PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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IL TERZO SEMINARIO Dl STUDI AD ERCOLANO SULL’ESSENZA DELLA MASSONERIA

IL TERZO SEMINARIO Dl STUDI AD ERCOLANO SULL’ESSENZA DELLA MASSONERIA
di
Argeo Franceschetti
Si è tenuto ad Ercolano (Napoli), nei giorni 7 e 8 febbraio, il terzo ed ultimo Seminario di Studi sull ‘essenza della Massoneria, alle soglie del nuovo millennio.
Come è noto, la Giunta Esecutiva del GOI è stata promotrice dei tre convegni che, organizzati in diversi ambiti territoriali (a Torino, per il Settentrione, a Montecatini, per il Centro Italia, e ad Ercolano – Napoli, per il Mezzogiorno) hanno contribuito non poco ad evidenziare, e nello stesso tempo a rimarcare, i concetti iniziatici della Istituzione Massonica proiettata verso il III millennio.
Da questi convegni sono emersi, in maniera inconfutabile, segnali altamente propositivi e di notevole spessore culturale che, seppur alcuni apparentemente avveniristici, hanno rimarcato il ruolo della Istituzione: precorrere, da sempre, i tempi.
Tornando al Seminario di Ercolano, il Convegno si è tenuto a Villa Signorini: una splendida antica dimora patrizia, immersa in un meraviglioso e verde parco. Il tutto, impreziosito dall ‘ incantevole scenografia dell ‘ azzurro mare di Napoli.
I lavori sono iniziati alle 10,30 di sabato, presieduti dal Gran Maestro, Virgilio Gaito, e dai Carissimi Fratelli Argeo Franceschetti, Pippo Wrzy e Cristofaro Sola.
Il Fr. Argeo Franceschetti, I Gran Sorvegliante, nella veste di moderatore del convegno, portando il suo affettuoso saluto al Gran Maestro ed ai partecipanti, in verità in gran numero convenuti dalla Calabria e dalla Puglia, ha illustrato, come era d’uopo, le finalità e, ancor più, le numerose relazioni pervenute alla Grande Segreteria.
Il Gran Maestro, Virgilio Gaito, nella sua allocuzione di apertura, descrivendo l’impegno culturale della Istituzione e gli obiettivi che essa intende raggiungere, ha rivolto ai Fratelli I ‘invito a voler contribuire con suggerimenti, proposte articolate e suggerimenti stimolanti, al fine di tracciare, collegialmente e con più determinazione, la “Via futura” della Massoneria.
Gli interventi altamente qualificati, e il notevole spessore degli argomenti proposti, non potevano che essere l’affettuosa risposta al fraterno invito del Gran Maestro.
Dopo la sospensione dei Lavori, i convenuti si sono ritrovati più tardi per partecipare ad un Concerto che ha visto, tra l’altro, applauditissima la giovane Soprano, interprete di alcune vecchie melodie del repertorio classico napoletano.
In un ‘atmosfera entusiastica di alto livello, la partecipazione di eleganti signore ha coronato degnamente la serata di gala e la raffinata Agape Bianca.
Il Seminario, proseguito nella mattinata successiva, ha visto, al termine di numerosi altri qualificati interventi, il Grande Oratore, Pippo Wrzy, esporre le sue conclusioni che sono state, tra l’altro, apertamente condivise da tutti, essendo le stesse un affettuoso e caldo invito di pace ed amore.
Con il discorso di commiato del Gran Maestro Gaito, il Seminario si è concluso sancito dal plauso dei presenti, visibilmente soddisfatti per I ‘ottima riuscita dello stesso.•

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UNO SFORTUNATO MASSONE FRANCESE A TARANTO NEL 1799: DEODATO GRATET Dl DOLOMIEU

UNO SFORTUNATO MASSONE FRANCESE A TARANTO NEL 1799: DEODATO GRATET Dl DOLOMIEU
di
Francesco Guida
Deodato Silvano Guido Tancredi di Gratet l nacque a Dolomieu nella regione francese dell ‘Isère il 23 giugno 1750 da nobile famiglia. Essendo figlio cadetto la famiglia lo destinò sin dall ‘infanzia all ‘Ordine di Malta2 .
In tale ambiente non ebbe vita tranquilla se nel 1768, all ‘età di diciotto anni, uccise un camerata in due1103 . Fu tale episodio graziato dal Gran Maestro dell’Ordine, ma la sua vita continuò a non essere consona all’ambiente melitense tanto che fu espulso nel 1790 con l’accusa di aver complottato per la distruzione dell ‘Ordine per simpatia verso le idee rivoluzionarie4. Fece frequenti viaggi in Francia, Svizzera, in Portogallo e soprattutto in Italia, che gli servivano per maturare gli studi sui vulcani dell’Italia meridionale5 . Da questi studi elaborò teorie efficaci sull’origine delle rocce eruttive. Tali studi saranno valorizzati dai posteri, che conieranno il termine “dolomite” in onore a Dolomieu per designare una roccia particolare che forma le catene montuose italiane.
Tornato in Francia, abbracciò apertamente le idee liberali e si affiliò al Club dei Foglianti, ma il prevalere del radicalismo rivoluzionario e la penosa immagine degli eccessi del Terrore gli raffreddarono ogni entusiasmo, al punto tale darischiare la vita per proteggere generosamente la fami-glia del marchese de La Rochefoucauld, suo intimo ami-co che fu trucidato quasi davanti ai suoi occhi dal furorerivoluzionario.
Divenuto sospetto al fa-natismo radicale, si ritirò in provincia ove ebbe l’op-portunità di dedicarsi ai suoi studi e di pubblicare i suoirisultati: Sur les pierres figurées de Florence (1793),Memoires sur lespierres composées et les roches (1794),Distribution méthodique des matières vulcanique (179496
Passato il periodo del Ter-rore, fu richiamato a Parigi nel 1795 dal Governo delDirettorio con la nomina di membro dell ‘Istituto e docen-te alla Scuola delle miniere, ove si fece notare come au-tore di un pregevole studio sulla “Costituzione fisicadell’Egitto'”. Nel 1798 fu scelto da NapoleoneBonaparte quale membro della Commissione scientificadella campagna d’Egitt0 8 . Durante la traversata perraggiungere Alessandria l’armata francese occupò nelgiugno del 1798 1’isola di Malta, ed in tale circostanzaDolomieu fu coinvolto in un ‘azione diplomatica che segnò negativamente tutto il suo soggiorno. Era accaduto che Napoleone aveva assediato I ‘isola con I ‘intento di occuparla militarmente. Il Gran Maestro dell’Ordine, Von Hompesch, volle evitare un inutile spargimento di sangue, preferendo consegnare l’isola senza colpo ferire. Così l’ I l Giugno 1798 il G.M. inviò con un emissario due lettere, una destinata a Napoleone e l’altra a Dolomieu per pregarlo di interpretare i suoi buoni uffici a favore dell’Ordine in nome della sua antica appartenenza. Napoleone colse immediatamente l’opportunità di inviare proprio Dolomieu a trattare col G.M., nonostante lo scienziato manifestasse il forte imbarazzo per quel ruolo ambiguo. Quando fu al suo cospetto Von Hompesch abbracciò l’antico confratello, riponendo in lui ogni speranza. Di conseguenza Malta veniva ceduta alla Repubblica Francese, seppure per breve tempo prima di succedere al dominio inglese9 .
Giunta ad Alessandria l’armata napoleonica cominciò a subire i primi disagi in terra d’Egitto, a causa della confusione e della disorganizzazione, soprattutto a carico dei membri della commissione, che non erano soldati temprati dalla giovane età a sopportare ogni tipo di disagio, ma attempati signori d’arte e di scienza. Così, senza cibo né adeguato ricovero la commissione Incaricò Dolomieu di rappresentare a Napoleone la protesta 1 0.
Ancora, nella metà di settembre 1798, mentre attraversava il fiume Nilo, la commissione venne attaccata da una frotta di contadini armati, ed in tale circostanza Dolomieu fu costretto a difendere la vita a colpi di spada e pistola ll . In agosto Napoleone fondò al Cairo l’Istituto d’Egitto inserendo Dolomieu nella sezione di Fisica.
Tale Istituto costituì il primo nucleo del Museo del Cair0 12 . La vita della Commissione degli scienziati impegnati nella attività dell’Istituto non era facile. Oltre alle ordinarie incombenze di tipo amministrativo in favore dell’armata dovevano attendere ai loro studi scientifici, ed ogni cinque giorni dovevano render conto all ‘Istituto degli sviluppi dei loro studi e ricerche. Dolomieu, in particolare, si applicò “sulla selezione, conservazione e trasporto di monumenti antichi” che avrebbero dovuto essere trasferiti per nave dall ‘Egitto in Francia 13 . Quanto sia stato apprezzato ed utilizzato lo studio del Dolomieu lo testimonia il museo del Louvre di Parigi, onusto di ricchezze archeologiche egizie.
Dopo I ‘ennesimo momento di tensione, il 21.10.1798, quando i membri dell ‘Istituto furono coinvolti in una rivolta popolare e salvati a stento dalle truppe francesi 14, Dolomieu aveva ormai esaurito la sua capacità di sopportazione, non dimenticando la parte ambigua che gli era stata imposta da Napoleone a Malta, e chiese pertanto a Napoleone di far ritorno in Francia.
Così nel mese di dicembre lo scienziato insieme ai generali Dumas e Mascourt partì da Alessandria per tornare in Francia, con un carico di ciechi e feriti 15 .
Ma i guai per Dolomieu non erano ancora finiti, anzi erano appena iniziati. Colta da una tempesta la corvetta “La bella Maltese” ove era imbarcato Dolomieu dovette riparare a Taranto il 27.03.1799, proprio quando infuriava la reazione sanfedista contro la repubblica tarantina. L’otto marzo precedente, infatti, era stato spiantato il repubblicano albero della libertà, vissuto appena 29 giorni. Il capitano della nave “si presentò alle autorità locali con una relazione dove erano narrate le peripezie e le sciagure del viaggio e I ‘identità degli ospiti imbarcati, tra cui i generali francesi Dumas e Mascourt e il geologo Dolomieu”. I malcapitati non sapevano che in quel momento si stava consumando la tragedia della Realizzazione della città in odio ai francesi. Pertanto furono tutti sbarcati e col pretesto della quarantena furono rinchiusi prima nel lazzaretto, poi il 13 maggio furono trasferiti al castello, sotto la custodia di Cataldantonio Mignogna, capo truppa della guarnigione civica, come disposto dai cav. Giambattista Terolli, comandante militare della regia fortezza, su ordine del generale. De Cesare, “comandante la quinta e la sesta divisione delle truppe cristiane del Regno di Napoli”16. In quella circostanza furono tutti perquisiti ed identificati, tra cui “Deodato Dolomieu, membro di quasi tutte le accademie d ‘Europa e professore di storia naturale a Parigi
Il 16 maggio gli imbarcati francesi, tranne i generali Dumas e Manscourt, furono trasferiti a Messina 18 . Vi fu immediatamente una mobilitazione massonica per la liberazione del fratello Dolomieu.
Uno dei più grandi massoni del tempo, il teologo luterano tedesco Friedrich Munter, sollecitò il principe Carlo d’Assia, Gran Maestro della massoneria tedesca, a rivolgersi a Diego Naselli dei principi d’Aragona, all ‘epoca governatore di Roma, già Gran Maestro della massoneria napoletana, ed ora persecutore di giacobini, ad intervenire per la liberazione di Dolomieu 19 .
Ma I ‘ intervento fu vano, per la liberazione del fratello scienziato, ma efficace per evitare che venisse consegnato dal governo napoletano allo zar Paolo I.
Dolomieu trascorse circa venti mesi di carcere duro su istigazione dello zar, il quale, nuovo Gran Maestro dell ‘Ordine di Malta ricostituito in Russia, mirava ad impossessarsi dell ‘ex confratello in occasione dell’occupazione francese di Malta20 . Per quanto fosse ristretto in prigionia, Dolomieu non aveva perduto il vigore mentale, tanto che riuscì a stendere, con pezzi di carbon bruciato, in margine ad una bibbia, e su un frammento di carta, un manoscritto che intitolò “Filosofia della Mineralogia”, considerata una delle prime opere di teoria geologica21 . Anche il massone Generale Gioacchino Murat si spese molto per tentare di liberare i fratelli francesi e gli altri prigionieri22
Nella metà di novembre 1800, tramite il generale Dupont, in Firenze minacciò nuovamente I ‘invasione del Regno di Napoli se il governo non avesse restituito subito i generali francesi, lo scienziato Dolomieu e gli altri prigionieri. Ma anche in questa circostanza la corte borbonica oppose un rifiuto.
In seguito, per timore dell’invasione francese, il 17 febbraio 1801 , re Ferdinando concesse I’indulto proprio un giomo prima dell ‘armistizio di Foligno, che doveva poi formalizzarsi nella pace di Firenze del 31.03.1801 23

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LA GRECA: UN SIMBOLISMO TUTTO ITALIANO ANDATO IN DISUSO

LA GRECA: un simbolismo tutto italiano andato in disuso
di
Luigi Sessa
In Palazzo Giustiniani, che fu per tanti anni sede, oltre che del Grande Oriente d’Italia, anche delle Logge romane, c’era un Tempio intitolato a Pitagora.
Esso era situato al quarto piano dell’antico palazzo e la fatiscenza dei suoi arredi denunciava il lungo uso che i Fratelli romani ne avevano fatto.
Della sua decadente decorazione ricordo un particolare che lo rendeva unico tra gli altri Templi che venivano utilizzati sulla fine degli anni ’60 a Roma. Si trattava di una particolare linea, disegnata bordeggiando le pareti, seguendo tutto il perimetro superiore del Tempio, proprio sotto il limite del soffitto.
Notai, visitando altri Templi di Palazzo Giustiniani e diversi altri in altri Orienti, che quella decorazione non si riscontrava altrove. Questo tipo di decorazione, per altro, sparì del tutto allorché, nei primi anni ’70, il Tempio Pitagora e gli altri di Palazzo Giustiniani furono restaurati e l’intera sede del Grande Oriente fu opportunamente rammodernata.
Intanto, avevo chiesto informazioni presso i Fratelli più anziani circa quella particolare linea, ma non avevo avuto soddisfacenti risposte. Molti ne ignoravano sia la denominazione che il simbolismo.
Approfondii le mie ricerche e venni a sapere che quella decorazione si denominava “la Greca”.
Devo dire che non mi fu facile saperne di più.
Nel corso di ulteriori approfondimenti, appresi che questa decorazione risaliva ad antica, ma non meglio specificata, usanza per cui, quantunque oggi essa appaia del tutto dimenticata, ritengo cosa degna ed utile, col riportarne alla memoria I ‘esistenza, delucidarne, per quanto possibile anche il significato.
La “Greca” è un motivo ornamentale, costituito da una serie ininterrotta di segmenti alternativamente disposti in linee perpendicolari e parallele l . Nell ‘ambito decorativo profano è di uso comune e noto.
Nell’ambito massonico essa è, attualmente, come si può riscontrare, se non del tutto, alquanto desueta. Per quanto sono riuscito a saperne, oltre che “Greca”, essa veniva definita anche “Nastro” o “Fregio a dentelli o a frastagli”2 e correva, un tempo, al di sopra e parallelamente a quel Cordone che, partendo da una delle Colonne, gira intorno al Tempio, quasi lungo il limite del soffitto, formando simmetricamente un certo numero di Nodi d ‘Amore e ritorna all’altra Colonna.
Questa terminologia non va confusa con quelle di “Nappa o Fiocco a dentelli o afrastagli”‘, comunemente usate per indicare il tratto terminale del Cordone che forma i Nodi o Lacci d ‘Amore3 .
Bisogna, tuttavia, avvertire e tenere ben presente, che, nella gran parte delle Comunioni massoniche si impiega la terminologia “Nastro a dentelli”, proprio ed esclusivamente, per indicare il Cordone e di ciò rendono testimonianza vari autori e Rituali4 .

Inoltre, nel linguaggio massonico angloamericano, tale Cordone è detto Indented Tassel o Tassellated Border, ecc., anche quando orna il Quadro di Loggia di App.•.5 .
L’impiego di queste terminologie, oggettivamente improprie, ma universalmente diffuse e praticate per denominare il Cordone, ha, evidentemente, sopraffatto il timido incipiente uso della terminologia “la Greca” e, probabilmente, ha determinato anche la scomparsa del motivo ornamentale detto “Greca” nell’allestimento dei Templi e deve aver concorso anche a mandare in desuetudine il suo simbolismo, facendolo definitivamente assimilare a quello del Cordone con i Nodi d’ Amore.
Infatti, l’ornamento della “Greca” è oggi talmente misconosciuto che non se ne trova quasi più traccia nella corrente letteratura. Mentre, nella letteratura di principio secolo, quel poco che si riscontra, testimonia alquanto della confusione già allora in att06.
La scarsezza di notizie intorno alla “Greca” non autorizza ulteriori considerazioni circa la sua origine che, pertanto, permane necessariamente nel vago.
Tuttavia, il semplice fatto che I ‘esistenza di questo motivo ornamentale sia stato riscontrato solo in Italia, consente, non di meno, di formulare una congettura, in base alla quale, la “Greca” possa essere considerata una applicazione simbologica esclusivamente italiana.
Tenendo presente I ‘espressione inglese “Tassellated Border” e considerando la possibilità di tradurre la parola “Border” in “Bordo” o “Margine”7, è possibile che ritualisti italiani abbiano tradotto l’espressione intendendo che “l ‘ornamento a tasselli” dovesse essere posto al “bordo” o al “margine” delle pareti del Tempio. Una siffatta interpretazione spiegherebbe la collocazione del motivo ornamentale in questione tutt’intorno al margine superiore del Tempio e la conseguente denominazione dello stesso in “Greca”.
Questa interpretazione, mentre avrebbe consentito I ‘introduzione della “Greca”, non avrebbe, tuttavia, fatto mettere in discussione né l’esistenza, né l’autonomia del fin troppo noto “Cordone con i Nodi d ‘Amore”, che, naturalmente, avrebbe continuato a mantenere i suoi peculiari significati e, comunque, nell ‘allestimento della ornamentazione del Tempio delle Logge italiane, avrebbe continuato a correre lungo la sommità delle pareti, sebbene al di sotto della “Greca”.
La “Greca” veniva a costituire, così, un ulteriore ed autonomo simbolo, significante la solidarietà e l’armonia tra i Fratelli di Loggia8, mentre il Cordone con i Nodi d ‘Amore restava una proiezione rappresentativa della Catena d ‘Unione, che è un rito ed è allusiva ai legami di fratellanza e unione che pervadono tutti i Liberi Muratori, sparsi per il mond09.
Queste brevi considerazioni sui significati attribuiti alla “Greca” ci fanno comprendere come questo simbolo deve aver goduto, nel tempo in cui fu accolto ed impiegato nell’architettura del Tempio, di grande considerazione ed autonomia simbologica.

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La spiegazione, così presunta, della sua genesi, mentre da una parte mette in evidenza, tutto sommato, l’erroneo presupposto del nuovo simbolo, dall’altra parte, attese le effettive incongruenze rilevabili nell ‘uso delle terminologie, sia francesi che inglesi, mette in evidenza un apprezzabile tentativo dei ritualisti italiani di razionalizzare la materia, alquanto confusionaria, concernente il “Cordone con i Nodi d’Amore” nella sua duplice allocazione, sia intorno al Tempio, sia sul bordo del Quadro di Loggia.
La soluzione adottata dai ritualisti italiani, ancorché difforme dalle indicazioni comunemente seguite nei Rituali esteri, appare in sé stessa degna di positivo apprezzamento, sia per la razionale impostazione, sia per i valori che la sottendono.
E, pertanto, con nostalgia che penso al simbolo della “Greca” che, a dispetto della mancata conformità alle usanze ritualistiche estere, col suo più che espressivo riferimento alla solidarietà ed alla armonia tra i Fratelli, aveva, a suo tempo, con grande immediatezza alimentato nella mia concezione massonica di apprendista dei valori di fondamentale portata e rilevanza massonica. •

NOTE

I Cfr. Devoto G. e Oli G.C., Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, Casa Editrice Felice Le Monnier e Selezione dal Reader’s Digest, Milano, 1972, Vol. l, p. 1210, v. Greca.
2 Cfr. Saggissimo della Valle del Tevere, Vade-Mecum del LM Apprendista, 1948, OrRoma, Arti Grafiche Romane, pp.32, 34.
3 Nel linguaggio massonico tedesco, per l’appunto, è il Cordone, detto Schnur, con i Nodi d’Amore, che termina con delle Nappe o Fiocchi, dette Quaste o Troddeln, che sono a dentelli o a frastagli. Cfr. Lennhoff E. e Posner 0., Internationales Freimaurer Lexikon, (1932), Amalthea, Wien-München, 1980, col. 1268, v. Quaste; col. 1555, vv. Tassel, Quaste, Schnur; col. 1595, v. Troddeln.
4 Cfr. Reghini A. , Considerazioni sul Rituale dell ‘Apprendista Libero Muratore, s.ed., s.d. (1946), p. 16. A tal proposito questo Autore riporta anche l’espressione allora corrente in francese “houppe dentellée” che, però, letteralmente significa “Fiocco o Nappa dentellata o a dentelli” e non “Nastro o Cordone dentellato”. Cfr. Dizionario Garzanti (Francese Italiano), Garzanti Editore, 1981, p. 444, v. Houppe. Del resto, ancora al giorno d’oggi, “Houppe dentellée” si dice essere la “Corda terminante con dei fiocchi riprodotta intorno alla Loggia e significante la Catena d ‘Unione “. Cfr. Mellor, A., Dictionaire de la Franc-Maçonnerie et des Francs-Maçons, P.Belfond, Paris , 1979, p. 140, v. Houppe dentellée. Alla stessa maniera, nella Massoneria Spagnola si impiega l’espressione “Borda dentellada” che definisce il “gran cordone che circonda l’interno dei templi e che termina
NOT in due grandi borlas (nappe o fiocchi)”. Cfr. Frau Abrines L. e Arus Arderiu R. Diccionario Enciclopédico de la Masonerìa, (1891), Editorial Kier, Buenos Aires, Argentina, 1946, Tomo I, p. 174, v. Borla. Cfr. Carbonell, S., Dizionario Fraseologico Completo, Italiano-Spagnolo e Spagnolo- Italiano, (parte Spagnola-ltaliana), Editore U.Hoepli, Milano, p. 242, v. Borla.
5 Cfr. Mackey, A. G., Encyclopedia ofFreemasonry, Macoy Publishing and Masonic Supply Co. Inc. Richmond, USA, 1966, vol.l p. 479 e vol.2, pp. 1012, 1030 e ss. Cfr. Reghini A., Op. cit., p. 19.
6 Cfr. Bacci U., Il Massone Italiano, Forni Editore, Bologna, (1911) 1976, Vol. l, pp. 229, 233 in cui si possono rilevare tracce di confusione per quanto riguarda il simbolismo del Cordone, riferito allo Zodiaco (p.229). Ma la maggiore confusione si riscontra a p. 233, laddove si dice che il Cordone, definito anche Catena, “circonda, informa di greca, tutto il Tempio”. Per altro, echi della confusione in questo ambito, specialmente nelle usanze angloamericane, si riscontrano ancora oggi e sono sottolineati da qualificati autori che cercano alla meglio di mettere ordine tra le diverse terminologie rilevate nel tempo, tutte, presumibilmente, finalizzate a definire il famoso “Cordone con i Lacci d’Amore”, le cui denominazioni, tutt’altro che pacifiche, oscillano tra: “Intended Tassel, o Tessel o Tarsel’, o “Tassellated Border”, o ” Tesselated Border”, e “Tasserated Border”. Cfr. Coil, H.W., Coil Masonic Encyclopedia, Macoy Publishing and Masonic Supply Co. Inc. New York, USA, 1961, p. 658, v. Trestle-board.
7 Cfr. Cassell’s, English-ltalian Dictionary, Cassell & Company Ltd; London, 1970, p. 617, v.Border.
8, Cfr. Saggissimo della Valle del Tevere, Op. cit., pp. 32, 34.
9 Cfr. Reghini A., Op. cit., p. 16E

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LA GRANDE RELIGIOSITA’ DELL’EROE DEI DUE MONDI: IL SUO CREDO IN DIO, NEL VERO E NEL GIUSTO

LA GRANDE RELIGIOSITA’ DELL’EROE DEI DUE MONDI: IL SUO CREDO IN DIO, NEL VERO E NEL GIUSTO
di
Aldo Chiarie
GIUSEPPE GARIBALDI, INTOLLERANTE
Dl OGNI IMPOSTURA DEI PRETI “PESTE DELL ‘ITALIA ‘
Ancora oggi pochi hanno la visione chiara della religiosità alta e sublime di Giuseppe Garibaldi; la pubblicistica di dozzina lo fa passare per antireligioso e negatore di Dio.
Nulla di più inesatto, perché della religiosità e di Dio Giuseppe Garibaldi ha sempre fatto norma di vita. Annota l’eroe: “Chi è Dio? E’ il regolatore del mondo. E’ quella intelligenza infinita la cui esistenza, gettando lo sguardo nello spazio e contemplando la stupenda armonia che regge i corpi celesti disseminati, chiunque deve confessare”
“Come tutti gli esseri, io sono dotato di una quantità di intelligenza e se l’intelligenza universale che anima tutto è Dio, io avrei allora una scintilla animatrice emanata da Divinità, sarei una parte e questa idea mi nobilita, mi soddisfa fa qualcosa del mio nulla e contribuisce a sollevarmi dalle miserie di questa vita.
“Io accenno, ma non insegno, poiché mi sento troppo infinitamente nulla al cospetto dell’onnipotente per poterne ragionare. Semplice bella e sublime è la religione del vero; essa è la Religione del Cristo, poiché tutta la dottrina di Cristo poggia sull’Eterna Verità. “Non fare agli altri ciò che non vorreste per voi” e “Chi non ha sbagliato, getti la prima pietra sul delinquente”. “Di fratellanza il primo concetto e simbolo di perdono il secondo. Simboli, precetti, dottrine che, radicati negli uomini, costituirebbero quel grado di perfezione e prosperità a cui è suscettibile giungere”
Ma se era grande la religiosità di Garibaldi, grande era la sua reazione contro le imposture religiose.
Il suo anticlericalismo non era di maniera, non era vuota retorica ma era l’esplosione di un animo generoso, conscio della assoluta inconciliabilità del prete con un domani migliore, in cui il trionfo della libertà e della giustizia spianasse il cammino all’illuminato progresso.
“E’ dovere di ogni italiano di combattere il prete, peste dell’Italia”, egli scriveva il 25 agosto del 1868 e il I gennaio 1889 scrive da Caprera ad un convegno di liberi pensatori, augurandosi presto fosse cancellata “la cancrena sacerdotale che appesta il paese”.
Agli organizzatori di un solenne comitato per estendere a Roma e al Lazio la “Pressione delle corporazioni religiose, così il generale nel 1870: “abolire le corporazioni religiose è salvare l’Italia dalla rogna più pericolosa da cui possa essere colpita una nazione …il sacerdozio è puntello di ogni tirannia mascherata… non istiamoci garruli ed indolenti a contemplare cretinamente ciò che si trama a Roma per colpirci col doppio gioco della menzogna e del furto”
E successivamente aderendo al Congresso razionalista di Bruxelles proponeva i seguenti punti:
l) I liberi pensatori sono apostoli del vero, cioè della ragione, della scienza, e però sono anche i migliori istitutori dei popoli e le scuole debbono essere laiche.
2) I preti, a qualsiasi religione rivelata appartengono (buddismo, maomettanismo, cattolicismo, ecc.), sono falsi apostoli. Essi, gli autori delle torture, dei roghi, dei sacrifici umani, sono i naturali nemici delle nazioni, che hanno mantenuto e che mantengono sempre in sanguinose discordie.
E pochi mesi prima della sua morte, quasi presago della fine, Garibaldi scrisse due lettere, una ai messinesi e l’altra ai palermitani e le volle scrivere di suo pugno.
Ai messinesi: “…ricordando il più grande eroismo di popolo che registri la storia del mondo, il Vespro, vi rammenterò soltanto che gli assassini dei nostri padri di quell’epoca furono mandati e benedetti da un papa e che i successori di quell’infallibile scellerato hanno venduto l’Italia settanta volte allo straniero e che oggi stesso stanno trattando di venderla e non vi riescono per mancanza di mediatori e di barattieri” Ai palermitani “A te, Palermo, città delle grandi iniziative! Maestra nell’arte di scacciare i tiranni, a te appartiene di diritto la sublime iniziativa di scacciare dall’Italia il puntello di tutte le tirannidi, il corruttore delle genti, il patriarca della menzogna, che villeggiando sulla destra del Tevere, sguinzaglia di là i suoi neri scagnozzi
Ma l’idiosincrasia per la “nera tonaca” copre un sottofondo ma serio, è la sensibilità di un grande uomo per i problemi dello stato di diritto, per una società laica responsabile e democratica, “L’Italia – scrive Garibaldi – è il paese dove il governo e i preti, mantengono diciassette milioni di analfabeti”.
E il suo giudizio sulle Leggi delle Guarentigie, dopo Porta Pia, i rapporti fra lo Stato e la Chiesa è deciso e drastico: “L’Italia amoreggia oggi con l’idea sacerdotale e la lecca, l’accarezza, supplicandola genoflessa, acciocché le mantenga i suoi figli nella ignoranza e nell ‘abbruttimento, chiamando l’atto suicida delle garanzie”.
Per Garibaldi il papato rimane “sempre il mortale nemico della libertà italiana e lo ha sempre contro in tutte le sue battaglie: gli austriaci da parte loro e i preti non mancano mai di fare le indagini possibili per scoprirmi… i preti poi dal pergamo e dal confessionale suscitano le cittadine ignoranti a far la spia per la maggiore gloria di Dio”.
Nel suo testamento, vergato di pugno, scrive: “Ai miei figli, ed a quanti dividono le mie opinioni, io lego l’amore mio per la Libertà, per il Vero, il mio odio per la menzogna e la tirannide”.
“Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete profittando dello stato in cui si trova il moribondo e della confusione che sovente vi succede, s ‘inoltra e mettendo in opera ogni turpe stratagemma e coll ‘impostura di cui è maestro che il defunto compiti, pentendosi delle sue credenze passate ai doveri di cattolico, in considerazione, io dichiaro che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole, scellerato di un prete che considero atroce nemico del genere umano e dell ‘Italia in particolare. E che solo in istato di pazzia o di ben grassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada”.
Terminiamo questa carrellata sul pensiero di Garibaldi uno scritto che ci auspichiamo venga meditato perché di palpitante attualità: “Quando io penso al potere dei preti, conservato ad onta d’ogni scelleraggine appenda credibile e di cui dovrebbe essere incapace l’umana natura anche di idearle, dico che in questo secolo che si chiama civile mi viene sovente il dubbio che cotesti cretini a cui appartengo per forme, altro non sino che una delle tante famiglie di scimmie da me vedute nel nuovo mondo”.
“Un prete è un impostore. Chi può provare il contrario? E vi vuol poi tanta matematica per capirlo? Eppure la potenza di quell ‘essere malefico continua. Le plebi ne sono affascinate ed il despotismo si serve di cotesto fascino per malmenare i popoli. E si grida da una parte e si fa i sordi dall’altra, ed intanto va avanti questo bordello chiamato costituzione di popolo libero”. •

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VALORI ED ATTUALITA’ DELLA MSSONERIA UNIVERALE

Valori ed attualità della Massoneria universale
Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani
Divenire uomo è un’arte, affermava con convinzione Novalis nei suoi Frammenti antropologici. La Massoneria Universale, scuola che inizia ai grandi misteri della vita, lo sa bene. E da almeno tre secoli lavora instancabilmente a testimoniare la pratica di quest’arte, che nessuno è in grado di insegnare poiché si può imparare solo individualmente. Osservando, intuendo, seguendo negli altri, nel mondo, i segni di una misteriosa orditura che, come faceva dall’alba al tramonto la mitica Penelope, va pazientemente ricostruita come una mappa in grado di condurci a battere, senza timore di perdervisi, i difficili ed accidentati sentieri della vita. Proprio per sviluppare quest’arte il massone ha bisogno, non solo di penetrare nella propria, ma anche nella altrui dimensione interiore. Ha bisogno, come l’aria, del dialogo con gli altri, per apprendere ma anche per contribuire, col proprio bagaglio di esperienze, di conoscenze, di saperi, maturato appunto in una vita illuminata dalla luce della Tradizione, al loro benessere. In questo modo, da muratore esperto nell’arte della edificazione, concorre, recando il proprio simbolico mattone, a costruire il grande Tempio sotto la cui volta celeste si riunirà l’umanità tutta. Ovviamente le modalità di questo lavoro cambiano coi tempi.
Ed in tempi di comunicazione di massa, di villaggio globale, di incontri e di scontri di culture anche la Massoneria non poteva fare a meno di scegliere strade nuove per attualizzare la propria naturale vocazione al dialogo. Il Forum dedicato alla complessa e delicata tematica dei Valori Universali si inquadra esattamente in questo ambito. E la chiamata al lavoro di tutti i Fratelli non solo perché esibiscano, con la propria testimonianza, la profondità dei valori di cui sempre la Massoneria si è fatta portatrice, come la tolleranza, la comprensione dell ‘altro da sé, la difesa intransigente della dignità dell’uomo, ma perché facciano molto di più. Si confrontino, a viso aperto, e senza alcuna reticenza o timore, col così detto mondo profano, sviluppando coram populo quella loro propensione al dialogo con lo stesso metodo del confronto, aperto e leale, tipico del lavoro di Loggia. Tanto più importante appare questa operazione dal momento che il tema affrontato si presenta, considerati i travagli che affliggono la nostra vecchia e cara Terra, sicuramente utile, oltre che, sul piano intellettuale ed umano, straordinariamente stimolante.
E mi fa particolarmente piacere che tutto questo sia maturato in una terra, la Toscana, nella quale è sorta la prima Loggia massonica — che vide la luce nella, per l’epoca, tollerante Firenze nel 1731, lo stesso anno in cui a L’Aja veniva iniziato Francesco Stefano di Lorena, futuro Granduca di Toscana — e dove tuttora opera, nel senso massonico che questa parola possiede, la più numerosa famiglia di liberi muratori del nostro Paese. Per di più questo Forum sui valori, che non si limiterà alle sole problematiche delle Nazioni Unite e della loro (possibile ed auspicabile) Riforma ma toccherà anche, in successive fasi, le identità religiose e culturali, nonché l’identità terrestre, cade in concomitanza con una ricorrenza quanto mai carica di significati per noi Liberi Muratori. Si celebra, infatti, quest’anno il secondo centenario della fondazione del Grande Oriente d’Italia, che ebbe come suo Gran Maestro Eugenio de
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Beauharnais, viceré d’Italia e sodale di Napoleone Bonaparte. Una occasione imperdibile per mostrare il vero volto di una Massoneria che, ancora una volta, sa stare al passo coi tempi, una Massoneria che è, ieri come oggi, progettualità e azione al servizio dell’uomo, al di là di ogni frontiera, oltre ogni angusta limitazione. Proprio per questo, proprio nella consapevolezza dello straordinario “facere ” al quale le Logge ed ogni singolo Fratello vengono ora chiamati, sarebbe oltremodo significativo se, al termine della sessione di questo primo Forum, scaturisse, per mano di coloro che parteciperanno ai lavori, massoni o profani, ma comunque tutti uomini animati dalla buona volontà del bene operare, un documento di intenti da mettere a disposizione di altri uomini di buona volontà che, come noi, intendono agire molto semplicemente per la costruzione di un mondo migliore. Uomini che non possiedono ovviamente la verità, uomini come noi “dalle granitiche incertezze”, ma proprio per questo più autentici e credibili.
Si tratterà di un primo contributo che, auspichevolmente, potrà, dovrà innescare un dialogo aperto a tutte le voci diverse, secondo il tradizionale metodo massonico della ricerca condotta, come recita il nostro rituale, in piena libertà di pensiero da uomini di fede religiosa, di credo politico, di condizione sociale diversa, ma animati dal forte spirito dei costruttori. Il nostro è un piccolo ma non unico passo. Altri ne seguiranno, perché il cammino da percorrere è lungo e la meta, come sanno bene gli iniziati, sfugge di continuo, specialmente quando sembra più che mai a portata di mano. Ci piacerebbe comunque che, iniziative come queste, ed altre che lievitano e stanno lievitando sotto l’azione potente della fiamma di una antica e nobile Tradizione, contribuissero alla realizzazione di un grande sogno che cova nel cuore dei liberi muratori: quello di consentire alla Massoneria universale, di testimoniare, all’interno delle Nazioni Unite, nel consesso dei popoli della terra, nato e formato dalla volontà di grandi liberi muratori quali furono il Fratello Winston Churchill ed il Fratello Franklin Delano Roosevelt, i suoi grandi valori quali la liberazione dal flagello della guerra; la fede nei diritti fondamentali di ogni individuo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne; la giustizia, il progresso sociale, la libertà di tutti; la tolleranza e la pace. E questa per noi l’arte della vita, o Arte Reale, che esprime la nostra condizione di uomini di desiderio impegnati a lavorare senza sosta per onorare l’impegno preso quando varcammo, per la prima volta, le soglie del Tempio.

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CRISTIANITA’ E LAICITA’ NELLA LIBERA MURATORIA

Cristianità e laicità della Libera Muratoria
di
Baldo Conti
Introduzione
Non è per introdurre ancora una volta, un vecchio ed annoso problema, che poniamo alla nostra attenzione queste nostre due componenti massoniche, cristianità e laicità, ma è solo per chiarire — ancora una volta e se sarà possibile — la profonda differenza che esiste tra loro e per togliere dall’equivoco e dall’imbarazzo alcuni dei nostri Fratelli che, sembra, si stiano ancora dibattendo nel loro intimo su questa dicotomia. Proprio leggendo i molti libri e gli articoli che vengono pubblicati sulle nostre riviste ed ascoltando con attenzione anche le Tavole presentate in Loggia, con relativi interventi, viene il dubbio che non ci sia completa chiarezza al riguardo.
La Massoneria cosiddetta “speculativa”, quella attuale, alla quale tutti noi apparteniamo, come si sa, nasce ufficialmente nel Settecento, codificata — se così si può dire — da James Anderson, pastore protestante inglese e, per l’esattezza, presbiteriano. Questo almeno ci narra la storia che noi tutti accettiamo e ciò conferma, se ce ne fosse stato bisogno, l’evidente origine appunto cristiana della Massoneria moderna, ma certo anche di quella precedente definita, in contrapposizione, “operativa”. Chiunque, in caso di dubbio, può rileggersi con tutta la calma che desidera e studiarsi le numerose antiche e recenti pubblicazioni in proposito e se anche, come da tempo sappiamo, il grado di attendibilità della storia è pur sempre molto relativo, l’eventuale concordanza di questa origine tra le varie fonti potrà confortarci, almeno in parte. La nostra estrazione cristiana — a prescindere poi dalla storia — è confermata dal fatto che la stessa cultura “laico-profana”, alla quale apparteniamo ed attingiamo, nasce in ambito “occidentale” e quindi, per forza, qualsiasi riferimento, anche vagamente definibile religioso-spirituale-rituale non poteva che ispirarsi al mondo cristiano dal quale deriva ed alle sue componenti simboliche ed esoteriche.
Il tutto, è inoltre confermato dalla nostra remota origine, appunto operativa, di “costruttori di cattedrali”, quindi molto prossima, se non addirittura un tutt’uno o comunque dipendente, dalla Chiesa cristiana. Non sembra per• ciò che su questo punto possa esserci alcun dubbio o possibilità d’equivoco e sul quale noi tutti dovremmo poi concordare. La cosa appare anche ovvia ed evidente.
culturale così come in ambito religioso, ma certo anche profano, la nostra base cristiana sia indiscutibile. Come già detto, in questo stretto contesto, più difficile sarà poter sostenere l’universalità della Massoneria, senza introdurre altri concetti, meno storici, ma più profondi che possano farci comprendere meglio il “meccanismo” del nostro approccio alla cristianità.
Innanzi tutto, è doveroso distinguere e ben separare, lo spirito, il simbolo ed i concetti astratti, dalla storia spicciola e potremo anche affermare dalla tradizione in senso lato, perché spesso, ma direi in pratica, essa è intesa come sola abitudine o semplice usanza. Abbiamo inoltre tutti, il grande difetto d’identificare il principio astratto di Dio con quello operativo di religione — venutasi a creare sempre dopo ispirazioni o “visioni” da parte di un qualche grande “profeta” — o ancor peggio di Chiesa; in sintesi, di mescolare la fede intima di ognuno di noi con crocifissi, santi, madonne addolorate (qualcuno si è chiesto più volte, senza trovare spiegazione, per quale ragione le madonne piangono sempre e non sorridono mai), rosari, preti, santoni e guaritori, anni santi e giubilei, indulgenze e purgatori, paradisi terrestri ed inferni, Crociate e così via.
In pratica, per consuetudine o pigrizia, siamo portati a non distinguere nettamente lo “spirito” e l’essenza delle cose, il senso profondo di un concetto, di un principio o di un simbolo, con la “lunga mano” di coloro che si sono arrogati il diritto di essere i dispensatori arbitrari di qualcosa, da nessuno nominati, da nessuno eletti, da nessuno delegati. Sembra proprio questo il “nocciolo” del problema: la divisione e la distinzione netta tra spiritualità e materialità, tra simbolo ed oggetto, tra fede e mano secolare o, in altri termini, tra parola di Dio, fede o un principio filosofico, con un proselitismo “forzato”, l’opulenza e l’esteriorità, o quell’impresa industriale che s’identifica con qualsiasi clero.

Quali le necessità di una nostra “la•clta
Abbiamo affermato in precedenza le nostre origini cristiane e l’adozione della sua simbologia da parte della Libera Muratoria, che sembra, a questo punto, non sia stata poi una vera e propria “scelta”, ma piuttosto una preferenza o una strada “obbligata”. Si potrebbe sostenere che l’accettazione da parte nostra di tutto il mondo cristiano, oltre che essere senza scampo parte integrante della cultura corrente e quindi già parte di noi stessi, è stata dettata forse dalla “necessità” di crearci una specie di “protezione”, uno scudo, una giustificazione, nei confronti della Chiesa e di qualsiasi altra tipologia di dittatura o di governo che potesse mettere in dubbio, per ragioni di comodo, la nostra legittimità.
E non dobbiamo neanche dimenticare che colui che codificò le nostre Costituzioni moderne era un “ministro” di religione cristiana, anche se protestante. La vita quotidiana c’insegna però che l’uomo, cioè noi stessi, dimentichiamo le origini e l’essenza di molte cose, confondendo i concetti, mescolando spesso, “il sacro con il profano”. Come già accennato in precedenza e tanto per essere ancor più precisi e chiari, riteniamo sinonimi Dio e Chiesa cattolica, Gesù Cristo ed il Papa, la filosofia del Cristianesimo con la cosiddetta Sacra Sindone, un comportamento corretto e civile (che non implica assolutamente anche un pur minimo intervento divino) e la ricompensa futura di un probabile paradiso con la nostra personale fede in un Dio. Riteniamo poi, infine, ingiustamente e.senza alcun supporto, che il “nostro” Dio sia migliore di quello degli altri, anche se qualcuno sostiene si tratti della stessa entità.
In sostanza dimentichiamo grossolanamente che la religione, con tutte le sue strutture sociali, politiche, ma più che altro, economiche, non ha niente a che spartire né con la credenza in un Dio, per noi il Grande Architetto dell’Universo, né tanto meno con tutto ciò che ha a che fare con la nostra più profonda simbologia e spiritualità. Per esempio, il pensiero e la filosofia templare, che ricorre molto spesso specialmente in alcuni nostri ambiti rituali, con tutti i suoi simboli e le sue profonde conoscenze interiori ed intuizioni, non ha proprio niente a che fare con il mondo del pragmatismo storico, dove sembra invece che i templari non si siano comportati proprio secondo la loro più ortodossa filosofia, anzi; così come non sembra proprio che le varie inquisizioni, le indulgenze, i miracoli, le ricchezze ed un certo tipo di morale abbiano una qualche, anche pur minima, relazione con la parola di Cristo e l’essenza del vero Cristianesimo, tanto per rimanere nell’ambito cattolico a quasi tutti noi molto vicino e conosciuto.
Dovrebbe essere a tutti chiaro che la Massoneria si è “appropriata” giustamente di una simbologia e di una ritualità che ha ritenuto fossero utili alla sua missione nel mondo, cioè ha “abbracciato” alcune filosofie e simboli della nostra cultura occidentale, ma solo come frutto della nostra “tradizione”, filosofia o principio astratto, non accettando certo la bigottaggine acritica dei fanatici integralisti, la creduloneria di chi non usa mai la propria mente, l’utilizzazione scorretta e la giustificazione e lo scudo gratuito di un Dio per la trasformazione di una qualsiasi credenza e morale in abbondanza di “metalli”.
Anzi, ricordiamolo: la nostra Istituzione sia nelle finalità sia nell’operatività, ha sempre combattuto e si è sempre opposta proprio a tutto ciò. Ecco, è questo che molti dei nostri Fratelli non hanno troppo chiaro. L’inutile, continuo invito, in questi ultimi anni, per esempio, ad un certo Padre (mi sembra) “paolino”, anche se pur considerato uno storico, di partecipare ai molti dei nostri convegni, incontri e conferenze, non sembra proprio che abbia una qualsiasi utilità o relazione con le nostre finalità ed il nostro modo di essere, con la nostra equidistanza o indifferenza dalle religioni, con la nostra universalità, con esoterismo e spiritualità.
Può apparire invece, purtroppo, solo come il segnale che qualcuno di noi, forse con discutibile dignità o magari per semplice distrazione, sente l’impellente necessità di dover recuperare qualcosa da una certa confessione o giustificarsi per qualcosa ed ha bisogno, come detto prima, di una specie di imprimatur da parte di una setta religiosa che, tra l’altro, ci ha sempre combattuto anche in modo subdolo ed incivile e che sempre, malauguratamente, dovremo combattere per difenderci dai suoi dogmi, dal suo sopruso e dalle sue scorrettezze anche le più efferate; difficile è infatti ipotizzare che la sua struttura ed i suoi fini possano cambiare, diventerebbe, nel caso, tutt’altra cosa. Ecco quindi emergere, in modo lampante, la necessità di distinguere, in modo netto, il mondo della filosofia, dello spirito e dei simboli da quello esclusivamente “operativo” delle religioni, qualunque esse siano, i cui fini sono — come ormai ampiamente appurato — solo socio-economici, grazie anche al generoso ed incondizionato appoggio del mondo politico che le strumentalizza a proprio uso (e viceversa) con vantaggio reciproco.
Si delinea quindi l’urgenza di prendere coscienza del problema da parte
di tutti noi, nel caso non lo avessimo già fatto, la necessità di considerare con serietà “solo” i princìpi validi della nostra tradizione, pagana o ebraica, cristiana o romana, etrusca o islamica, profana o religiosa che siano, di “laicizzarle” in ogni caso, anzi di “massonicizzarle” per usarle, indipendentemente dal loro tipo d’estrazione, a nostro piacimento, ma nel loro spirito e nella purezza del loro significato originario. Tutto il resto sembrerebbe proprio un grande ammasso di materiale piuttosto immondo da scartare e rifiutare subito, per non rimanerne contaminati.
Conclusioni
Da tutto quanto velocemente esaminato, ma sicuramente ben compreso da tutti noi, nel suo intimo significato, sembra che alla Libera Muratoria moderna, quella d’oggi, quella del prossimo futuro, quella del 2000, una sola strada si apra con la prospettiva di dare dei frutti sicuri e concreti. Certo, qualcuno potrà non condividere la nostra procedura, per altri il quasi-“rifiuto” o la revisione di parte della componente ritenuta impropriamente “cristiana” potrà provocare repulsione o ribellione, ma è solo questione d’inesatta interpretazione e d’equivoco. Per altri potrebbe essere invece, e finalmente, l’inizio di una grande esplosione di libertà e di autonomia, dalla tradizione spicciola non capita e da un mondo stantio e spesso anche disgustoso da non condividere e da respingere. La “laicizzazione” di alcuni dei simboli religiosi dei quali in passato ci siamo giustamente appropriati, dovrebbe innanzi tutto ridare equilibrio alla nostra Istituzione, anche come equidistanza dalle ondate, più o meno oceaniche, delle grandi religioni e dalle grandi correnti di pensiero; senza dimenticare che oltre le tre correnti monoteiste mediterranee, n’esistono anche altre forse più numerose e più profonde, che non conosciamo affatto per nostra imperdonabile ignoranza, aridità di cultura e magari per puerile “campanilismo”.
Ricordiamoci, per esempio, del Confucianesimo, del Buddismo, dello Scintoismo che, insieme, sono certamente seguite da qualche miliardo di persone e che, probabilmente, potrebbero aumentare il nostro già abbondante bagaglio spirituale ed esoterico. Tra l’altro, il Buddismo, con nostra grande costernazione, non prevede assolutamente un Dio, non è una religione, ma solo una filosofia di vita e quindi, teoricamente, saremmo costretti per una questione dogmatica a rifiutare come Fratelli qualche miliardo di persone, cosa che dovrebbe farci riflettere almeno un po’. Forse, con meno ignoranza e un po’ più d’umiltà, potremmo scovare qualche altro modulo di pensiero e di simbologia, magari al di fuori della nostra tradizione occidentale, ma che, in ogni caso, potrebbe arricchire il nostro spirito ed il nostro ambiente un po’ sclerotizzato, oltre che, sicuramente, ridare alla Massoneria la consapevolezza e la certezza di una sua effettiva universalità che, attualmente, è difficile dire se la possiede veramente o no (anche se forse, un tempo, il mondo “occidentale” rappresentava, almeno per noi, la universalità”, ma certo non oggi).
Dovremmo anche considerare che la spiritualità esiste e può prosperare anche senza l’apporto della religiosità o della divinità, con la quale ha molto poco a che vedere; sostenere il contrario è solo voler affermare un dogma gratuito o un pregiudizio che, come tale, non possiamo far altro che combattere. Ricordiamolo: la spiritualità esiste anche senza la religiosità e non è quindi esclusiva prerogativa della religione o del divino; esiste, infatti, una grande spiritualità “laica”, mentre esistono religioni senza o con falsa spiritualità. Dovremmo anche avere l’intelligenza di adeguare parte delle nostre precedenti scelte alle esigenze della vita moderna, e non per una questione di moda o d’opportunità profana, ma per la definizione di significati più esatti ed adatti alla nostra condizione attuale. Sembrerebbe opportuna qualche modifica al nostro interno: come è già stato detto più volte, il mondo si evolve, cambia e con esso si ha una trasformazione — anche se lenta — dei significati delle parole, degli oggetti e dei simboli, mentre nuove definizioni e nuovi concetti entrano a far parte sia della lingua sia del nostro mondo anche interiore e spirituale.
Come più volte sostenuto, una parola o un simbolo in uso cento e più anni fa non ha certo lo stesso significato di oggi. Tra l’altro, l’evoluzione della lingua e del pensiero portano poi con sé altri problemi; nel tempo, appunto, cambiano i significati delle parole e proprio i tempi sono oggi molto ristretti per l’ampia diffusione dei mass-media. Leggi e regolamenti, appena codificati, sono destinati ad essere cambiati il più presto possibile per essere giustamente adeguati alle esigenze “ambientali” che cambiano anche loro continuamente e velocemente; per poter proseguire nel nostro cammino e per poter vivere la nostra vita ed ottenere oggi gli stessi risultati di ieri dobbiamo modificarci incessantemente per “aggiornare” i nostri mezzi alle nuove necessità che il nostro “habitat” ci fornisce.
Usiamo consapevolmente l’intelligenza che per definizione sembra consista proprio nella capacità d’adattamento a situazioni nuove. La filosofia della scienza — disciplina da qualcuno ritenuta piuttosto azzardata, rischiosa e talvolta disdicevole — ci suggerisce inoltre, in modo molto saggio, di non “affezionarsi” mai troppo alle nostre idee, ma piuttosto di provare sempre a confutarle ed a dimostrare che sono “false”, così come non dobbiamo affezionarci mai troppo alle cose che ci circondano, alle abitudini ed a tutto ciò che possediamo.
Il nostro futuro potrebbe apparire migliore se riuscissimo a svecchiarci, a laicizzarci, a ri-crearci effettivamente, nei simboli, nei concetti e nella vita operativa. La leggenda di Hiram, sembra proprio sia stata dimenticata da molti di noi.
Anche in mare, i naviganti hanno l’abitudine, ma direi sono costretti continuamente, a correggere la propria rotta ed a rifare sempre il “punto” della situazione se vogliono rientrare in porto e salvarsi dall’eventuale burrasca. Talvolta, per sopravvivere, sono anche costretti a cambiare completamente rotta, a cercare un porto diverso da quello stabilito inizialmente. Questa dovrebbe essere proprio la nostra strategia, specialmente futura.
Il tutto, come al solito, non richiederà poi un grosso impegno di tempo, ma più che altro di volontà, di fede nella Libera Muratoria e forse proprio nella vita stessa. Non possiamo lasciar trascorrere i giorni, uno dopo l’altro, senza essere riusciti a costruire qualcosa di nuovo e di migliore, d’efficace e di concreto per noi e per i nostri figli. Dobbiamo ri-scoprire quella che molti di noi definiscono come “tradizione” e sintetizzare, dai pensieri filosofici, religiosi e laici di un tempo e d’oggi, una nuova etica massonica (a-cristiana ed effettivamente universale), un nuovo “sistema” che non stravolgerà sicuramente i valori che da sempre la Massoneria ha indicato al mondo ed ha sempre perseguito, non dimenticando mai, ricordiamolo, che la spiritualità non implica necessariamente la presenza della religiosità o della divinità.
Questa nuova etica della Libera Muratoria avrà il compito di ri-adattare e ri-attualizzare “laicamente” e liberamente le nostre vecchie codificazioni, senza costrizione alcuna, alle esigenze del nuovo millennio da poco iniziato e che noi tutti ci auguriamo sia migliore dei due che ci hanno preceduto, impresa che, visti i risultati trascorsi, non dovrebbe essere neanche cosa molto difficile ottenere.

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IL VERO BARONE RAMPANTE

Il vero Barone Rampante
Scoperto il personaggio che ispirò Italo Calvino
di
Aldo Alessandro Mola
“Credo molto nell’individuo, proprio perché mi preoccupo della storia collettiva”. Così scriveva Italo Calvino nell’agosto 1957. Dieci mesi prima i carri armati sovietici avevano schiacciato l’Ungheria insorta contro il totalitarismo comunista, incompatibile con la sua anima di popolo libero, mai piegato neppure dagli Asburgo. Kruscev – proprio l’uomo che aveva denunziato i crimini di Stalin – si comportava da stalinista. Repressione nel sangue d’ogni anelito alla libertà. Dopo mesi di attesa un segnale da parte del PCI di Togliatti e compagni contro il liberticidio sovietico ai danni degli “Stati satelliti”, Italo Calvino ruppe col partito. “Comunista”, del resto, non era mai stato davvero: era entrato nel PCI durante la lotta di liberazione, convinto di trovarvi un più alto livello di rispetto per l’uomo. Scoprì invece.- anche nel famoso viaggio in URSS che lo vide cronista autocensurato – che il totalitarismo rosso era la tromba della libertà, il disprezzo dell’uomo praticato nei gulag non per caso allestiti prima ancora che Hitler impiantasse i lager per concentrarvi e sterminarvi gli oppositori e le “razze inferiori”.
Diffidente, e con buone ragioni, nei confronti dell’altra forma di totalitarismo contemporaneo, la massificazione del puro e semplice “consumo”, una sorta di neomarxismo da grande magazzino, Calvino si tuffò allora nelle radici illuministiche dei principi di libertà. E s’imbatté nella massoneria.
Non fu affatto un incontro casuale. Suo padre, Mario, il celebre agronomo e creatore della moderna floricoltura del Ponente Ligure, così come lo zio, Quirino, era stato tra i fondatori della Loggia “Giuseppe Mazzini”, sorta a San Remo nel 1900. Lì Mario fu “fratello” di suo padre, Gio. Bernardo e di uno zio, entrambi già affiliati a una loggia di Napoli e ora attivi in quella sanremasca. Di più: prima di trasferirsi in Messico e a Cuba (ove nacque Italo), Mario Calvino fu anche affiliato alla “Garibaldi” di Porto Maurizio, a sua volta fondata nel 1900. Per i Calvino Massoneria significava unificazione nazionale, laicismo, utopia riformatrice, emancipazione delle plebi dall’ignoranza e dalla miseria, libera circolazione di uomini e idee e lotta contro ogni forma di tirannide. Non erano solo “parole”. Mario Calvino dette il suo passaporto a un giovane russo che rientrava nei confini dell’Impero zarista per combattervi l’intolleranza (era l’epoca dei pogrom contro gli ebrei) e finì impiccato. I giornali riferirono che l’orrenda fine era toccata proprio all’agronomo sanremasco. Motivo in più, per lui, di accettare l’invito del governo messicano a organizzare l’agricoltura nel Paese di Pancho Villa.
Italo aveva sempre avuto un rapporto difficile col padre: due mentalità, due mondi, due stili di vita. Però sentiva la suggestione dei simboli che i Calvino ponevano sull’ingresso delle loro case, dalla Pigna a San Giovanni, sul fianco della collina di San Remo. Liberatosi dal partito “padre” ideologico e artificioso, come un Guerin Meschino dell’èra atomica Italo andò quindi in cerca dei suoi veri antenati. E s’immerse nello studio dei simboli liberomuratori e di quanti li avevano praticati. Una ricerca fruttuosissima. In parte riversata nel Barone rampante, primo fortunatissimo romanzo della trilogia completata con Il Visconte dimezzato e Il Cavaliere inesistente, pubblicato nel 1957.
Come ora documenta Luca Fucini in Il Barone dell’Impero Tomaso Bd’Olmo (Sorbello editore, via Paleocapa 16/ B, Savona), Cosimo Piovasco di Rondò, il “barone” calviniano, non fu affatto parto di fantasia. Era nientemeno che il maire di San Remo dal 1805: un nobile (creato marchese da Vittorio Amedeo III) apprezzato da Napoleone sin da quand’era generale dell’Armata d’Italia e poi creato barone dell’Impero “con maggiorascato”. Abilissimo – narra Fucini, sulla scorta di documenti inoppugnabili – nel traghettare il Ponente Ligure, e soprattutto la “sua” San remo, dall’esoso dominio di Genova (che nel 1753 gli arrestò il padre e gli impose una pesantisSima “taglia”) all’ingresso nell’Impero di Francia, dal crollo napoleonico al Piemonte in attesa di libertà costituzionali. Non per caso il figlio di Giobatta Borea d’Olmo, Tomaso Pietro Francesco, fu a fianco di Santorre di Santa Rosa ad Alessandria nel moto del 1821. Rampante a sua volta: e sempre verso la libertà. Carbonaro, il giovane cospiratore del 1821 aveva per padre un massone. Tomaso Giobatta, infatti, venne “iniziato” nella loggia di Nizza, “I Veri Amici Riuniti”. Vietata e perseguitata dai giacobini, la Massoneria stava rinascendo sotto la protezione di Napoleone, celebrato come “primo massone” e del resto fratello di “grandi
). e il cui figliastro, Eugenio Beauharnais, fu il primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia, creato a Milano nel 1805.
Quella massoneria – emerge dal bel lavoro di Fucini – non era però affatto irreligiosa. Fautrice dell’ordine e della legge, essa rispettava la libertà di coscienza dei suoi adepti. Non per caso proprio Giobatta Borea d’Olmo, nel sontuoso palazzo di San Remo (ove ora vive il suo discendente, il duca Guido Orazio, e in cui si trova l’interessante Museo, zeppo di simboli massonici) ospitò papa Pio VII che rientrava dalla Francia verso Roma, per riprenderne il governo temporale.
Il Borea d’Olmo scovato da Fucini nacque 1’8 marzo 1767 e morì il 10 maggio 1838. Calvino fa nascere il suo Barone rampante alla nuova e vera vita – gli spazi celesti sui boschi di Ombrosa, cioè San Remo – il 15 giugno 1767. Il Barone vero e quello apparentemente “fantastico” furono dunque una stessa persona. Nella cappella gentilizia dei Borea d’Olmo, nella chiesa di Santo Stefano a San Remo, ormai bene addentro nella lettura dei “simboli”, Calvino colse l’intreccio degli elementi primigeni: acqua, terra, aria e fuoco, raccolti nello stemma del Barone dell’Impero, sovrastato dall’elmo senza volto del Cavaliere inesistente.
Abilissimo nel ri-velare, cioè nascondere nuovamente, le sue scoperte, i suoi sogni, le sue scorribande nei liberi spazi della fantasia (così remote dallo stalinista Zdanov e dal Togliatti che liquidò senza tanti complimenti l”‘intellettuale” Elio Vittorini), quando approntò di persona un’edizione “scolastica” del Barone rampante e ne scrisse la prefazione col nome anagrammato di Tonio Cavilla, Italo sforbiciò del tutto i capitoli sulle riunioni notturne dei massoni sui boschi d’Ombrosa a cospetto di Cosimo Piovasco di Rondò. L”‘ambiente” torinese in cui lavorava rimaneva succubo della tetra egemonia marx-comunista. Di massoneria – tutt’uno con la nascita della borghesia liberale moderna – non si doveva parlare. E così il Barone rampante continuò a svolazzare per i cieli, lontano dalle miserie della Torino degli anni della contestazione e del sangue. “Andrà sempre peggio”, scrisse ancora Calvino in una lettera che ora compare a cura di Luca Baranelli per IMeridiani di Mondadori. “Più le cose del mondo vanno male, meglio si scrive”. Fedele, insomma, alla sua “missione”: inventare simboli e contrapporre al materialismo incombente il piacere della libertà. Partendo dalla storia, compreso, finalmente, il rapporto con i suoi “Antenati”: il Barone rampante (o dell’Impero) Borea d’Olmo e quelli “di casa”: Mario, Quirino, Gio. Bernardo…recuperati di nascosto nella

loro dignità di “liberi muratori”.•

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BUON GOVERNO E ILUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE


di
Blasco Mucci
Premessa
Anche noi toscani abbiamo appartenuto indirettamente a quella “Austria felix”, così definita dal buon governo di principi illuminati, dall’esistenza di una amministrazione onesta e parsimoniosa, di tecnici attivi e competenti, ma soprattutto da una concezione austera ed armoniosa della vita in cui ognuno, nella sua situazione e nelle sue competenze, trovava soddisfazione, rispetto e dignità.
Gli Asburgo-Lorena, successori dei Medici, diedero alla nostra regione sviluppo artigianale, industriale ed agricolo, strade ancor oggi essenziali ai nostri trasporti, bonifiche di terre trascurate da secoli, regimentazioni delle acque ancor oggi indispensabili e, purtroppo, mai più continuate, con i risultati che tutti i fiorentini ben conoscono. Più ancora, gli Asburgo-Lorena diedero, alla Toscana ed ai Toscani, diritti e libertà che precorsero quelli auspicati dalla Massoneria.
Quelli che furono poi i primi membri fiorentini della Massoneria ebbero un notevole ruolo nell’auspicare prima, e nello stabilizzare poi, il passaggio del Granducato a Francesco di Lorena, sotto il nome di Francesco III. Il Marchese Giulio Rucellai, Segretario della Giurisdizione, il Marchese Carlo Rinuccini, Ministro sotto Gian Gastone e poi del primo dei Lorenesi, Giovanni Lami, noto ed influente erudito, ed altri minori personaggi, avevano, infatti, appoggiato l’avvento dei Lorena
La gratitudine di questo sovrano, chiamato dai fiorentini “il fratello lorenese” protesse poi l’Ordine ed i suoi membri, contro lo strapotere ecclesiastico dell’lnquisizione, fino alla sua abolizione, il 5 luglio 1782. I Lorena suoi successori mantennero lo stesso benevolo atteggiamento verso la Massoneria. Non è da dimenticare che, proprio in Toscana, a Lucca e Livorno, con il sostegno di Pietro Leopoldo, furono pubblicate le prime due edizioni dell’Enciclopedia, la monumentale opera illuminista, quando era stata già posta all’indice, nel Marzo del 1759.
La concezione politica dei primi Granduchi Lorenesi era improntata agli ideali massonici, che ponevano nella pubblica felicità lo scopo dei governi, attraverso la tolleranza ed il rispetto dei diritti altrui, e, nel loro fine ultimo, la Fratellanza universale. La libertà di culto, l’abolizione della pena di morte, il principio della reciproca collaborazione e fiducia fra governanti e governati, ciò che Pietro Leopoldo stesso definiva la “cooperazione ed il consenso dei soggetti interessati”, fecero scrivere al fratello Mirabeau che:
“L’Europa del XVIII secolo può essere veramente felice perché ha voluto mettere alle due estremità del continente due sovrani, così rari in tutti i secoli, quali Gustavo [di Svezia] e Leopoldo”.
La raffinata ideologia umanistica di Pietro Leopoldo non penetrò purtroppo nell’anima popolare, in cui godeva in ogni caso considerazione e rispetto, ma rimase appannaggio delle classi colte fiorentine, che ebbero modo di formare delle colte accademie tuttora esistenti e culturalmente vivaci.

La validità riformistica indotta dall’illuminismo in Pietro Leopoldo ebbe quindi degli altissimi estimatori, che formarono una élite, cosciente di essere all’avanguardia in Europa. I maggiori spiriti toscani, nei principi della costituzione Leopoldina, videro un equilibrato ed efficiente compromesso fra la libertà nazionale e autocrazia illuminata. .
In quest’ambiente la stessa Rivoluzione francese fu vista come derivante da quegli stessi mali debellati pacificamente in Toscana, ed i suoi eccessi furono condannati, anche se compresi nel loro aspetto di dolorosa catarsi sociale.
Quest’equilibrio, politico e sociologico, ha una intrinseca natura massonica; per la sua ideologia umanistica a Massoneria è riformista o anche rivoluzionaria quando ciò è necessario all’evoluzione umana, ma, per le stesse motivazioni, ha in se anche elementi, bilancianti, di conservazione e di moderatismo.
Pietro Leopoldo, lasciando la Toscana per l’Impero, nonostante le gravi difficoltà e responsabilità dell’altissimo incarico, e le persistenti dicerie sul complotto massonico contro i troni e gli altari, sfociato nella Rivoluzione, mantenne una profonda coerenza di riformista, proteggendo coloro che, indicati come illuminati dalla propaganda antimassonica, conservarono, sotto il suo regno, proprietà, libertà e titoli. È inoltre nota la protezione e a benevolenza verso la Massoneria di un altro grande Asburgo-Lorena, l’Imperatore Giuseppe: in un suo noto editto, l’esistenza della Massoneria nelle nazioni sottoposte all’Impero era accettata e regolamentata.
La reazione dei principati europei, e soprattutto quella clericale, vide negli eccessi rivoluzionari la conseguenza dell’illuminismo e del riformismo della Massoneria, che avrebbe invece voluto un equo e pacifico trapasso di una parte dei poteri sovrani ai rappresentanti del popolo.
La leggenda del complotto massonico non ebbe tuttavia troppi estimatori in Europa, tranne che in Italia dove l’esistenza del potere temporale del Papato stravolse ogni possibilità… di contatto e rapporto fra Massoni e grandi masse popolari. Quando un principe come il popolare “Canapone”, ultimo Granduca lorenese di Toscana, prese la strada dell’Austria in carrozza, come un privato cittadino, la Massoneria toscana, nell’entusiasmo dell’unità italiana, non si rese conto di aver perso forse l’ultimo difensore ed assertore nei fatti dell’essen- za ideologica più profonda e vera della Massoneria.
Ma dei Lorena, in Toscana, non rimane soltanto il globo chiodato ai crocicchi delle vie, ma un’impostazione di vita e di pensiero che per quanto patrimonio d’élite trova risposta anche nell’istinto del popolo, che, alla fine, ritrova sempre il fiuto per l’odore che distingue i buoni dai cattivi padroni.
Note
– Francesco d’ Asburgo, Duca di Lorena era stato iniziato all’Aia in Olanda, nel 1731.
– Il Granduca inviò a Benedetto XIV una lettera in cui difendeva la libertà di stampa vigente in Toscana, in cui si affermava, a proposito del comportamento dell’lnquisizione nel caso Crudeli,: ” Prima che io mi partissi di Toscana mi fu domandato l’arresto di due dei miei sudditi per supposti delitti di fede, mai non può immaginarsi un caso più circostanziato di quello, per poter negarlo. E noto a V. S. l’esito di quel processo, com’è noto a me, ch’ho auti in mano i documenti autentici, ond’ella avrà una giusta idea dell’impressione che mi deve aver prodotto, e s’io abbia luogo senza offendere il dovere ed il lume della mia ragione medesima di restare ancora in dubbio o nell’indifferenza su questo punto” Traduzione di un biglietto di propria mano della Maestà Imperiale e Reale l’ Imperatore, concernente l’Ordine dei Liberi Muratori.
“La Libera Muratoria si è talmente diffusa nei miei Stati, che non vi è alcuna piccola città di provincia ove non vi sia una Loggia e vi è la più grande necessità di stabilire un certo ordine. Io non conosco i loro misteri, e non ho mai avuto la curiosità di penetrarli; mi è sufficiente di sapere che i Liberi Muratori fanno sempr qualche bene, che sostengono i poveri, coltivano roteggono le lettere, per fare per essa qualcosa in più che in ogni altro paese.
Ma siccome la ragion di stato ed il buon ordine domandano di non lasciare alcuno a se stesso e senza alcuna particolare ispezione, penso di prenderli sotto la mia protezione e di accordargli la mia gra zia speciale se si comportano bene, alle seguenti condizioni:
1 – Non vi sarà nella Capitale che una o due Logge, o se fosse impossibile riceverci tutti i Fratelli, tre tuttalpiù. Nelle città ove vi sia un’ autorità, si permetterà una, due o tre logge. Tutte le Logge nelle città di provincia dove non vi sia autorità, sono rigorosamente vietate, e l’ospite che accetta assemblee nella sua casa, sarà punito come un criminale che permette dei giochi proibiti.
2 – Le liste di tutte le Logge e dei loro membri saranno inviate al Governo, i giorni dell’assemblea sempre comunicati; ogni tre mesi si invierà un esatto dettaglio dei membri che sono stati ricevuti nella Loggia, o che l’hanno lasciata, ma senza annunziare i titoli, dignità e gradi che vi sono nelle Logge. Soddisfatto tutto ciò il Governo accorda ai Liberi Muratori accettazione, protezione e libertà; lascia interamente alla loro direzione le questioni interne delle Logge e delle loro costituzioni, senza far mai delle curiose inquisizioni. In questa maniera, l’ Ordine dei Liberi Muratori, che è compo-
sto da un gran numero di gente onesta da me conosciuta, può divenire utile allo Stato: si comunichi questa ordinanza al Governo delle Provincie”. P. S. L’esecuzione di questa ordinanza cominci dal primo di Gennaio.
Quando, nella metà del XVIII secolo, si venne compiendo una vasta opera riformatrice, questa si ispirò alla necessità di eliminare il dislivello tra città dominante e provincia soggetta. Infatti tutti i ministri e gli uomini di Stato che promossero queste riforme si sforzarono di dimostrare l’enorme sacrificio che la provincia aveva sopportato nei confronti della metropoli. L’industria della capitale, che aveva monopolizzato il mercato e subordinato ai propri interessi l’economia generale dello Stato toscano, apparve allora come la principale causa di questa sperequazione. L’origine era nel Comune, manifatturiero e commerciale, che aveva combattuto per la conquista dei mercati e per I ‘egemonia economica, e che nella legislazione protettiva e proibitiva, aveva trovato l’ arma più valida per mantenere il contado prima e, dopo le conquiste, il distretto in una condizione di dipendenza.
La dinastia dei Medici aveva sì guardato al di là delle mura cittadine e constatato la necessità di favorire l’evoIuzione in certe città del dominio come Pisa e Livorno, ma sempre in correlazione con i privilegi mercantilistici della metropoli che non furono mai intaccati ma anzi rafforzati. In questa contraddizione consiste il difetto maggiore della politica medicea, che da un lato è l’espressione di una unità più coerente dello Stato, e dall’altro è un processo di accomodamento e di compromesso tra i nuovi bisogni di uno Stato accentrato ed i sistemi e gli istituti del vecchio regime.
I ministri della reggenza di Francesco Stefano di Lorena, quando questa dinastia ebbe il governo della Toscana, notarono gli anacronismi, le incongruenze e la eterogeneità del sistema. In Toscana non si era ancora sviluppato nella sua pienezza lo Stato moderno che ha per fine l’assoluto assoggettamento di tutti i sudditi alla sovranità del principe, ponendo fine all ‘ esclusivo dominio di una classe o di un gruppo. Se in uno Stato, col persistere delI ‘ economia cittadina mercantilistica resta in piedi la struttura sociale che da questa è nata, tutte le istituzioni privilegiate conservano la prevalenza perché sono artificiosamente mantenute le condizioni necessarie al loro sussistere. Non essendo perciò in Toscana cambiato indirizzo nella politica economica, la progressiva decadenza del sistema ha reso questo più rigoroso ed ha fatto incrudelire la legislazione.
Al Consiglio di Reggenza di Francesco di Lorena, le condizioni della Toscana apparvero ovviamente artificiali e dovute ad un sistema coercitivo mantenuto saldo da ceti interessati a non rinunciare agli utili che questo sistema loro assicurava. Si presenta la necessità di risolvere il problema del dualismo città-campagna e molte opere furono scritte per combattere l’ esclusiva egemonia della metropoli nella sua forma più esosa: la politica annonaria. Questa politica sacrificava agli interessi delle classi cittadine quelle dei contadini e salvaguardava i privilegi di cui godevano le arti e le industrie a danno degli altri ceti produttivi. Il concetto di questa politica è che la capitale è tutto, e lo Stato deve servire ad essa.
Quando si parla di “popolo” e quando si dice che i prezzi bassi imposti dall’ Annona sono a favore di esso, in realtà non si pensa che ai consumatori cittadini e all’oligarchia sorta dalle manifatture e dai commerci della classe dominante. L’esclusivismo feudale ereditato dal Comune aveva generato il privilegio cittadino e questo privilegio non muore di consunzione ma occorre un coraggioso movimento riformatore per debellarlo completamente. Bisogna arrivare alle riforme leopoldine per assistere ai primi albori di una politica liberale perché il fine di queste riforme mirava ad abbattere il dualismo tra città e provincia, a eguagliare i sudditi nei loro diritti essenziali ed a potenziare l’ agricoltura per ottenere il maggior aumento possibile di prodotti alimentari.
Il successore di Ferdinando, Cosimo II, fu studioso di agricoltura, di botanica e di idraulica ed iniziò una vasta opera di bonifica delle paludi, accordando privilegi ed esenzioni a coloro che si fossero trasferiti nelle zone bonificate. Sotto Ferdinando II, successore di Cosimo II, le cose tornarono al peggio, sia per gli aggravati oneri fiscali e sia per la fissazione dei prezzi di imperio dei grani che indussero i contadini ad abbandonare i campi e ad annullare così i benefici delle bonifiche iniziate da Ferdinando I.
Verso la fine del Seicento, con Cosimo III, si tentò di mitigare la crisi dell’agricoltura con il diminuire le imposte e ripartire la spesa delle bonifiche tra i vari interessati non tenendo conto alcuno delle resistenze ecclesia-
stiche. Alcuni risultati positivi furono ottenuti da imprenditori privati, che favoriti da alcuni provvedimenti del principe, si interessarono a considerevoli opere di bonifica delle paludi della Maremma e della Valdichiana. Ma ben altro si rendeva necessario!
Al principio del Settecento, il Granducato di Toscana appariva consunto e disgregato. Nel 1737, con la morte di Gian Gastone, si estingueva la dinastia dei Medici e Francesco Stefano di Lorena assumeva il governo della Toscana. E sotto il nuovo principe che si creano le basi per la nascita di uno Stato moderno ed efficiente, anche se le vecchie istituzioni rimangono ancora in vigore. In Toscana, il principale problema dell’agricoltura era quello della proprietà della terra e della diversità delle leggi tra metropoli e provincia.
Il principe si volge pertanto a tutelare gli interessi dello Stato sottoponendo ad una legge comune quelle classi che avevano consolidato i loro privilegi ed i loro monopoli. Le conseguenze che i riformatori si prefiggono sono: a) sostituire un’economia territoriale all’esistente economia cittadina;
b) sostituire un’economia libera ad una economia di monopoli.

E ovvio quindi che i giuristi e gli uomini di cultura seguaci delle teorie illuministiche elaborino programmi destinati in futuro a risolvere le aspirazioni dei lavoratori della terra a disporre liberamente sia della conduzione dei terreni sia dei prodotti ottenuti con lo sfruttamento degli stessi.
La tesi fisiocratica del libero commercio dei grani aveva fatto sentire la necessità di abolire le antiquate manomorte ecclesiastiche e di risolvere una volta per sempre i vecchi dissidi tra l’aristocrazia terriera ed il nuovo ceto medio agrario. E poiché al diritto di chiusura e difesa dei fondi coltivati si oppongono i ceti più retrivi della società, i grandi proprietari di greggi ed anche le popolazioni più povere delle campagne, il movimento riformatore deve tenere conto di questi contrastanti interessi ed arrivare ad un compromesso che varia da regione a regione, da comunità a comunità, da popolazione a popolazione.
L’aumento dei prezzi dei cereali e l’aumento dei profitti favoriscono i provvedimenti presi dai riformatori tendenti a limitare gli usi comunitari del pascolo, a facilitare la chiusura dei fondi, a togliere gli impedimenti alla libertà di coltura e di rotazione ed a riscattare terreni mediante opera di bonifica.
Francesco Stefano di Lorena non governò direttamente la Toscana ma attraverso un Consiglio di Reggenza presieduto dal ministro Emanuele di Richecourt. Francesco non fu ovviamente il restauratore della Toscana, ma egli ha il grande merito di aver avuto fiducia in collaboratori intelligenti e favorex;oli alle più ardite riforme.
La dinastia medicea aveva conservato quasi tutte le forme esteriori della repubblica. Da Cosimo I a Gian Gastone, l’ultimo granduca mediceo, i fiorentini erano stati amministrati da uffici con i nomi repubblicani. Ma non erano ormai più i tempi degli ordinamenti comunali. Se inomi ed i sistemi erano gli stessi, diversi erano i desideri, le necessità e le aspirazioni della popolazione del Granducato. Inoltre lo Stato non era formato da una unica struttura omogenea ma da tre parti distinte: Firenze, Pisa e Siena. Di queste, Firenze godeva di una posizione di privilegio poiché i fiorentini esercitavano una vera e propria tirannia amministrativa nei confronti della provincia a causa del loro diritto di esercitare gli atti amministrativi per mezzo di uffici “estrinseci” solo ad essi riservati.
Il Richecourt era stato profondamente colpito dall’ingiustizia della diversità di trattamento applicato alle singole parti dello Stato. Il problema più importante era però quello finanziario. Il debito pubblico era enorme e colpiva il consumo dei beni di prima necessità come il pane e il sale con imposte e gabelle che erano applicate con severità perché molto facile ne era la riscossione. Sulla popolazione delle campagne gravavano inoltre delle gabelle superiori alla popolazione delle città ed era imposta anche l’iniqua tassa sul bestiame da lavoro. Il Richecout si adoperò ad alleviare il debito pubblico e ci riuscì operando la conversione della rendita. Fu perciò possibile ridurre il prezzo del sale ed abolire la tassa sul bestiame. Sotto Francesco fu iniziata la riforma giudiziaria, continuata e compiuta da Pietro Leopoldo, nello spirito della assoluta eguaglianza dei diritti dei sudditi di fronte al sovrano. La completa attuazione della riforma giudiziaria riparò alla disuguaglianza di trattamento tra le varie parti del Granducato per differenza di leggi e di consuetudini, estese la legislazione dello Stato ai territori sottoposti alla giurisdizione civile e penale dei feudatari, liberò le comunità da ogni ingerenza amministrativa degli stessi feudatari, proclamò inviolabile la libertà dei vassalli e dette ad essi, in caso di abusi, il diritto di ricorso diretto al granduca. Non era ancora abolita la feudalità ma ne era limitato il potere e proibito senz’altro ogni abuso. Francesco attuò anche una nuova politica nei confronti della Chiesa, politica che incontrò opposizione e contrasti nella parte più retrograda della società ma che, nonostante ciò, continuò per l’energia di governo del Richecourt e di Giulio Rucellai.
Una legge importante fu quella del 1751 che mirava ad arrestare lo sviluppo della “manomorta” ecclesiastica, legge che favorì la libera disponibilità della proprietà terriera e fu il primo passo delle ardite riforme di Pietro Leopoldo. La preparazione della legge fu scrupolosamente accompagnata da preziose tabelle statistiche, risultato di indagini difficilissime per quei tempi. Francesco aveva già dal 1745 riunito la corona di granduca a quella dell’Impero. Stabilì però che alla sua morte la corona granducale, nuovamente staccata da quella imperiale, sarebbe passata al di lui figlio secondogenito, Pietro Leopoldo. Alla di lui morte, avvenuta nel 1765, la Toscana con il nuovo granduca riacquistava la propria autonomia.
Pietro Leopoldo aveva 18 anni quando, nel 1765, divenne granduca di Toscana. Nessun altro principe lo supera per la sua intelligente, ardita e umana opera riformatrice. Iniziò la sua opera con la riforma agraria e trovò nel popolo toscano la comprensione e seguito. Ebbe consiglieri e cooperatori illuminati. Forse per tutte queste convergenze la riforma fu efficace.
Contemporaneamente venivano ripresi con maggior vigore la bonifica ed il ripopolamento dei territori paludosi e malsani. Questi lavori erano stati iniziati da Ferdinando I ma erano stati interrotti all’inizio del XVII secolo. Pietro Leopoldo staccò la Maremma dal territorio amministrativo senese e ne costituì una amministrazione speciale, ponendovi a capo tecnici idraulici e agrari. Furono costruiti canali, arginati fiumi, fatto colmate, costruite case coloniche e grandi strade di comunicazione. La Toscana ebbe allora una rete stradale che allacciava centri minori ai maggiori e le terre bonificate con i centri di consumo e di mercato.
Più degli interessi di una città, di quella che era stata la città dominante, la rete stradale serviva ai nuovi centri di popolazione rurale che la bonifica creava. Vi è un impulso che agisce su Pietro Leopoldo: la fede nell ‘ avvenire agricolo del Granducato secondo le nuove e interessanti teorie fisiocratiche del tempo. La legislazione leopoldina è animata da tale fede. Già avevamo osservato che uno dei principali problemi dell ‘ agricoltura toscana era quello della proprietà. Furono aboliti tutti i vincoli che inceppavano la libertà di produzione, furono sciolti i fidecommissi che la Reggenza non aveva interamente soppresso, furono abolite le “comandate”, le prestazioni servili da parte delle comunità, furono aboliti i prezzi d’imperio e confermata la piena libertà del commercio dei grani.
Il problema economico agrario era stato da Pietro Leopoldo collegato a quello sociale per l’elevazione e l’emancipazione del lavoratore. Prese pertanto concreta forma il sistema livellare leopoldino dopo che il latifondo si era frazionato mercé appunto l’istituzione del contratto di enfiteusi. Al frazionamento del latifondo contribuì ovviamente la legge creata per l’abolizione della manomorta, del feudo e dei fideocommissi. Il lavoratore si trovava così per la prima volta nella facoltà di poter disporre della terra da lui coltivata essendogli conferito il diritto dell’ alienabilità e dell’ affrancazione dei terreni. La Toscana trasse dalla rifot$la agraria elementi favorevoli ad un rapido sviluppo dell’agricoltura.
La riforma amministrativa, creando un nuovo sistema municipale basato sulle rappresentanze civiche, spostò decisamente l’ assetto economico-sociale dalla città alla campagna, formando una borghesia rurale capace di conoscere e regolare da sé gli interessi propri e delle comunità. Assistiamo pertanto alla frenetica attività dei municipi che, controllati dal potere centrale soltanto negli affari che riguardavano controversie con altre comunità, amministrano con oculatezza il Comune, regolano bene le spese per curare strade e canali, distribuiscono con giustizia tasse e imposte, nella convinzione che tutelare gli interessi delle comunità significa anche porre le basi per l’emancipazione ed il benessere dei singoli individui.
La riforma agraria di Pietro Leopoldo favorì specialmente il sistema degli affitti. Ordinando la legislatura dello Stato in modo di favorire l’agricoltura, il granduca conseguì lo scopo di formare nel suo Stato una riunione di famiglie patriarcali che popolavano le campagne a preferenza della città, e di riportare la provincia a quel livello morale e culturale che la decadenza dell’agricoltura, provocata dalla inerte oligarchia cittadina, aveva paurosamente abbassato.
I problemi dell’agricoltura toscana all’inizio della riforma leopoldina erano numerosi e complessi ed affondavano le origini nella notte dei tempi. Dopo le bonifiche erano aumentati sì i terreni coltivabili ma non erano aumentate le case coloniche. Erano aumentate le superfici dei singoli poderi ma non si erano divise le famiglie, con la conseguenza di moltiplicare sotto lo stesso tetto il numero degli individui. Questo particolare comportava la mancanza di subordinazione al capo famiglia e creava nei componenti, specialmente i giovani, la volontà di procurarsi redditi fuori. del podere. Il bestiame normalmente non stava nella stalla ma alla pastura ed era affidato alle cure di giovinetti spesso non volenterosi ed incapaci. Dove però il bestiame, come nella Valdinievole, era nutrito nelle stalle dalla mano dell’uomo, il prodotto era doppio ed anche triplo.

Un esempio: la bonifica della Valdichiana
Nel 1763 Pietro Leopoldo I di Lorena assume la guida del Granducato di Toscana. Visitò personalmente la Valdichiana ed in seguito inviò sul posto a compiere studi e rilievi il matematico padre Leonardo Ximenes, l’altro grande matematico Tommaso Perelli e gli ingegneri Pietro Ferrini e Giuseppe Salvetti. Il Salvetti eseguì il profilo della Valle nel 1769, ove risulta che la platea del Callone di Valiano che pareggia il fondo del canale maestro è più elevata di 15 braccia della cresta della Chiusa dei Monaci, dimostrando così di quanto si fossero sollevati il fondo della Valle e quello del canale maestro dopo il 1551, data della perizia di Antonio Ricasoli.
Tutti questi tecnici suggerirono il loro metodo sui lavori di bonifica da eseguire nella Valle e specialmente sulla convenienza o meno di conservare la Chiusa dei Monaci o demolirla. Alcuni tecnici suggerirono di abbandonare il metodo delle colmate, alcuni addirittura di dare libero sfogo alle acque mediante la costruzione di un nuovo grande alveo. Lo Ximenes sosteneva doversi abbassare la Chiusa dei Monaci, fabbricare diversi sostegni lungo il canale per uso di navigazione e costruire a quattro archi i ponti di Arezzo che allora avevano due arcate.
Di fronte a così diverse opinioni Pietro Leopoldo, in attesa di addivenire ad una decisione, invitò i proprietari dei terreni palustri a bonificarli nell’interesse loro e delle comunità, e molti aderirono all’invito venendo talvolta a patti di temporanea cessione. Infine Pietro Leopoldo affidò la Sovrintendenza della bonifica ad una deputazione di sei notabili eletti in Valdichiana, in attesa di conoscere l’esito della progettazione degli esperti. La deputazione non dette però buona prova e Pietro Leopoldo la sciolse nel 1788, istituendone una nuova composta di tre membri, due di nomina sovrana ed uno eletto dai possessori contribuenti. Infine completò il suo intervento affidando la direzione della bonifica a Vittorio Fossombroni, autore delle “Memorie idraulico-storiche sulla Valdichiana” che tenne la Sovrintendenza dal 1788 al 1827, cioè anche nell’interposto periodo francese. Nel 1794 il Fossombroni fu nominato anche Sovrintendente generale del dipartimento delle acque della Valdichiana dal quale dipendevano oltre ai lavori di bonifica anche la regolazione delle colmate.
Quando il Fossombroni assunse la direzione della bonifica, la maggior parte della Valle era già ridotta a pastura ed a sementa, tranne una piccola parte nel piano di Chiusi ed i due laghi. Non erano però totalmente fruttiferi i terreni adiacenti ai bassi tronchi dei fiumi. Il Fossombroni dichiarò che al presente la Valle non era più bisognosa di bonifica ma necessitava di lavori che la mantenessero in condizione di fruttare. Osservò il Fossombroni che la torre di Valiano, demolita, aveva subito un interramento di oltre 10 braccia ed altri interramenti erano avvenuti in prossimità di Foiano.
Nel 1789 i rii dell’Olmo, di S. Anastasio e di Pieve al Quarto facevano “colmata” presso la Chiana. I rii di Vitiano e di Cozzano venivano a fare una piccola colmata presso la piana di Brolio, quasi di fronte a Cesa. Il Vingone, il Biguzzo ed il Celone di Castiglione insieme al Cigliolo, al Loreto e all’Esse di Cortona mandavano le loro acque a colmare lungo la Chiana, tra la collina di Brolio e quella delle Capannacce ed il Montecchio. La Mucchia di Cortona scaricavasi a colmare lungo la Chiana quasi di fronte a Foiano, dove dalla parte opposta mandava le sue acque per formare colmata l’Esse di Monte S. Savino. La Foenna e la Fuga colmavano lungo la Chiana di faccia quasi ad Acquaviva e ad Abbadia. Il Salarco entrava nel chiaro di Montepulciano. Il Monaco entrava nel Chiarino, tra l’uno e l’altro lago, la Tresa voltava verso il Callone del Campo alla Volta e l’Astrone andava più oltre e passando l’argine di Clemente e la Torre dei Ladri andava nella Chiana romana.
Il Fossombroni constatando che le colmate avevano servito sino allora a bonificare soltanto appezzamenti di terreno, intese a modificare il piano di bonifica di tutta la Valle, ritenendo che prima di dare libero corso alle acque torbide occorreva dare a tutta la Valle ed alla campagna laterale una pendenza regolare, appunto perché le acque non chiarificate potessero in futuro convogliarsi verso l’Arno, liberamente. Allora la Chiana non sarebbe più stata un canale ma un fiume.
Il Torricelli aveva affermato che era impossibile bonificare la Valle senza prima togliere una grossa fetta di terreno verso Arezzo, il che impediva la soluzione essendo impossibile convogliare la Chiana in Arno per l’abbassamento di tutto il fondo valle. Fossombroni enunciò la teoria che si poteva fare il contrario: elevare il livello della Valle superiore verso Chiusi mediante colmata. In questo modo si rese perciò disponibile a ricevere un influente di più man mano che questi aveva “colmato”. Fossombroni riteneva che entro un secolo si poteva cessare di regolare artificialmente il corso delle acque, lasciando la natura ormai libera di continuare nel ciclo ormai definitivamente stabilito. Proseguendo la bonifica sembrò fosse possibile abbassare la Chiusa dei Monaci ma si preferì invece praticare nella parte destra uno scaricatore fornito di cateratte, la cui soglia inferiore era più bassa della cresta della pescaia, per poterne usufruire all’occorrenza.
Nel 1780 tra il Papa Pio VI e Pietro Leopoldo fu stabilito un trattato per la regolamentazione idraulica della Valle e delle acque di confine. Fu stabilita la nuova inalveazione della Tresa, la modifica del recapito del Maranzano nella Tresa stessa per dare sfogo all’uno e all’altra nella palude delle Bozze e nel chiaro di Chiusi, salvo valersene ancora per alcuni anni per “colmare” i luoghi più bassi appartenenti allo Stato PontifiCio. E affinché le acque torbide della Tresa e del Maranzano non turbassero il sistema di quelle quantità di acque chiare che doveva portarsi liberamente in un più profondo canale al Callone ed alla Chiana romana, si costruì un argine di separazione alto 6 braccia e largo 4, attestato dalle colline di Chiusi sino al lato opposto alle colline
di Città della Pieve. Il nuovo argine delimitò il confine tra la Chiana toscana e la Chiana romana in modo definitivo, sebbene fossero sorte quasi subito controversie tra i confinanti e messa anche subito in dubbio la convenienza di conservarlo.
Nel 1790 si pensò anche di abbassare il regolatore di Valiano per concedere uno scarico più abbondante nella Chiana alle copiose acque del chiaro di Chiusi, del chiaro di Montepulciano e delle campagne superiori. A ciò si oppose il Fossombroni per il timore che una maggiore copia di acque nell’alveo della Chiana potesse arrecare pregiudizi alle ubertose e popolate campagne inferiori.
In un atlante composto di oltre 100 tavole attualmente nell’archivio comunale di Foiano, sono rappresentati tutti i terreni strappati alle acque con i terreni di proprietà del granduca colorati in giallo, quello dei privati in bianco e quelli appartenenti alla Religione di Santo Stefano colorati in rosso. Da questo atlante si rileva che salvo limitate proprietà private, il granduca possedeva personalmente le fattorie di Dolciano, di Rigutino, di Policiano e del Bastardo, mentre tutto il rimanente apparteneva ai Cavalieri di S. Stefano.
L’Ordine acquisì anche altri terreni man mano che la bonifica proseguiva e nel 1797 acquistò dai monaci Benedettini di Arezzo il molino di Ponte a Chiani con la famosa Chiusa. Essa serviva all’Ordine a disporre del controllo delle acque della Valle. L’Ordine possedeva anche grandi magazzini per i raccolti, uno al ponte alla Nave, uno a Montevarchi ed uno a Firenze. Aveva inoltre fabbricati e rimesse a Cortona, ad Arezzo e a Monte San Savino. Una perfetta contabilità veniva tenuta in merito alla quantità dei raccolti, delle spese annue, delle medie dei redditi sia dei terreni coltivati sia di quelli tenuti a prateria, in “colmazione” o a bosco.
Non era prevedibile in quel momento di grande prosperità e potenza dell’Ordine di S. Stefano, che entro pochi anni la rivoluzione del 1799 avrebbe travolto proprio direttamente i Cavalieri della Religione di Santo Stefano. •

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. . . 2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. .?

2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. . .

L’uomo odierno, come del resto i suoi progenitori della preistoria, vive immerso in un’atmosfera di propensione religiosa nei confronti di forme e cose che non riesce a spiegarsi razionalmente.
Le scatenanti e incontrollabili manifestazioni della Natura, pur nel rispetto di una certa ciclicità, come per le stagioni, e ciò pertanto in parte prevedibili, sfuggendo al controllo umano, furono per l’uomo delle caverne collegate al volere di una Entità superiore e, di conseguenza, intese come messaggi del divino creatore d’ogni cosa.
L’innato atteggiamento mentale umano ad accostarsi al mondo dell’inspiegabile, poi, ancor più stimolato dal recondito desiderio di tramandare ai posteri le tracce delle sue progressive conquiste, dalle incisioni rupestri dei cavernicoli ai monolitici menhir, dai templi e le Piramidi di Gizah e quelle Maya, dal labirinto di Creta con le architettoniche testimonianze dell’antica Grecia alle cattedrali, ha fatto sì che tutto il percorso evolutivo dell’uomo fosse contrassegnato da segnali chiari e forti, difficilmente decodificabili dai più, ma accessibili soltanto da coloro che non ne fossero stati degni.
L’uomo, ad un certo punto, si accorse di poter occultare in ogni opera realizzata non solo il potenziale immaginativo che scaturiva dal prodotto C) artistico ma, cosa ancor più stimolante, un arcano messaggio che solo pochi eletti, e in possesso della giusta chiave di lettura, avrebbero in un giorno lontano decodificato. L’impiego di questo selettivo metodo di comunicazione con i posteri, da quel momento, divenne sempre più utilizzato anche, e soprattutto, per difendere le individuali conquiste sapienziali dei Maestri.
La chiave d’interpretazione dell’opera divenne così il passe-partout di lettura di ermetici segreti. E, ciò pertanto, figure geometriche, come quelle tracciate sulle pareti di caverne, dolmen, omphalos ed imponenti realizzazioni architettoniche, entrarono a far parte, come era logico che fosse, dell’infinita catena di simboliche testimonianze che costellano il lungo percorso dell’umanità.
In verità, l’influenza di sconosciute forze positive e avverse, potenziate soprattutto dall’intenzionale apporto emotivo conferito dall’esecutore di quel tempo, interagiscono misteriosamente. Malgrado i secoli trascorsi, infatti, l’opera-simbolo continua ad esercitare il suo iniziale magnetismo al punto tale da influenzare, talvolta, persino il percorso evolutivo dell’uomo. Ed ecco che Il simbolo, rafforzato ancor più dal misterioso messaggio che in esso si racchiude, diventa una “porta arcana” di accesso verso una dimensione spazio-temporale in cui presente, passato efuturo sono un tutt’uno.
Non è casuale l’esigenza di rivisitare, anche se spesso lo facciamo con la mente, episodi e luoghi legati agli anni di vita vissuta. La cosa strana è che avvertiamo un inspiegabile impulso, quasi un’attrazione fatale, che ci spinge ad andare oltre, l’esigenza forse, di oltrepassare la barriera convenzionale di quel primo giorno di nostra vita per scoprire da dove proveniamo, chi veramente siamo, e qual è la nostra meta futura.
A questo punto, però, ci accorgiamo stranamente del fascino inspiegabile che certi luoghi emanano, degli inspiegabili stati emozionali che essi producono, decisamente estranei all’ambiente circostante. Immersi
4 neaAgorà Dicembre 2()()() / Febbraio 2001
nel particolare stato di animazione sospesa che ne consegue, quasi per incanto, tutto ciò che ci è intorno diventa nebuloso, e svanisce. Ad un tratto, l’opera-simbolo che è dinanzi a noi, immersi nel ruolo di moderni temponauti, austera per il segreto in sé racchiuso, risveglia nella nostra mente quel messaggio iniziale inciso sul portale del Tempio di Iside: “Sum quidquid fuit, est et erit…nemoque mortalium velium detraxit”.
Questi simboli meravigliosi, che tanti segreti hanno ancorao da svelare, sono l’incommensurabile patrimonio di verità velate che i grandi maestri sapienziali, iniziati nei sacri templi della , hanno voluto tramandare all’umanità.
Il linguaggio silente delle pietre, il magnetismo dei siti eretti in luoghi mai scelti a caso, le raffigurazioni simboliche, le allegorie, gli indecifrabili crittogrammi, la collocazione delle opere nel preciso rispetto dell’orientamento degli astri, l’osservanza e l’applicazione della geometria e della matematica nel calcolo dei rapporti di costruzione, non sono semplici coincidenze, come qualche sprovveduto vorrebbe far credere…
Migliaia di anni sono ormai trascorsi, secondo il calcolo del tempo terrestre, dalla comparsa dell’homo sapiens di quest’ultima preistoria, e l’uomo contemporaneo ha appena sfogliato le prime pagine del grande libro della storia dell’uomo.
Il 2001, potrebbe, a mio modesto avviso, essere il simbolico appuntamento di quel radicale cambiamento, tanto atteso dall’Umanità, soprattutto alla luce delle eclatanti conquiste della scienza – tasselli di antiche verità dimenticate – che si susseguono a ritmo sempre più incalzante.
E’ utopistico sperare di vedere debellati, una volta per sempre, gli endemici mali che affliggono i popoli della Terra come, ad esempio, la violenza che dilaga senza sosta, la fame, l’inquinamento ambientale, e così via. ?
Sono tanti, troppi forse, e di vitale importanza, i quesiti in attesa di risposte chiare ed inequivocabili dall’Uomo del terzo millennio, come ad esempio per la clonazione e l’eutanasia.
Sono altresì fermamente convinto, e non potrebbe essere altrimenti, che il presupposto iniziale per affrontare con serietà i problemi primari dell’Umanità, e soprattutto senza dispersive dietrologie, non prescinda dal decisivo accantonamento di tutte le ideologie che imprigionano il libero pensiero e la libertà, come quelle che si legano alle religioni ed agli interessi personali di coloro che praticano la politica.
Dal sereno confronto di pensieri, idee, e conoscenze individuali, che potremmo definire il primo gradino di un’ascesa collettiva e responsabile nel rispetto degli altrui convincimenti, potrà nascere quella volontà fortemente protesa verso il miglioramento ed il benessere di tutti, senza più sopraffazioni ed egoismi personali.
Le testimonianze del nostro passato, frattanto, immobili nei siti che gli antichi maestri scelsero per la loro edificazione, osservano silenziose il frenetico dimenarsi degli uomini che inseguono, come nel passato, effimere ed illusorie conquiste.
All’alba del 2001, stranamente, il segreto di un antico nostro progenitore forse venuto dalle stelle, ermeticamente racchiuso nel simbolo più complesso ed arcano dell’Universo che noi chiamiamo “uomo”, ci appare meno lontano…e, come sempre in occasione di un nuovo anno che nasce, ci riscopriamo più ricchi di proponimenti buoni, e di speranza…
Silvio Nascimben

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COSA DOBBIAMO A NOI STESSI ED ALL’UMANITA

COSA DOBBIAMO A NOI STESSI ED ALL’UMANITA’

È inutile spendere troppe parole per tratteggiare la condizione umana odierna, in particolare nel mondo occidentale, perché ormai abbastanza nota e descritta da studiosi e saggisti.
Non è una novità, quindi, affermare che viviamo in una Società la quale forma individui, mirando, più che a svilupparne le qualità umane, a creare, con la minore spesa possibile, individui che funzionino senza generare soverchi inconvenienti e turbamenti, ben disposti a farla andare avanti secondo schemi stabiliti ed abbastanza circoscritti.
Il tipo umano, di cui ci stiamo interessando, è lasciato abbastanza libero di pensare ciò che vuole, purché, con questo comportamento, piuttosto inconsueto, non si allontani troppo da quanto è con¬venuto, e purché continui ad essere, essenzialmente e prima di ogni altra cosa, un tranquillo ed infati¬cabile consumatore, nel senso più esteso della parola.
Quest’uomo, spinto, ossessionato quasi, da necessità artificiosamente sol-lecitate in lui, ha trasformato anche se stesso in oggetto di consumo. Si è identificato ad una merce qualunque, alla qual è dato un valore misurabile, che è determinato dalla sua vendibilità sul mercato.
Quest’uomo, in questa Società, è condizionato a misurare se stesso se¬condo due parametri fondamentali ai quali è molto difficile sfuggire: il successo conseguito, possibilmente noto e ben visibile; ed il micidiale giudizio degli altri; è, quindi, clinicamente definito, per la sua condizione, un alienato che dipende completamente dagli altri e che ha, come unico simulacro di si¬curezza sociale, la necessità di vivere nel conformismo di gruppo, e senza allontanarsi troppo dal gregge, nel quale si trova, per sentirsi sufficientemente considerato, difeso ed anche un po’ più forte.
L’essere umano, così, ha perso il senso della propria identità, e non riesce più, come singolo, a darsi, liberamente, un significato della vita, ed a porsi al centro di questo significato.
In relazione alla sua vacuità interiore, si trova ad essere incapace di dare, di amare e di reagire, in modo consapevole e responsabile, di fronte alle complesse situazioni che è costretto ad affrontare tutti i giorni.
Questo povero uomo, si sente sempre più disperatamente impotente di fronte a forze che lo manovrano ciecamente, che lo considerano come se fosse un numero. Ecco il perché, molte volte, si sente costretto a scegliere, come possibili soluzioni di fuga dalla realtà: l’idolatria, la magia e qual¬siasi tipo di droga, chimica o spirituale. Sempre più spesso, l’uomo di oggi, si rifugia in atteggiamenti mentali passi¬vi o di violenza, che lo legano ancora di più e ne limitano la possibilità di fare altri tipi di scelte comportamentali.
Un’acritica accettazione e la soggezione forzata, a scale di valori im¬poste dal mercato, allontanano, quest’ infelice uomo dei nostri giorni, in modo sempre più ir¬reversibile, dalla possibilità di vivere una sana ed emancipata natura umana. Questa è, purtroppo, la non esaltante condizione cui è pervenuto l’Uomo, alla metà del XX Secolo.
La Società tende ad un conformismo poco differenziato nel quale, in effetti, l’individuo affonda, perdendo ogni interesse per i reali valori umani. Ora, in questa società che sembra così irrimediabilmente malata, qual è, o quale potrebbe essere la finalità e la funzione della Massoneria Universale?
Ricordo, molto bene, le domande che mi furono proposte quando, nel Gabinetto di Riflessione stilai il “Testamento”: QUALI SONO I DOVERI DELL’UOMO VERSO SE STESSO? QUALI SONO I DOVERI DELL’UOMO VERSO LA PATRIA? QUALI SONO I DOVERI DELL’UOMO VERSO L’UMANITÀ?
Ebbene, oggi, quale risposta ci sentiamo, obiettiva¬mente, di poter dare, come Istituzione e come singoli appartenenti alla domanda: Cosa dobbiamo a noi stessi ed all’Umanità?
Per formulare delle risposte soddisfacenti, al quesito ora indicato, sarà necessario, prima, provare a fare un esame della Massoneria odierna in Italia, accennandone anche un giudizio, sia da un punto di vista storico, sia dal punto di vista della così detta scienza dell’uomo, ossia, di quella scienza che, per molti, è nota come neo-umanesimo, la quale sta diventando uno degli strumenti di orientamento più utili e più sicuri, per tentare proficue indagini connesse alla condizione umana.

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Proviamo a predisporre una trattazione, a grandi linee, fra le tante possibili, che ci possa aiutare a formulare alcune idee semplici e chiare, utili, però, a comprendere meglio, se possibile, qualche cosa nell’intrigata giungla dei rapporti che intercorrono fra una Società ed i suoi membri; ma anche, e soprattutto, per consentirci di uscire dal particolare ed avere un’accettabile visione panoramica degli avvenimenti, che trascendono l’individuo, rimanendo, però, nella realtà. Questo, per esaminare dal di fuori, con una certa obiettività, la dinamica delle forze in gioco, che spesso sembra incomprensibile, solamente perché si osservano troppo da vicino, invece di inserirle in un contesto più vasto. Ed in¬fine, non si può dimenticare il prezioso insegnamento di Vol¬taire: “Se desiderate parlare con me, definite i vostri termini” perché, in effetti, non ci potrà mai essere una buona ed efficace comunicazione se i se¬gnali non saranno nitidi e non soggetti a distorsioni o ru¬mori interpretativi.
In questo quadro che tracceremo, la Società sarà conside¬rata come un’entità autonoma, la quale vive di vita propria, ob¬bedendo a leggi proprie, e composta da un insieme di individui i quali, però, fanno parte anche di un aggregato più grande, il quale, pure, ha una vita propria, ed è la famiglia composta da tutte le Società: la Famiglia Umana.
È importante, ora, richiamare l’attenzione sul fatto che non sempre, anzi quasi mai, le Società e l’Umanità perse¬guono la stessa mèta, forse perché, mentre le Società vivono nel presente e tendono al loro futuro più prossimo, l’altra si sta sviluppando verso un più lontano futuro di crescente complessità.
Ancora una premessa, necessaria e molto importante, che sento di dover sottolineare: è opportuno sempre, durante tutta la disamina, assolutamente, non lasciarsi prendere dal fascino delle parole, come invece capita molto spesso, per non scambiare, ad un certo punto, le parole per le cose e quindi identificare la teorizzazione, che in¬tendiamo usare come strumento, con la realtà vera e propria.
Stabiliti questi preliminari e questi buoni propositi, cer¬chiamo, ora, di puntualizzare qualche cosa, iniziando dai com¬ponenti della Società e dell’Umanità, cioè gli uomini ed il loro modo di organizzarsi in gruppi di attività.

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Parlando della personalità di un uomo, sono in molti, ormai, ad essere d’accordo nel convenire che la si può ritenere, sommariamente, composta di due parti. Una di queste è la com¬ponente psichica, risultante dal portato fisico dell’ereditarietà, questa parte viene comunemente chiamata temperamento; l’altra, cui invece è stato assegnato il nome di carattere, è la componente psi¬chica risultante dalla somma delle esperienze vissute, fin dall’inizio della vita fisica, variamente modificate o rafforzate, dagli avvenimenti emotivi successivi. Il temperamento insieme al carattere, influenzandosi in vario modo, con prevalenze alterne, costituiscono la personalità dell’individuo, intesa come singolarità esistenziale unica ed irripetibile.
L’uomo, poi, per vivere e sopravvivere, deve poter usare uno schema mentale, diciamo di riferimento, il quale fa parte del carattere e che può essere chiamato visione del mondo; attraverso quest’universo personale, vengono filtrati i giudizi, le scelte, le decisioni per l’azione o l’inerzia; ed è per mezzo di questa lente che l’individuo stabilisce ciò che è bello, ciò che è brutto, il desiderabile e l’indesiderabile.
Questo schema mentale, come già detto, strettamente unico e personale, che in ogni singolo varia, sia per qualità che per quantità di no¬zioni, è il risultato: delle esperienze personali, dei successi educativi conseguiti dalla famiglia, dalla scuola o più in generale dalla Società; è il prodotto derivante dall’elaborazione, essenziale e strettamente in¬dividuale, di quanto contenuto e predominante nella cultura di appartenenza.
Questo schema mentale, che viene anche chiamato sche¬ma di riferimento e finalità ideale, sia pure con una certa diffi¬coltà, però, proprio come conseguenza della sua stessa genesi, è modificabile, in particolare, sviluppando, gradualmente e progressivamente, la capacità di ragionare e la consapevolezza. L’accrescimento della ragione e della consapevolezza, in questo processo, possono essere, contemporaneamente, la causa e l’ef¬fetto della trasformazione.
Il fatto che lo schema di riferimento e finalità ideale sia influenzabile, e la conoscenza del come è possibile operare certi cambiamenti, ha un’importanza decisiva, anche e proprio per gli scopi che ci prefiggiamo, come Istituzione.
Su questo meccanismo, infatti, si basa tutta la possibilità di impostare la formazione educativa, e di articolare, quindi, l’insegna¬mento in generale ed, in particolare, il conseguimento o meno dell’emancipazione nell’adepto.
Il sistema uomo tende spontaneamente e raggiungere una specie di equilibrio omeostatico, con l’esterno e con l’interno, cercando di ottenere, dal rapporto con l’ambiente, la maggiore quantità possibile di gratificazione, con la minore sofferenza di qualunque tipo. Tutto questo, naturalmente, come si è detto, del tutto soggettivamente, cioè, solo secondo le valutazioni che derivano dall’utilizzazione dello schema mentale cui abbiamo fatto cenno.

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Qui, è opportuno, sempre per la maggior chiarezza possibile, fare una digressione. Anche se anticipiamo, prematuramente, qualche considerazione conclusiva ed alcuni giudizi, deve apparire evidente l’utilità che consegue all’uso delle schematizzazioni che stiamo predisponendo, per un esame sistematico e critico dell’utilizzazione, spesso disinvolta, delle parole e dei loro significati, nella composizione delle idee.
L’accettazione delle formulazioni proposte riguardanti lo schema mentale, in particolare, e di quelle che proporremo nel seguito della tratta¬zione, possono comportare delle considerazioni, forse scomode da accettare, ma che, senza dubbio, stanando l’approssimativo, l’ambiguità interpretativa e faranno na¬scere l’esigenza conoscitiva di una maggiore cautela, nell’uso stesso delle parole, se prima non se n’ è definito, il più precisamente possibile, tanto il significato quanto il loro limite descrittivo.
La tendenza, come abbiamo visto, involontaria, del meccanismo psicofi¬sico umano, a rendere strettamente soggettivi i valori, comporta, natural¬mente, l’indispensabile necessità di svincolare questi valori, da un relativismo senza regole che, dietro un apparente ragionamento logico, può portare, invece, a considerazioni fallaci e fuorvianti.
I valori, per svolgere la loro funzione di accettabili capisaldi di riferimento, dovrebbero essere agganciati a princìpi, condivisi e ritenuti, il più possibile, inequivoca¬bi1i, universali ed oggettivi. Cosa, certamente non facile, ma, di sicuro, possibile.
Non mi sento, in questo caso, mi si creda, di essere, come qualcuno ha voluto insinuare, un falso profeta che vuole insegnare la scelta del bene e del male. Io cerco, solamente, di precisare le modalità di utilizzazione dei termini espressivi, in modo da poterci comprendere meglio e più approfonditamente.
Prendiamo, per esempio, le due parole bene e male. Esse sono simboli, e pertanto, astrazioni che possono essere riempite con significati personali, tanto da conseguire, nella comunicazione, risultati talvolta an¬che opposti a quelli desiderati. La frase, sempre per esempio: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, e fai agli altri tutto il bene che vorresti fosse fatto a te”, pur esprimendo un contenuto morale, perché accettato, in realtà, non è sufficientemente precisa da poter essere considerata universale.
Il bene ed il male hanno riferimenti molto diversi da civiltà a civiltà. In una tribù di cannibali, per esempio, è bene mangiare carne uma¬na; per alcune religioni, è male cibarsi con la carne di certi animali ritenuti sacri. Il bene ed il male, secondo cui un sadomasochista fa le sue scelte, sono, indubbiamente, parole che esprimono contenuti molto diversi, da quelli usati dall’individuo sano il quale vive con-sapevolmente, cioè applicando con spontanea naturalezza i valori bene e male, dopo aver imparato ed accettato di considerare e vivere come be¬ne tutto ciò che porta alla liberazione ed all’evoluzione della personalità umana e male tutto ciò che, invece, limita le capacità di sviluppo dell’uomo e che lo fa regredire a situazioni emotive infantili.

* * *

Riprendendo il nostro discorso sul comportamento umano, possiamo affermare che la realtà esterna, in buona parte ed in generale, fornisce i mezzi per soddisfare le necessità di gratificazione individuale e collettiva, ma impone, in contropartita, anche molte rinunce.
La realtà esterna, cui si fa riferimento, è la situazione comunitaria nella quale l’individuo è immerso: la Società. Questa, esercita, per sua necessità, sulla struttura emotiva dell’in¬dividuo, un’azione molto importante che, come vedremo, è duplice perché deve svolgere una funzione la quale, secondo i casi, può essere gratificante oppure frustrante.
Sintetizzando, si può precisare, per esempio, che la Società attua la sua azione frustrante intervenendo in tre tipi di situazioni con modalità appropriate:
1) Imponendo proibizioni all’individuo, il quale, sollecitato da una sua ricerca personale di soddisfazione, vorrebbe adottare comportamenti che possono riuscire pericolosi per lui o che, dalla Società, sono ritenuti tali.
2) Frustrando quegli impulsi, il cui soddisfacimento produrrebbe danni, di qualsiasi genere, non all’individuo, ma alla classe, al gruppo, alla società di appartenenza oppure alle loro finalità ideali.
3) Imponendo rinunce, giustificandole come salvaguardia del bene generale mentre, invece, tendono, solamente, a difendere ed assi¬curare i privilegi o la stabilità della classe dominante.
La funzione gratificante della Società, invece, si può di¬stinguere secondo due vaste classificazioni:
1) L’organizzazione del soddisfacimento delle esigenze elementari umane, che sono, in particolare, direttamente connesse con l’autoconservazione, e cioè con l’appagamento delle ne¬cessità primarie materiali.
2) La promozione ed il mantenimento di quelle soddi¬sfazioni che, per distinguerle da quelle che l’individuo si procura autonomamente, chiameremo gratificazioni di fantasia organizza¬te, le quali si realiz¬zano nell’ambito dell’attività politica, della religione, del divertimento, della creazione artistica, etc. e che, nel loro insieme, costi¬tuiscano il corpo culturale della Società.
Con questo semplice meccanismo, di frustrazioni e di gratificazioni, molto sommariamente esposto, la Società, con particolari dosaggi, che dipendono da molti fattori, tende a realizzarsi ed a mantenere la propria stabilità; a procedere, quindi, possiamo dire, nella direzione evolutiva e con il passo che le sono congeniali. Naturalmente è comprensibile come, la stabilità, la direzione verso cui procede, ed il passo relativo, siano caratteristiche che risultano essere diverse e variabili, secondo il tipo di Società presa in considerazione, e che sono in stretta relazione con le condizioni socio-economiche e culturali esistenti.
Possiamo citare due caratterizzazioni di Società, come esempi abbastanza indicativi ma, anche, estremamente semplificati.
Il capitalismo del XIX Secolo, che si sviluppò indicando, come somma virtù, il risparmio e la parsimonia, sollecitando di conseguenza, ¬l’accettazione di pesanti frustrazioni materiali.
Il capitalismo del XX Secolo che, invece, ha puntato e punta sulle gratificazioni materiali delle masse, alimentando, in ogni modo, il desiderio di spen¬dere e di consumare.
Nell’applicazione di questi meccanismi di frustrazione e di gratificazione, si può constatare che, quanto più una Società ha la capacità di soddisfare le esigenze materiali e culturali, per la maggioranza dei suoi componenti, tanto più, quella Società, è disposta a concedere libertà; tanto meno riesce a soddisfare le esigenze della massa, tanto minore è la probabilità che sia permissiva.
E questo, è indica¬tivamente importante per comprendere come possano essere diverse le mète, non tutte uguali, che le singole Società si prefiggono di raggiungere, rispetto a quella, abbastanza costante, verso cui sembra tendere, invece, l’evoluzione umana.
Nella realtà, inevitabilmente è accaduto, almeno fino ad ora, che la classe sociale più potente, è incline a soddisfare prima di tutto i propri bisogni, immediatamente dopo ed in dipendenza dal livello delle possibilità economiche disponibili, c’è la gratificazione che viene concessa, dalla classe dominante, ai governanti, per mantenere, con loro, un’indispensabile e buona col¬laborazione.
Attraverso questo non facile gioco di equilibri, si cerca di ottenere un bene ambitissimo, da parte di chi governa ed ha il potere: la stabilità sociale. Facendo ricorso alla forza, solo in casi estre¬mi, perché troppo oneroso sotto ogni punto di vista, si cerca, invece, di conseguirla, questa stabilità, facendo in modo che i componenti della Società, si trovino dominati da una loro ten¬denza psichica individuale, radicata interiormente, per cui la propria si¬tuazione sociale, sia abbastanza soddisfacente, oppure sia con¬dizionata, in modo da contrastare o impedire il sorgere della necessità, della volontà o della possibilità di produrre dei mutamenti non accettabili, in riferimento all’ordine costituito
In genere, questa tendenza psichica individuale, appena ora indicata, è prodotta dall’educazione impartita dalla famiglia, dalla scuola ed in seguito alimentata dalla Società, nell’ambito di quelle che abbiamo stabilito di chiamare le gratificazioni di fantasia organizzate o per meglio dire, di quelle, ufficialmente ammesse od ufficiosamente tollerate, perché sono giudicate, rispetto alla scala dei valori vigenti, utili o ne¬cessarie alla stabilità sociale, anche se in qualche caso, apparentemente, non lo sono.
Quando, invece, la gratificazione di fantasia organizzata non è nel novero di quelle ammesse od ufficiosamente tolle¬rate, perché si ritiene che possa incidere sull’equilibrio della società, allora, inesorabile scatta il conformismo, la strenua difesa del corpo sociale, la quale si manifesta nell’intolleranza, nella persecuzione, nella scomunica, nell’espulsione dal gruppo, nell’isolamento.
E poiché, lo ripetiamo, talvolta la Società, non persegue le stesse finalità che possono favorire il progresso evolutivo dell’Umanità, si può avere la triste, ma abbastanza frequente, situazione in cui viene dato l’ostraci¬smo a persone che sono o che tendono a diventare sane, nel senso di adulte, da un punto di vista umano e cioè, evolute ed emancipate culturalmente e spiritualmente.
E, tutta quest’avversione, solo perché, quegli sventurati, hanno avuto la ventura di vi¬vere, e di sentire, la necessità di professare le proprie idee, ma¬gari insieme ad altri e questo può essere l’aggravante peggio¬re, in una Società malata ed immatura che, pertanto, giudi¬ca, come intollerabili, certe idee le quali, anche se sono favo¬revoli al progresso evolutivo della Famiglia Umana, diventano, però, condannabili perché tenderebbero a spostare la Società dalla sua sta¬bilità, in una direzione verso la quale non ha alcun in¬teresse immediato ad andare, oppure, con un passo che è diverso da quello che la Società ha deciso di adottare per i suoi scopi.
Tanto per fare un esempio, si può dire ed azzardare l’ipotesi che, l’Umanità, estrapolando la situazione attuale, nel suo progredire, debba raggiungere due stadi ob¬bligatori e forse successivi:
1) L’unificazione di tutte le Chiese.
2) La creazione di un unico Governo mondiale.
È facilmente comprensibile come, nella realtà planetaria, l’intolleranza religiosa ed il nazionalismo, che in molte Società sono ancora importanti forze di sta-bilità sociale, possano opporsi, più che aspramente, con l’appoggio della maggioranza, a qualsiasi tentativo di propaganda o di diffusione delle tendenze unificatrici sopra indicate.

* * *

Al fine di comprendere meglio come certi meccanismi psichici, possano trasformare alcune gra¬tificazioni di fantasia, in strumenti di stabilità sociale, ascoltiamo queste parole, molto pertinenti, di Sigmund Freud:
“La sensazione di impotenza dell’uomo, di fronte alla natura ed a tutte quelle forze che non può dominare, fa nascere stati emotivi, che sono la ripetizione delle situazioni in cui l’individuo si è trovato da bambino, quando non poteva resi¬stere, senza aiuto, contro forze superiori e sconosciute, e si rivolgeva a chi gli era vicino e gli poteva assicurare protezione e gratificazione: ricorreva cioè alla madre ed al padre”.
Ora, nella misura in cui la Società non riesce a soddisfare certi fon¬damentali bisogni esistenziali del singolo individuo, questi si sente impotente, mortificato, insoddisfatto. Si trova regredito a sen¬timenti infantili inconsci, e trasferisce la sua richiesta, di aiuto e di sostegno, a figure di fantasia che simboleggiano il padre o la madre. Da questi simboli, l’individuo spera di ottenere l’appaga¬mento dei suoi desideri, oppure, un qualche soddisfacimento sostitutivo alle sue necessità ma, soprattutto, spera, chiede e desidera, di ottenere, subito, ciò che gli manca maggiormente: la protezione e la sicurezza.
Questa situazione psicologica, di schiavitù infantile, è certamente uno dei pilastri su cui, in genere, fa affidamento e si appoggia la Società per mantenere la stabilità sociale.
Le prime figure di fantasia create dall’uomo, forse, sono state quelle derivanti dal culto degli antenati. Ci sono stati poi i grandi capi deificati; gli Dei, e poi, come conseguenza, anche, dei cambiamenti nelle condizioni economiche, sociali e psichiche delle varie culture, in alcuni casi, si è giunti a concepire una figura di fantasia unica, onnipotente, che riusciva, privilegiando i propri fedeli, a condensare ed esprimere il soddisfacimento di ogni istanza: Dio.
Questo Dio, che nasce dalla necessità di soddisfare le esigenze psichiche individuali e collettive, che, ieri come oggi, è il naturale prodotto, in gran parte, dell’impotenza della Società e degli uomini, e di cui parleremo più diffusamente in seguito, è quasi sem¬pre stato, la maggiore forza adottata come sostegno del potere costituito, e, di sicuro, la com¬ponente più importante per l’ottenimento della stabilità sociale.
Per assolvere, compiutamente, fra le altre, anche questa fun¬zione ora accennata, le varie istituzioni religiose si sono costituite, in seno alle Società, come gratificazioni di fantasia organizzate. Nel mondo occidentale, le chiese cristiane, sono state e sono le più importanti, fra tutte le altre gratificazioni di fantasia organiz-zate accettate.
Se consideriamo, come esempio, alcuni effetti prodotti dalle chiese cristiane sulle masse, si può intuire facilmente come, promettendo all’individuo una maggiore sicurezza e meravigliosi premi nell’aldilà, in cambio di una sottomissione completa ed immediata, si riesca a limitare ogni tentativo di autonomia psichica. Proclamando, poi, la vanità delle cose di questo mondo, e l’inutilità dell’indagine conoscitiva, perché la vera Verità è solo quella di cui la Chiesa è detentrice ed insistendo, continuamente, sulla pericolosità demoniaca del sapere, si ottiene un’intimidazione intellettuale che, nella maggior parte dei casi, induce nell’in¬dividuo, uno stato di completa docilità infantile e di soggezione all’autorità, irrazionale ed acritica.
D’altra parte, e questa è la seconda componente della sua azione, la Chiesa offre, specialmente alle masse più disagiate, una gros¬sa gratificazione, la quale, alimentando una speranza futura trascendente, al di fuori e al di sopra della realtà, rende la vita tollerabile e placa le menti, che potrebbero pensare e desiderare inoppor¬tuni (per la Società) mutamenti, nella propria condizione sociale. Altrettanto importante è, però, la gratificazione che riesce a dare, anche, alla minoranza che ha il potere. Ad essa, infatti, lenisce gli eventua¬li sensi di colpa, suscitati dalla sofferenza di coloro che essa è costretta a governare, semplicemente in cambio, di una, più o meno esteriore, sotto¬missione alla divinità. Sottomissione che consente, a chi amministra il potere, di razionalizzare le sue azioni di governo, le quali, anche se, razionalmente discutibili, possono diventare la realizzazione dell’indiscutibile volontà di Dio.
“Mediante il benigno governo della Provvidenza divina – dice Freud – l’angoscia, di fronte ai pericoli della vita, viene calmata; l’istituzione di un ordine morale universale, assicura l’appagamento dell’esigenza di giustizia, che, nella civiltà umana, è rimasta, così spesso, insoddisfatta. Ed il prolungarsi dell’esi¬stenza, mediante una vita futura, istituisce anche la struttura, spaziale e temporale, in cui l’appagamento di questi desideri frustrati, troveranno il loro compimento”.
Si riteneva, da parte di Freud, e non era il solo a pensarla così, che quando l’uomo avesse raggiunto un maggior controllo sulla natura, la religione sarebbe stata considerata come un’illusione, sarebbe diventata superflua e l’uomo avrebbe potuto essere libero.
Ma, Freud e gli altri, non si erano, forse, resi completamente conto che la figura di fantasia chiamata Dio, era ed è, come tutte le figure di fantasia, solo un sintomo della mancanza di libertà interiore e, non, certo, la causa, perché quest’ultima, risie¬de nei legami regressivi della psiche indivi¬duale, e nell’incapacità, da parte della Società, di raggiungere il totale soddisfacimento dei bisogni esistenziali, dei singoli che la compongono
Ora, ai nostri giorni, non c’è dubbio che, le condizioni socioeconomiche e culturali sono decisamente migliorate, si è raggiunto, pure, un maggior controllo della natura, ma, solo in parte si sono avverate le previsioni di Freud, riguardanti le religioni e le loro espres¬sioni istituzionali. Lo sviluppo della personalità individuale, purtroppo, è stato modesto e non molto incentivato; di contro, i bisogni materiali dell’uomo, forzatamente ed artificiosamente indotti, dalla Società dei con¬sumi, sono aumentati ed in gran parte rimangono insoddi¬sfatti; da qui la necessità, da parte dell’individuo, di avere, almeno, figure di fantasia che gli promettano sicurezza e gratificazioni; la Società, quindi, non ha potuto fare a meno di accettare o tolle¬rare quelle gratificazioni di fantasia organizzate già esistenti ed ha cercato di crearne lei stessa, anche al di fuori dell’ambito religioso, sempre con lo stesso fine prima¬rio di mantenere, ad ogni costo, quella stabilità sociale che è la vera divinità alla quale tutto si può e si deve sacrificare.
Sono numerose, oggi, le nuove figure di fantasia individuali accettate che, insieme alle varie gratifica¬zioni di fantasia organizzate esistenti, influenzano il mantenimento della nostra stabilità sociale.
Anche se, nella realtà, queste figure svolgono una stessa funzione, esse possono avere nomi diversi ed appartenere a categorie, le più disparate, come ad esempio: i “leader politici” oppure i “divi” di ogni genere; la squadra di calcio, il “partito”, il “sindacato”, la “nazione”, il “clan” ”, etc.
Siamo tornati, in tal modo, ad un politeismo idolatrico che, in conclu¬sione, lega sempre più l’immatura personalità dell’uomo anche se, poi, viene concessa, dal potere alla collettività, un’apparente maggiore libertà, in molti campi dell’attività pubblica. In un ambito sociale di questo genere, è comprensibile come, un’istituzione, la quale abbia nella sua dichiarata finalità, il conseguimento della libertà individuale e della capacità critica autonoma nei suoi adepti, non possa essere molto gradita e sostenuta.

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Ora che abbiamo schematizzato alcuni meccanismi psi¬chici sui quali la Società può contare, meccanismi, cioè, che possono indurre gli individui, per necessità interiori, a far parte, di istituzioni che appartengono alle gratificazioni di fantasia accettate o tollerate, vediamo ora di delineare, molto som¬mariamente, esaminandone la struttura e le funzioni, il come tutte le istituzioni, nel senso più ampio del termine, riescono ad organizzarsi.
A questo punto, ritengo sia proprio utile citare, direttamente, Bronoslaw Malinowski, celebre antropologo, il quale ha preso in esame il fenomeno delle istituzioni, in alcuni tipi di cultura, proponendo considerazioni, valide per ogni associazione umana. Le citazioni sono desunte dal un suo libro, Ed. Feltrinelli, intitolato: “Teoria scientifica della cultura”.
“La funzione – dice Malinowski – non può essere defi¬nita in altro modo che il soddisfacimento di un bisogno, per mezzo di un’attività, utilizzando gli utensili necessari, per conseguire un fine stabilito. Questa definizione, ora indicata, implica un altro princi¬pio con cui possiamo integrare concretamente ogni fase del comportamento umano. Si tratta del concetto di organizzazione. Propongo di chiamare, una tale unità di compartecipazione umana: istituzione”.
“Questo concetto, implica e presuppone un accordo su di una serie di valori, per i quali gli esseri umani decidono di operare insieme. La sua accettazione, implica che questi esseri umani stanno in una re¬lazione ben definita l’uno con l’altro, sotto lo statuto, che de¬finisce le loro finalità, obbedendo alle norme specifiche e stabilite della loro associazione. Lavorando con l’apparato materiale che essi costruiscono, gli uomini agiscono insieme, al fine di soddisfare alcuni loro desideri-bisogni, mentre producono, anche, un ef¬fetto sull’ambiente nel quale operano… ”.
Il Malinowski, poi, precisa pure che lo statuto, cioè il fi¬ne riconosciuto dal gruppo, e la funzione, cioè l’effetto in¬tegrale delle attività, possono, in effetti, non coincidere, anzi spesso non sono in stretta relazione consequenziale; al¬tra notazione importante è che, sia nello statuto che per la funzione, può capitare che siano adottate scale di valori nettamente diverse fra loro e diverse, anche, da quelle propu¬gnate dalla Società nella quale vive l’istituzione.
Lo statuto è l’idea-finalità dell’istituzione, concepita ed accettata dai suoi membri. La funzione, invece, che ha un duplice aspetto, si ma¬nifesta, sia nel soddisfacimento dei bisogni, per cui si è instau¬rata la cooperazione, sia nel ruolo che l’istituzione svolge entro lo schema totale della cultura nella qual è inserita.

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Ora, tenendo sempre ben presente che si tratta di una teorizzazione e non della realtà completa, riassumendo quanto esposto, si possono desumere questi punti di riferimento che sarà opportuno tenere presenti, quando tenteremo di dare una risposta agli interrogativi che ci siamo posti come tema.
1) Ogni Società, idealmente, si può ipotizzare che proceda verso la realizza¬zione, nel futuro prossimo, di un suo scopo, secondo una direzione evolutiva sua particolare, e secondo un determinato programma temporale che chiameremo passo. Per attuare questo suo programma, ha bisogno di una stabilità, ragione per cui osteggia drasticamente, secondo le sue possibilità, cioè in relazione alle condizioni socioeconomiche e culturali esistenti, tutto ciò che può costituire turbativa al progetto che, per necessità intrinseche, si è dato.
2) L’Umanità, ha una sua direzione evolutiva che, spesso, diverge, oppure è in netta antitesi, con le direzioni che possono essere adottate dalle singole Società: l’Umanità, sembra che abbia come fi¬nalità, il pieno sviluppo delle potenzialità individuali dell’uomo; la Società invece, per poter più facilmente mantenere la sta-bilità, che gli necessita per raggiungere le sue finalità, favorisce, ora più, ora meno, l’instaurazione di so¬porifere gratificazioni di fantasia organizzate, che possano contrastare o distogliere dal desiderio o dalla volontà di cam¬biamenti e di processi ritenuti indesiderati, tendenti, per esempio, all’emancipazione, individuale e collettiva.
3) Le gratificazioni di fantasia organizzate, cioè le istituzioni, possono essere, dalla Società, accet¬tate, tollerate o respinte, secondo le finalità nominali o reali che si prefiggono, oppure, anche, in relazione agli effetti che conseguono nella stessa Società.
4) Un’istituzione, è caratterizzata: da una serie di va¬lori sui quali i componenti sono concordi; da uno sta¬tuto che contiene l’idea promotrice e comprendere anche la finalità dell’organizzazione, e dalla funzione che, come si è detto, può realizzare finalità anche diverse da quelle dello statuto, e questa funzione, poi, ha due effetti distinti i quali sono: l’appagamento dei desideri-ne¬cessità degli organizzati e l’effetto che l’istituzione produce nella Società.

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Ora, per quanto c’interessa, prima di passare all’esame circostanziato della nostra Istituzione oggi, vediamo se è possibile de¬sumere, da quanto sappiamo delle organizzazioni proto-massoniche dell’antichità, quali funzioni esse svolgevano nelle loro rispettive culture. La prima cosa che appare evidente e che le accomuna, è come queste antiche scuole iniziatiche, fossero delle scuole nel vero senso della parola, le quali trasmettevano agli iniziati la scienza più avanzata del momento. Il contenuto principale di quest’insegnamento, era la scienza dell’uomo, che formava uomini più dotati, rispetto al mondo profano, nei quali erano potenziate le qualità umane, utilizzando le conoscenze più progredite dell’epoca. La trasmissione della scienza era ritualizzata e comunicata attraverso un linguaggio simbolico il quale, necessariamente per quei tempi, poteva essere solo quello della religione, perché lo scibile era amministrato, esclu¬sivamente, dalla casta religiosa.
Nell’arco della storia dell’umanità, queste scuole si sono manifestate o hanno operato, in modo anche molto diverso, nelle loro rispettive culture, ma, pur nella loro apparente distinzione, hanno conservato il patrimonio intangibile di una comune origine e, soprattutto, di una comune funzione la quale, come già accennato, s’incentrava nell’intento di insegnare agli iniziati, la costruzione dell’uomo, con il preciso compito di saper bene usare quest’Arte, per aiutare i contemporanei, e per trasmetterla, poi, ai posteri. A prescindere dalla direzione verso cui tendevano le varie Società, in cui svolgevano la loro attività, queste scuole iniziatiche erano orientate, come finalità comune e nell’ambito delle capacità culturali più innovative dell’epoca, secondo quella che potrebbe essere chiamata la di¬rezione evolutiva dell’individuo e dell’Umanità,
Leggendo autori come lo Schuré, il D’Olivet, il Saunier, o il Ventura, tanto per citarne alcuni, si comprende immediatamente come, in ogni manifestazione di queste scuole, ci sia una stupefa¬cente coerenza ideale e vi si discerna, puntualmente, la loro co¬mune ed immutabile finalità: l’emancipazione dell’uomo
I protagonisti, reali o leggendari, portatori di questa fiac¬cola ideale attraverso i millenni; fautori del progresso nella famiglia umana, si possono chiamare Mosé, Orfeo, Pitagora, Platone, Numa Pompilio, Gesù, ma ognuno, sia pure in forma diversa, si è manifestato, al mondo profano, creando istituzioni antesignane, rivoluzionarie per il loro tempo, il cui fondamento ideale e le cui finalità scaturivano dalle cognizioni alle quali erano pervenuti, per mezzo dell’iniziazione e la raggiunta consapevo¬lezza, nei riguardi dell’enigma umano.
Nonostante l’indiscutibile e determinante importanza che hanno avuto sempre, nella storia dell’uomo, le condizioni socioeconomiche, si può asserire, obiettivamente, che l’Umanità, nel suo progredire, ha largamente fruito, in vario modo, della spinta di queste scuole, di queste istituzioni novatrici le quali, con idee e con uomini, sono riuscite ad esprimere il ne¬cessario veicolo per mezzo del quale l’Umanità si è sem¬pre più evoluta in scienza e consapevolezza.
Nelle inevitabili vicissitudini storiche, poi, queste organizzazioni proto-massoniche, hanno conosciuto, anche, infausti momenti di decadenza, ma. fra le tante cause possibili e concomitanti, se ne può individuare una, che è sempre stata determinante: l’abbandono della finalità primaria, per il raggiungimento di altri scopi; la rinuncia, cioè, ad essere una forza trainante nella direzione di sviluppo del-l’Umanità, aggiunta alla mancanza di adeguamento formale al progredire della conoscenza, con il risultato, naturalmente indesiderato, di trovarsi irrimediabilmente superate dai tempi.
Quando le istituzioni iniziatiche, non sanno più costruire l’Uomo e prepararlo al suo cammino futuro, è segno che le finalità primitive, sono state fatalmente abbandonate; le idee secondarie, che costi¬tuiscono il rivestimento temporaneo dell’idea fondamentale, in¬vece di essere lasciate e rinnovate, diventano “principi base”. L’insegnamento, allora, offuscato dalla confusione, dall’ignoran¬za preconcetta e dal conformismo livellatore, pur conservando, talvolta, un lessico originario, perde ogni valore iniziatico e quindi la scienza dell’uomo, ridotta a semplice manifesta¬zione fonetica, non produce più la modificazione indispensabile e feconda, che, sola, fornisce agli iniziati la forza e la capacità di svolgere, poi, nella Società, la giusta e necessaria funzione.
Innumerevoli potrebbero essere, da citare, le scuole iniziatiche le quali hanno vissuto queste parabole nella storia dell’Umanità. Ricordiamone soltanto due, più vicine ai nostri tempi.
I “Templari” per esempio, sorti intorno al 1100, terminarono il loro ciclo durante il 1300, quando diventò evidente, e prevalente, il loro tentativo di perse-guire, come finalità istituzionale, la gestione diretta del potere nel mondo profano. I Templari furono dispersi e quasi completamente distrutti da Filippo il Bello, Re di Francia.
Nel 1400 circa, altro esempio, nasce la “Confraternita della Rosa-Croce” con lo scopo di riunire le forze disperse dei vari gruppi iniziatici esistenti ed in pieno declino: Gnostici, Cabalisti, ed Alchimisti. Dopo un periodo di fulgore e di notevole importanza sto¬rica, prevalendo le aspirazioni al potere profano, abbandonate le pure idealità di emancipazione dell’uomo, ecco, anche per la “Confraternita della Rosa-Croce”, so¬praggiungere la inevitabile decadenza ed il disgregamento totale.

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Tralasciamo, per il momento, questo discorso sulle possibili cause che portano alla decadenza nelle scuole iniziatiche, lo potremo riprendere in seguito. Ora, proviamo a fissare la nostra attenzione su quelle che sono state alcune pre-messe importanti, dalle quali è sorta la Massoneria moderna.
Nel 1600, Elia Ashmole, egittologo inglese, favorito, forse, da una situazione storica molto favorevole, getta un seme, che ger¬moglierà nel secolo successivo e con il quale tenterà di riunire i con¬cetti ideali dei “Muratori Costruttori” e dei “Rosa-Croce”.
Marco Saunier così interpreta il progetto iniziatico di Ashmole: “Domandare ai Rosa-Croce i loro lumi, ed ai Muratori il loro numero, per generare un’onda possente, capace di inondare Roma e di purificare il mondo. In tal maniera, il segreto della Rosa-Croce penetrerà in tutti i cuori e farà fiorire la sua Rosa. Al contrario di Gesù, volgarizzatore dei Misteri, essa tornerà a creare questi Misteri ed allora gli Ope¬rai chiederanno di iniziarsi. Al principio della fede cieca, si sostituirà quello della fede risultante dalla cultura intellettua¬le, e s’insegnerà ad ognuno a costruire, in sé, la propria Pi¬ramide. Gesù aveva aperto il suo cuore perché tutti vi venissero ad attingere l’amore; la Rosa-Croce, similmente al suo uccello simbolico, il Pellicano, si aprirà il ventre, ai richiami degli affamati di Scienza, per nutrirli dell’arte di pensare (…) La Frammassoneria doveva dunque, nel pensiero di Elia Eshmole, ricostruire la Piramide delle Intelligenze, gerarchizzate secondo le loro capacità, e ciascuno dei suoi Gradi doveva corrispondere ad un gradino della Conoscenza, ad un ritmo dell’Anima, ad un temperamento di uomo nella società.”
E questo, era un ammirevole e valido tentativo di ritornare ai prin¬cìpi fondamentali, per mezzo dei quali attuare le finalità primitive.
Elia Eshmole, in quest’opera di riformatore, fu preciso e profondo; sia nel suddividere la nuova fraternità in gradi iniziatrici; sia nel concepire la Camera del Supremo Consiglio; sia nel trasformare la leggenda di Hiram, in un Van¬gelo per i nuovi Muratori, “Vangelo che era – dice ancora il Saunier – la sintesi dell’Antico e del Nuovo Testamento, dei miti solari di Osiride e di Mitra e degli insegnamenti di Eleusi, della Gnosi e della Rosa-Croce”.
Elia Ashmole, non vide il compimento della sua opera che, però, non andò dispersa. La fusione definitiva fra Liberi Mu¬ratori e Rosa-Croce avvenne il 24 Giugno 1717, nell’Al¬bergo del Melo, in Charles Street a Londra, dove s’ incontra¬rono i delegati delle due confraternite: per i rosacrociani, il naturalista Desaguliers e per i Liberi Muratori, il ministro pro¬testante Giacomo Anderson.
Queste le origini di quella che, poi, ha preso il nome di Massoneria moderna. La Massoneria moderna, dopo il ruolo importante svolto durante la Rivoluzione Francese e la diffusione del Tri¬nomio emblematico in tutto il mondo, ebbe un periodo di declino dovuto, in parte, alla ricerca istituzionalizzata del po¬tere nel mondo profano, ma, principalmente, per le persecuzioni da parte di Napoleone Bonaparte, il quale, tradendone le spe¬ranze, la osteggiò con ogni mezzo e la disperse, pur avendone tratto notevoli vantaggi ed aiuti, nel periodo della sua ascesa.
Dice il Saunier, a proposito della Massoneria, dopo le dure ed im¬placabili vessazioni napoleoniche: “Fu in questa tempesta, che le chiavi dei Simboli si persero, e quando la Massoneria risuscitò dalle sue rovine, non avendo più la netta visione della Luce passata, ebbe il torto di ammettere, nelle sue file, uomini, dei quali tutto l’ideale era la politica”.
Sempre meno numerosi divennero coloro che erano restati fedeli agli anti¬chi princìpi della Tradizione, ai quali si erano formati e dai quali avevano appreso che “la vera mèta era di costruire un’iniziazione di filosofi, capaci di elevarsi sopra tutti, al fine di proclamare l’immutabile verità del triangolo di Hiram, ovvero l’arte di edificare le Società secondo l’Architettura su¬blime che insegnava la Vita-Una costruendo il suo Tempio dell’Universo (…) La Massoneria non doveva, dunque, occuparsi di politica. Essa doveva restare il rifugio di coloro che volevano pensare con la propria mente, illuminare l’intima Fede con la luce dell’Intelligenza e, Tabernacolo del Passato, costruire il Libro d’oro con il quale accomunare tutti popoli, nello stesso ideale di Eguaglianza di Libertà e di Fraternità. ”
Naturalmente, anche in Italia, l’attività politica fu la finalità primaria della Massoneria, dalla fine del XIX Secolo al¬l’inizio del XX, fino allo smembramento causato dalla persecuzione fascista. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la nostra Istituzione è stata ricostruita, sospinta da grandi speranze; oggi, viviamo in un periodo che, da molti Fratelli, è ritenuto esaltante; un periodo nel quale, si dice: la Massoneria ha rag¬giunto e forse superato i fasti della così detta epoca d’oro, vissuta all’inizio del secolo corrente.
Da parte mia, e riconosco di essere forse troppo esigente e pessimista, ho, invece, la netta impressione che, purtroppo, siano ancora pienamente valide le parole scritte dal Saunier, riguardanti la Massoneria dopo le persecuzioni napoleoniche: forse – e sono dolorosamente consapevole della gravità di ciò che dico – da allora, le chiavi dei Simboli non sono state mai più ritrovate; la netta visione della Luce passata, man¬ca, tuttora, nei nostri Templi.
Forse, non abbiamo colto l’occasione storica della rico¬struzione la quale ci offriva la possibilità di riempire il vuoto di attività del periodo fascista e di introdurre le neces¬sarie ed omesse revisioni che, tempi nuovi e sapere nuovo, imponevano, lasciando, naturalmente, intatto il principio originario, veramente basilare e tradizionale, della costruzione e dell’emancipazione dell’Uomo e dell’Umana Famiglia.
Invece, abbiamo ricostruito su fondamenta già abbastanza inquinate, nel periodo prefascista, dal “vizio” politico. Ora, addirittura, cerchiamo di sostituirlo con un altro genere di “vizio”, con quello dell’affarismo ma, purtroppo, così facendo non si fa che tentare di rimediare ad un male, con un male forse peggiore. Ma non pos¬siamo e non dobbiamo lamentarci di questa situazione, anche se, obiettivamente, non si può definire soddisfa¬cente. Ora, noi abbiamo il dovere, assoluto e indifferibile, di prendere atto e di cer¬care, consapevolmente, tutti insieme, senza isterismi e senza inutili fur¬bizie, sentendoci tutti ugualmente responsabili, una soluzione che possa ridarci la forza di sperare, ancora, in un futuro nel quale ci sia la volontà di realizzare, nell’ambito dell’Istituzione, una scuola dedita esclusivamente alla ricerca ed al potenziamento dei valori eternamente umani, nei Fratelli.
Ma non voglio arrivare, prematuramente, alle conclusioni. Proseguiamo, quindi, nella disamina intrapresa.

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Ritengo che, ora, abbiamo una quantità di elementi suffi¬ciente, per poter analizzare, il più obiettivamente possibile, la situazione odierna della nostra Istituzione in Italia, verificando i punti che ab¬biamo visto essere caratterizzanti, per questo tipo di organiz¬zazione umana.
La prima osservazione che abbiamo fatto al riguardo, ricorda che tutte le istituzioni, sono basate, essenzialmente, su di una serie di valori, nei confronti dei quali gli associati sono concordi, poi è indispensabile avere uno statuto, che è l’idea promotrice e com¬prende, anche, la finalità dell’organizzazione. Vediamo un po’, allora: qual è la serie di valori per i quali siamo concordi?
Si potrebbero scrivere volumi, nel tentativo di indicarli, questi valori, ma si può anche tentare di sintetizzarli in poche parole: “noi crediamo nei valori positivi dell’uomo, la cui mente e, quindi, le sue azioni siano ispirate e guidate dal Trinomio Libertà-Uguaglianza-Fratellanza”.
Forse, può sembrare una definizione un po’ troppo semplicistica, ma è ben difficile aggiungere altro, e penso che, in effetti, sia possibile essere effettivamente d’accordo, tutti, su questi valori, pre¬scindendo dai quali ritengo che non avremmo ragione di es¬sere, come massoni.
Qual è lo statuto che compendia, con sicura ed accettabile chiarezza, l’idea promotrice e le finalità esplicite della nostra Organizzazione?
È mia precisa opinione che non ci possa essere niente di più preciso e di più definitivo di quanto espresso dall’Art. 1 della nostra Costituzione il quale enuncia, senza possibilità di equivoci e senza necessità di commento:
“La Massoneria è universale. Intende all’ elevazione mo¬rale, materiale e spirituale dell’Uomo e della Famiglia Umana. Coloro che vi appartengono si chiamano Liberi Muratori e si raccolgono in Comunità Nazionali”
Fino a qui, dunque, tutti potremmo dichiararci d’accordo, senza alcun dubbio, benché, come vedremo in seguito, può ca¬pitare, che l’accordo verbale possa nascondere, in qualche caso, una divergenza sul contenuto.
L’altro punto, caratterizzante di un’istituzione, è la fun¬zione che, come abbiamo già potuto constatare, ha due aspetti distinti: uno che riguarda la realizzazione o meno delle finalità contenute nello statuto e cioè conseguire il soddisfacimento dei desideri-neces¬sità nei costituiti e l’altro che riguarda l’effetto che l’Istituzione produce nella Società.
Eccoci, dunque, arrivati ai puncta dolentes ed alle domande imbarazzanti: la Massone¬ria, oggi, realizza le finalità che si è data e che si prefigge, come abbiamo accennato, con l’Art. 1 della Costituzione?
In che modo riesce a conseguire il soddisfacimento dei desideri-ne¬cessità dei militanti? Quale effetto produce la Massoneria, nella Società, oggi?
È ben doloroso, a questo punto, dare risposte concrete, giuste, sincere e non di plauso, alle domande che ci siamo poste, quando, invece, sarebbe molto più soddisfacente poter essere nella felice condizione di fare le lodi, ad una Massoneria ideale, cercata da sempre, e vera¬mente maestra di perfezione, nell’ambito della perfettibilità umana.
E non si creda che queste mie accorate osservazioni siano det¬tate, solamente, da un’improvvisa presa di coscienza dell’at¬tuale triste situazione, perché il mio, è, purtroppo, un discorso iniziato, e con¬tinuato, da anni e del quale si può trovare, per esem¬pio, traccia, già in un mio elaborato, di contenuto modesto, ma abbastanza indicativo, che inviai al Convegno di studi in¬detto dalla R. L. “Hiram” di Torino, marzo del 1962, nel quale veniva trattato il te¬ma: “Metodi per lo studio e l’applicazione dell’esoterismo in una Loggia massonica”.
Ma questo, non ha molta importanza, invece è importan¬tissimo constatare, prendere atto e convincersi, che la Massoneria, oggi, in quasi tutte la Logge, non fa lavoro muratorio, non fa assolutamente nulla di concreto e di preordinato, per aiutare i Fratelli a Lavorare su se stessi, con l’intento di contribuire, consapevolmente, all’elevazione morale e spirituale dell’Uomo e della Famiglia Umana., non fa niente di sistema¬tico, nelle varie Camere, per aiutare, in qualche modo, i Fratelli a percorrere la Via iniziatica ed in tal modo assolvere alla sua finalità.
Il profano, che bussa alla Porta del Tempio, è ammesso con troppa facilità, spesso con incosciente leggerezza. In seguito, poi, i suoi passaggi di Grado in Grado, non sono la naturale conseguenza di una evoluzione iniziatica, raggiunta con applicazione, passione e consapevolezza. Questi Gradi, il più delle volte, sono conferiti senza che, nell’Adepto, sia avvenuto il benché minimo cambiamento so-stanziale, nella sua condizione morale, materiale e spirituale preesistente. Gli aumenti di salario sono motivati solo dal tempo che trascorre. oppure, non certo meglio, dall’importanza che il Fratello ha nel mondo profano.
Ci si rimprovera, addirittura, di essere troppo severi nel giudicare e nel non accettare tutti quelli che desiderano l’Iniziazione; ma questo significa non voler vedere la realtà, già esistente, tra le Colonne.
Se questa tendenza al lassismo, mascherato da male intesa tolleranza, dovesse perdurare, verrebbe, molto presto, il mo¬mento in cui non ci sarebbe più alcuna distinzione fra la Massoneria ed una qualunque istituzione profana.
La Libera Muratoria, si ridurrebbe a diventare, forse, anche un’ efficientis-sima agenzia di affari, che darebbe tanta soddisfazione e solidarietà agli iscritti, ma, che in realtà, sarebbe così lontana dall’essere una scuola iniziatica, per cui ci vorrebbe una completa mancanza di pudore, per continuare a portarne solamente il nome.
Ma, non è mia intenzione accusare. Come ho già detto, tutti siamo responsabili, di queste varie forme d’insolvenza della Massoneria odierna e si tratta, anche, di cose notissime a tutta la Comunione. I Fratelli più sensibili, da anni soffrono perché co¬stretti, penosamente, ogni giorno, a sostenere, e ricreare interiormente, per poter sopravvivere massonicamente, quegli ideali che, invece, con pervicace co¬stanza, “Fratelli” di ogni Grado maltrattano, calpestano e de-moliscono, con azioni e parole per niente edificanti.
L’altro punto a cui dobbiamo rispondere è: in che modo ed in quale misura la Massoneria riesce a conseguire il soddisfacimento dei desideri-necessità dei massoni? E si potrebbe aggiungere: come può essere che questa nostra Istituzione, perseguendo, purtroppo, solo in minima parte, le finalità indicate dalla Costituzione, riesce a soddisfare i desideri-necessità della maggior parte dei suoi affiliati?
La risposta è fin troppo lapalissiana: se, tra le Colonne, la mag¬gioranza risulta composta da “iniziati”, che sono e rimangono pro¬fani, essi non provano, e non sono in grado di provare, alcun interesse per ciò che può riguardare una loro eventuale eleva¬zione morale e spirituale. Essi, tutt’al più sono, invece, sensibili ad una concreta elevazione materiale, e la Massoneria, oggi, sta cercando di fare molto in questo senso. Forse, molto di più di quanto sia mai stato fatto nei tempi passati e, si potrebbe aggiungere, che da quanto si accinge a predisporre, sembra che abbia serie intenzioni di organiz¬zarsi, per questo fine, ancor più ed ancora meglio.
Questi profani-iniziati, dunque, conservano intatta la loro personalità, ridondante di limitanti legami psichici, e trovano completo soddisfacimento, ai loro profani desideri-necessità, nell’appartenere, sot¬tomettendosi, ad una potente istituzione che, sostituendo una figura parentale, li fa sentire protetti ed a loro volta potenti; e li fa sentire partecipi, velleitariamente, senza niente operare in concreto, e senza niente dare di se stessi, alla costruzione del bene della Famiglia Umana. E possono coltivare, infine, con innegabile profitto: il proprio basso interesse materiale, usando i Fra¬telli, in modo, a dire poco, spregiudicato.
Questa nostra situazione di oggi, come l’ho ora sintetizzata, un po’ duramente, è giusto che sia proprio così, e non può essere diversamente: a profani, soddisfazioni profane.
Concludendo l’esame, domandiamoci ancora: questa Massoneria, quale effetto produce nella Società? e – mi sia consen¬tito aggiungere – una Massoneria di profani o quasi, quale effetto positivo, nel senso evolutivo della Famiglia Umana, può indurre nel mondo profano?
Purtroppo, la domanda è molto imbarazzante e, senza pregiudizi, si può rispondere con una sola parola: niente. La Massoneria odierna è diventata una gratificazione di fantasia organizzata che la Società italiana, notoriamente non molto tollerante, anzi, prevalentemente confessionale e conformista, sta, purtroppo, cominciando ad accettare, quasi senza riserve.
La Società italiana contemporanea, anche se apparentemente è laica e democratica, si può definire profondamente insa¬na ed abbastanza illiberale, ma attualmente, questa nostra Società, non ha più seri motivi per difendersi, perseguitandola, da questa nostra Massoneria, la cui finalità vera, non è più l’emancipazione dell’Uomo e della Famiglia Umana; da questa Massoneria che, in realtà, tende a sopire, anche nel suo seno, un tempo fecondo, qualsiasi fer¬mento innovatore e di libertà; da questa Massoneria che sembra stia per di¬ventare accettabile anche per la Chiesa Cattolica Apostolica Ro¬mana.
Non c’è bisogno di un grande e approfondito studio, per accorgersi che la Massoneria, oggi purtroppo, sta andando in sonno; che la maggiore tolleranza della Società, nei nostri riguardi, non dipende da un miglioramento evolutivo della So¬cietà stessa, da un benefico progresso verso la promozione di una maggiore indipendenza individuale e collettiva, bensì da un declino, nella nostra Istituzione, delle idealità riguardanti lo sviluppo della dignità umana; declino che è stato ereditato, è vero, che ha ori¬gini lontane, certamente, ma che non si è mai tentato, da quando se ne sono avvertiti i sintomi, di cor¬reggere e di curare.
La Massoneria, oggi, si può quasi definire una soprav¬vivenza culturale.
Nelle Società, infatti, capita spesso di trovare delle so¬pravvivenze. Esse sono, per capirci, quelle idee, credenze, istituzioni, co¬stumi ed oggetti che hanno perduto la loro funzione originaria e sopravvivono, solo, perché hanno cambiato finalità di utilizzazione.
Un esempio di sopravvivenza è quello, abbastanza classico, della carrozzella. Con lo sviluppo tecnolo¬gico, infatti, la funzione assolta dalla carrozza a cavalli è stata assunta dall’automobile, che è un mezzo di locomozione più rapido, più economico e più elastico. La carrozza a cavalli, però, è ancora usata, ma in situazioni particolari e cioè, per soddisfare, qualche volta, un sentimentale ritorno al passato, oppure soddisfare finalità puramente romantiche. Per continuare ad essere usata, la carrozzella, ha dovuto acquisire un nuovo significato ed una nuova funzione: è diventata, in tal modo, una sopravvivenza in una cultura nella quale, i problemi ine¬renti al trasporto sono risolti, in prevalenza, con altri mezzi.
Sta di fatto, tornando al nostro problema, che, in questo caso, è stata la Libera Muratoria italiana a scegliere di dedicarsi ad altre attività, diverse dalla sua funzione principale, perseguendo un illusorio sogno di potenza profana. È stata l’Istituzione che ha scelto, forse senza rendersene conto, di trasformarsi in una sopravvi¬venza, anzi, per essere precisi, siamo stati proprio noi Fratelli, per inerzia, a lasciare che questo deplorevole ed insensato cambiamento avvenisse: ce ne dobbiamo sentire tutti, nessuno escluso, profondamente colpevoli.
È innegabile, però, che il posto spettante alla Massoneria, particolarmente nell’ambito di questa nostra Società malata, è rimasto vacante e la sua funzione precisamente formativa, nel senso del progresso ed ispirata dal Trinomio Libertà, Uguaglianza, Fratellanza, non può essere occupato né da partiti, né da associazioni culturali, né da chiese.
La Massoneria è ancora la sola che possa, con il suo tradizionale processo iniziatico, assolvere l’esaltante compito di essere la ma¬trice feconda nelle cui Rispettabili Logge far nascere quegli uomini liberi, che saranno i mattoni indispensabili, per anticipare e preparare la costruzione della Società futura.

La Massoneria ha assolto la sua missione genuina, nella storia dell’uomo, tutte le volte che si è posta dalla parte dell’Umanità, cioè tutte le volte che ha preparato i suoi iniziati a lottare, in posizioni precorritrici i tempi, e quando ha sopperito, con uomini e con idee, alle ca¬renze strutturali e culturali della Società in cui operava.
Abbiamo visto che le nostre Società occidentali, in generale, tendono a fabbricare ed a gratificare uomini dipendenti, sudditi che devono, in ogni caso, funzionare senza generare inconvenienti o turbative alla stabilità sociale.
Oggi, però, questa Società dei consumi, alienante e conformista, è veramente nei guai: ha spinto il suo gioco oltre i limiti di una manovrabilità controllata e la situazione gli sta sfuggendo o, forse, gli è già sfuggita di mano. Continua, incessantemente, a creare consumatori, senza essere in condizione di appagare, poi, tutti i loro desideri; continua, con ogni mezzo, a fornire modelli di vita alienanti, ed anche per questo, gli individui, sempre più insoddisfatti, vanno perdendo la capacità e la volontà di lavorare e di produrre.
L’uomo, di questa Società che, di certo, non è dalla parte dell’Umanità e dei suoi valori, sta perdendo, la qualità più umana, quella del convivere. Sospinto dalla crescente insoddisfazione, che in gran parte si trasforma in violenza, manifesta la sua impotenza ed il suo odio, distruggendo tutto ciò che può, minacciando, talvolta, lo stesso si¬stema che lo ha creato.
Nel mondo profano, la lotta per la sopravvivenza è dura, spietata, non ci sono più regole, non ci sono più princìpi che siano rispettati, l’uomo della strada – solo per dire la gran maggioranza – tenta di fuggire dalla realtà, e dalle responsabilità esistenziali, cercando sicu¬rezza in qualsiasi tipo di dipendenza o di sottomissione, anche umiliante, oppure cercando, con la sopraffazione e la prepotenza fisica e morale, un illusorio potere sugli altri.
In questa situazione, di scontento diffuso, è naturale sentire la necessità di sperare in un mondo nuovo, terreno, nel quale si tenga conto degli errori commessi contro l’Umanità, nel passato e nel presente, per la costituzione di una Società migliore.
Ricordo quando, più di un quarto di secolo fa, bussai alla Porta del Tempio, con il mio forse ingenuo entusiasmo, che però ho gelosamente conservato. Ero convinto di trovare in Massoneria, uomini che già riuscivano a vivere in un modo diverso; ero certo che la Libera Muratoria, da tempo, avesse già sperimentato, nel suo seno, le soluzioni valide per generare uomini più responsabili e consapevoli, maturi per vivere una più serena convivenza tra le genti. Che la Massoneria avesse già sviluppato scelte valide, almeno, per incominciare a programmare e preparare la nascita del così detto mondo nuovo, dalle rovine di quello che stava crollando. E sono ben persuaso di non essere stato il solo a pensare una cosa del genere. Quanti sono i Fratelli che hanno chiesto la Luce, come me, e stavano cercando proprio quel tipo di Luce?
Anche se queste mie speranze sono state, in parte, de¬luse, e se la Comunione italiana, oggi, non è proprio come l’avevo auspicata, però, una cosa è certa: l’azione maieutica della Massone¬ria, è sempre stata presente e chiaramente visibile nei momenti in cui l’Umanità è nata a nuova vita, e non è pensabile, quindi, che mancherà, che non sarà presente, anche questa volta, oggi, ora che già il travaglio del parto sembra essere iniziato.
Certamente, se è fatale che ci dobbiamo essere anche noi, come Istituzione, a propiziare questo parto, si può ritenere e sperare che siamo ancora in tempo, per tentare di riprendere ad esercitare, con valida coe¬renza, la funzione liberante e formativa, attuata dalle antiche scuole iniziatiche.
Oggi, naturalmente, si potrà usufruire, anche, di tutte quelle cogni¬zioni che forniscono una più approfon¬dita conoscenza dei problemi esistenziali del sistema uomo e che possono, quindi, permettere di usare più consapevolmente gli Utensili indicati dall’Arte.
Può essere, però, che nella realtà delle cose, il travaglio storico di trasformazione della Società, sia ancora così sufficientemente lungo da consentire, nel futuro, ai nostri Fratelli venturi di attuare ciò che noi, oggi, riusciamo appena a sentire ed immaginare…
Questo mio scritto, allora volendo, può anche essere considerato, immodestamente, come un preambolo, necessario, verso la chia¬rezza, come un atto di puntualizzazione, per indicare una strada nuova perché antichissima, ai Fratelli che verranno dopo di noi.

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Proviamo, ora, insieme, a tracciarla l’ipotesi di una Massoneria ideale, come dovrebbe o come potrebbe essere, nella realtà italiana, che risponda alle nostre speranze di sempre, e che precisi, senza ambigue contraddi¬zioni, fra azione e pensiero, cosa dobbiamo a noi stessi ed all’Umanità.
Per impostare, il più coerentemente possibile questa ricerca, possiamo seguire, ancora, lo stesso schema che abbiamo usato per l’analisi della situazione attuale, soffermandoci sui punti carat¬terizzanti le istituzioni, secondo la teoria del “funzionalismo” di Malinowski.
Il primo punto, che sarà opportuno citare nuovamente, di¬ceva come le istituzioni, in generale, siano basate, primariamente, su di una se¬rie di valori per i quali i componenti l’associazione sono concordi; poi, è in¬dispensabile avere uno statuto, che è l’idea promotrice e comprende, anche, la finalità dichiarata dell’organizzazione.
Sui valori in comune e sullo statuto, si è già affermato che possiamo essere d’accordo, quindi sarà sufficiente, solamente, approfondire, un poco, l’argomento per evitare, poi, ogni possibile e sempre dannoso malinteso. Si era proposta una semplice frase:
“Noi crediamo nei valori positivi dell’uomo la cui mente, e quindi le sue azioni, siano ispirate al Trinomio: Libertà – Uguaglianza – Fratellanza”.
I valori positivi dell’uomo, per intenderci, sono quelli che si riscontrano nell’individuo libero da e che può, quindi, essere libero di. Questi valori, si sviluppano nell’individuo, liberato dai legami psichici che lo rendevano sottomesso od autoritario, narcisista e violento. Sono presenti, sempre, nell’uomo diventato libero di esprimersi e di agire con naturale spontaneità e con un carattere creativo, responsabile ed emancipato.
Noi tutti, sono certo, crediamo in questi valori positivi dell’uomo, ma, oltre a crederci, è indispensabile, pure, essere con¬vinti che non sono solamente delle astrazioni. Bisogna avere la ferma convinzione che si tratta di concetti fondamentali sui quali è possibile impostare un concreto ed equilibrato modo di vivere. Questa convinzione è la premessa, essenziale, per proseguire il discorso insieme, e comprenderci senza fraintendimenti.
Tutta la validità formativa della nostra Istituzione, è fondata proprio sui due punti qui di seguito indicati: il primo, è basato sulla certezza che i valori positivi dell’uomo possano essere, come si è detto, una realtà esistenziale; il secondo, dal quale derivano le capacità maieutiche della Massoneria, è che ogni uomo, per mezzo della conoscenza e della consapevolezza, può assimilare, questi valori, e farne un valido riferimento, per una guida sicura e certa, nei giudizi, nelle scelte, nelle azione e nella realtà della propria esistenza.
Il conseguimento di questi miglioramenti individuali è, né più né meno, la precisa ed essenziale risposta alla domanda: “Cosa dobbiamo a noi stessi”.

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Altro elemento istituzionale, sul quale niente vi è da ob¬biettare, è lo statuto che, si è già detto ampiamente, compendia l’idea promotrice e la precisa finalità dell’Organizzazione.
L’Art. 1 della nostra Costituzione è inequivocabile. Ma, è bene, però, essere chiari e sinceri. Infatti, dopo che lo statuto ha lapida¬riamente annunciato: “La Massoneria è universale ed intende all’elevazione morale, materiale e spirituale del-l’Uomo e della Famiglia Umana ”, diventa un pò difficile prendere in considerazione ed accettare i principi basici, nel 1972, e riaccendere le inutili, superate e dispersive questioni dell’esistenza di Dio e della vo¬lontà rivelata, solo per compiacere chi non ha avuto una storia come la nostra.
Noi massoni italiani, siamo nati da eventi dolorosi, epici ed esaltanti; abbiamo maturato esperienze uniche al mondo; il pensiero che ne è scaturito, di sentita e genuina libertà antidogmatica, non può che essere esemplare per quanti aspirano, veramente e senza esitazioni, ad una matura emancipazione per l’Uomo e per la Famiglia Umana.
Ma, anche a voler disquisire pacatamente della questione, si può dire, che ormai, è stato accettato, anche da molti religiosi, che non è fondamentale conoscere se un uomo crede in Dio, quanto, invece, sapere come vive. Non ha importanza che creda nel verbo, ma ha valore che viva nel verbo, cioè secondo la verità che professa; purché, diciamo noi massoni, questa sia dalla parte dell’Uomo. Allora, se così è, i sistemi di simboli che vengono usati, dal singolo individuo, sono del tutto trascurabili.
Dio, stante le condizioni psichiche dell’uomo, oggi, non può essere che l’espressione, anzi, il sintomo di un inconscio e manife¬sto stato di debolezza della personalità; per meglio dire, non può essere che uno dei tanti, possibili sintomi dai quali si desume che l’uomo ha bisogno di creare realtà soprannaturali, che ha bisogno di sot¬tomettersi idolatricamente, perché non riesce, da solo, a risolvere e sopportare i propri problemi esistenziali.
Poiché nessuno è perfetto, ognuno di noi si è creato un puntello, una stampella, un bastone al quale potersi appoggiare per procedere e, lungi da me il dileggio od il pensare di to¬gliere, brutalmente, questi sostegni esistenziali, a chi non sia, pri¬ma, adeguatamente preparato e desideroso di camminare, con una quantità minore di impedimenti e, forse, con maggior fatica.
Sarebbe veramente disumano togliere le stampelle e far precipitare a terra chi non può farne a meno per camminare, ma è ugual¬mente disumano imporre l’uso di sostegni inutili all’individuo che senta il desiderio-necessità di liberarsene, per poter correre senza impedimenti.
Chi si prefigge lo scopo di liberare l’uomo, deve inse¬gnargli che si può camminare eretti e senza appoggi esterni, e deve aiutarlo a comprendere cosa sono questi sostegni e per¬ché sono usati.
A mio avviso poi, il vero problema di Dio, non è un problema di oggi: sarà, forse, un problema di domani.
Come lo schiavo, pensando alla libertà arriva a concepire solamente la libertà dalla coercizione fisica e morale, cui è sot¬toposto, che è molto diversa dalla libertà, in senso politico, come è intesa oggi da tanti uomini democratici, ma che è ancora diversa dalla libertà di nella quale vive l’uomo liberato interiormente, così oggi, l’uomo è tanto poco evoluto psichicamente che può sentire Dio, consciamente od inconsciamente, solo come ne¬cessità, mentre, sono persuaso che domani, sviluppando le proprie potenzialità umane, raggiunto un notevole grado di emancipazione, finalmente liberato e libero da narcisismi, da legami simbiotici o da quant’altro ne impedisce lo sviluppo e la maturità, possa arrivare a sentire e conoscere Dio, forse, in un modo, oggi, del tutto impensabile ed inconoscibile.
Elevare l’uomo, oggi, può significare una sola cosa: libe¬rarlo da pregiudizi e da illusioni, com’è detto esplicitamente, al profano, durante la sua Iniziazione. Indubbiamente, nel 1717, era indispensabile impostare un discorso che, pur suscitando un’aspirazione alla libertà, fatto notevolmente rivoluzionario per quei tempi, proponeva l’inderogabilità di certi valori che non era pensabile di mettere, istituzionalmente, in discussione. È bene ricordare, a questo proposito, che il mondo occidentale era da poco uscito dalle guerre di religione, dalle persecuzioni, i processi ed i ro¬ghi delle streghe.
Nel 1929 però, i tempi erano indubbiamente un pò più evoluti ed il principio dell’esistenza di Dio e della volontà rivelata, erano ancor più chiaramente secondari, rispetto alle concezioni del 1700, e non aveva, quindi, alcuna giustificazione la loro riconferma come princìpi basilari cui dare un valore universale.
Elia Ashmole, nel suo tentativo di fare una sintesi del¬l’Antico e del Nuovo Testamento, dei miti solari di Osiride, di Mitra e degli insegnamenti di Eleusi, della Gnosi e della Rosa Croce, aveva un concetto di religiosità, forse, molto più elevato ed evoluto rispetto ai tempi in cui viveva, di chi, in seguito, ha ripreso, adattandolo, il suo lavoro.
Come la fede religiosa, serenamente accettata e coerente¬mente vissuta, costituisce, certo, un superamento rispetto alla super¬stizione, così oggi, la fede nell’Umanità-Uomo, costituisce, forse, una fase di passaggio, verso una forma di emancipazione più evo¬luta, e quindi più universale, attraverso il necessario supe-ramento di quelle fedi religiose che costringono a porre il centro della vita e la soluzione dei problemi esistenziali, al di fuori dell’uomo.
Come già in precedenza indicata, e torno a ripeterlo, nelle scuole iniziatiche antiche è facilmente individuabile, l’idea base che le informava. Quest’ idea era certamente l’emancipazione dell’uomo. Tutti gli altri concetti, indispensabili per rendere accettabile il discorso iniziatico, in un dato momento evolutivo dell’umanità, erano e sono secondari; erano e sono come indumenti che, per seguire il progresso della conoscenza, è stato necessario mutare più volte, rimanendo, invece, saldissima ed immutabile l’idea fondamentale riguardante la liberazione psichica del¬l’uomo, verso la mèta futura di un uomo libero e completamente umano.
Quando però, nel 1972, si fa cenno ad una credenza nel G.A.D.U. e nella sua volontà rivelata e poi si dice: “ab¬biamo il preciso dovere di tutelare il rispetto di questi princìpi basici e di impedire che essi possano essere messi in forse”, ho l’impressione che si prenda, sia pure in buona fede, per basilare ciò che è secondario e si confonda il meraviglioso simbolo: G.A.D.U. con un concetto: il Dio personale, che è, sinceramente, una parte di fronte al Tutto.
Per chi è cresciuto massone, secondo i Rituali, quindi sensi¬bile verso ciò che è dogma o è dogmatico, non c’è il minimo dubbio, che si tratti di idee oggi improponibili nell’ambito universale e che non siano altro che banali motivi i quali provocano, solamente, di¬spute improduttive, delle quali, da tempo, si è compresa la profonda ed inutile pericolosità deviante, persino nel mondo pro¬fano ed in quello religioso.
Per dare un’idea di come sia cambiato il problema dell’ esistenza di Dio e di come le stesse gratificazioni di fantasia orga¬nizzate, anche se hanno quattro secoli di vita, affrontino i tempi e cerchino di adeguarvisi, riporterò, senza commento, al¬cuni brani di un’intervista che il gesuita p. Pedro Arrupe, Generale della Compagnia di Gesù, ha concesso ai giornalisti, in riferimento alla “Congregazione Generale dell’Ordine” che tenterà, in due mesi di lavoro, a partire dal 2 dicembre 1974, di varare una nuova presenza dei gesuiti nel mondo, partendo dall’esame di oltre mille postulati della base, emessi in una consulta¬zione democratica, fra tutti gli appartenenti alla Compagnia di Gesù.
“Si tratta – ha detto Arrupe – di ricercare, di determi¬nare con precisione e fissare in concreto, qual genere di ser¬vizio debba offrire, presentemente, la Compagnia di Gesù, all’irruente trasformazione del mondo”.
“Importante, per noi, è di vedere la mentalità dei cristiani che cambia e come anche noi dobbiamo cambiare, per fare un lavoro più vero, più efficace nel mondo, nell’attuale situazione drammatica in cui esso si trova”, “ai gesuiti resta il compito di essere gli avamposti della rinnovazione profonda che la Chiesa, specie dopo il Con¬cilio Vaticano II, sta affrontando in questo mondo secola¬rizzato”.
In riferimento poi al punto centrale della riunione: l’ateismo; persino Arrupe, ha cercato, per quanto gli è consen¬tito, da vincoli ben più rigidi dei nostri, di ammorbidire la tra¬dizionale rigidità dogmatica, precisando che: “La lotta all’ateismo è contro l’ideologia, non contro le persone. L’ateo, per noi, è un uomo, un’anima, da trattare senza imporre nulla, da uomo a uomo”.
L’intolleranza religiosa, e questo è ormai accettato da tutti, nasce da scarsa fede e scarso amore, ed è manifestazione di un’idolatria che, nel caso dell’esistenza di Dio, si manifesta nell’imposizione di un’immagine divina che è fatta, né di legno, né di pietra, bensì di parole.
Ma poi, la Massoneria, che imposta tutta la sua dottrina sulla libertà e l’universalità, come può, così tranquillamente, tradire il suo orientamento fondamentale. Perché, forse, non può essere accettato nella Libera Muratoria, per esempio, un uomo che creda, sinceramente, nel Tao? In realtà, il nostro G.A.D.U. è il simbolo dell’idealità che ognuno di noi Fratelli, singolarmente, è capace di concepire, con la sua mente. Questo simbolo di elevato sentire, che ogni Fratello poi, è libero di chiamare come vuole, anche Dio, può essere usato come valido riferimento, nella sua vita quotidiana, senza, per questo, portarlo fra le Colonne del Tempio ed imporlo agli altri Fratelli.
Questa è l’applicazione rispettosa della tolleranza muratoria.
Nella storia umana, poi, e questo è un fatto di notevole importanza da ponderare, s’incontrano molti uo¬mini illustri, alcuni dei quali anche Fratelli massoni, che si sono professati atei e la cui vita e le cui opere rivelano una viva fede ideale ed una profonda ispirazione, la quale non può che essere scaturita da un reale, intenso, senso di re¬ligiosità.
Se il bene della Massoneria e dell’Uma¬nità ci stanno veramente a cuore, se abbiamo un’idea abbastanza precisa di cosa sia la libertà, cerchiamo di non imporre niente sulla credenza del GADU (inteso come Dio) e della sua volontà rivelata e smascheriamo, invece, le varie forme di idolatria contemporanea. Guardiamo, alla so¬stanza non all’involucro, all’esperienza vissuta e non alle pa¬role. Guardiamo, con molta comprensione, all’uomo e non agli anatemi delle chiese. Questa battaglia contro l’idolatria, forse, potrebbe unirci più di qualsiasi definizione teologica sulla Divinità; potremmo, avere, così, una fede comune ed universale, per la quale operare, con un po’ più d’umiltà e d’amore fraterno, sicuri di aiutare l’Uomo e l’Umanità a crescere.
A questo punto, si potrebbe anche provare a proporre alcune affermazioni sui Liberi Muratori che, rispecchiando il pensiero dei Fratelli più ispirati. nostri precursori, riassuma, ciò che è stato affermato fino ad ora.
“Noi siamo massoni, liberi mura¬tori, nel senso iniziatico della parola, e liberi pensatori, in¬tendendo, l’irrinunciabile esercizio del libero pensiero, come un processo di rigorosa educazione, verso un affinamento delle fa¬coltà introspettive, quindi, come un modo ed uno strumento per arrivare ad un migliore equilibrio esistenziale. Equilibrio con il quale ciascuno vive la propria vita, liberato dalle illusioni, dai preconcetti dogmatici e da quei legami interiori che limitano il completo sviluppo delle risorse umane”.
“Noi, come massoni, ben sappiamo che la vita, senza una finalità ideale non ha compiutezza. Varie possono essere le finalità esistenziali adottabili, ma per essere, queste, un valido ed accettabile ideale umano e massonico, devono rispondere ad un requisito fondamentale: mirare alla libe¬razione mentale e morale dell’Uomo e dell’Umana Famiglia.”
“Quindi, ferma restando questa precisa affermazione ora indicata, mentre il proble¬ma del G.A.D.U. e la sua identificazione o meno con Dio, è e resta un’esigenza puramente personale, invece, è assolutamente indispensabile che il massone viva con amore, pensi secondo ragione, agisca secondo giustizia. Poca importanza hanno, come si è detto, i sistemi di simboli che adopera per definire il G.A.D.U., indispensabile, però, è che senta, quasi fisicamente, una ferma e profonda avversione, per ogni forma di idolatria e di superstizione, cioè, per ogni forma di sottomessa adorazione, ad uomini, parole o cose, in qualsiasi campo: religioso, politico o culturale”.

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Riprendiamo il discorso sullo statuto. Dunque, dopo aver convenuto che l’idea promotrice è l’elevazione morale, mate¬riale e spirituale dell’Uomo e della Famiglia Umana, la fina¬lità dell’istituzione è presto dettata. Aiutare gli uomini, che chiedono la Luce, a formarsi un preciso carattere massonico, a diventare consapevoli, in altre parole, a nascere completamente uomini, ad essere iniziati all’emancipazione, ad es¬sere, cioè, liberati da per diventare liberi di.
Eraclito diceva: “il carattere è il destino dell’uomo”. Infatti, è proprio la struttura del carattere che decide il tipo di idea con la quale l’uomo sceglierà di orientare le proprie azioni, e che determina la saldezza con cui le sosterrà e le porterà a compimento.
Nella realizzazione del suo impegno iniziatico, la Massoneria non può fare a meno di tenere ben presente la verità espressa da Eraclito, per forgiare, come è possibile, il carattere degli adepti, e cioè, per esten¬dere e migliorare in ognuno, lo schema di riferimento e finalità ideale.
In questo processo iniziatico, i proseliti devono po¬ter prendere coscienza della vita ed arrivare all’approfon¬dita comprensione della condizione umana, per imparare a distinguere e conoscere i vincoli psichici interni ed esterni, che limitano la personalità individuale, e dai quali è molto importante liberarsi.
Vediamo, però, se possibile, di chiarire e precisare, in qual¬che modo, il tipo di carattere che la Massoneria dovrebbe far germogliare, come segno distintivo, nell’animo di tutti gli appartenenti alla Famiglia. Cerchiamo, quindi, di definire il carattere massonico ideale, in modo che possa, poi, servire da paradigma e che sia, anche, il più possibile, inequivo¬cabile e concreto.
Ho trovato, tra gli scritti di un autore, che stimo ed ammiro moltissimo, la definizione di carattere rivoluzionario che, forse, risponde al nostro caso. Non spaventi la parola rivoluzionario. Ricordiamo che tanti degni ed onorabili nostri Fratelli lo sono stati, combattendo e morendo per portare avanti, fra gli oppressi e nel mondo, la stessa fiaccola della Libertà che, ora, è stata affidata, con fi¬ducia e con speranza, nelle nostre mani. Se la Massoneria deve, come sua finalità, creare degli uomini li¬beri i quali, con la loro responsabile maturità, possano aiutare tutti quelli che propiziano, maieuticamente, l’evoluzione della Società, ebbene, ritengo che si possa tranquillamente identificare il carattere massonico con il carattere ri-voluzionario, nel significato preciso e particolare che viene indicato da Erich Fromm.
Anzi, nel riportare il suo pensiero, effettuerò già la sostituzione delle due parole e vi accorgerete che il risultato sarà, per niente scandaloso, ma in compenso, sicuramente illuminante.

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“Chi ha il carattere massonico non è ribelle”.
“Infatti, ribelle si può definire colui che avversa l’autorità perché non si ritiene da questa apprezzato, amato, accettato, e, fondamentalmente, mira a rendersi autorità al posto di quella che intende abbattere. Il classico tipo di ribelle è colui che si serve della ribellione per diventare autorità”.
“Chi ha carattere massonico non è un fanatico”.
“Il fanatico è un narcisista; un individuo il quale, in senso as¬soluto, non ha rapporto con il mondo esterno, ma ha tro¬vato una soluzione per la sua esistenza: ha scelto una causa, non importa quale, politica, religiosa od altro e l’ha diviniz¬zata. Da un’assoluta sottomissione al suo idolo, trae un senso, un significato di vita. Nel suo assoggettamento, infatti, s’identi¬fica con l’idolo che ha ingigantito e trasformato in Assoluto. Non ha un rapporto concreto con il mondo; è fuori della realtà, è posseduto da un’ardente ed insana passione, che può anche indurre in inganno chi giudica superficialmente, ma che, invece, gli deriva esclusivamente dalla sua esaltante ed irra¬zionale partecipazione, e dal suo annullamento, nell’Assoluto che si è creato”.
“Il tratto fondamentale dell’uomo con carattere massonico si manifesta nel fatto che egli è indipendente; in altre parole, li¬bero da ogni attaccamento simbiotico: non accetta di farsi dominare dai potenti, e non desidera dominare gli inermi ”.
“In realtà, il problema dell’indipendenza è l’aspetto più profondo che riguardi lo sviluppo umano. La libertà e l’indipendenza, si possono dire raggiunte solo quando l’individuo pensa, sente, decide da solo, e questo può farlo solo se arriva ad una situazione di rapporto produttivo con il mondo esterno. La libertà e l’indipendenza, si raggiungono solamente con l’autonoma e la consapevole realizzazione della propria indivi¬dualità e non con l’ottenimento della libertà dall’esterno ”.
“L’uomo perfettamente consapevole e produttivo, è un uo¬mo libero perché può vivere autenticamente; perché il suo io è la fonte della sua vita e lo sviluppo della sua personalità. Egli si realizza e si completa nel processo dell’essere in rapporto, dell’essere inte¬ressato agli altri ed al mondo”.
“L’uomo con carattere massonico è quello che s’ iden¬tifica con l’Umanità e riesce a trascendere gli angusti limiti della propria Società. Per questo, non ha remore a criticarla dal punto di vista della ragione, dell’obiettività e del¬l’umanità. Non è prigioniero del culto campanilistico della cul¬tura, nella quale gli è capitato di nascere. È capace di guar¬dare l’ambiente, che gli è vicino e nel quale vive, con occhi aperti di uomo consapevole, il quale attinge i propri criteri di giudizio, come si è già detto, dalla ragionevolezza e dell’ obiettività”.
“L’uomo che ha un carattere massonico pensa e sente, con vigile stato d’animo, per riuscire ad avere una chiara visione del mon¬do e per riconoscere le illusioni ed i pregiudizi, quando si tenta di farglieli accettare come un surrogato della realtà. Mentre il carattere non massonico sarà particolarmente portato a credere ciò che è proclamato dalla maggioranza, il massone sarà, attentamente, critico quando dovrà esaminare il giudizio espresso dagli altri, il giudizio del mercato e quello dei detentori del potere”.
“L’uomo con carattere massonico si trova sempre in un rapporto particolare con il potere: per lui, il potere non ha mai un carattere sacro, chi è moralmente impressionato dal potere come tale, non sarà mai libero. L’uomo con carattere massonico è capace di dire: no. È capace di disobbedienza. Per il massone, in determinate con¬dizioni, la disobbedienza ha valore di virtù. In fin dei conti, ogni atto di disobbedienza, se non è motivato da un vuoto spirito di ribellione, è obbedienza ad un altro principio.
Si può disobbedire all’idolo per obbedire a princìpi e valori dettati dalla coscienza umana liberata. Si può disobbedire alla Società per obbedire alle leggi dell’Umanità”.
“L’individuo con carattere massonico è l’uomo che si è emancipato dai vincoli del sangue e della terra; dalla madre e dal padre; dalle particolari e sottomesse devozioni verso la Società, la classe, il partito o la religione.”
“L’uomo con carattere massonico è umanista, nel senso che sperimenta in sé, tutta l’umanità. Niente di quanto è umano gli è estraneo. È uno scettico ed un uomo di fede. È scettico perché aspira ad avere una chiara e non illusoria o preconcetta visione della realtà. È un uomo di fede perché crede, anche, a ciò che esiste solo potenzialmente; crede cioè in ciò che non è ancora nato, ma che è certo nascerà: lo sviluppo completo dell’essere umano. Può dire no e disobbedire, proprio perché è capace di dire sì e di obbedire, con libera scelta, ai princìpi che sono genuinamente dalla parte dell’uomo”.
“In effetti, si potrebbe identificare l’uomo che ha un carattere massonico, con il mentalmente sano. In rapporto alla So¬cietà in cui vive, l’uomo con carat¬tere massonico è la persona sana che si trova in un mondo insano; l’essere pienamente sviluppato, in un mondo di deformi; la persona perfettamente sveglia in un mondo mezzo addor¬mentato. Una volta che tutti saranno svegli, e bisogna avere fede che verrà un tempo in cui 1’Uomo sarà sveglio, non avremo più necessità, né di profeti, né di martiri; allora esisteranno solamente esseri umani perfettamente sviluppati ” che, aggiungo io, con ferma speranza, potrebbero anche essere tutti Fratelli Massoni Liberi Muratori.
“Se non viviamo più nelle caverne, è perché, nella storia dell’uomo, ci sono sempre state personalità con carattere massonico che ci hanno fatto uscire dalle caverne e da¬gli equivalenti delle caverne”.
Non so se questo grande studioso dell’uomo, che ri¬sponde al nome di Erich Fromm, è un Fratello massone, se sì, e lo sembrerebbe dagli accenti con cui si esprime, è chiaro che ha trasferito, in quello che lui ha proposto al mondo profano come carattere rivoluzionario, tutte le migliori prerogative che un uomo può avere e che dovrebbero costituire il mo¬dello verso cui è auspicabile che l’Umanità, con la sua lunga e tormentata evoluzione, debba arrivare.
Se Fromm non è massone, risulta chiaro da quanto scrive, che la sua profonda conoscenza dell’animo umano, gli ha fatto notare che ci sono degli uomini speciali, nella storia dell’Umanità, che fanno cose speciali, guidati, sempre, verso una mèta precisa, da una forza che sembra sovrumana solo perché è la forza completamente liberata del l’uomo libero. Questi uomini, sono alla testa dell’Umana Fami¬glia che progredisce, e stanno trascinando gli altri fuori delle loro caverne.
Fra questi uomini speciali, a ben guardare, sono certamente numerosi quelli il cui spirito, è stato acceso dalla scintilla captata sulla Porta del Tempio, o tra le Colonne.
Ecco l’indicazione, che dobbiamo raccogliere per tradurla in Lavoro muratorio produttivo e creativo, se vogliamo tentare di essere gli uomini speciali della futura storia dell’Umanità.
Con questa, non breve ma robusta puntualizzazione, abbiamo certo dissipato, qualche incertezza su ciò che si dovrebbe intendere per carattere massonico; ora disponiamo di una descrizione più dettagliata cui poter fare riferimento e quando leggeremo certe espressioni nei Rituali, forse, le sapremo valutare meglio e ci potremo,anche, comprendere meglio tra noi.

* * *

Passiamo, ora, ad esaminare l’altro punto che caratterizza un’ istituzione e cioè la sua funzione. Come si è già evidenziato più volte, la funzione ha due distinte espressioni: una, riguarda il soddisfacimento dei desideri-necessità degli associati, con la realizzazione delle finalità con¬tenute nello statuto e l’altra, riguarda l’effetto che l’Isti¬tuzione produce nella Società.
Se, come abbiamo più volte confermato, la Massoneria ha come finalità primaria quella di iniziare a nuova vita, chi sente il desiderio-esigenza di conoscere e cambiare se stesso, è incoerente che la funzione debba essere diversa dalla finalità dichiarata.
La Massoneria può e deve soddisfare le genuine attese dei suoi adepti, deve, cioè, provo¬care, in ogni appartenente, il raggiungimento di una maggiore maturità psichica; deve riuscire a trasformarli da profani in uomini veri con carattere massonico.
¬L’Istituzione, se non riesce ad operare questo cambiamento negli affiliati, manca alla sua funzione fondamentale, e non attua, di conseguenza, nemmeno il dettato dello statuto.
L’Istituzione ha l’obbligo di attuare l’azione maieutica, indispensabile, per realizzare pienamente il desi¬derio-necessità dei suoi componenti e ci si deve, anche, convincere che questa è la mèta più alta cui può aspirare, proprio per¬ché il tipo di soddisfacimento connesso alla liberazione delle potenzialità umane, è l’appagamento completo delle più pro¬fonde esigenze esistenziali dell’uomo.

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La creazione di uomini liberati e liberi, come già detto, è una delle due espressioni della funzione che svolge l’Istituzione ed è, come si è visto, l’attuazione della finalità indicata dalla Co¬stituzione.
Tutto questo, è, pure, la premessa indispensabile per attuare l’altro termine della funzione, termine che si può con¬siderare come finalità secondaria, solo perché conseguen¬te, e si concretizza nell’influenza che i Massoni, e non l’Istituzione, eserci-tano, soli oppure insieme ad altri cittadini, sulla Società, per aiutarla a diventare sana, cioè una Società com¬posta di individui emancipati, responsabili e produttivi.
Da quanto premesso, quindi, discende che se si vuole ripor¬tare la Massoneria a perseguire la sua finalità vera, senza agget¬tivi, inevitabilmente è necessario che si abbandoni l’illusoria convinzione, vigente oggi, di ottenere potenza con il numero degli iscritti.
Ciò cui bisognerebbe aspirare, per non continuare ad essere una sopravvivenza culturale, è il raggiungimento e la ricerca della qualità, invece della quantità. Anche perché, mirare alla quantità, significa non compiere un’ade¬guata e necessaria selezione.
È indispensabile, quindi, incominciare ad attuare un efficace la¬voro muratorio, graduale e prestabilito, che permetta di ar¬ricchire spiritualmente le Colonne esistenti. In aggiunta, è necessario predisporre qualche cosa di nuovo per dare inizio ad un diverso tipo di proselitismo, basandolo su criteri di scelta ben precisi e rigorosi, per abbassare, il più possibile, la percentuale d’errore nelle valutazioni. Per evitare, ad esem¬pio, l’accettazione di profani che mostrano, palesemente, di avere così tanti e radi¬cati legami psichici, da fare, facilmente, prevedere inutile ogni tentativo tendente a conseguire un qualsiasi pur necessario, miglioramento delle loro potenzialità umane. E non si dica che quest’atteggiamento implicherebbe la pre¬sunzione di arrogarsi un diritto, cioè quello di giudicare, perché, in questo caso, si tratta, invece, semplicemente, di un vero dovere.
Fin troppo bene sappiamo, per esperienza, che ogni errore fatto sulla Soglia comporta, poi, un indebolimento delle strutture, insanabile, che diventa una minaccia alla stabilità del Tempio.
Altro punto, che dovrebbe essere fermamente assunto, come impegno per tutti noi massoni, è quello di riuscire, come si è detto, nell’intento di trasformare gli adepti, in modo che possano incominciare a sentirsi veramente ini¬ziati, dopo aver, come minimo, compreso il significato e de¬ciso, consapevolmente, di diventare uomini Liberi Muratori.
Perché, ed è bene sia chiaro anche questo, l’operatività indiretta dell’Istituzione nel mondo profano, è concepibile so¬lamente se attuata per mezzo di Maestri Liberi Muratori, che significa uomini liberati e liberi, vale a dire, uomini adulti, dotati di carattere massonico.
Invece – va detto anche questo – una delle cose più squalificanti, oggi, per la Massoneria, è costituita dalle azioni di quei profani pseudo iniziati che, operando nella Società e, qualche volta, facendosi scudo dell’Istituzione, commettono mille azioni non precisamente onorevoli, più o meno gravi, ma che ugualmente ricadono, poi, su tutta la Famiglia, provocando giudizi globalmente dispre¬giativi, oppure,con i loro comportamenti, rendendo giustificabile che siano attribuite alla Massoneria, finalità esclusivamente materiali che, qualche volta, si coglie l’occasione per dire che sono, anche, poco pu¬lite.
Il massone, dovrebbe essere un uomo rispettato ed ammi¬rato, magari a malincuore, anche da chi lo avversa.
Il massone quando agisce, deve sentire, profondamente nell’intimo, la responsabilità di ciò che fa, perché ogni suo atto sarà giu¬dicato e attribuito alla Massoneria.
Chi, con il proprio comportamento, ha dimostrato e dimostra di non comprendere questo fatto essenziale – lasciatemi dire – non ha capito bene cosa significa essere massone, oppure si trova fra noi, non certamente per sbaglio, però per scopi che non hanno niente a che vedere con quelli dell’Istituzione.

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Ora, citerò alcune notazioni, ancora di Bronislaw Malinowski, le quali potranno aiutarci ad evidenziare e capire meglio, quello che do¬vrebbe essere il ruolo del massone – non quello della Massoneria, come pensano molti – nell’ambito della Società e del gruppo nel quale vive.
Le osservazioni del Malinowski, che riporto, sono riferite all’uomo che vive in aggregati sociali primitivi, ma, a prescin¬dere dalla relatività di quel primitivi, è certo che, anche per noi civili, sono indicazioni di notevole validità. In fin dei conti, si tratta sempre e solamente dell’eterno uomo, per il quale, adattandole alla nostra realtà odierna, esistono: le stesse problematiche esistenziali e le stesse possibili soluzioni.
“L’uomo primitivo – dice Malinowski – deve conoscere il suo ambiente: l’abitudine dell’animale che caccia; i frutti che può raccoglie etc., perché senza tale conoscenza morirebbe”.
“Nel raccogliere il cibo, nel cacciare, nel pescare e nella pro¬duzione di armi ed utensili, è guidato, proprio dalla sua conoscenza, che gli fa coordinare, razionalmente, gli sforzi concentrati del suo gruppo”.
“La conoscenza, la vera conoscenza scientifica, è sempre la guida principale dell’uomo primitivo, nel suo rapporto con l’ambiente. Essa è il solido sostegno che gli dà la possibile so¬luzione di tutti i suoi interessi vitali. Senza conoscenza, e senza stretta osservanza della conoscenza, nessuna cultura potrebbe sopravvivere”.
“La conoscenza e la sua trasmissione, sono la spina dorsale, le vere forze che assicurano l’esistenza di ogni cultura. Socialmente, la conoscenza competente e la padronanza della tecnica, sono anche la base del comando e della premi¬nenza”.
“L’uomo che sa, come organizzare un gruppo, e sa come dirigerlo nella caccia, nei viaggi, nello spostamento dell’accam¬pamento, oppure nella lunga spedizione commerciale, è il capo naturale.”
“Il vero problema del governo primitivo, non può essere ri¬solto, semplicemente, riferendosi alla magia, alla religione, o ad altra superstizione, ha la possibilità di risolverlo, solamente, chi sa e tiene conto della conoscenza dell’uomo, dei suoi inte¬ressi pragmatici, per l’organizzazione, nell’azione collettiva ”.
Tutto questo, sembra proprio la sintesi programmatica di una qualunque di quelle antiche scuole iniziatiche, proto massoniche di cui abbiamo già parlato, ed è senza alcun dubbio, quanto si dovrebbe proporre di fare, anche oggi, la Massoneria: insegnare la scienza dell’uomo e formare dei capi naturali.
La Società ha bisogno di capi naturali i quali, vivendo, tutti i giorni, le aspirazioni di libertà, fratellanza ed uguaglianza, possano guidare gli altri, con l’esempio, fuori dalle loro ca¬verne.
È facilmente comprensibile, a questo punto, che se, invece di formare dei capi naturali, si tende ad immettere nella Famiglia, uomini che sono già capi di qualche cosa, e sono catturati solamente per la posizione che hanno già raggiunto nella Società, sarà ben difficile pretendere, da questi, che applichino, nella vita, le aspirazioni dettate dal Trinomio, ma sarà, anche, la dimostrazione di non aver ben compreso cosa è la Massoneria, quale deve essere la sua finalità e la sua funzione.
L’Umanità si può e si deve aiutare, facilitandone l’evo¬luzione, assolvendo la missione di sempre: formare degli ade¬guati capi naturali. Questo, solo questo è il compito della Massoneria.
Questo, e lo ripeteremo fino alla noia, è stato il compito di tutte quelle scuole iniziatiche, anche le più remote, le quali hanno accompagnato ed aiutato l’uomo in tutta la sua lunga e progressiva emancipazione e che hanno, indirettamente, fatto la storia.
La Massoneria ha, da sempre, preparato dei maestri-custodi, impegnati nel programma evolutivo dell’Umanità, metapolitico e metareligioso.

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La Massoneria – questo sarebbe opportuno che fosse sen¬tito da tutto il corpo massonico, da tutta la Piramide – non può mancare al prossimo appuntamento, per dare il suo valido contributo, alla trasformazione che sta maturando nella nostra Società; ma qualche cosa deve essere cambiata, nello spirito, nella finalità e nella funzione che, in questo momento, caratterizzano l’Istituzione, se non vogliamo che, nella funzione maieutica di nascita della nuova èra, sia relegata ad assolvere una funzione meno che secondaria.
Nel mondo d’oggi, ripetiamolo, l’uomo si trova a dover fronteggiare incoercibili forze socio-economiche, le quali lo fanno sentire del tutto impotente.
Molti persuasori, in contrapposizione a queste forze, oppure anche per coadiuvarle, hanno cercato e cercano di operare sull’uomo, aumentando i suoi legami, le sue dipendenze, la sua sog¬gezione, spingendolo verso vie di fuga dalla realtà, verso i trascen¬denti mondi dell’ultra terreno, oppure, agendo sui suoi istinti ed i suoi bisogni più bassi, con gratificazioni degradanti.
Ma nessuno è riuscito ancora, aiutandolo veramente, a sca¬tenare del tutto, nel vero senso liberatorio della parola, le potenzialità reali ed umane dell’uomo.
E nessuno si è reso, ancora, completamente conto della smisurata forza che ne sgorgherebbe, forza che sarebbe nemmeno minimamente paragonabile a quella dell’energia ato¬mica.
Se riusciremo a comprendere ed a tradurre, nel tempo pre¬sente, il messaggio che ci hanno lasciato coloro i quali sono stati i nostri predecessori, sulla stessa strada iniziatica, spetterà alla Massoneria di oggi, fruendo di una più approfondita e ragionevole comprensione della scienza dell’uomo, sperimentare l’emancipazione di queste for¬ze che, invece, in ogni comunione umana, o per ignoranza o volutamente, oggi si cerca di imbrigliare e sopire con tutti i mezzi.

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Ebbene, carissimi Fratelli, forse, sta proprio a noi prendere questa grave, responsabile decisione.
Troviamoci, discutiamone, è molto probabile che otterremo poco inizialmente, ma per lo meno tentiamo.
Ciò che abbiamo capito di dovere a noi stessi ed all’Umanità, assumiamolo come un impegno irrecusa¬bile, perché giurato.
La Massoneria non ha, e non può avere, la funzione di rimanere una gratificazione di fantasia velleitaria, oppure una sopravvivenza culturale, blandita, accettata o tollerata, per il suo lodevole conformismo, da una Società malata coma la nostra.
La Massoneria, è qualche cosa di più. Al fine di realizzare la sua missione immutabile, deve tornare ad essere quella fucina di uomini che è stata nei suoi tempi migliori; deve tornare ad essere quella scuola che formava uomini eccezionali e distinguibili, perché vivevano, con lealtà ed orgoglio, il loro carattere massonico, consapevolmente, nella realtà di ogni giorno; deve voler essere ancora la creatrice di Maestri Liberi Muratori inconfondibili, per la loro franca, decisa e ragionevole presa di posizione, in ogni giudizio, in ogni azione, in ogni scelta, sempre e solamente dalla parte dell’Uomo e della Famiglia Umana, per una migliore futura Società dell’uomo per l’Uomo.

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