disperata ricerca di riferimenti. Appropriandomi di un titolo ad effetto potrei definire la nostra quale I ‘epoca della «caduta degli Dei» e dobbiamo tutti riconoscere con

umiltà e coraggio che nel corso della nostra vita, per ciascuno di noi, anche dei più forti, quegli «Dei», cui ci ispiravamo ancora nella nostra infanzia e nella nostra adolescenza, hanno almeno vacillato.

Ai mali che angustiano questa nostra epoca si aggiunge il sempre più diffuso disinteresse di gran parte della gente nei confronti dei tanti problemi contingenti, la sempre maggior renitenza riguardo la gestione della cosa pubblica, la rassegnazione serpeggiante che oggi riesce persino a condizionare quella fondamentale manifestazione di democrazia che è costituita dall ‘esercizio del voto.

Ed ecco allora che la risposta alla nostra domanda trova una sua maggior completezza: è proprio nei periodi in cui maggiormente incombono crisi morali, spirituali, esistenziali, in cui più intensa e sofferta è la ricerca di punti di riferimento che gli uomini dotati di “virtute ed intelletto” c soprattutto forniti di buona volontà debbono ricercare in se stessi la forza per risvegliare le coscienze e per dare ciascuno un personale contributo al riscatto dalla rassegnazione, dall’abulia, dall’inerzia. In questa operazione, squisita espressione di nobile volontariato umanistico e sociale, i massoni non possono che essere in prima linea: presenti ed educati in una scuola iniziatica e compresi dei suoi insegnamenti, essi fruiscono del vantaggio di potersi ispirare a quegli ideali che già in altri tempi hanno offerto prova di indiscussa validità e che possono costituire un sicuro riferimento in questa epoca di decadenza dei valori spirituali. Solo con il conforto del loro recuperato entusiasmo. l’Organizzazione potrà, a sua volta, attingere e validamente utilizzare preziose riserve di intelligenza, competenza, energia per continuare ad esprimere, attraverso i suoi uomini, come è suo costume, la sua funzione sempre attuale di aiuto al progresso della comunità.

Se è vero infatti che la modema Massoneria nasce solo all’inizio del 1700 con le costituzioni di Anderson, altrettanto noti sono i riferimenti a movimenti iniziatici ben più antichi.

Si tratta di movimenti che, pur con differenti connotazioni, si propongono con periodica ricorrenza in tutte le epoche dall ‘antichità ad oggi.

Attraverso ad essi si è realizzato, di volta in volta, un tentativo “di accostarsi alla divinità che si differenziava da quello peculiare del culto pubblico e privato’ .

E non è casuale che tali culti misterici si siano formati soprattutto laddove li favorirono particolari circostanze storiche, politiche. culturali, in particolare quando si verificavano decadenza delle religioni, appannamenti degli ideali (e perchè no, delle ideologie), crisi delle coscienze.

Non sembra quindi difficile cogliere la sottile analogia Ira la moderna Massoneria e le correnti iniziatiche cultrici dei misteri elensini o di quelli orfici o ermetici o dionisiaci o con gli stessi Cristiani delle catacombe. Ancor più facili da riconoscere sono i rapporti tra la moderna muratoria e correnti iniziatiche sviluppatesi culturalmente nell’oscurità della notte medievale, nei chiostri dei conventi, fra gli architetti delle cattedrali, tra i cavalieri delle Crociate che trovarono i loro esponenti più noti negli Alchimisti, nei Templari, nei Rosacrocc. E ancor più facile e comprensibile sarebbe analizzare ed interpretare le matrici della muratoria moderna alla luce degli aneliti riformatori del Rinascimento, degli effetti sconvolgenti della rivoluzione scientifica del seicento e infine, e soprattutto, degli influssi culturali, sociali. spirituali provocati dall ‘Illuminismo.

Erede e depositaria di un messaggio iniziatico di così lunga e consumata tradizione, la Massoneria, da corrente di pensiero può trasformarsi, specie in certi momenti, in vera e propria scuola di vita, capace di offrire agli uomini un insegnamento morale e comportamentalc. Essa ripropone infatti in ogni tempo quei suoi ideali che, ispirati alla libertà, alla tolleranza, alla fratellanza e soprattutto alla costante e fiduciosa ricerca della verità, possono dar vita a momenti liberatori e possono costituirc valido strumento per superare Ic più comuni passioni e le ricorrenti debolezze.

Tali ideali sono cterni nell ‘uomo e vivono nei tempi e ancorché sembrino talora sopiti nelle coscienze, improvvisamente rinascono come la mitica fenice e si ripropongono con sempre rinnovata vitalità.

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LA STELLA DEL MASSONE ERRANTE

LA STELLA DEL MASSONE ERRANTE                                       

di Roberta Belluati

In un testo taoista racconta Ciuang-Ze: “Sognai una notte di essere una farfalla che volava contenta della sua sorte; poi mi svegliai ed ero Ciuang-Ze. Chi sono in realtà? Una farfalla che sogna di essere Ciuang-Ze, o CiuangZe che sogna di essere stato una farfalla? Ci sono nel mio caso due individui reali? O vi è stata trasformazione reale da un essere ad un altro? Né l’ una, né l’altra cosa: vi sono state due modificazioni irreali dell’ essere unico, della forma universale, nella quale tutti gli es seri, in tutti i loro stati sono Uno”.

Il sogno è quello stato che permette all ‘uomo di identificarsi con altri esseri ed essere contemporaneamente se stesso. Esso è in questo senso indicativo di un rapporto relazionale tra unità e molteplicità, attestando della presenza di queste due modalità all ‘interno dello stesso essere umano. I testi vedici (Mandujya Upanishad), nella considerazione degli stati molteplici caratterizzanti tale essere: veglia, sogno, sonno, descrivono quello di sogno come la condizione Taijasa (sscr.), letteralmente “luminosa”, in quanto definita dall’elemento igneo (sscr. Tejas), costituito dalla luce e dal calore. Queste componenti ignee hanno relativamente all ‘uomo il [oro corrispettivo rispettivamente nel sistema nervoso e nel sangue, in quanto canali conduttori delle energie vitali (sscr. Nadi) a livello sottile, psichico, dominio dell’anima. Essi costituiscono il collegamento tra l’anima e lo stato corporeo. E nel sogno che l’anima produce un mondo che procede da sé, secondo combinazioni simboliche, che riguardo allo stato vigile di veglia, costituiscono possibilità più estese, essendo mescolati i tempi ed interpenetrati gli spazi, in un procedere pluridirezionale, “stellato”. Ecco come il simbolo della stella si può collegare simbolicamente alla sfera psichica.

La stella presente nella simbologia massonica sia nella volta del Tempio che singolarmente, come strumento del Compagno, indica  l’orientamento in virtù del suo fiammeggiare. Ciò che conduce alla ricerca dell’iniziato è il principio cognitivo non correlabile ad un metodo sistematico in cui sia implicito il compimento metafisico, ma piuttosto al movimento del pensiero che non si compie, restando fedele a se stesso, in itinere. Osservandone la geometria, la stella appare disegnata da alcune linee intersecantesi a formare una struttura ultimamente non lineare, che ne permette l’inquadramento nel cerchio. Prendendo tali linee a rappresentare la direzione lineare del metodo logico di causa-effetto, riferibile ad un pensiero che coincide con ta realtà secondo l’antico adagio dell ‘adaequatio rei et  intellectus, si può notare come tale direzione contribuisca a costituirne la forma, ma non ad esaurirla. Concorrono infatti alla sua formazione altre linee che esplodono da un centro incoglibile, in senso irradiante, pluridirezionale e descrivono un movimento a raggiera, circoscrivibile in una forma circolare dinamica (il movimento è infatti indicato dal fiammeggiare della stella stessa). Il senso pluridirezionale viene così a corrispondere all’approccio cognitivo polisemico, secondo le differenti letture che possono essere fatte di una stessa realtà e dunque secondo diverse modalità comunicative tra i molteplici stati dell’essere. L’uso della logica unidirezionale nel metodo stellato appare in questo modo ridotto o comunque non assoluto o privilegiato, di fronte ad un processo dinamico asistematico, che si sviluppa secondo il principio dell’affermazione multipla o della regioni coesistenti (la pluralità dei sensi del Senso inafferrabile), oltre il metodo di confutazione, fondato sul principio di non contraddizione e di ragion sufficiente. L’approccio cognitivo è cioè, in ultima analisi, definito secondo la probabilità e l’orizzonte congiuntivo. In particolare il principio dell’affermazione multipla, all’ insegna della comunicazione e dellinterdisciplinarietà, celebra più che una ragione totalitaria, una ragione creatrice, dubbiosa ed al contempo continuamente motivata ad esplorare la vita, secondo l’apertura a 3600 del compasso, in quanto coadiuvata dalle altre facoltà dell’anima.

Il procedere a raggiera in senso pluridirezionale dice di una rete significativa che sollecita la ricerca in avanti rimanendo allo stesso tempo cosciente della memoria di una genesi. Si tratta di una sollecitazione permanente che permette di stabilire livelli interpretativi differenziati, che si sovrappongono e si combinano, senza reciprocamente  escludersi, il cui continuo urto spinge a sempre nuove intuizioni. È il ragionar sognando o il sognare ragionando. La ricerca dei sensi avviene attraverso la struttura associativa, fatta di corrispondenze significative e rigorose ove ogni elemento è logicamente associato al contesto e dove lo sbocco si iscrive ogni volta nell ‘innovazione, nella nuova prospettiva che conserva il ricordo della retrospettiva, secondo la consequenzialità, l’analogia o la contraddizione ed il paradosso. La tendenza logica si avvale così della tendenza intuitiva, di quel ‘supplemento d’anima” che ha segnato la dinamica massonica nel suo procedere innovativo nei secoli, rispetto al pensiero e alla vita, alla teoria ed alla prassi, considerati a campi unificati.

Si ritorna così al fiammeggiare della stella, simbolo dello stato animico, il cui principio igneo veniva già da Eraclito definito in termini divini (è nota peraltro la corrispondenza etimologica greca di theiov e theios, tra gli aggettivi sulfureo e divino):

“11 dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame: differisce come “il fuoco” che, quand’è unito agli aromi, prende il nome  dal piacere proprio a ciascuno di essi’ (Fr.A91).

La stella è dunque rappresentativa del logos stesso, parola della mente, analoga alla Parola dell ‘Origine, alla Parola della Genesi che nel movimento creativo divide e riunisce. Parola originaria impronunciabile eppure evocatrice, indicativa nella sua risonanza di un quid inafferrabile, di un’origine continuamente sottratta, di un vuoto incolmabile, ma in quanto tale produttivo della polisemia analogica, dell’interpretazione infinita, del movimento di fuga dello stesso pensiero. Logos ana-logos, parola e trasgressione. Parola dunque essenzialmente poetica. il cui dire è contemporaneamente impossibilità del dire stesso, nella fuga verso I ‘oltre, in quanto il suo limite risiede nel nascondimento della sua origine: che in quanto tale permane irraggiungibile, pur costituendone l’essenzialità. Parola che è al contempo suono e silenzio essendone la relazione.

Razionalità e irrazionalità (sovrarazionalità), logica della misura e logica della dismisura risultano molto più interconnesse di quanto non appaia a prima vista. E infatti il linguaggio l’ambito strutturato della logica, della geometria, delle scienze, le quali sviluppandosi in equilibrio e misura giungono a toccare la soglia della sovrarazionalità. Il modello logico-matematico dell’adaequatio rei et intellectus è infatti indicativo della trasparenza e coerenza e dunque nella conoscenza analitica chiara e distinta, propria del sistema dualistico oppositivo, con le antinomie del vero e del falso, del bene e del male. Ma il numero matematico stesso nel suo aspetto trascendente con le connessioni infinite che esso indica, oltrepassa la connotazione logica di tipo dualistico, comprendendo in se stesso l’eco dell ‘oltre. Le due modalità razionale e irrazionale dunque si compensano e si compenetrano a livello d’impossibilità cognitiva di tipo unitario la prima e d’impossibilità cognitiva di tipo definitivo la seconda. Un’aporia del pensiero che, da qualsiasi lato la si osservi, definisce un’impotenza appropriativa riguardo l’origine ed il fine. Ma è tale impotenza, tale incompiuto del pensiero a conferirgli ricchezza e fecondità.

Pertanto oltre il postulato filosofico dell ‘identità di essere e pensare, della simultaneità assoluta negatrice del tempo e della storia, che ha segnato profondamente il pensiero e la vita dell’Occidente, ecco riemergere ancora oggi l’attualità del metodo simbolico massonico (inteso • come processo e non come sistema), coniugante mito e ragione, sogno e realtà, quali dimensioni irriducibili. Ne emerge l’ uomo nella sua dimensione autentica, relativa non solo al presente, ma anche al passato, inteso come  memoria storica ed al futuro, inteso come sogni, utopia. E propria del simbolo infatti la trasposizione analogica che permette una lettura della realtà a più livelli (da quello letterale a quello profondo) nella considerazione di una “verità” che eccede la ragione, richiedendo l’utilizzo delle altre facoltà dell’anima, quali la memoria, l’immaginazione, la fantasia, l’intuizione, secondo l’adesione ad un progetto creativo in continuo divenire e dunque secondo una libertà creatrice. Un tipo di conoscenza che definisce un ‘indefinibile processo inarrestabile, illimitato, connotato dal limite di ogni traguardo, affermabile solo contestualmente e non assolutamente, in quanto relativo.

Arte interpretativa, ascolto del silenzio, invenzione analogica, sono resi possibili dal linguaggio simbolico, che traduce il mistero in parole propriamente non tali, trattandosi più di interferenze associative che oltrepassano la definizione stessa di parola. Questa “irreale realtà” sempre in fieri, sempre da ricostruire, mai compiuta, questo continuo ritorno a compiti sempre ripresi e sempre da riprendere, suggerisce all’uomo la necessità di rompere continuamente il Senso per far emergere significazioni nuove, scorrevoli tra differenti registri della  realtà, secondo risonanze infinite. Questa irreale realtà costituisce l’erranza essenziale secondo un appello venuto dall’ombra, l’itinerario incompiuto del massone alle soglie della poetica dell ‘essere che, alla stregua della stella, si situa sempre altrove e altrimenti, semplicemente indicando e in tale indicare trasformando I ‘errante in un Testimone dell ‘infinito.

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L’ANTIMASSONISMO

di Elio Ambrogio

L’antimassonismo, per l’Occidente, è diventato una categoria dello spirito o è un fatto storicamente ben individuato? In altri termini, c’è la speranza che l’antimassonismo si attenui o addirittura scompaia col mutare della mentalità, della cultura, delle condizioni storiche e politiche della nostra civiltà occidentale?

Sono queste le domande, non espresse ma ugualmente evidenti, che si sono posti gli organizzatori, i relatori, i partecipanti al convegno “Dal congresso antimassonico di Trento del 1896 al diritto di associazione”. L’incontro, che si è tenuto all’Hotel Mediterranèe di Sanremo il 16 e 17 novembre 1996, è stato organizzato dalla Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori all’Obbedienza di Piazza del Gesù-Palazzo Vitelleschi in collaborazione con il Centro per la storia della Massoneria, il Comitato italo-francese di studi storici, l’Istituto per la storia del Risorgimento (comitato di Cuneo). La direzione scientifica è stata affidata allo storico Aldo Alessandro Mola.

La caratterizzazione internazionale del convegno ha permesso di porre a confronto diverse situazioni ambientali in cui opera la massoneria nel mondo. Le varie gradazioni dell’antimassonismo sono così state evidenziate sotto un aspetto comparativo e ricostruite secondo un percorso storico molto articolato.

Dal “taxilismo” ottocentesco e dall’avversione che tutti i totalitarismi hanno sempre dimostrato nei confronti della Libera Muratoria emerge il quadro di una complessiva visione antimassonica che quasi sempre si intreccia inestricabilmente coi giochi di potere e con maneggi politici di livello più o meno elevato. La massoneria, in altri termini, ha attirato su di sé anatemi, scomuniche, sospetti e persecuzioni ben oltre quanto avrebbe meritato su di un piano di pura condanna morale e religiosa o su quello della pura contrapposizione culturale e ideale. La massoneria è sempre stata anche un fatto politico che, come tale, non poteva non alterare equilibri e zone di influenza dei poteri tradizionalmente costituiti, in particolare quelli statali e quelli ecclesiastici. Di qui un antimassonismo che non avrebbe potuto

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sopravvivere sul solo piano culturale e ideale, se non fosse stato supportato da volontà ben strutturate e molto solide perché rappresentative di “poteri forti”, M. Cristina Pipino Ferrari, ad esempio, ha ben delineato l’inserzione del taxilismo e della Lega Antimassonica nel quadro delle rivalità politiche dell’Italia “fin de siécle” e della sua diplomazia europea. Situazioni immaginarie come quelle peraltro realisticamente descritte da Leo Taxil o personaggi mistificati o mistificanti come Diana Vaughan, in perenne oscillazione fra immaginazione e verisimiglianza, nascono però — quasi sovrastrutture marxiane — dalla realtà concretissima di quegli scontri di potere che ogni epoca ha sempre conosciuto.

Le relazioni di Daniel Ligou, di José Ferrer Benimeli, di Rosario Esposito, di André Combcs hanno evidenziato questo sviluppo di forze e di interessi che rende faticosamente percorribile la foresta dell’antimassonismo storico.

Ma dal convegno, emerge anche l’esaltazione e il potenziamento dell’antimassonismo nei regimi totalitari che, per definizione, non tollerano contropoteri, neanche spirituali. Sanchez Ferré, Eduard Boeglin, Luigi Pruncti, Aldo Mola ne hanno analizzato le fattezze politiche  nel quadro di un generale declino delle tradizioni più squisitamente umanistiche  di razionalità, di tolleranza, di libertà che sono l’eredità spirituale più preziosa della civiltà europea. Tra il declinare del] ‘800 e la metà del secolo successivo, la Massoneria si trova a fronteggiare — nelle  parole di Aldo Mola — “le offensive antimassoniche convergenti di clerico-reazionari, nazionalisti fanatici, socialmassimalisti: la follia che alimentò poi la conflagrazione europea del 1914 e i totalitarismi che ne scaturirono: Terza Internazionale moscovita, fascismo, nazismo, franchismo…

Una convergenza di forze oscure che avrebbe schiantato qualunque altro movimento ideale.

La relazione di André Combes (“La Francia verso la legge sulle associazioni (1896-1901) ha posto poi il tema e il problema che sono stati dibattuti domenica 17 novembre: la libertà di associazione ai nostri giorni. Mentre la Francia possiede una legge sulla libertà associativa sin dal 1901, l’Italia ne è priva, fatto che lascia mano libera ad ogni moto di insofferenza politica, ad ogni capriccio dei pubblici poteri nei confronti di associazioni come la massoneria. E stata pertanto ribadita la necessità di una legge in tal senso che ponga la massoneria — ma anche le altre associazioni — al riparo da simili pericoli. Il fantasma dell’antimassonismo si aggira ancora oggi nei paesi civili e liberi, ma in Italia assume una preoccupante concretezza. II nostro paese ha infatti — anche a causa di una certa tradizione cattolica di sospetto e diffidenza che affonda le sue radici nella contrapposizione al laicismo e all’anticlericalismo risorgimentali — una storia di antimassonismo molto radicata, accentuata dai fatti ormai lontani, ma sempre presenti nell’immaginario collettivo, relativi alla loggia P2. Ciò che per altri paesi, dotati di un maggiore e consolidato patrimonio politico liberale e democratico, è ovvio, in Italia è aleatorio. Le associazioni, specie se difformi dallo schema comunemente accettato, continuano ad essere solo tollerate dai pubblici poteri. E tempo che si giunga a riconoscerle come titolari di loro propri diritti e doveri e si estendano a tutte le associazioni portatrici di valori socialmente apprezzabili quantomeno quei diritti e quelle garanzie che partiti politici e sindacati — che pure non hanno riconoscimento giuridico — sono stati in grado di riservare a sc stessi.

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BEATO PIO IX

BEATO PIO IX di Aldo A. Mola

Papa Pio IX (1846-1878) verrà proclamato Beato.

Tale decisione, ponderata e, per quanto si sa, sofferta, appartiene a una sfera che si sottrae al giudizio storico-politico ed è di assoluta e insindacabile pertinenza delta Chiesa cattolica apostolica romana.

Crediamo sarebbe quindi inopportuno, perché metodologicamente improprio, evocare, per contrasto con tale decisione, le note dispute sulle decisioni da papa Pio IX assunte quale sovrano dello Stato pontificio.

Quanto alla valutazione delle molteplici condanne da papa Mastai pronunziate nei confronti della Massoneria – su cui scrisse Rosario F. Esposito in Pio IX. La Chiesa in conflitto col mondo (Roma, Paoline, 1979) -, occorre riflettere sulla situazione storica nel cui ambito esse presero corpo: magistralmente perlustrata da padre Giacomo Martina S.J. nella poderosa biografia di Pio IX pubblicata nelle edizioni della Pontificia Università Gregoriana e frutto di molti decenni di studio se-

vero.

Furono tempi di animosità, pregiudizi, acredini di cui s’ebbe un estremo saggio con l’aggressione al corteo che nottetempo il 13 luglio 1881 traslava le spoglie del papa da San Pietro a San Lorenzo fuori le Mura: vicende che l’Italia laica non può certo ascrivere a propria gloria.

In quest’occasione, come di sua norma, la Chiesa cattolica ha maturato un giudizio che trova le sue motivazioni al proprio interno.

La lezione da trarne è che altri Ordini, altre Istituzioni sappiano fare altrettanto del proprio passato, senza farsi prestare canoni di valutazione e metri di giudizio da poteri esterni — men che meno dai tribunali profani —, bensì in coerenza con i propri statuti e la propria Storia . Beato dunque Pio IX che trova nella sua beatificazione un punto d’approdo delle lunghe controversie sulla sua Figura.

E beati quanti sapranno fare altrettanto di sé e del loro passato, nell’ ambito della propria competenza.

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I MUSCOLI DELLO SPIRITO

I MUSCOLI DELLO SPIRITO

IN VIAGGIO CON MARCO AURELIO

di Manlio Maredei

La metafora del viaggio, tanto cara ai Liberi Muratori, ricorre spesso nel pensiero di Marco Aurelio Antonino, l’imperatore-filosofo raramente ricordato nei nostri templi. Troppo raramente. Se vado indietro con la memoria, trovo una sola tornata a lui dedicata. Per la precisione, meditammo su una parte del paragrafo 3 del libro III. Ti eri imbarcato, hai navigato, ora sei giunto in porto: scendi dunque dalla nave.

Marco prendeva nota dei suoi pensieri negli accampamenti danubiani, fra il 172 e il 180 dopo Cristo. Aveva dunque superato la cinquantina e — per la sua epoca — era già avviato verso la vecchiaia. L’addio al viaggio della vita, la discesa all’ultimo porto, sono allora espressione della malinconia d’un anziano? Tutt’altro: il suo brogliaccio di pensieri (che noi usiamo intitolare Ricordi) era una vitalissima palestra morale, un esercizio per mantenere in forma eccellente i muscoli dello spirito.

Il libro di Marco aveva per titolo Cose per se stesso; s’indirizzava ad un unico lettore (se stesso, appunto) e probabilmente sarebbe stato distrutto se la morte non avesse colto l’autore all ‘improvviso. Anche da ragazzo, infatti, Marco scriveva molto e poi distruggeva: poesie, arringhe di cause immaginarie, orazioni. Tutto materiale da esercitazione. Lo sappiamo dalle lettere che mandava al suo maestro di retorica (il quale invece conservava ogni scritto del giovane patrizio). Quando dalla retorica passò alla filosofia degli stoici, Marco era già esperto di esercizi: che non furono più intellettuali ma divennero esercizi spirituali.

Dalla sua palestra morale, Marco si attendeva la forza per essere atleta della più grande delle lotte, quella di non lasciarsi abbattere da nessuna passione, imbevuto di giustizia sino in fondo, disposto ad accogliere tutto ciò che venga assegnato dal destino. Ci riuscì’? La sua biografia sembra confermarlo.

Non ricchissimo, Marco era cresciuto a

Roma, nella bella casa del Celio, fra boschi di querce. Non ebbe modo di annoiarsi; a sette anni cominciò il suo tirocinio al servizio dello Stato: entrò nel gruppo dei Salii, i sacerdoti di Marte, e prese molto sul serio i suoi compiti. S ‘impratichì delle danze e dei salti sacri, imparò a memoria le formule da recitare nell’ormai incomprensibile latino arcaico (gli altri dovevano leggerle, tanto erano ostiche). Raggiunta l’età adulta, seppe evitare mirabilmente l’avidità e la rapacità del potente. Non si lasciò mai prendere dalla spirale del lusso e del danaro. Anzi, rinunciò a vistose fette di eredità in favore di parenti. E quando, ormai imperatore, i reduci dalla guerra d’oriente portarono la peste, Marco non esitò ad aprire le casse dello Stato, e le sue proprie, per elargire sovvenzioni alla gente colpita dalla carestia e dai lutti. Intere legioni vennero inghiottite dalla terribile epidemia. Proprio al[ora i barbari del nord si ribellarono, attraversarono le Alpi, occuparono Aquileia.

Ancora una volta Marco Aurelio mantenne una stoica calma e armò un esercito a pagamento, fatto di schiavi,’ di gladiatori, di altri mercenari. E lo affidò agli impareggiabili istruttori delle legioni. Ma intanto occorreva danaro. L’imperatore mise all’asta il palazzo imperiale: statue, ori, scrigni, ornamenti, persino le vesti dorate dell ‘imperatrice. Venne fuori anche il tesoro segreto di Adriano (nonno adottivo di Marco) costituito dalle più belle gemme che si potessero raccogliere in Asia. Due mesi durò l’asta. Infine Marco, il mite filosofo, lo studioso che passava le notti a leggere e scrivere, partì per le pianure danubiane. Andò a combattere e a vincere.

Sotto la tenda scriveva, continuava ad allenare lo spirito, si esortava, si ammoniva. C’è un bruciante promemoria Bada a non incesarirti che è stupendo, detto da un Cesare (V1,30). Ci sono certe luminose elevazioni al di sopra del contingente, della sua qualifica imperiale, del

suo rango; Come Antonino ho per patria Roma, come uomo ho per patria il cosmo (VI,44). I Ricordi indugiano spesso sulla morte, sulla caducità della vita. Pensieri d’apparenza asettica che celano lo strazio di un padre che aveva visto morire otto dei suoi quattordici figli, tenere foglioline cadute dal grande albero della vita. Sono note tracciate con pudore dei sentimenti, con l’intento di superare il dolore (o almeno di controllarlo). Il libro a se stesso punta dunque all’accettazione, e può apparire un po’ triste se non teniamo presente l’intento energetico di quelle pagine, il loro valore di quotidiano esercizio atletico.

Ma dobbiamo resistere alla tentazione di addentrarci nella struttura del libro. Teniamoci fermi alla metafora del viaggio, leggendo il passo IV,3 che sicuramente troverà e chi attualissime in molti massoni. Scrive l’imperatore: Vanno alcuni alla ricerca di luoghi in cui ritirarsi, chi nei campi, chi lungo la riva del mare, chi sui monti. E tu stesso hai l’ abitudine di desiderare tutto ciò. Ma è cosa stoltissima, dal momento che tu puoi, sempre che voglia, ritirarti in te stesso. Poiché l’ uomo, in qualunque luogo si rifugi, non ne troverà mai uno più quieto e Più libero da brighe di quello che può offrirgli l’anima sua; specialmente se porta dentro di sé tali principi che, col solo affacciarsi a contemplargli, acquista immediatamente un’ intima tranquillità, un ordine perfetto.

I piaceri che Marco si rimproverava erano semplici: cavalcate, vendemmie, visite all ‘antica e misteriosa Anagni, pacifiche giornate campestri passate in compagnia di libri. Forse Marco li ricorda per scacciare la nostalgia, sentimento pericoloso che distrae dal dovere presente, dall’azione militare.

Perché Marco era sì stoico, ma romano e imperatore. Ogni convinzione, ogni azione è illuminata da un eroico senso del dovere. Non nella passività, ma nell’attività consiste il bene (e il male) dell’ essere ragionevole e socievole (IX, 16). Passando dalla vita sociale alla vita personale e morale, il tono non cambia: Non è più tempo di discutere intorno a ciò che deve es-

sere l’ uomo dabbene, ma di cominciare ad esserlo coi fatti.

L’azione e l’adempimento del dovere sono per Marco Aurelio il necessario corollario della filosofia che, altrimenti, resta vago sentimentalismo e diventa comodo alibi per l’egoista. La costruttività massonica può trovare molte conferme in tale atteggiamento; molti spunti di riflessione.

Così cominciamo ad inquadrare meglio l’invito  a rifugiarsi in se stessi. Non è il pigro adagiarsi sulla personalità esistente (inizialmente rozza, squilibrata).

Sarebbe di scarsa utilità affacciarsi sulla propria interiorità e scoprirvi un panorama di insicurezza, rancori, ansietà, amarezze. Marco suggerisce di attrezzare il rifugio interiore con princìpi tali da comunicare immediatamente un ordine perfetto. I princìpi (Marco lo dimostra continuamente) non sono formule astratte, sono un rallentamento di vita, sono un costante atteggiamento spirituale. Tutto il libro dei Ricordi è un manuale per trasformare il rifugio interiore in luminoso — e vivente — santuario della filosofia. Solo allora esso avrà la funzione rasserenante e ritemprante che Marco promette.

Il ripiegarsi su di sé, come un gatto acciambellato, allude a un viaggio della vita, ad andamento circolare. Si parte dall’io, ancora opaco e inconsapevole, si viaggia nella conoscenza, si torna colmi di ricchezza interiori. Sulle quali, per dirla con Marco, ci si può affacciare felicemente. Tutto ciò è già un viaggio magnifico. Ma esiste un viaggio ulteriore, quello ad andamento lineare, ascendente e dritto come una freccia scagliata contro il cielo. E i] viaggio della suprema iniziazione, che abbandona per sempre il punto di partenza. Potremo dire che l’io si sposta sul Sé e che questo punta a Dio.

Mi piace immaginare che questo sia stato il percorso di Marco Aurelio: egli aveva ricevuto I ‘iniziazione a Eleusi e non era uomo da contentarsi d’una semplice cerimonia, una specie di laurea ad honorem. Colui che da bambino fu sacerdote di Marte, certamente divenne un iniziato perfettamente consapevole dei Misteri.

Quando lasciò i gelidi accampamenti per salire all ‘Oriente eterno, forse Marco mormorava ancora: Tutte le cose sono collegate le une con le altre, e sacro è il filo che le avvince. Uno è il mondo e uno il Dio che tutto pervade (VII,9).

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IL RITO EGIZIANO DEL CONTE Dl CAGLIOSTRO

IL RITO EGIZIANO DEL CONTE Dl CAGLIOSTRO

Ha ragione lo storico francese Daniel Ligou, autore del noto “Dictionnaire de la FrancMaçonnerie” quando sostiene che ben poco di egiziano è presente nei riti cagliostriani di Memphis e Misraim: “Ce rite “égyptien” est peu égypticn…••

Agli effetti i riferimenti all’Egitto e alla sua ritualità sono assenti o appena sfiorati nei limiti di qualche accenno minimo e stereotipo. L’ossatura del rito massonico è di estrazione ebraico-cabalistica come la totalità di questo genere di sistemi iniziatici.

Secondo lo stesso Ribadeau Dumas, Cagliostro, infervorato dalla moda dilagante per l’Egitto, volle dedicare a questa terra la sua complessa opera a metà tra alchimia, filosofia esoterica e misticismo. Però è vero che proprio dalla civiltà egiziana era scaturito ogni sapere ermetico di cui tutta la Cabalah è necessariamente infarcita. Quindi parrebbe, quella del di Guido Guidi Guerrera

mago, un ‘opera di recupero delle radici al di là dei segni esteriori con la ricerca di una verità protoarcaica e oltre qualsiasi ristretto confine.

“Altotas mi parlava spesso delle piramidi, degli immensi sotterranei scavati dagli antichi egiziani per custodire e difendere dalle in2iurie del tempo il prezioso patrimonio della sapienza umana . . . “. Sono parole queste che rivelano tutta la forza suggestiva della Terra del Nilo su un animo assetato di certezza e di mistero, infiammato e influenzato dagli insegnamenti del sapiente Altotas.

Fu costui ad iniziare il Grande Cofto ai misteri di Iside e di Osiride ed è dal suo sapere che derivano non solo i presunti poteri magici di Cagliostro ma l’intera formazione esoterica.

Se fosse. Altotas, un ciarlatano. una specie di esaltato mitomane o un autentico iniziato all’Ars Regia è impossibile stabilirlo.

Cagliostro lo incontrò in una locanda di Messina e ne rimase subito affascinato. Si esprimeva in un guazzabuglio linguistico anche se sosteneva di essere un po’ greco, un po’ spagnolo c si vantava di conoscere portentosi segreti alchemici. come la famosa “polvere di proiezione”. nonchè di possedere miracolose doti di guaritore.

Probabilmente la trasformazione di Balsamo in Cagliostro parte proprio da questo punto: fatto che indubbiamente dimostra come Aitolas pur nella sua strampalatezza abbia gettato i semi di una evouune verso nobili conquiste spirituali.

Da questa specie di personaggio guardjjeffiano ante litteram Cagliostro apprende il fondamento di ogni esperienza magica che è costituito dalle varie fasi alchemiche. Ogni parte del Rito Egiziano è specialmente pervasa da questo dettato ermetico volto ad alludere ai passaggi tradizionali che dalla cosiddetta Opera del Corvo o al Nero portano attraverso la “rubedo” alla scoperta dell ‘Oro dei Filosofi.

Al rito partecipano oltre al Maestro, il Grande Cofto, dodici “profeti” e sette “sibille”. Tutti sono tenuti all’obbedienza verso una serie di imperativi e di comandamenti, tra cui spicca la tolleranza rispettosa dell’universalità delle religioni e della dignità umana, nonchè il perseguimento del bene assoluto.

Una volta nel suo archetipo di Hermes Thoth, un ‘altra in quello di serpente, signore del tempo e della vita, Mercurio viene “ucciso” ritualmente dagli adepti maschi e dalle “sibille”.

Questa sorta di “estrazione mercuriale” rappresenta la base sostanziale del Rito Egiziano con tutte le significazioni possibili tanto di natura alchemica, che di valore magico-esoterico.

L’iniziato colpisce la parte “volatile” e irrazionale del proprio sè e la uccide per dar luogo a una palingenesi finalizzata alla fissazione dell ‘idea nella forma. Gli echi della dottrina ermetica egizia appaiono più evidenti evocando una forza archetipa come I ‘Ermete Trismegisto dentro il quale si agitano e congiungono i duplici bipolari aspetti dell ‘ermafroditismo. Tanto al fratello di sesso maschile che alla sorella vengono additati i mezzi esplorativi del proprio sè che portano dopo un travaglio iniziatico di tipi isidino-apuleiano alla perfetta fusione animus-anima.

Probabilmente l’intero rito di Memphis e Misraim sebbene sia, come sia considerato, costruito su modello cabalistico, con l’inevitabile frequentazione di forme angeliche nonchè di figure legate alla geometria sacra e a certi nomi divini ”di potenza”, risente di una formazione magico-esoterica assai vicina a culti primordiali. Questi ultimi sono stati mescolati ad altri più recenti di impostazione “salomonica” e rosacruciana, con l’inevitabile aggiunta di qualche medievalismo come nel caso della consacrazione degli “strumenti dell’arte”.

Se non fosse per la puntuale osservanza di regole astrologiche e planetario-analogiche, leggendo le “Quarantene” verrebbe in mente più di una correlazione con quel sistema di espirazione e affermazione spirituale noto come •’La Magia sacra di Abramelin il Mago”

Si tratta di un testo non conosciutissimo di autore ignoto, anche se pare probabile si tratti di un ebreo convertitosi al cristianesimo. Nel libro si prescrivono diverse norme comportamentali per giungere a una degna evoluzione che assicuri il contatto con il cosidetto Santo Angelo Custode. Per questo è necessario allontanarsi dal mondo per un periodo di tempo assai lungo (sei mesi), utile alla totale immersione nella vita contemplativa. meditativa e ritualistica.

Le quarantene spirituali del rituale cagliostriano sebbene previste per un tempo più breve, sembrano ricalcate dal precedente, almeno riguardo a quello che concerne tutta una serie di privazioni, digiuni e di volontario annullamento del significato stesso di fisicità corporale… Anche in questo caso tutto è finalizzato alla “Visione benefica” grazie alla quale come spiega il Dumas: “L’uomo si risolleva dalla caduta adamitica e si ricongiunge con la primitiva divinità”. Il candidato dedica quotidianamente sei ore alla meditazione, tre alla preghiera e ben nove alla preparazione e consacrazione di strumenti vari e della pergamena vergine ricavata dalla pelle di un bambino nato morto da una donna ebrea. Al termine della prova l’iniziando se è ancora vivo e perfetta mente lucido avrà dagli angeli la consegna delle parole di potere e del fuoco sacro contenuto in un sigillo magico.

Aleister Crowley grande e discussa figura di occultista vissuto fino agli anni quaranta del nostro secolo, aveva tentato le prove iniziatiche di Abramelin, animato da quella sincera e appassionata ricerca del proprio Angelo di Luce che sarebbe stata l’ossessione di tutta la sua vita. Un po’ per volubilità caratteriale, un po’ per ispirazione della sua fulgida intelligenza troncò quella esperienza molto prima della prescritta durata, nonostante a Boleskine un posto vicino a Loc-Ness avesse attrezzato il tempio come si chiedeva e avesse già constatato l’addensarsi di “‘nere ombre” anche in pieno giorno.

Quasi con certezza il mago inglese aveva compreso l’insussistenza della lettera del programma iniziatico. Nc aveva perciò estrapolato la simbologia e l’arcanum criptico chiuso nelle allegorici e difeso dalla capziosità di “impedimenta”, impossibili da superare se non teologicamente interpretati.

Cagliostro costruì il suo sistema su regole dello stesso tipo: “Chi aspira a questo ritirarsi nel Plenilunio di maggio con un amico di campagna ed ivi chiudersi in una camera ed acovo soffrire per quaranta giorni una dieta estenuante con scarsi cibi. per modo però che ogni refezione cominci col liquido, cioè colla bevanda, e termini col solido, che sarà un biscotto o una crosta di pane”. In seguito si richiede all’aspirante di procurarsi un certo numero di salassi e di aspettare la caduta dei denti e capelli che rinasceranno prodromi di una totale rigenerazione.

Se queste indicazioni non fossero considerate nel loro valore esclusivamente allegorico, l’incauto e stolto adepto si autoescluderebbe alla Conoscenza per dichiarata insipiente inadeguatezza e certo ne morrebbe.

Da che mondo è mondo ogni rito è stato sempre ammantato di una fitta rete di astruse e inconcepibili pretese solo per misurare il grado di evoluzione intellettuale ed esoterica del richiedente, proprio alla maniera dei cosiddetti “Koan” della filosofia Zen.

ln realtà l’intera Opus Iniziatica è sottesa da un continuo passaggio dalla Morte del sole Osiride alla vita della luna Iside che fusi nell’atto sessuale cosmico svelano il mistero dell ‘esistenza che è magia pura. Da questa sintesi nasce il Mercurio dei Saggi che racchiude tutta la forza di Eros e Thanatos nel perpetuo divenire degli eventi.

Forse come qualcuno ha sostenuto per Crowley a proposito di Aiwass il ministro di Hoor-Paar-Kraat, anche la figura dell ‘ineffabile Altotas potrebbe essere la dilatazione  delle potenzialità inconsce di Cagliostro. Poco importa se tanto Aiwass che Altotas possano vantare una propria autonoma realtà: essi vivono ed esistono essenzialmente in funzione della personalità dei maghi e della loro ricerca interiore.

Lo stesso Eliphas Levi nella sua Storia della Magia tende a dimostrare il significato criptico del nome Altotas che significherebbe ministro, messaggero di Thoth, l’Ermete egiziano. Come poi il Crowley, Cagliostro perciò sarebbe stato promotore e profeta di una riforma spirituale di impronta egizia in costanza dell ‘Eone osiridiano che avrebbe ceduto il posto a Horus, il figlio vendicatore.

Della logica legata al potere di Osiride il cui Grande Cofto aveva intitolato molti dei suoi riti, sarebbe  stato martire egli stesso pagando col prezzo della vita il sacrificio al dio della passione e della morte. Forse, questo, l’unico è più autentico messaggio esoterico di Alessandro Conte di Cagliostro.

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LAVORARE CON LA MUSICA PER IL PROGRESSO DELL’UMANITA’

LAVORARE CON LA MUSICA

PER IL PROGRESSO DELL’UMANITÀ               di Mario Lamberto

Franz Liszt, compositore, pianista, direttore di orchestra, ungherese, è considerato uno dei più importanti musicisti europei dell’Ottocento (1811-1896).

Il valore e la portata della sua attività, collegate a tutti i problemi essenziali della storia musicale europea dal 1830 al 1880, acquistano un particolare significato dalla sua appartenenza alla Massoneria.

Venne iniziato Apprendista nella Loggia Zur Einigkeit all’Oriente di Francoforte nel 1841, ricevendo la nomina onoraria di appartenenza per l’opera umanitaria e assistenziale da lui esercitata; passò al Grado di compagno I ‘8 febbraio 1842 presso la Loggia inglese Royal York alla presenza del principe Guglielmo, futuro imperatore, e nello stesso anno al grado di Maestro nella Loggia Modestia cum Libertate di Zurigo; infine nel 1870 gli venne conferito il grado di Maestro Onorario presso la Loggia Zur Einigkeit all’Oriente di Budapest.

L’aspetto più interessante dell ‘opera sinfonica di Liszt è il proposito di farsi capire dagli ascoltatori attraverso la Musica a Programma. Scriveva egli stesso nel 1837: Il musicista che trae ispirazione dalla Natura traduce in suoni i più intimi misteri del suo destino. Egli pensa, sente, parla in musica; ma poiché il suo linguaggio, meno definito di tutti gli altri, si piega a una moltitudine di interpretazioni diverse. non è inutile che il compositore tracci con poche linee lo schizzo psichico della sua opera, dica ciò che ha voluto fare, esprima l’idea fondamentale della sua composizione.

Il programma poetico o letterario, anche se aggiunto a posteriori, è essenziale per la comprensione da parte dell’ascoltatore; tenendo presente le immagini gli stati di animo che hanno ispirato il compositore, egli può sintonizzarsi con il musicista in una determinata sfera della conoscenza che potrà, seguendo la musica, costruire e adornare con la propria fantasia.

Il compositore, scegliendo il soggetto della sua musica tra i più nobili temi della cultura, contribuisce al suo arricchimento e alla sua divulgazione presso il pubblico. L’artista svolge un compito sociale e culturale lavorando per il progresso della musica e avendo a cuore il progresso dell’ umanità. (R. Dalmonte – F. LISZT Feltrinelli). Per questo scopo i fratelli massoni si riuniscono e Liszt doveva avere ben presente questo nobile principio.

Les Préludes (d’après Lamartine) è uno dei brani più famosi del musicista ungherese; vi si può riscontrare uno stretto legame tra il pensiero musicale e il pensiero massonico che deve aver ispirato il compositore. Per capire meglio il valore e i significati della musica è opportuno conoscere il Programma, la meditazione del poeta francese Lamartine anche se pare sia stata suggerita a posteriori dalla principessa Wittgenstein, dedicataria dell’opera. Eccone il testo: — Non è forse la nostra vita una serie di Preludi a quel canto di cui la morte intona la prima nota solenne? L’amore è l’aurora incantata di ogni esistenza; ma qual’ è la vita le cui voluttà di gioia non sono interrotte da qualche uragano che con soffio mortale dissipa le sue belle illusioni e con folgore fatale distrugge il suo altare, e qual’ è l’anima crudelmente ferita che, uscendo da una di queste tempeste, non cerca di riposare i suoi ricordi nella calma dolce della vita dei campi? Tuttavia l’ uomo non si rassegna a lungo a gustare il tepore benefico che all’ inizio lo aveva allettato in seno alla natura, e quando “la tromba ha dato il segnale di allarme” , egli corre all’ avamposto pericoloso quale che sia la guerra che lo chiama, per ritrovare nella lotta la piena coscienza di sé stesso e il completo possesso delle sue forze.

Il percorso psicologico-drammatico del testo trova una corrispondenza nella forma e nei contenuti del brano musicale. Vi si può intravvedere anche una affinità con i principi che alimentano la volontà del massone sulla via di una continua ricerca di sé stesso, la sua lotta e i suoi sforzi per far sì che la pietra grezza diventi cubica, sempre sospinto dalla forza dell’amore.

Liszt sceglie tra i simboli che tradizionalmente vengono considerati i più significativi per edificare la composizione, il criterio di elaborazione e di variazione di un tema, il passaggio dall’informe all’ordine, dalla pietra grezza a quella cubica e l’elemento ternario sotto molteplici aspetti.

Il tema inizia sul terzo movimento di una misura di quattro tempi e si presenta con tre note ribattute, la terza assume il ritmo di nota con il punto (valore tre) e la fase si sviluppa in arpeggio per intervalli di terza per arrivare a due colonne d’armonia con flauti, clarinetti e fagotti; I elemento ternario, i criteri melodici, armonici e di orchestrazione fanno pensare a una scelta massonica di simboli musicali.

L’introduzione si sviluppa fino alla variazione del tema in 12/8 affidata ai violoncelli e contrabbassi, tromboni, tuba e fagotti, che rappresenta la meta, il fine da raggiungere: la vittoria.

La seconda variazione è il tema d’amore in 9/8 (3 movimenti con 3 suddivisioni = 9) che viene esposto tre volte con modulazione a tonalità distanti una terza sopra (do – mi – sol#), aprendo ogni volta una nuova prospettiva sonora.

La consapevolezza di quanto la Fortuna possa aiutare le anime elette é lo stato d’animo che ispira la terza variazione, quasi un nuovo tema contrastante B, caratterizzato dall’elemento ritmico della terzina,

Purtroppo la Fortuna è passeggera, e la quarta variazione, con le sue cromatiche terzine e le sue volute di accordi di settima diminuita (4 terze minori sovrapposte) descrive le agitazioni della vita, il pencolo imminente, l’avvicinarsi dell’uragano.

Con la quinta variazione il tema d’amore si trasforma in tema di morte, contrapponendone i significati in un allegro tempestoso.

La sesta variazione, elaborando il tema per inversione, mette in risalto il carattere agitato e sempre più parossistico del combattimento.

Come un ‘eroica cavalcata la settima variazione affidata a trombe e corni e ripresa dai primi violini porta a compimento il travagliato sviluppo corrispondente alle fasi di difficoltà che spesso si incontrano nelle vicende della vita.

Finalmente la ottava variazione rappresenta il calmarsi degli eventi con un passo dell’oboe che con solistiche cadenze rasserena il clima precedente conducendo a un paradisiaco e nostalgico ritorno del tema d’amore con gli archi e arpa.

La pacifica scena idilliaca e i paesaggi bucolici descritti nella nona variazione con cambi di prospettiva modulante per terze (mi – do # – la fa #) offrono un meritato ristoro all’animo umano.

La ripresa della terza variazione o tema B fa riacquistare fiducia nei propri mezzi e nella Fortuna.

La suddetta variazione viene ripresentata con tre nuove orchestrazioni, sempre più positive, come un eroico cammino che riprende verso la meta da raggiungere.

Con la decima variazione l’uomo ha ritrovato la Fortuna e la forza necessaria per gettarsi nuovamente nella difficoltà della vita e per ritrovare sé stesso.

La undicesima variazione è una vera marcia trionfale contrappuntata da inni di guerra.

La volontà di vittoria è espressa dalla dodicesima variazione con trascinante veemenza.

Finalmente la ripresa della prima variazione rappresenta la meta, la vittoria.

Con la salita sui gradini che conducono verso I ‘Altare dell’Oriente, raffigurata nella coda dai gruppi ternari degli archi, termina il percorso musicale del poema sinfonico.

L’ascolto completo del brano può offrire così la rappresentazione del viaggio che il massone si propone di intraprendere, dall’Iniziazione alla Maestranza.

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SE FOSSI…

SE FOSSI…

DIVAGAZIONI INUTILI

Ho immaginato, così per non saper che fare, di ritornar bambina oggi. La radio, allora, la facevo io.

Proprio.

Ci recitavo il pomeriggio dentro microfoni tondi, grossi e con i raggi. Sembravano tanti bellissimi soli.

I miei a casa mi stavano a sentire e così i parenti, gli amici e le compagne di scuola. La maestra faceva finta di ignorare.

La vita era semplice.

Persino nel mangiare. La merenda era pane e marmellata oppure pane, burro e zucchero.

Solo la domenica mattina papà, che mi portava a spasso, mi offriva una brioche tonda, lucida e con in cima un ciuffo di crema gialla. I grissini erano tanto buoni, croccanti fuori e a cura di Arnaldo Francia

morbidi dentro, da essere preferiti ai biscotti.

Si camminava molto.

Il giro della collina era normale.

Prati verdissimi, qualche villa isolata, cancelli di ferro che davano adito a viali misteriosi che pareva non avessero fine.

Io credevo nelle fate e negli gnomi.

Così come credevo che mio nonno ogni mattina a colazione ingoiasse un orologio d’oro, ma senza la catena. Me lo aveva detto lui e, davanti alla tazza di caffè bollente, faceva tutti i giorni una complicatissima mimica, tanto ben condotta che solo da grande mi resi conto della mia assoluta fiducia nei “grandi”.

Loro parlavano e mi spiegavano e qualche volta mi prendevano in giro ed io credevo, credevo.

Se fossi bambina oggi passerei la maggior parte del tempo davanti alla TV, avrei una idea del mondo dei grandi non certo basata sulla fiducia, ma sullo sgomento e la paura.

Pretenderei cartelle e scarpe firmate, confronterei l’auto di mio padre con quella dei genitori delle mie compagne, sarei condotta da una scuola di danza ad una lezione di inglese, per poi correre in piscina ed a lezione di tennis. Sarei una bambina stanchissima, elegantissima e scattante.

Ma sarei così felice e con la testa piena di favole?

Avrei la possibilità di star sola interi pomeriggi a raccontarmi storie, animando gli oggetti della mia camera inventando dialoghi tra la sedia ed il quadro?

Se fossi piccola oggi già mi avrebbero detto della droga e delle sue conseguenze. mettendo nella mia testa non preparata, le idee della morte, della paura, della diffidenza, del decadimento fisico ed intellettuale. Tutti concetti non adatti alla mente di un bambino.

I discorsi.

A parte quelli politici che non capivo tanto ma che avevano un ritornello . . . “Quel. ci rovinerà completamente, prima o poi!” erano soprattutto sui libri letti, sui quadri dipinti da zio Francesco, sulla preferenza di mamma per la Tempesta e di papà per Amleto.

Nonno scovava libri strani, poeti minori, ci leggeva, ancora in bozze, gli scritti del suo amico Bontempelli ed i suoi, magari con il parere di Gargiulo o Manara Valgimigli.

Non dico che mi divertissi sempre.

Però il fatto che i libri facevano parte della vita e che ad essi si dedicasse la maggior parte del tempo possibile, che se ne parlasse e che da essi si traesse una specie di magica possibilità di moltiplicare i pensieri all ‘infinito, mi piaceva e nutrivo un amore geloso per i MIEI.

Pochi, con le figure, ma assolutamente di mia proprietà.

Se li volevano dovevano chiedermeli in prestito.

Anche papà e mamma che furono sempre rispettosissimi del mio privato.

Il tempo.

Se fossi bambina oggi avrei un paio di orologi digitali, grossi quasi quanto il mio avambraccio e con le sfere ed i numeri a forma di puffi.

Ne sarei vittima.

Alle quattro dobbiamo andare dalla nonna. Mezz’ora. Poi a lezione di inglese. Ti lascio e ti vengo a prendere. Andiamo dal dentista. Invece allora (i dentisti c’erano e mi mettevano le macchinette) il tempo era: la mattina ed il pomeriggio.

La sera per i bambini non esisteva.

La cena e a letto. Nonostante le proteste ed i capricci.

Io non avevo assolutamente il senso del tempo. Del passare dell’ore.

Se mi divertivo mi dimenticavo di tornare a casa.

Andavo a giocare dalle amiche. Era già buio da un pezzo ed io ancora stavo là, mentre la mamma non mia poggiava rumorosamente i piatti sul tavolo e diceva: “Si è fatto tardi!’

La mia, di mamma, diceva: “Torna presto!” senza stabilire un’ora. Lo faceva per abituarmi ad una specie di disciplina.

Con scarsi risultati.

Quando già avevo mangiato una mezza cena dall’amica, suonava il telefono e la voce di mio padre, che mi veniva passato, tuonava: ‘Possibile? Non impari mai! Adesso devo venirti a prendere!”

Prediche, rabbuffi, “autodisciplina” “senso della responsabilità”. Paroloni pesanti che mi calavano addosso come una doccia gelata. Mi sentivo molto, molto cattiva.

Se fossi una bambina oggi mi sentirei colpevole ed irriconoscente? Non mi risulta di avere avuto un peso determinante nella mia famiglia, nel senso, dico, che la vita degli altri ruotasse intorno alla mia. Ognuno aveva un suo ruolo e lo svolgeva nel modo migliore.

Le cose.

Mica ne avevo tante e tutte erano desiderate. Bisognava essere bravi, ubbidienti, rispettosi e allora si aveva una cosa, magari necessaria.

Se fossi bambina oggi chissà quante pretese. Così che il concetto del merito proprio non saprei dove andarlo a cercare. In compenso considererei tutto come dovuto.

Dagli altri, naturalmente.

Il genitore come dispensatore di cose, senza possibilità di rifiuto. Altrimenti il ricatto della nevrosi e. più tardi, della droga.

No. Non potrei oggi sentirmi cattiva o ingrata. Quindi non potrei nemmeno aver voglia di migliorare.

Il miglioramento.

Era una delle lezioni di Nonno P. Non diretta. Favole, storie di “gente vera’ che invece era inventata di sana pianta ma che rendeva l’insegnamento più concreto.

Nonno P. era mio amico. Estroso, strano, generoso, intelligentissimo con quel dono grande della chiarezza e dell’humour.

Oggi avrei un nonno così?

Oppure mi troverei accanto un signore velleitario, vestito casual, dedito a dimostrare a se stesso e agli altri di non essere vecchio? Che dico? Anziano. Come se vecchio fosse una parolaccia.

Un uomo con la vacuità del pensionamento,

l’angoscia mal celata dei primi acciacchi non accettati ma respinti come una verità ripugnante. Com’era bello il mio, un po’ gottoso, che doveva fermarsi ogni tanto per la strada a poggiare la gamba, sollevandola, al muro e che al bar diceva al cameriere: “Porti un raggio di sole in una tazza d’argento e con una perla sopra, per la mia nipotina” fugando la perplessità del poverino con una abbondante mancia riparatrice ed una complice strizzatina d’occhi.

Nonno P. mi diede una regoletta di vita semplicissima.

“Non tare mai nulla che non avresti il coraggio di confessare a tua madre e di veder pubblicato sul giornale”

Una norma che deve, per funzionare, fare riferimento ad un tipo di famiglia e di società che forse non esiste più.

Soltanto in un nucleo dove ogni singolo ha un ruolo determinato e delle precise responsabilità, dove il comportamento quotidiano e privato sostituisce la parola (le “urla” della classica madre italica che minaccia continuamente ma non agisce se non nei momenti sbagliati), dove una sorta di timore reverenziale impronta l’atteggiamento dei figli, è possibile applicare la regoletta di mio nonno. Quanto ai giornali.

beh! Lasciamo perdere!

Tutto sommato è meglio che oggi io sia grande.

Un po’ vecchiotta anche, visto che sono in pieno nella fase delle rimembranze.

Oh! Dimenticavo.

Nonno P. era massone.

  1.  Menzio
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