PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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NAPSTER

NAPSTER:

la rivoluzione della musica on line

di

Mchele Traversa

Le basi della moderna industria musicale vengono gettate all’inizio del dopoguerra, più o meno nel 1945′. il business musicale si organizza attorno al sistema di produzione e distribuzione del disco, che è controllato da un esiguo numero di grandi compagnie, a scapito degli editori che fino ad allora avevano dominato il mercato.

Questo provoca la prima grande rivoluzione nell ‘ambito della musica e la definitiva modificazione del pop da genere di intrattenimento di massa a musica di consumo. La radio diventa il canale privilegiato di promozione ed i dischi stessi vengono realizzati per il formato ed il pubblico radiofonico. La stessa situazione che si creò negli anni’40 si sta verificando ai giorni nostri con Internet.

Siamo in guerra. Certo, è una guerra che non si capisce bene contro chi dobbiamo combattere. Di sicuro, a giudicare dagli interessi che ha mosso, muove e muoverà, è una guerra ideale dove conta la sostanza, meno l’evolvere delle manovre sul campo. Ma lo è soltanto per una parte. L’altra parte la concepisce come ultima frontiera della globalizzazione e per questa parte diventa una guerra virtuale, in cui le armi sono invisibili ma producono effetti devastanti.

Tutto quello che bisogna fare, per essere dei bravi soldati, è ascoltare. Stiamo parlando di Napster, il sito telematico musicale più famoso al mondo che ha messo sul piede di guerra tutte le più grandi etichette musicali.

Napster e uno spazio tecnologico che può avere sviluppi didattico-culturali straordinari. Entrarvi significa ridiscutere il posizionamento fisico della propria discoteca. Lo si dice sempre: se le mettono il bavaglio, la musica comunque troverà il modo di salvarsi. L’industria colpisce duro. I “cd” costano troppo, le proposte sono sempre quelle, la libertà espressiva si fa sempre più precaria perché il mercato non prevede che il mondo, che è pieno di orecchie curiose e pieno di gente che vive di musica e forse per la musica morirebbe, possa autodeterminarsi: cioè possa decidere veramente quale musica ascoltare. Napster e i suoi fratelli mettono in contatto le discoteche personali di ogni angolo di mondo. Saltano quattro o cinque passaggi politici, snelliscono la burocrazia del consumo, che non è più dovere, che torna volontà di conoscenza. Cerchi un pezzo e poi vai a guardare cos’altro ha da offrire chi lo ha messo a disposizione. Ovviamente siamo ancora all’abc. Non tutto funziona. Non tutti gli utenti/fornitori sono svincolati dal sistema. Chi cerca Giacomo Puccini, può avere la sgradita sorpresa di ritrovarsi davanti Andrea Bocelli. Ma vi garantisco che se aspettate qualche mese potrete vedere moltissimi collezionisti che, stanchi della polvere sul loro arsenale di bellezze, registrino su un cd-r il loro vinile, aspettate che la storia delle canzoni inizi a sgomitare, e non solo i singoli dell’hit parade. Aspettate quel momento e poi: chi fermerà più la musica quando sarà libera e bella, quando, per il tuo vicino di e-mail, la tua discoteca sarà come una radio? E viceversa? Quella di Napster è la prima piccola battaglia che sarà decisamente più lunga e complessa, che coinvolgerà anche il cinema, i libri e in generale il mondo della cultura e dello spettacolo, quella della definizione del concetto di diritto d’autore nell’era di Internet. •

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CHIESA E MASSONERIA

CHIESA E MASSONERIA

Cronaca e storia di una controversia

di Delfo Del Bino

Recensione di Vittorio Vanni

Se la pace è il premio agli uomini di buona volontà, Delfo Del Bino ha dimostrato, pur con il rigore e l’oggettività delle argomentazioni, che la massoneria potrebbe avere tutta la volontà di pace possibile. Nella sua premessa, che è in realtà è più una sperata conclusione, l’autore afferma:

“Massoneria e Chiesa Cattolica procedano su piani diversi. E percorrono strade altrettanto diverse. Sono ancora rimasti in piedi alcuni equivoci a giustificare una presunta inconciliabilità tra cattolicesimo e massoneria. In questi pochi giorni ancora da trascorrere per chiudere un millennio e riaprirne uno nuovo, vi è l’attesa, legittima, di vedere cambiare il volto del mondo. E non già per nuove mirabolanti imprese tecnologiche, ma per l’impresa più importante che l’umanità si attende: una parola di pace che sorga dal rispetto reciproco di tutti gli uomini, e per tutti gli uomini della Terra’

Chiesa e Massoneria non è soltanto una disamina storica sulla nota controversia, ne è un libro a tesi, nel senso che lascia spazio a qualsiasi interpretazione, purché, finalmente, questa vi sia. Stranamente, anche l’esegesi massonica di questo antico contenzioso è carente. Il testo è sicuramente un parametro attuale ed aggiornato dell’atteggiamento clericale nei confronti di un perduto controllo della società, e del suo nostalgico e quasi disperato tentativo di recupero di una morale teologica sociale universalmente valida. In questo tentativo si spiega il fasto e la grandiosità delle attuali cerimonie pontificie e la presenza continua sui mass-media italiani del Papa, presentato come un eroico anziano, malato e sofferente, che regge sulle sue metafisiche spalle il peso di duemila anni di cristianesimo. Ma dietro le quinte del colonnato di S. Pietro vi è un’altra realtà. Quella della scarsità e dell’invecchiamento degli operai della vigna del Signore, obbligati alla cura di più parrocchie con una congrua che non corrisponde neanche alla paga di un operaio al primo impiego. Le poche vocazioni si rivolgano per lo più verso gli Ordini religiosi, mentre quasi più nessuno vuol fare il prete secolare. L’incremento delle vocazioni nel terzo mondo non può coprire questa difficoltà oggettiva, in quanto difficilmente i parrocchiani dei paesi latini accettano senza dubbi africani ed asiatici alla guida del gregge. Ma anche se nel tempo i sacerdoti colorati fossero accettati ed apprezzati, come sempre capita con la ragione che il tempo impone, quali culture porterebbero nella Chiesa, quali variazioni catechistiche e teologiche dovrebbe subire la morale cristiana, sempre più limitata ed obsoleta? La presenza di un cardinale eccezionalmente simpatico come Milingo, che ha portato nelle austere aule gotiche le sue canzoncine tribali, i suoi esorcismi un po’ macumba ed un po’ vudù, è paradigmatica, assieme alla illusoria speranza di molti massoni della sua assunzione al Soglio, come Pietro II. Il libro del Del Bino nasce dalla presa in considerazione di un movimento politico-religioso che negli ultimi decenni si è consolidato in alcune minoranze cattoliche. In questo caso la disamina è tratta da un libro d’Angela Pellizzari, Risorgimento da riscrivere— Liberali & Massoni contro la Chiesa, con prefazione di Rocco Buttiglione e Franco Cardini, ma da questo punto di vista la bibliografia sarebbe piuttosto vasta. Per quanto le radici di questo movimento controrivoluzionario e antirisorgimentale siano, come sempre, molto profonde, si può indicare la più vicina origine nel cenacolo fiorentino di Attilio Mordini (cfr. Vittorio Vanni

L’antimassoneria cattolica nelle sue origini fiorentine, I Quaderni della Biblioteca, Quad. n. 5 Firenze 1998), autore di grande intelligenza e lucidità, molto apprezzato dagli integralisti cattolici. Ma il loro cattivo maestro è certamente Plinio Correira de Oliveira, (cfr. Plinio Correira De Olivera, Rivoluzione e controrivoluzione, Cristianità, Piacenza, 1977) latifondista sudamericano e grande reazionario. La critica controrivoluzionaria esercitata contro la Rivoluzione Francese (e, in Italia, contro il Risorgimento) assume caratteri di irrazionalità ed isterismo mistico. Un esempio di questa prosa si può rintracciare in a Giovanni Cantoni, Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo democratico, in cui si oppone al soprannaturale i “misfatti” del naturalismo:

“Né si può negare l’ipotesi — avvalorata da significativi sintomi — di una macabra interiorità rispetto allo spogliamento, al denudamento, un processo di “naturalizzazione”, di trionfo del naturalismo, cioè di riduzione del reale a pura natura, con tematica negazione ed esclusione del soprannaturale; un processo spinto fino alla contronatura e al pre naturale diabolico, cioè ad un ‘orizzonte che includa positivamente il demoniaco: ecco lo scorticamento, di cui dà emblematica descrizione GustafMeyrink (1868-1932) nell’ultimo a capitolo del romanzo La notte di Valpurga, significativamente intitolato “11 tamburo di Lucifero”, nel quale narra appunto di un tamburo costruito con pelle umana ed al cui rullo vengono chiamati a raccolta e operano rivoluzionari…[…] uomini dai pugni di ferro, casacche turchine, fasce scarlatte sul braccio. Hanno formato una guardia del corpo. Sull’esempio degli antichi Taboriti si fanno chiamare i “fratelli del monte Horeb”[…] vessilli rossi sventolano con vapori di sangue davanti alle case. Una moltitudine urlante, in delirio, li circonda reggendo fiaccole accese

L’antologia del grandguignol integralista, di cui potremmo portare molti esempi, risente evidentemente d’accanite letture di grandi mistiche, come Caterina de’ Ricci, Maria Maddalena di Pazzi, Caterina Salimbeni e Teresa d’Avila ed Ildegarda, le cui orripilanti visioni sanguinolenti hanno tutto il carattere di morboso horror degli attuali “controrivoluzionari”. Come ci dicevano i vecchi e più saggi parroci, “quando si parla troppo del diavolo se ne vede spuntare la coda.

Lo stile rigoroso ed oggettivo di Delfo Del Bino, nella sua lucidità illuminista e nella sua oggettività laica, ribadisce i limiti (pag. 43) in cui il dominio spirituale (per chi lo accetta) non può, (o meglio non dovrebbe) interferire con il dominio della società civile, sempre più complessa e pluralistica: ” […]La Chiesa, si è data il compito di difendere la salute dell’anima. A lei spettano tutte le cure spirituali. È un magistero che non sopporta interferenze né manomissioni da parte di chicchessia, Stato compreso, ma che a sua volta non può sovrapporsi allo Stato, né, tanto meno, interferire nelle attività che riguardano la sfera civile” Ma non consistono proprio in questo, su un piano sociale, le motivazioni controrivoluzionarie ed ecclesiali dell’impossibile accettazione della massoneria come componente “normale” della comunità? Obiettivamente, non possiamo non riconoscere, e con orgoglio, che la Massoneria è stata una tenace promotrice ed operatrice della laicizzazione dello stato e della società, del pluralismo e della tolleranza religiosa, della parificazione ed integrazione della donna, della libertà, insomma, e della dignità di ognuno. Vediamo però con stupore come questi principi che consideriamo fondamentali non soltanto alla Massoneria, ma all’evoluzione umana stessa, siano ancora negati, con motivazioni a volte

 arcaicamente espresse, a volte ipocritamente eluse, a volte perversamente dichiarate, ma sempre collegate ad una presenza ed influenza del male, antropoformizzato nel solito onnipresente demonio. Ma l’attuale impegno sociale della Chiesa, il suo ecumenismo, la volontà di riappacificazione con le altre religioni cristiane, il desiderio di collaborazione con le religioni non cristiane, le tardive richieste di perdono d antiche e sanguinose persecuzioni non dovrebbe testimoniare che la sensibilità odierna, com’espressione di un processo evolutivo, ha mutato anche una teologia immutabile? Il comportamento morale pratico, ben diverso da quello indicato dal catechismo teologico, di un cattolico integralista d’oggi farebbe arrossire un libertino del’700. Nella realtà dei fatti la compassione, la misericordia, la benevolenza dell’uomo nei confronti dei suoi simili, non sono certo ben rappresentati dall’impostazione antiquaria della morale cattolica. Le antiche accuse alla Massoneria, espresse in forma abbondantemente riservata nella Lettera Apostolica di scomunica di Clemente, comminata, fra l’altro ‘per altri giusti e razionali motivi a Noi noti” trovano poi aperta espressione nella Storia del Giacobinismo dell’Abate Barruel. E il grande mito, ma più ossessione, del complotto massonico, derivante dalla ricerca esterna di un responsabile della caduta dell’Ancien Régime. Molti filosofi cristiani del’700, fra cui Louis Claude e De Saint Martin e persino Joseph De Maistre, ultrapapista, videro nella Rivoluzione Francese una punizione divina per la degenerazione, l’arroganza, la prevaricazione degli antichi poteri, che si pretendevano tali per diritto divino. La Rivoluzione, pur criticata negli inevitabili eccessi, era vista come una forma di catarsi irrinunciabile, una purificazione violenta ma necessaria, la forma estrema della Provvidenza. Chi non volle riconoscere l’imperscrutabile volontà divina nella distruzione di un mondo in cui il sovrannaturale era divenuto strumento terribile di una casta cinica e criminale, si rifugiò nella fantasia del complotto massonico, guidato occultamente dalle forze infere. Non è il caso qui di rivisitare il percorso storico di questa comprensibile, ma non accettabile, caduta nell’irrazionale. Da Don Bernardino Negroni al Taxil, dal Concilio antimassonico di Trento a Padre Giantulli si potrebbe in verità storicizzare le morbose ossessioni antimassoniche, ed anche abbracciare chi in buona fede, come noi, creda che l’evoluzione della spiritualità comporti il superamento dell’odio e dell’errore. È ciò che vuol auspicare Delfo Del Bino, quando afferma che “I motivi d’attrito con la Chiesa, almeno quelli di allora, non ci sono più”. Ma le motivazioni di dubbio su quest’ottimistica affermazione sono, purtroppo, ancora attuali. Introvigne (Le Teorie del Complotto, Istituto per la Dottrina e l’Informazione sociale) afferma che: “A partire dal Settecento una certa forma di pensiero religioso sarà tentata da teorie complottiste a fronte d’eventi imprevedibili e difficili da spiegare (sic! ) con cause puramente naturali: l’egemonia culturale dell’Illuminismo, la Rivoluzione Francese e più tardi l’esplosione dello spiritismo, la rapida scristianizzazione di numerosi paesi europei, il socialismo e il comunismo. Sono costruiti così schemi a forma di piramide che vedono fisicamente dietro i dirigenti politici e culturali visibili una classe dirigente invisibile costituita dalle società segrete, fra cui, ma non è la sola, la Massoneria. Dietro le società segrete opererebbero società ancora più segrete, apertamente sataniste. Dietro i satanisti opererebbe il Diavolo in persona, la cui azione non si limiterebbe alla modalità della tentazione, ma si manifesterebbe in apparizioni molto esplicite e dirette, in cui il Principe del Male dà istruzioni precise e dettagliate ai propri luogotenenti umani. Solo ad un’epoca relativamente tarda, nello schema — da qualche parte fra i massoni ed i satanisti — sono inseriti anche gli ebrei, intendendo quest’espressione, almeno fino al secolo XX, in senso non razziale ma religioso, dal momento che i teorici del complotto sono più spesso antigiudaici che antisemiti. 

 In un opuscolo (Scopi e pratiche alchemiche dell’Ordine Egizio, Agapé, Milano, 1983, diffuso in un milieu particolare, vicino a pseudo-società esoteriche, il cui modello sono le false massonerie create nella Francia del Fronte Popolare, dell’occupazione nazista e del governo di Vichy, così si definisce gli “eggregori” (formazioni psichiche, spontanee o indotte, dai poteri particolari):

” Gli eggregori sono molto socievoli e si raggruppano volentieri in organismi astrali molto potenti, una sorta di consorterie, che generano a loro volta degli eggregori più forti e totalizzanti. I raggruppamenti si producano per affinità e sembrano prolungarsi fino alla costituzione e all’intrattenimento delle due genialità astrali che hanno un collegamento diretto al piano spirituale. Gli antichi chiamavano queste due astralità Adam Kadmon e Adam BeliaL che, da vicino e da lontano, presidiavano tutte le società segrete. ‘

Come spesso succede nei testi di queste organizzazioni criptiche, l’esoterismo che esprimono è non soltanto rozzo e ignorante, con un’interpretazione la cui matrice è evidente quanto aberrante, ma soprattutto tendenzioso e diretto ad affermare lo stesso sillogismo che si può desumere dall’affermazione dell’Arcivescovo di Firenze, Mons. Silvano Piovanelli, (La Nazione 1998): “L’esoterismo è diabolico”. La Massoneria ha un esoterismo, ergo, la Massoneria è diabolica. Ma la subdola strumentalità di collegare la Massoneria a movimenti occultistici od a sette riesce ad influenzare anche i governi, anche i quelli a matrice chiaramente laica, come quello francese. La Commissione d’inchiesta sulle sette dell’Assemblea Nazionale Francese nomina 175 società, esia stenti nel territorio, considerate come settarie, fra cui tutte le Obbedienze Massoniche Francesi, ed inserisce, fra le “sette” pericolose, fra gli Adoratori delle Cipolle, l’Internelle Syntetiques Opérative Zététique Energétique et Nucléoniques, il Club des Surhommes ed altre testimonianze della varietà del  la stupidità umana, anche il CLIPSAS che è, semplicemente la catena delle obbedienze massoniche non riconosciute dall’Inghilterra e del circuito del Grann de Oriente de France. Se dovessimo definire il significato di setta da un punto di vista storico-sociale nei suoi caratteri negativi è proprio la Massoneria che sfuggirebbe a questi parametri. Ma ne sfuggirebbe la Chiesa Cattolica? Vi sono  certamente due aspetti della inimicizia accanita della Chiesa nei confronti della Massoneria, che si attua anche oggi, quotidianamente, inimicizia che i Massoni d’oggi, spenti i roghi e abbattute le forche, credono superata. Il primo è un aspetto politico, che è una delle ragioni della Lettera Apostolica di Clemente. Guglielmo Adilardi, nel suo testo ” Lo stato nello stato La Chiesa Cattolica in Italia: una retrospettiva ed un bilancio attuale, I Quaderni della Biblioteca, Quad. n. 0 5, Firenze, 1997) mette in evidenza che “[…] Un potere, quello nascente dagli stati nazionali, che diverrà sempre più forte, tanto da arrogarsi il diritto di trattare anche in campo spirituale con il Papa. Per cui il papato, a causa di questa ascesa degli Stati nazionali, veniva estromesso letteralmente dalla scena europea fino a pervenire alla sua esclusione definitiva nei trattati di Utrech (1713) e di Rastadt (1714), pur avendo, come potere temporale, non poche questioni da portare al tavolo dei negoziati. Altresì era, con tali trattati, sancita la fine del papato quale elemento equilibratore fra gli e-stati in genere”.

La Massoneria, nei decenni susseguenti, costituì il legame ideologico dei nuovi tempi fra la parte più evoluta dell’aristocrazia e la nuova borghesia emergente, legame che in diversi modi, secondo le particolarità nazionali, produsse il rinnovarsi dei termini etici di stato di società. In questi termini l’influsso teologico del Papato era limitato alla coscienza individuale e non poteva più rivolgersi al controllo della comunità. Perché quindi stupirsi del rinnovato livore contro il costituirsi dell’unità politica degli italiani, quando questa non poteva che rivolgersi (e lo potrebbe essere ancor oggi) contro un dominio temporale cattolico che è Intimamente, indissolubilmente, inevitabilmente, collegato a quello spirituale?

Si potrebbe obiettare che un’antologia del pensiero dell’integralismo cattolico non può rappresentare quello del Cattolicesimo in generale. su internetici ufficiali della Chiesa Cattolica, così come su quello dell’Opus Dei. la ricerca alla voce “massoneria” non riporta nemmeno un risultato. su quelli della nuova Inquisizione, il GRIS (Gruppo Italiano Ricerca S ed il CESNUR (Centro sulle Nuove Religioni) diabolicità e massoneria, g ed aborto, criminalità ed esoterismo sono sempre collegati.

Ma la tattica cerca sempre di non far emergere la strategia che gli è spalle. Pochi giorni fa su Civiltà Cattolica è stato “perdonato ‘ Giordano I no. Secondo  l’organo dei Gesuiti, se la Chiesa è infallibile, i suoi uomini sempre lo sono, ma, naturalmente, quelli di ieri, non quelli di oggi. Il  dono” della Chiesa è spesso più offensivo della condanna. Il 17 di Febb del presente anno 2000, il movimento panteista internazionale celebrerà Campo de’ Fiori, Giordano Bruno. Pura coincidenza?

Ma la diabolicità della Massoneria e dei suoi aderenti non è adombrata  dal folklore un po’ ridicolo ed un po’ retrò degli integralisti cattolici. MonsignorJosef Stimpfle scrisse un articolo (riportato dai “Quaderni di Cristianità” anno II, n. 4, primavera 1986, pp. 45-67) contro la tesi di Padre Reinhold Sebot, che affermava che “La scomunica contro i massoni è abolita”.

Padre Stimpfle affermava in quest’articolo che alla Dichiarazione Lichtenau, sottoscritta il 5 Luglio 1970 da una commissione di nove m soni e tre cattolici, Monsignor De Thoth, i Professori Schwarzbaue Vorgrimler, non era da attribuire alcun valore.                                                                                                                        

 Da notarsi che la Commissione era stata indetta dalla Conferenza Episcopale Tedesca, e che suoi membri erano stati nominati dalla Congregazione per la Dottrina per la Fede, ma che in seguito il Card. Seper dichiarò che la sua Congregazione non ha nominato i membri di tale Commissione né approvi la dichiarazione di Lichtnau, che nelle sue finalità intendeva indurre Papa Paolo VI a modificare il giudizio della Chiesa sulla Massoneria, in vero già ben propenso a farlo, perché questo “avrebbe fatto capire che sarebbe stato molto lieto se da parte dei massoni, perlomeno quelli linea inglese, fosse pubblicata in una qualunque forma una dichiarazione alla quale ci si potrebbe riferire per fondare un nuovo esame della questione e per fornire i presupposti affinché, su tale base o seguito a questa dichiarazione, si delineassero nuovi tentativi si sol zione” (cfr. Kurth Baresch, Katholische Kirche und Freimaurerei. E brüderlicher Dialog 1968 bis 1983.  Chiesa Cattolica e Massoneria. Un dialogo fraterno dal 1968 al 1983], Vienna 1983, pg. 69). Per quanto i colloqui della Commissione non produssero i risultati auspicati da Paolo VI, due  viste sui massoni furono trasmesse dalla radio Vaticana il 27 gennaio 1980 il 2 marzo 1980, e in queste si sosteneva, con argomentazione diverse, una  sorta di ammissibilità dei cattolici alla Massoneria, poi sconfessata.

La dichiarazione di Lichtenau, per quanto non contenesse niente di sconvolgente e si limitasse a dichiarazioni di buona volontà per la continuità c dialogo fra massoni e Chiesa, fu sconfessata a motivo della diffidenza ecclesiastica, strumentale od in buona fede che sia.

Le dichiarazioni di Mons. Stimpfle superavano la questione del “machinatio” il complotto, cioè, della Massoneria contro la Chiesa: ” [. Chiarire il problema se la massoneria conducesse effettivamente una lotta contro la Chiesa oppure no, non era però assolutamente necessario per comprendere l’incompatibilità, quindi non è stato neppure oggetto della commissione di ricerca. Si afferma così che il problema politico, per quanto forse presente, è stato in qualche modo storicizzato e risolto. La guerra ecclesiastica per il controllo della società prosegue, ma in modalità che la Massoneria non può più contro combattere. Cui si potrebbe a questo punto attendere il perdono Dei e la benedizione del carnefice, qualche fresca goccia di acqua benedetta su ceneri orami spente.

Ma le motivazioni della scomunica sono molto più che storiche e politiche. Sono profondamente teologiche e profondamente feriscono l’immaginario collettivo della psiche cattolica. Pur sentendo altrettanto profondamente l’abissale fascino della massoneria e del suo esoterismo, l’inconscio   del monaco della Tebaide, sopravvissuto ai primi secoli, l’attribuisce alle non grazie perverse dell’Avversario. Le motivazioni di Mons. Stimpfle sono, da per- questo punto di vista, esemplari.

raio Dopo aver affondato la lama nel corpo corrotto della P 2, lobby che ha  inquinato la Massoneria e che comprendeva in sé notevoli esponenti della finanza democristiana e di quella vaticana, si arriva al centro stesso dell’ormai secolare prolasso antimassonico: seguiamo Mons. Stimpfle: 

In questo contesto è interessante quanto ha portato di nuovo la ricerca nel campo delle antiche religioni misteriche. ln una delle opere S.J. storiografiche più recenti relative al tema si dice: Notiamo, per inciso, che la disposizione del moderno Tempio massonico è del tutto e per tutto e di identica a quella dei Templi mithraici e che “nonostante una conoscenza   frammentaria dei riti d’iniziazione si può dire che alcuni dei suoi elementi prefigurano aspetti dell’iniziazione massonica ” (cfr. Cristian Jacq La m- Massoneria Storia ed Iniziazione, Mursia, Varese 1978).

 Non è solo Mithra, uno degli “antichi dei falsi e bugiardi” che è indiziato nadi esser l’ispiratore della massoneria (escluso quella inglese, quasi “buona”) ma anche Manete, Giamblico, Porfirio, Plotino, Marco lo gnostico, vato Basilide, ecc, cioè neoplatonici e gli gnostici, i grandi concorrenti del cristianesimo   nell’antichità. Considerando che sono più di mille ottocento anni orsono trascorsi dalla loro meteora nel campo filosofico e metafisico, ben grande deve essere stato lo spavento dell’ortodossia verso questi contesti, se ancora si agitano questi antichi spettri.

Le affinità del simbolismo e del rituale massonico con gli antichi misteri non dovrebbe poi scandalizzare i cattolici. Nel cristianesimo niente è originale nel campo liturgico, e non vi è calendario religioso, simbolismo, culto che non derivi dagli antichi Misteri.

Noi consideriamo la Massoneria come un ponte fra un lontanissimo passato ed un lontanissimo futuro e non rinneghiamo ciò che dai Misteri ci deriva. Se la Chiesa Cattolica crede che dietro Delfi vi siano la coda e le corna degli avversari, può cominciare a eliminare dal proprio culto ciò che da Delfi o da altri centri iniziatici deriva. Ma non rimarrebbe niente, a cominciare dalla mitra e dalla tiara dei Pontefici.

Vi sono poi, in questo documento, delle obiezioni ben più sensate. Quella ad esempio che la Massoneria attribuisce all’uomo la sua assoluta autodeterminazione, nei limiti che la società e l’umanità impone, o nel fatto che La Massoneria considera i dogmi religiosi delle costrizioni irrazionali che offendono la libertà e la dignità dell’uomo. Se queste sono le motivazioni etiche della condanna alla massoneria, siamo ben orgogliosi di tale condanna.

Ma la conferma più eclatante alla sua tesi di demoniaci influssi Mons. Stimpfle la trova in Stephen Knigth, autore di opere di fantasia a sensazione, divertenti quanto inattendibili. Lo Knigth nella sua opera The Brotherhod, London, 1984, che il Monsignore ritiene frutto di “interessantissime ricerche durate anni e svolte non senza considerevoli difficoltà” afferma che al posto del Grande Architetto dell’Universo, già nel grado alto (sic! ) dell’Holy Roy Arch subentra il nome di JAH-BUL-ON: JAH= Jahvè, BUL= Baal e ON Osiride). Ora, tutti i rituali massonici, di tutti i gradi conosciuti, sono stati pubblicati da più di duecento anni. Jabel, Jabulon sono delle parole di passo che hanno un’altra etimologia. Jabelon, fra, l’alto, parola di passo del XXI grado del R. S. A. A. ha significato di “giubilare”, ma anche di “giubileo. Stephe Knight, secondo il Monsignore, ha interrogato non meno di settantacinque massoni di questo (quale? ) grado. In quell’occasione egli dovette costatar che tutti parlavano, liberamente e senza esitazione, della Massoneria ma che alla parola Jahbulon settantuno degli interrogati perdevano la calma e la sicurezza di sé. Monsignore, si ricordi di Leo Taxil. Se un giorno a questo scrittor di fantascienza convenisse di dichiarare di aver detto delle sciocchezze, dove va a finire la attendibilità delle sue tesi?

La speranza è che il libro di Delfo Del Bino apra la strada ad una nuova  verifica dell’inconciliabilità fra massoneria e chiesa, oggi dimenticata da massoni, orientati in buona fede ad un dialogo che essendo, oltre che civile logico e razionale, non può aver punti di contatto con espressioni provenienti da un contesto illogico ed irrazionale.•

CONOSCERE LOUIS CLAUDE DE SAINT MARTIN

 di Ovidio La Pera

Che importanza può avere, in Massoneria, conoscere Louis Claude Saint Martin? e chi era costui? L. C. D. M. fu chiamato il Filosofo Incognite ed ebbe una notevole influenza sulla concezione esoterica della Massoneria moderna. Ma, in principio, fu Martinés De Pascally.

Con questo scritto l’autore, mettendo a disposizione del lettore la sua esperienza, dovuto allo studio più che ventennale della vasta opera filosofica e letteraria di L. C. De Saint Martin, arricchita anche dalla traduzione completa dei suoi testi, si propone di facilitare la comprensione della dottrina e degli insegnamenti di questo insigne maestro; evidenziando i principali aspetti di alcuni argomenti da lui affrontati e che tanta importanza e risonanza ebbero nel suo tempo, considerando la grande influenza che esercitarono su personaggi quali Joseph De Maistre, Honorè de Balzac, Chales Augustin de Saint Beuve, il filosofo Franz Von Baader, i romantici tedeschi ed altri, fino all’antroposofia steineriana. , e che non mancheranno ancora di esercitarla su tutti coloro che si accosteranno al suo pensiero, tenuto conto della sua vastità e della possibilità di ricerca e di rivelazione che esso racchiude.

L’importanza massonica di L. C. De Saint Martin deriva dalla sua particolare esperienza di segretario e coautore degli scritti di Martinéz De Pascally, Gran Maestro degli Eletti Cohen, un Ordine massonico settecentesco con dei caratteri molto peculiari, dalla sua influenza diretta sul Rito Scozzese Rettificato di Willermoz, che ancor oggi rappresenta una impostazione massonica molto diffusa nei paesi francofoni e nell’Europa del Nord, oltre al ricollegamento ideale con gli Ordini martinisti tuttora presenti in tutto il mondo.

Conoscere Louis Claude De Saint Martin è un’opera propedeutica alla prima stampa in lingua italiana dell’opera omnia di questo Filosofo Incognito, che Ovidio Pera ha tradotto completamente con estrema cura, usando non soltanto dizionari dell’epoca, ma anche con il suo trentennale studio delle opere di questo grande massone.•

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GLI ALBORI DELLA COSCIENZA UMAN

    GLI ALBORI DELLA COSCIENZA UMANA

    Sin da quando l’uomo è apparso sulla terra, si è sempre trovato di fronte al mistero della propria natura e del proprio ambiente. Per migliaia di anni la sua esistenza si è praticamente limitata alla conservazione del benessere fisico. All’alba dell’umanità, viveva continuamente nel timore di essere sbranato dalle belve, sopraffatto dagli elementi naturali, ucciso dai propri simili. Incapace di riflettere sul passato per essere in grado di progettare il futuro, la sua memoria e immaginazione erano prigioniere di un eterno presente. Lo spazio, che fungeva da cornice alla sua attività cosciente, era quello che le facoltà sensorie gli permettevano di percepire: l’orizzonte segnava i confini del mondo terreno e la volta stellata i limiti dell’universo celeste. Ma il tempo domina l’evoluzione e, dopo molte generazioni, l’uomo giunse a esercitare una certa forma di dominio sul proprio ambiente e ad accedere definitivamente a una condizione di vita superiore a quella animale.

    La scoperta del fuoco fu probabilmente l’evento che più rivoluzionò la vita dell’uomo preistorico poiché gli portò un benessere inestimabile sia sul piano fisico che emozionale. Poté vincere le tenebre, scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi dalle fiere e prolungare le ore di veglia. Progressivamente il timore nel quale viveva lasciò il posto a un sentimento di sicurezza. Incominciò allora a riflettere sul posto che occupava nell’universo, sul senso della nascita, della vita e della morte. Si risvegliò alla coscienza di sé e, senza rendersene conto, incominciò a percorrere il sentiero del “Conosci te stesso”. In altre parole, si iniziò alla propria anima e pose in essa le basi della propria evoluzione spirituale.

    Molti secoli sono trascorsi da quando l’uomo ha capito di essere ben più di una semplice creatura vivente. Tuttavia, i quesiti che continua a porsi sul perché e il come della propria esistenza non sempre trovano risposte soddisfacenti. La scienza può oggi spiegarci la maggior parte dei processi fisiologici che permettono la vita organica di un essere umano, dal concepimento alla morte. Ma non è sempre in grado di dire con precisione ciò che avviene dopo l’ultimo soffio. Nessuno può negare che la dipartita verso l’aldilà costituisce uno dei più grandi enigmi che si siano mai presentati alla coscienza umana.

    Possiamo quindi affermare che la morte è veramente il mistero dei misteri.

Dalla nascita alla morte

    Per i nostri antenati, la nascita di un bambino era indubbiamente un avvenimento miracoloso che suscitava al tempo stesso ammirazione e paura. Non potendola comprendere né spiegare, l’attribuivano a uno spirito invisibile che aveva preso possesso del corpo della madre e lo lasciava a un dato momento sotto forma di neonato. L’evento della morte li rendeva ancor più sgomenti poiché, contrariamente alla nascita, è caratterizzato da un’inerzia totale e definitiva. Immaginate ciò che l’uomo primitivo ha potuto sentire quando si è trovato, per la prima volta, di fronte alla nascita di un bimbo o alla morte di una persona cara! In entrambi i casi si trattò di un’esperienza interiore molto importante. Mai più, in seguito, poté dimenticare quanto aveva visto e provato in queste circostanze.

    Durante la sua evoluzione, l’uomo giunse a capire che lui stesso aveva dovuto nascere così come aveva visto fare. Capì anche che lui stesso sarebbe morto un giorno sprofondando nello stato di totale inerzia che aveva osservato negli altri. Il fatto di essere nato non lo toccò, forse, quanto il presentimento che sarebbe morto, poiché aveva potuto vedere personalmente ciò che faceva seguito alla nascita, mentre non aveva idea di quanto accadeva dopo la morte. La fine dell’esistenza terrena divenne così uno dei più grandi misteri per l’uomo e lo è ancora ai giorni nostri. Questo perché essa porta verso l’ignoto e contiene la risposta alla domanda fondamentale che inevitabilmente ci poniamo: “Perché siamo su questa Terra?”.

I vincoli del materialismo

    Coloro che hanno una visione materialista dell’esistenza, considerano la morte in maniera negativa poiché non vedono alcuna ragione di concepirla diversamente. Ritenendo l’uomo solo una massa di carne tenuta in vita da determinate funzioni fisico-chimiche, controllata da una coscienza essenzialmente cerebrale, limitano la vita umana a un processo meccanico che viene ad arrestarsi con l’interruzione di queste funzioni e l’annichilimento di questa forma di coscienza. In altre parole, la morte porta soltanto al nulla. Sentono che il destino di ognuno è determinato dal caso e che l’umanità evolve unicamente sotto l’effetto di un istinto collettivo di sopravvivenza.

    Per colui che nega la dimensione spirituale nell’essere umano, tutto sulla scena dell’esistenza è teatro dell’ingiustizia e dell’incoerenza. È così perché vive nel mondo degli effetti e ignora il regno delle cause. Non comprende che il mondo di illusioni e apparenze nel quale si dibatte, procede da una Realtà Cosmica ove regnano ordine e armonia. Per tale ragione è incapace di cogliere che il visibile è in effetti un’emanazione dell’invisibile e il finito un’estensione dell’infinito. Prigioniero della ragione, costruisce la propria vita su basi giudicate razionali ma, ahimè, fragili come gli ideali che persegue. Vede i giorni scorrere inesorabilmente e si incammina con angoscia verso la morte, scadenza ultima che ha portato come una croce per tutta la vita.

La dualità dell’uomo

    Da secoli i mistici affermano che il destino dell’uomo oltrepassa ampiamente l’interludio cosciente che scorre dalla nascita alla transizione, impropriamente chiamata “morte”. Per loro l’essere umano è duplice. Possiede un’anima che si incarna nel momento in cui il neonato inspira per la prima volta, facendo di lui un’entità vivente e cosciente. Nell’istante in cui l’uomo esala l’ultimo respiro, essa si dissocia dal corpo al quale ha dato vita terrena e si fonde di nuovo con la Grande Anima Universale. La morte è solo il passaggio da un piano di coscienza a un altro, il ritorno a una condizione preesistente all’incarnazione in questo mondo materiale. In altre parole, corrisponde a una rinascita nel mondo invisibile. Per questo i Rosacrociani pensano che la morte sia soltanto una transizione dell’anima e costituisca uno dei due aspetti della Vita Universale.

Raffigurazione egizia della dualità (Per gli antichi Egizi la dualità dell’uomo era un dato di fatto. L’anima, chiamata “bà”, era rappresentata da un uccello: pensavano si elevasse verso il regno di Osiride dopo la morte. Il corpo, chiamato “khàt”, era simboleggiato da una statuina)

    Quando lascia il corpo fisico al momento della morte, l’anima resta cosciente della sua identità e si eleva gradualmente verso la nuova dimora, guidata da entità spirituali che hanno questo ruolo e dagli esseri cari che l’hanno preceduta nell’aldilà. Raggiunto il piano di coscienza corrispondente al suo livello di evoluzione, prosegue nell’invisibile un’esistenza basata sulle grandi lezioni che deve trarre dalla vita terrena appena terminata. A partire da questo bilancio e dai decreti karmici che ne derivano, si stabiliscono non solo le condizioni del suo soggiorno nel mondo spirituale, ma anche la trama dell’incarnazione successiva. Teniamo a precisare “incarnazione successiva”, poiché non si può vedere la morte dal punto di vista mistico senza essere al tempo stesso convinti che sarà seguita da altre vite sulla Terra.

Il dominio della vita

    Basta osservare l’atteggiamento dei nostri contemporanei di fronte alla morte, per capire che l’idea che se ne fanno influenza considerevolmente il loro modo di vivere. Ciò che la rende così angosciante, per molte persone, è l’ignoranza nella quale si mantengono o sono mantenute nei suoi confronti. Perciò è importante rompere i tabù che circondano questo grande avvenimento della vita umana. La scienza materialista non può arrivare a spiegarlo perché, nella sua preoccupazione di voler interpretare tutto razionalmente, pensa che la morte corrisponda alla cessazione di un processo biologico e alla sparizione definitiva dell’entità cosciente che beneficiava di questo processo. La religione, dal canto suo, pur predicando l’esistenza dell’anima e del dopo-vita, si perde in congetture contraddittorie sul perché e come della dimensione spirituale dell’uomo.

    Nell’interludio cosciente che trascorre tra la nascita e la morte, l’uomo vive il suo destino cercando di sopportare come meglio può le vicissitudini dell’esistenza. Egli aspira profondamente alla felicità, però non sa come né dove trovarla. La ricerca spesso nei piaceri dell’esistenza materiale, ma la realtà quotidiana gli dimostra che tali piaceri sono effimeri e lasciano sempre un vuoto da colmare. Questo vuoto rappresenta appunto l’abisso che esiste, per molti di noi, tra l’anima e il corpo. Allo scopo di riconciliare l’uomo con se stesso e permettergli di meglio padroneggiare la sua vita, un’Organizzazione come l’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce perpetua da secoli l’insegnamento che gli Iniziati si sono tramandati nei tempi.

    La Sfinge di Giza

    (Le origini tradizionali dell’A.M.O.R.C. risalgono alle scuole di misteri dell’antico Egitto. I candidati all’iniziazione dovevano prestare giuramento davanti alla Sfinge)

    STORIA DELL’ANTICO E MISTICO ORDINE

    DELLA ROSA-CROCE

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce, conosciuto nel mondo con la sigla A.M.O.R.C., non è un movimento filosofico di recente creazione. La Tradizione ne ascrive le origini alle scuole di misteri dell’antico Egitto. In queste scuole, mistici illuminati si riunivano regolarmente per studiare i misteri dell’esistenza da cui il nome “Scuole di misteri”. Raggruppavano tutti coloro che ricercavano una migliore comprensione delle leggi naturali, universali e spirituali. La parola “mistero”, ai tempi antichi, cioè all’epoca delle grandi civiltà egizia, greca e romana, non aveva l’odierno significato di “insolito” o “strano”, bensì si riferiva a una gnosi o saggezza segreta.

Le scuole di misteri

    In Egitto, una delle prime scuole di misteri fu la Scuola Osiriaca. Gli insegnamenti trattavano della vita, la morte e la risurrezione del dio Osiride. Erano presentati sotto forma di lavori teatrali o più precisamente dì drammi rituali. Solo coloro che avevano dimostrato il proprio sincero desiderio di conoscenza potevano assistervi. Nel corso dei secoli queste scuole aggiunsero una dimensione ancora più iniziatica al sapere che trasmettevano. I loro lavori mistici assunsero un carattere più chiuso e si tennero esclusivamente in templi costruiti allo scopo. Secondo l’insegnamento rosacrociano, i templi più sacri per gli iniziati erano le grandi piramidi di Giza. Contrariamente a quanto affermano alcuni storici, queste piramidi non sono state costruite per la sepoltura di qualche faraone: erano luoghi di studio e di iniziazioni mistiche.

    Le iniziazioni ai misteri egizi comprendevano una fase finale durante la quale il candidato faceva l’esperienza di una morte simbolica. Disteso in un sarcofago, mantenuto mediante apposite tecniche mistiche in uno stato intermedio, veniva indotto a sdoppiarsi, cioè conoscere una separazione momentanea tra corpo e anima. Ciò doveva dimostrargli che era un essere duplice. Così non poteva più dubitare che l’uomo possedesse una natura spirituale e fosse destinato a ritornare al Regno Divino. Dopo aver fatto la promessa di non rivelare nulla dell’iniziazione ed essersi impegnato a seguire il sentiero del misticismo, era gradualmente istruito sugli insegnamenti più esoterici che un mortale potesse ricevere.

    Gli Iniziati dell’antico Egitto lasciarono una parte della loro saggezza sui muri dei templi e su numerosi papiri. Un’altra parte, non meno importante, fu segretamente trasmessa in modo orale. Il celebre egittologo E. A. Wallis Budge, in una delle sue pubblicazioni, cita con rispetto le scuole di misteri. “Uno sviluppo progressivo – egli scrive -, deve aver avuto luogo nelle scuole di misteri e sembrerebbe che alcune fossero totalmente sconosciute sotto l’Antico Regno. Senza dubbio i “misteri” erano parte integrante dei riti egizi. Si può quindi affermare che l’Ordine costituito dei Kheri-Hebs (sacerdoti) possedeva un sapere esoterico e segreto gelosamente custodito dai suoi Maestri. Avevano acquisito una gnosi, una conoscenza superiore che non fu mai posta per iscritto, ed erano anche in grado di accrescere o ridurre il suo campo di azione secondo le circostanze. È quindi assurdo cercare nei papiri i molteplici segreti che formavano la gnosi esoterica dei Kheri-Hebs”.

Sigillo del Faraone Tutmosi III(Sigillo del Faraone Tutmosi III, fondatore dell’Ordine)

I faraoni mistici

    La Tradizione rosacrociana riporta che il faraone Tutmosi III (1504-1447 a.C.), considerato dagli storici uno dei più grandi della 18° dinastia, faceva parte degli iniziati che frequentavano le scuole di misteri dell’Egitto.

Alla sua epoca funzionavano in modo totalmente indipendente e adottavano regolamenti propri. Designato dai Kheri-Hebs a succedere al padre sul trono, Tutmosi III decise di raggruppare tutte queste scuole in un solo Ordine retto dalle stesse regole, al fine di farne una Fraternità Unica. Per la sua intelligenza e saggezza fu scelto come Gran Maestro, funzione che mantenne fino alla morte. Fu il primo sovrano a portare il titolo di “faraone”, cosa molto significativa sul piano mistico.

    Circa settant’anni più tardi, il faraone Amenhotep IV nacque nel palazzo reale di Tebe. Ammesso giovanissimo nell’Ordine fondato da Tutmosi III, ne divenne Gran Maestro e ne ristrutturò gli insegnamenti e i rituali. In un’epoca in cui il politeismo era diffuso su tutta la Terra, instaurò ufficialmente il monoteismo. Cambiò il proprio nome e si fece chiamare “Akhenaton” che significa “devoto di Aton”. Fu il promotore di una rivoluzione nel campo dell’arte e della cultura. Profondamente umanista, consacrò tutta la sua esistenza alla lotta contro le tenebre dell’ignoranza e alla propagazione degli ideali più elevati. Poco dopo la sua morte che avvenne nel 1350 a.C., il potente clero di Tebe ristabilì il culto di Amon, ma la sua opera apparteneva già alla storia.

Museo di Luxor: testa di Akhenaton(Akhenaton, assieme alla sua sposa Nefertiti, fondò la prima religione monoteista della storia. Scelse il disco solare per simbolizzare il Dio unico della sua comprensione)

L’estensione dell’Ordine in Occidente

    Dall’Egitto, l’Ordine si diffuse in Grecia grazie soprattutto a Pitagora (572-492 a.C.), poi nell’antica Roma sotto l’impulso di Plotino (203-270). All’epoca di Carlo Magno (742-814) fu introdotto, per merito del filosofo Arnaldo da Tolosa, in Francia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi. Nei secoli successivi gli Alchimisti e i Templari contribuirono alla sua estensione in Occidente e in Oriente. Poiché la libertà di coscienza era limitata, l’Ordine dovette nascondersi sotto nomi diversi e svolgere le sue attività nel segreto. Tuttavia non le interruppe mai perpetuando ideali e insegnamenti, partecipando in maniera diretta o indiretta all’avanzamento delle arti, delle scienze e della civiltà in genere, dichiarando sempre l’uguaglianza dei sessi e una vera fraternità tra gli uomini.

Una rinascita ciclica

    In alcune opere letterarie che trattano dell’Ordine Rosa-Croce, si fa riferimento a un personaggio chiamato “Christian Rosenkreutz” (1378-1484) come al fondatore della Fraternità dei Rosa-Croce. È errato. In realtà l’Ordine esisteva già da secoli, ma funzionava per cicli di attività di 108 anni, seguiti ogni volta da un uguale periodo di sonno. Quando era giunto il momento di procedere alla sua rinascita, venivano prese delle disposizioni per annunciare l’apertura di una “tomba” nella quale si ritrovava il “corpo” di un “Gran Maestro C.R.C.” con gioielli rari e manoscritti che autorizzavano gli autori della scoperta a procedere al suo risveglio per un nuovo ciclo di attività. Questo proclama era allegorico e le iniziali “C.R.C.” non si riferivano a una persona realmente esistita. Bisogna quindi considerare il leggendario Christian Rosenkreutz e la sua storia alla luce di queste spiegazioni.

    Nel XVII secolo l’Ordine raggiunse la sua fama più considerevole in seguito alla pubblicazione di tre Manifesti stampati in Germania e attribuiti erroneamente a Valentin Andreae (1586-1654). Si tratta della “Fama Fraternitatis”, della “Confessio Fraternitatis” e delle “Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, risalenti rispettivamente al 1614, 1615 e 1616. In realtà questi tre manifesti, che uniscono racconti storici e allegorici, furono redatti da un Collegio di Rosacrociani e segnarono l’inizio di un nuovo ciclo di attività per l’Ordine che si fece conoscere allora pubblicamente con il nome di “Ordine della Rosa-Croce”.

    Nel 1693, sotto la guida del Gran Maestro Johannes Kelpius (1673-1708), Rosacrociani provenienti da vari paesi d’Europa si imbarcarono per il Nuovo Mondo a bordo della “Sarah Maria”. All’inizio del 1694 sbarcarono a Filadelfia, dove si stabilirono. Qualche anno più tardi alcuni di loro si recarono nell’ovest della Pennsylvania dove fondarono una nuova colonia. Dopo aver istituito una propria stamperia, pubblicarono parecchi capolavori della letteratura esoterica e introdussero in America gli insegnamenti Rosa-Croce. Sotto il loro impulso, numerose istituzioni americane vennero alla luce e il mondo delle arti e delle scienze conobbe negli Stati Uniti uno sviluppo senza precedenti. Personaggi eminenti come Benjamin Franklin (1706-1790) e Thomas Jefferson (1743-1826) furono in stretto contatto con l’opera rosacrociana di questo paese.

Il ciclo attuale dell’A.M.O.R.C.

    Nel 1801, secondo le regole stabilite, l’Ordine negli Stati Uniti entrò in un periodo di sonno. Restava però attivo in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Spagna, Russia e in Oriente. Nel 1909 Harvey Spencer Lewis (1883-1939), che da anni studiava l’esoterismo interessandosi in particolare alla filosofia rosacrociana, si recò in Francia per incontrare i responsabili dell’Ordine. Dopo aver affrontato numerosi esami e diverse prove, fu iniziato a Tolosa e ufficialmente incaricato di preparare la rinascita dell’Ordine in America.

    Quando tutto fu pronto per la rinascita, negli Stati Uniti venne pubblicato un Manifesto per annunciare il nuovo ciclo di attività dell’Ordine che venne allora chiamato “Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce” (A.M.O.R.C.). Nominato Imperator, Harvey Spencer Lewis sviluppò le attività dell’Ordine in America e incominciò a mettere per iscritto l’insegnamento rosacrociano utilizzando gli archivi affidatigli dai Rosa-Croce francesi. Dopo la seconda guerra mondiale questo metodo di insegnamento fu esteso al mondo intero. Così l’A.M.O.R.C. divenne il depositario dell’autentica Tradizione Rosa-Croce in tutti i paesi dove poteva esercitare liberamente le sue attività.

    Attualmente il francese Christian Bernard, eletto all’unanimità dai membri del Consiglio Supremo alla funzione di Imperator, ha la più alta responsabilità dell’A.M.O.R.C. A questo titolo è il garante delle attività rosacrociane per tutti i paesi del mondo, assistito in questo dai Gran Maestri.

Ritratto di Sir Francis Bacon(Francesco Bacone – Sir Francis Bacon – filosofo e uomo di stato inglese del XVII secolo, fu Imperator dell’Ordine della Rosa-Croce. Autore della “Nuova Atlantide”, a lui i Rosacrociani attribuiscono le opere di Shakespeare)

L’INSEGNAMENTO DELL’A.M.O.R.C.

    L’insegnamento non è opera di una persona, ma di un gran numero di Iniziati che si sono succeduti attraverso i secoli. Risulta dal lavoro che i mistici hanno sempre svolto per penetrare i misteri dell’universo, della natura e dell’uomo, fin dalla più remota Antichità. Come abbiamo affermato precedentemente, ha la sua fonte nell’eredità sacra che l’A.M.O.R.C. ha ricevuto dalle scuole di misteri dell’antico Egitto, soprattutto durante la 18° dinastia.

    Ai nostri giorni l’esistenza di queste scuole è riconosciuta dalla maggior parte degli storici e degli egittologi.

    Alle conoscenze perpetuate dai saggi dell’antico Egitto, si sono aggiunti i concetti filosofici dei grandi pensatori dell’antica Grecia e, alcuni secoli più tardi, di quelli del neoplatonismo. Poi la gnosi segreta fu arricchita dai precetti degli alchimisti rosacrociani del Medioevo. Eminenti personaggi vissuti in epoche meno lontane hanno precisato e sviluppato alcuni aspetti dell’antico retaggio. Per citare solo alcuni nomi, personalità come Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Cornelio Agrippa, Paracelso, Francesco Rabelais, Giordano Bruno, Francesco Bacone, Jakob Bòhme, Cartesio, Isacco Newton, Goffredo Leibniz, Beniamino Franklin, il conte di Saint-Germain, Cagliostro, Louis-Claude de Saint-Martin, Michael Faraday, Giulio Verne, Giuseppe Mazzini, Claude Debussy, Eric Satie, sono stati membri dell’Ordine o in diretto contatto con esso.

    Dal 1909, inizio del ciclo attuale dell’A.M.O.R.C., altri Rosacrociani, eminenti autorità in vari campi del sapere, hanno dato il loro contributo all’insegnamento dell’Ordine. Tra essi troviamo quelli che hanno svolto o svolgono ancora delle funzioni in seno all’A.M.O.R.C. e membri che come fisici, chimici, biologi, medici o filosofi, lavorano costantemente per l’arricchimento culturale della Conoscenza rosacrociana. Precisiamo “culturale” perché la dimensione spirituale della Tradizione iniziatica dell’A.M.O.R.C. è ciò che è sempre stata e sempre resterà.

    Ai nostri giorni l’insegnamento rosacrociano è diviso in dodici gradi e si presenta sotto forma di monografie inviate mensilmente ai membri dell’A.M.O.R.C. Ogni invio ne comprende quattro. Per quanto possibile devono essere studiate una alla settimana. Una monografia contiene da cinque a dieci pagine circa. L’elenco dettagliato dei soggetti studiati nell’Ordine sarebbe veramente troppo lungo per essere riportato in questa sede. Quindi diamo soltanto un breve excursus dei soggetti trattati nei primi nove gradi.

Il contenuto dell’insegnamento rosacrociano

– Il primo grado è un’esposizione delle leggi fondamentali che reggono il macrocosmo e il microcosmo. Costituisce una sintesi di ciò che i mistici del passato, in particolare i filosofi dell’antica Grecia, hanno insegnato riguardo alle vibrazioni dell’Etere e la struttura atomica della materia. Tale sintesi include i dati scientifici più recenti in questo campo.

– Il secondo grado è dedicato alle leggi della coscienza. Le sue fasi oggettiva, soggettiva e subcosciente vengono studiate in modo approfondito permettendo così una comprensione chiara di quanto gli psicologi insegnano riguardo alle facoltà mentali. Le nozioni sono trattate dal punto di vista della filosofia rosacrociana e, di conseguenza, danno luogo a spiegazioni che trascendono il campo della psicologia.

– Il terzo grado tratta le leggi della vita. Viene dimostrato che queste leggi manifestate sulla Terra traggono origine da un’energia cosmica chiamata Forza Vitale. Viene anche spiegato che i regni minerale, vegetale, animale e umano, costituiscono una catena naturale che l’Intelligenza Divina utilizza per raggiungere lo scopo che si è prefissata, ossia l’evoluzione della coscienza. Dopo aver definito i criteri comuni a tutte le creature viventi si giunge allo studio della vita umana.

– Il quarto grado è interamente basato su un antichissimo manoscritto tratto dagli archivi dell’A.M.O.R.C. Riferendosi ai concetti in esso espressi, costituisce una sintesi dei tre gradi precedenti e tratta soggetti filosofici particolarmente ispiranti. In questo grado sono esposte le leggi principali dell’Ontologia rosacrociana e i principi mistici che uniscono in un tutto coerente materia, coscienza e vita.

– Il quinto grado consiste in un’esposizione unica sulla vita e l’opera dei maggiori filosofi dell’antica Grecia come Talete, Pitagora, Platone, … Il suo scopo è familiarizzare lo studente Rosacrociano con l’insegnamento dei Saggi dell’Antichità greca e i precetti filosofici e scientifici che hanno trasmesso all’umanità. Precisiamo che tutte le monografie di questo grado sono tratte dagli archivi dell’Ordine e si riferiscono a fatti sconosciuti agli storici.

– Il sesto grado è dedicato alla terapeutica rosacrociana. Presenta in modo semplice ma esauriente le principali funzioni del corpo umano, includendo in questo studio un gran numero di regole da seguire per mantenersi in buona salute. La grande originalità di questo grado consiste nello studio dei principi mistici usati da secoli dai Rosacrociani per alleviare e guarire numerose affezioni. Tali principi fanno parte del retaggio trasmessoci dagli Esseni i quali erano esperti guaritori.

– Il settimo grado si riferisce al corpo psichico dell’uomo e alle funzioni che gli sono proprie, tra le quali la proiezione psichica (viaggio astrale). Questo grado comprende anche uno studio approfondito dell’aura umana e dei centri psichici, la maggior parte dei quali corrisponde ai “chakra” delle tradizioni orientali. Segue un esame approfondito dei suoni vocali tradizionali (i mantra) e dell’influenza fisica, psichica e spirituale che esercitano sull’uomo.

– L’ottavo grado è filosofico poiché tratta essenzialmente delle origini dell’uomo e del suo destino. Vi si studiano, di conseguenza, soggetti che riguardano direttamente la sua evoluzione spirituale. Tra questi: il concetto di Dio, l’Anima Universale, l’anima umana e il suoi attributi, il pre-vita, il mistero della nascita, l’applicazione del libero arbitrio, il karma e il modo di padroneggiarlo, il mistero della morte, il dopo-vita, la reincarnazione, l’assistenza ai morenti, il potere della preghiera…

– Il nono grado è consacrato allo studio del simbolismo tradizionale e dei relativi principi mistici. Inoltre i Rosacrociani vengono iniziati a facoltà legate all’anima e che permettono all’uomo di trarre profitto dalla sua natura divina. Precisiamo che queste facoltà non hanno alcun legame con la magia, la teurgia o la taumaturgia, ma fanno appello a leggi spirituali che i Rosa-Croce hanno sempre messo al servizio del Bene. Rientrano piuttosto nell’ambito dell’attuale “parapsicologia”.

    In virtù di una regola tradizionale, non sveleremo il contenuto del decimo, undicesimo e dodicesimo grado. Precisiamo che fin dall’inizio degli studi, l’insegnamento rosacrociano, oltre ai temi citati, comporta delle esperienze consacrate all’apprendimento di tecniche mistiche fondamentali quali la concentrazione, la visualizzazione, la meditazione, l’alchimia spirituale.

    Un Tempio Rosa-Croce

    (Nelle Logge dell’A.M.O.R.C., che sono in genere di stile egizio per tramandare le origini tradizionali dell’Ordine, vengono conferite le iniziazioni rosacrociane)

    L’INIZIAZIONE ROSACROCIANA

    Ogni grado dell’insegnamento rosacrociano è preceduto da una monografia speciale consacrata a un’iniziazione che il membro è invitato a effettuare a casa propria. Oltre a questa iniziazione individuale può recarsi in una Loggia dell’A.M.O.R.C. e partecipare a una cerimonia collettiva che costituisce una preparazione simbolica al grado da studiare. Tale cerimonia, che riunisce vari candidati, si svolge in tutta la sua purezza tradizionale e si ispira a riti effettuati nelle scuole di misteri dell’Antichità. Benché facoltativa, presenta un grande interesse sul piano interiore.

    Senza entrare in considerazioni mistiche che non possiamo sviluppare nel quadro di questo scritto informativo, diremo semplicemente che lo scopo di tutte le iniziazioni rosacrociane è rivelare ai membri un nuovo aspetto della Tradizione Rosa-Croce permettendo loro di prendere maggiormente coscienza della loro anima. Precisiamo che non hanno nulla a che vedere con le pratiche occulte poiché l’A.M.O.R.C. non le ha mai insegnate né approvate. In genere consistono in rituali di grande profondità filosofica e simbolica.

    L’iniziazione rosacrociana non si limita alle cerimonie puntuali che precedono ogni grado. Si tratta in realtà di un processo che continua interiormente per tutta la durata dell’affiliazione all’Ordine. Il suo impatto spirituale è proporzionale all’impegno che ogni Rosacrociano mette nello studio e nell’applicazione dell’insegnamento che gli viene trasmesso. Nell’assoluto permette di raggiungere lo stato di Rosa-Croce, chiamato “stato cristico” nella tradizione cristiana, ma che si può anche chiamare “stato buddhico”. Il Rosacrociano che abbia raggiunto questo stato può essere considerato un vero Iniziato.

Manifesto della F.U.D.O.S.I.

    (Questo manifesto fu firmato a Bruxelles nel 1934 dai più alti responsabili della F.U.D.O.S.I., Federazione Universale degli Ordini e Società Iniziatiche. Stabiliva che l’A.M.O.R.C. è la sola Organizzazione tradizionale e iniziatica  a perpetuare l’eredità dell’autentica Tradizione Rosa-Croce)

    L’ATTUALE ORGANIZZAZIONE

    DELL’ A.M.O.R.C.

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce è attualmente presente in tutto il mondo e costituisce di conseguenza una Fraternità internazionale. Comprende parecchie giurisdizioni ciascuna delle quali riunisce tutti i paesi della stessa lingua al di là delle frontiere. Esiste così una giurisdizione per i paesi di lingua francese, giapponese, greca, inglese, italiana, nordica, olandese, spagnola, tedesca, ecc. La sede di ogni giurisdizione, tradizionalmente chiamata “Grande Loggia”, è diretta da un Gran Maestro eletto con un mandato di cinque anni.

    Nel suo insieme l’A.M.O.R.C. è diretto da un Consiglio Supremo composto dai Gran Maestri di tutte le giurisdizioni. Questo Consiglio è posto sotto l’autorità e la presidenza dell’Imperator, titolo tradizionale e simbolico che designa il più alto responsabile dell’Ordine. In quanto tale è il garante della Tradizione rosacrociana e sovrintende alle attività amministrative e mistiche di tutte le Grandi Logge. Come ogni Gran Maestro, viene eletto a questa funzione per una durata di cinque anni.

    L’A.M.O.R.C. è dunque mondiale e i suoi dirigenti, di qualunque nazionalità siano, svolgono le attività rosacrociane non come cittadini di questo o quel paese, ma come responsabili di un’Organizzazione mistica le cui attività si estendono al mondo intero. In altre parole, tutte le giurisdizioni riunite formano l’Ordine nel suo insieme e operano in una unità perfetta al servizio di uno stesso ideale, quello della Rosa-Croce. Ne risulta che non vi è obbedienza in seno all’A.M.O.R.C., poiché tutti i Rosacrociani del mondo possiedono le stesse prerogative e ricevono lo stesso insegnamento.

    In ogni giurisdizione i Rosacrociani che lo desiderano possono riunirsi negli Organismi locali che, secondo le attività svolte, hanno il nome di “Loggia”, “Capitolo” o “Pronaos”. Questi organismi operano sotto la responsabilità e l’impulso della Grande Loggia alla quale fanno capo. In generale servono da cornice a incontri fraterni e a lavori che completano lo studio individuale dell’insegnamento scritto dell’Ordine. In questo perpetuano l’aspetto orale della Tradizione Rosa-Croce. Precisiamo inoltre che nelle Logge vengono conferite le iniziazioni rosacrociane.

    Per consentire ai membri che lo desiderano di incontrarsi, l’Ordine organizza dei Convegni mondiali, nazionali o regionali. Secondo il caso, riuniscono Rosacrociani venuti dal mondo intero o residenti in un determinato paese. Comunque sia, danno luogo ad attività culturali e spirituali durante le quali vengono presentati ai partecipanti degli esposti scientifici e filosofici. Non sono naturalmente obbligatori, essendo ogni membro libero di parteciparvi o meno.

    Parallelamente all’insegnamento mistico che mette a disposizione dei membri, l’Ordine possiede una Università interna conosciuta con il nome di “Università Rosa-Croce Internazionale” (U.R.C.I.). Formata essenzialmente da Rosacrociani, effettua ricerche in campi diversi come l’astronomia, l’egittologia, la medicina, la musica, la psicologia, le scienze fisiche e le tradizioni esoteriche. In genere il risultato di queste ricerche viene comunicato solo ai membri dell’Ordine. L’ U.R.C.I. organizza comunque anche conferenze e seminari aperti al pubblico.

    LO STATUTO DELL’ A.M.O.R.C.

    Per definizione, l’A.M.O.R.C. è un’Organizzazione filosofica, iniziatica e tradizionale che perpetua nel mondo moderno l’insegnamento che gli Iniziati si sono trasmessi attraverso i secoli fin dalla più remota Antichità. Non essendo una religione, riunisce membri appartenenti a tutte le confessioni religiose e lascia a ciascuno la possibilità di seguire liberamente il credo di sua scelta. È totalmente apolitico e ciò spiega perché i Rosacrociani provengono da tutti gli ambienti socio-culturali. Naturalmente non è una setta e non è mai stato classificato tale nei rapporti ufficiali pubblicati al riguardo. È privo infatti di ogni settarismo e ha sempre fatto della libertà di coscienza il fondamento della sua filosofia.

    In tutti i paesi del mondo, l’A.M.O.R.C. è riconosciuto come un’Organizzazione senza scopo di lucro. Non ha infatti carattere commerciale. In virtù di questo principio l’insegnamento rosacrociano non viene venduto sotto forma di libro e non può essere in alcun modo acquistato. Come ogni Organizzazione fraterna e culturale, l’Ordine deve sopperire ai propri bisogni e lo fa grazie alla quota annuale versata dai membri. Nonostante le spese considerevoli per l’insegnamento individuale loro dispensato (segreteria, informatica, invii postali, stampa, ecc.), questa quota annuale è molto ragionevole. È tra le più modiche fissate per un movimento filosofico e tradizionale di questo tipo. Inoltre può essere versata semestralmente.

    IL MOTTO DELL’A.M.O.R.C.

    “La più ampia tolleranza nella più rigorosa indipendenza” è il motto dell’A.M.O.R.C. Infatti non è legato a nessuna Organizzazione, eccetto l’Ordine Martinista Tradizionale, movimento filosofico con sede presso la Grande Loggia di Milano, che perpetua l’insegnamento di Louis-Claude de Saint Martin, grande filosofo del 18° secolo. L’Ordine della Rosa-Croce, attento a preservare la propria indipendenza, si mostra tollerante verso tutti gli altri movimenti, poiché il suo ruolo non è giudicarli o criticarli, ma trasmettere il suo insegnamento a coloro che cercano la Conoscenza.

    Il motto che l’A.M.O.R.C. applica nei confronti degli altri movimenti, si ritrova nella natura stessa del suo insegnamento. In altre parole, è spoglio di ogni dogma e non comporta alcun credo settario. Così il rosacrociano, fin dall’inizio della sua affiliazione, è invitato a rimanere un punto interrogativo vivente in rapporto alla conoscenza che gli viene trasmessa. È libero di rifiutare i principi contrari alla propria comprensione personale e quelli che non incontrano la sua approvazione. Scopo del rosacrocianesimo è infatti indurre i membri a porsi delle domande piuttosto che fornire delle risposte categoriche sui vari argomenti. Questo approccio coltiva uno spirito tollerante e pone le basi di una personalità indipendente nella scelta delle proprie convinzioni filosofiche.

    In accordo con il motto, uomini e donne godono di una condizione di totale uguaglianza all’interno dell’Ordine. Come nei cicli anteriori, anche oggi non esiste nell’A.M.O.R.C. segregazione o discriminazione in materia di sesso, razza, nazionalità o religione.

    L’AMMISSIONE ALL’A.M.O.R.C.

    Le qualità richieste per essere ammessi nell’A.M.O.R.C. sono molto semplici: essere interessati al misticismo e aver raggiunto la maggior età. I minori, che abbiano compiuto almeno 15 anni, possono essere accettati con l’autorizzazione dei genitori.

La candidatura individuale

    Qualora dopo aver letto questa pubblicazione, sentiste il desiderio di diventare membri dell’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce e condividere il suo insegnamento filosofico, iniziatico e tradizionale, vi invitiamo a scrivere alla sede di Milano per ricevere una domanda di affiliazione all’A.M.O.R.C. Dopo averla compilata, sarà sufficiente rinviarla accompagnata dal diritto d’entrata e dalla quota.

I membri associati

    Se un vostro congiunto, membro della vostra famiglia o amico, domiciliato al vostro stesso indirizzo, desidera diventare Rosacrociano, avete la possibilità di affiliarvi come membri associati. In tal caso sarete entrambi considerati membri dell’Ordine a pieno titolo, ma riceverete un solo invio di monografie e generalmente una sola copia di tutto ciò che viene inviato nell’ambito dell’affiliazione all’A.M.O.R.C.

    Il vantaggio di un’affiliazione associata sta nell’ammontare della quota che è molto meno elevata di quella di due membri individuali. È frequente però che amici, membri di una stessa famiglia o congiunti, preferiscano affiliarsi individualmente per disporre con maggiore libertà dei documenti inviati e poterli studiare nelle migliori condizioni.

    Nel caso desideraste affiliarvi con un’altra persona come membri associati, compilate una domanda di affiliazione ciascuno e inviatela insieme a Milano, allegando una lettera che spieghi il vostro desiderio di essere membri associati. In essa precisate a chi dovranno essere inviate le monografie, perché nell’eventualità di una separazione, al destinatario ne spetterà la custodia. Inoltre, non dimenticate di accludere il versamento dei due diritti di entrata e la quota di membri associati.

    Se, dopo essere stata esaminata, la vostra domanda viene accettata, riceverete la tessera di membro e poco dopo il primo invio di monografie. Così comincerà per voi uno studio che, secondo la vostra motivazione e perseveranza, potrà durare tutta la vita. Nel caso la vostra candidatura fosse rifiutata, il versamento del diritto d’entrata e della quota vi sarà restituito.

Una totale libertà

    Ci sembra importante insistere sul fatto che un Rosacrociano può, in ogni momento e senza alcuna riserva, porre fine alla propria affiliazione. In tal caso gli viene semplicemente richiesto di restituire alla sede della sua giurisdizione tutte le monografie ricevute in quanto proprietà legale e morale dell’Ordine. È il solo obbligo cui si deve sottostare in caso di dimissioni. Tuttavia di rado viene presa tale decisione dopo aver studiato soltanto per qualche mese l’insegnamento rosacrociano. L’esperienza prova infatti che esso costituisce una fonte di benessere inestimabile e permette di comprendere meglio il senso del destino umano.

    Nei secoli passati, l’Ordine della Rosa-Croce era considerato, giustamente, una società segreta. Se esce dalla sua discrezione, lo fa perché il contesto mondiale lo necessita. I suoi dirigenti e membri, infatti, sono convinti che l’epoca attuale è determinante per il genere umano. Come dice André Malraux in una frase divenuta celebre, “Il ventunesimo secolo sarà spirituale o non lo sarà affatto”, nel senso che l’umanità sopravviverà solo se si libera del materialismo eccessivo nel quale si è immersa e dà una direzione spirituale al suo avvenire. Per questo l’A.M.O.R.C. compie degli sforzi per sensibilizzare il mondo al misticismo e presentare l’insegnamento tradizionale e iniziatico, che mette a disposizione di tutti coloro che sono alla ricerca di maggior Luce.

    Prima di concludere e lasciarvi meditare sul seguito che conviene dare a questa pubblicazione, insistiamo sul fatto che il misticismo rosacrociano non è una via facile e si rivolge unicamente ai ricercatori sinceri. La Rosa, infatti, non è senza spine e la Croce è talvolta difficile da portare. In altri termini, non pensate che un’affiliazione all’A.M.O.R.C. farà di voi un Maestro in pochi mesi o vi preserverà dalle prove dell’esistenza umana. Il sentiero che porta alla Conoscenza è sempre stato arduo, tortuoso e pieno di ostacoli. Tuttavia esiste e può essere intrapreso da chiunque aspiri a elevarsi verso una migliore comprensione delle leggi che reggono il proprio destino. Si tratta, innanzitutto, di una questione di motivazione interiore fondata sul desiderio sincero di vivere in armonia con se stessi e con l’ambiente.

Simbolo ufficiale dell’Ordine

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce viene chiamato anche “Ordine della Rosa-Croce A.M.O.R.C.”. Denominazione usata per associare con uno stesso vocabolo il nome tradizionale dell’Ordine e la sigla con la quale è conosciuto nel mondo dal 1909, inizio del suo ciclo attuale di attività. Entrambi gli appellativi designano dunque la stessa Organizzazione.

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BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

di

Blasco Mucci

Premessa

Anche noi toscani abbiamo appartenuto indirettamente a quella “Austria felix”, così definita dal buon governo di principi illuminati, dall’esistenza di una amministrazione onesta e parsimoniosa, di tecnici attivi e competenti, ma soprattutto da una concezione austera ed armoniosa della vita in cui ognuno, nella sua situazione e nelle sue competenze, trovava soddisfazione, rispetto e dignità.

Gli Asburgo-Lorena, successori dei Medici, diedero alla nostra regione sviluppo artigianale, industriale ed agricolo, strade ancor oggi essenziali ai nostri trasporti, bonifiche di terre trascurate da secoli, regimentazioni delle acque ancor oggi indispensabili e, purtroppo, mai più continuate, con i risultati che tutti i fiorentini ben conoscono. Più ancora, gli Asburgo-Lorena diedero, alla Toscana ed ai Toscani, diritti e libertà che precorsero quelli auspicati dalla Massoneria.

Quelli che furono poi i primi membri fiorentini della Massoneria ebbero un notevole ruolo nell’auspicare prima, e nello stabilizzare poi, il passaggio del Granducato a Francesco di Lorena, sotto il nome di Francesco Ill. Il Marchese Giulio Rucellai, Segretario della Giurisdizione, il Marchese Carlo Rinuccini, Ministro sotto Gian Gastone e poi del primo dei Lorenesi, Giovanni Lami, noto ed influente erudito, ed altri minori personaggi, avevano, infatti, appoggiato l’avvento dei Lorena

La gratitudine di questo sovrano, chiamato dai fiorentini “il fratello lorenese” protesse poi l’Ordine ed i suoi membri, contro lo strapotere ecclesiastico dell’inquisizione, fino alla sua abolizione, il 5 luglio 1782. I Lorena suoi successori mantennero lo stesso benevolo atteggiamento verso la Massoneria. Non è da dimenticare che, proprio in Toscana, a Lucca e Livorno, con il sostegno di Pietro Leopoldo, furono pubblicate le prime due edizioni dell’Enciclopedia, la monumentale opera illuminista, quando era stata già posta all’indice, nel Marzo del 1759.

La concezione politica dei primi Granduchi Lorenesi era improntata agli ideali massonici, che ponevano nella pubblica felicità lo scopo dei governi, attraverso la tolleranza ed il rispetto dei diritti altrui, e, nel loro fine ultimo, la Fratellanza universale. La libertà di culto, l’abolizione della pena di morte, il principio della reciproca collaborazione e fiducia fra governanti e governati, ciò che Pietro Leopoldo stesso definiva la “cooperazione ed il consenso dei soggetti interessati”, fecero scrivere al fratello Mirabeau che:

”L’Europa del XVIII secolo può essere veramente felice perché ha voluto mettere alle due estremità del continente due sovrani, così rari in tutti i secoli, quali Gustavo [di Svezia] e Leopoldo”.

La raffinata ideologia umanistica di Pietro Leopoldo non penetrò purtroppo nell’anima popolare, in cui godeva in ogni caso considerazione e rispetto, ma rimase appannaggio delle classi colte fiorentine, che ebbero modo di formare delle colte accademie tuttora esistenti e culturalmente vivaci.

La validità riformistica indotta dall’illuminismo in Pietro Leopoldo ebbe quindi degli altissimi estimatori, che formarono una élite, cosciente di essere all’avanguardia in Europa. maggiori spiriti toscani, nei principi della costituzione Leopoldina, videro un equilibrato ed efficiente compromesso fra la libertà nazionale e autocrazia illuminata. .

In quest’ambiente la stessa Rivoluzione francese fu vista come derivante da quegli stessi mali debellati pacificamente in Toscana, ed i suoi eccessi furono condannati, anche se compresi nel loro aspetto di dolorosa catarsi sociale.

Quest’equilibrio, politico e sociologico, ha una intrinseca natura massonica; per la sua ideologia umanistica a Massoneria è riformista o anche rivoluzionaria quando a  ciò è necessario all’evoluzione umana, ma, per le stesse motivazioni, ha in se anche elementi, bilancianti, di conservazione e di moderatismo.

Pietro Leopoldo, lasciando la Toscana per l’Impero, nonostante le gravi difficoltà e responsabilità dell’altissimo incarico, e le persistenti dicerie sul complotto massonico contro i troni e gli altari, sfociato nella Rivoluzione, mantenne una profonda coerenza di riformista, proteggendo coloro che, indicati come illuminati dalla propaganda antimassonica, conservarono, sotto il suo regno, proprietà, libertà e titoli. È inoltre nota la protezione e a benevolenza verso la Massoneria di un altro grande Asburgo-Lorena, l’imperatore Giuseppe: in un suo noto editto, l’esistenza della Massoneria nelle nazioni sottoposte all’impero era accettata e regolamentata.

La reazione dei principati europei, e soprattutto quella clericale, vide negli eccessi rivoluzionari la conseguenza dell’illuminismo e del riformismo della Massoneria, che avrebbe invece voluto un equo e pacifico trapasso di una parte dei poteri sovrani ai rappresentanti del popolo.

La leggenda del complotto massonico non ebbe tuttavia troppi estimatori in Europa, tranne che in Italia dove l’esistenza del potere temporale del Papato stravolse ogni possibilità… di contatto e rapporto fra Massoni e grandi masse popolari. Quando un principe come il popolare “Canapone”, ultimo Granduca lorenese di Toscana, prese la strada dell’Austria in carrozza, come un privato cittadino, la Massoneria toscana, nell’entusiasmo dell’unità italiana, non si rese conto di aver perso forse l’ultimo difensore ed assertore nei fatti dell’essenza ideologica più profonda e vera della Massoneria.

Ma dei Lorena, in Toscana, non rimane soltanto il globo chiodato ai crocicchi delle vie, ma un’impostazione di vita e di pensiero che per quanto patrimonio d’élite trova risposta anche nell’istinto del popolo, che, alla fine, ritrova sempre il fiuto per l’odore che distingue i buoni dai cattivi padron

Note

Francesco d’ Asburgo, Duca di Lorena era stato iniziato all’Aia in Olanda, nel 1731.

Il Granduca inviò a Benedetto XIV una lettera in cui difendeva la libertà di stampa vigente in Toscana, in cui si affermava, a proposito del comportamento dell’inquisizione nel caso Crudeli,: ” Prima che io mi partissi di Toscana mi fu domandato l’arresto di due dei miei sudditi per supposti delitti di fede, mai non può immaginarsi un caso più Circostanziato di quello, per poter negarlo. E noto a V. S. l’esito di quel processo, com’è noto a me, ch’ho avuti in mano i documenti autentici, ond’ella avrà una giusta idea dell’impressione che mi deve aver prodotto, e s’io abbia luogo senza offendere il dovere ed il lume della mia ragione medesima di restare ancora in dubbio o nell’indifferenza su questo punto” Traduzione di un biglietto di propria mano della Maestà Imperiale e Reale l’ Imperatore, concernente l’Ordine dei Liberi Muratori.

“La Libera ‘Muratoria si è talmente diffusa nei miei Stati, che non vi è alcuna piccola città di provincia ove non vi sia una Loggia e vi è la più grande necessità di stabilire un certo ordine. Io non conosco i loro misteri, e non ho mai avuto la curiosità di penetrarli; mi è sufficiente di sapere che i Liberi Muratori fanno sempre qualche bene, che sostengono i poveri. coltivano e proteggono le lettere, per fare per essa qualcosa in più che in ogni altro paese.

Ma siccome la ragion di stato ed il buon ordine domandano di non lasciare alcuno a se stesso e senza alcuna particolare ispezione, penso di prenderli sotto la mia protezione e di accordargli la mia grazia speciale se si comportano bene, alle seguenti condizioni:

I – Non vi sarà nella Capitale che una o due Logge, o se fosse impossibile riceverci tutti i Fratelli, tre tuttalpiù. Nelle città ove vi sia un’autorità, si permetterà una, due o tre logge. Tutte le Logge nelle città di provincia dove non vi sia autorità, sono rigorosamente vietate, e l’ ospite che accetta assemblee nella sua casa, sarà punito come un criminale che permette dei giochi proibiti.

2 – Le liste di tutte le Logge e dei loro membri saranno inviate al Governo, i giorni dell’assemblea sempre comunicati; ogni tre mesi si invierà un esatto dettaglio dei membri che sono stati ricevuti nella Loggia, o che l’hanno lasciata, ma senza annunziare i titoli. dignità e gradi che vi sono nelle Logge. Soddisfatto tutto ciò il Governo accorda ai Liberi Muratori accettazione, protezione e libertà; lascia interamente alla loro direzione le questioni interne delle Logge e delle loro costituzioni, senza far mai delle curiose inquisizioni. In questa maniera, l’Ordine dei Liberi Muratori, che è composto da un gran numero di gente onesta da me conosciuta, può divenire utile allo Stato: si comunichi questa ordinanza al Governo delle Provincie”. P. S. L’esecuzione di questa ordinanza cominci dal primo di Gennaio.

Quando. nella metà del XVIII secolo, si venne compiendo una vasta opera riformatrice, questa si ispirò alla necessità di eliminare il dislivello tra città

dominante e provincia soggetta. Infatti tutti i ministri e gli uomini di Stato che promossero queste riforme si sforzarono di dimostrare l’enorme sacrificio

che la provincia aveva sopportato nei confronti della metropoli. L’ industria della capitale. che aveva monopolizzato il mercato e subordinato ai propri interessi  l’economia generale dello Stato toscano, apparve allora come la principale causa di questa sperequazione. L’origine era nel Comune, manifatturiero e commerciale, che aveva combattuto per la conquista dei mercati e per l’egemonia economica, e che nella legislazione protettiva e proibitiva, aveva trovato l’arma più valida per mantenere il contado prima e, dopo le conquiste, il distretto in una condizione di dipendenza.

La dinastia dei Medici aveva sì guardato al di là delle mura cittadine e constatato la necessità di favorire l’evoluzione in certe città del dominio come Pisa e Livorno. ma sempre in correlazione con i privilegi mercantilistici della metropoli che non furono mai intaccati ma anzi rafforzati. In questa contraddizione consiste il difetto maggiore della politica medicea, che da un lato è l’espressione di una unità più coerente dello Stato, e dall’altro è un processo di accomodamento e di compromesso tra i nuovi bisogni di uno Stato accentrato ed i sistemi e gli istituti del vecchio regime.

I ministri della reggenza di Francesco Stefano di Lorena, quando questa dinastia ebbe il governo della Toscana. notarono gli anacronismi, le incongruenze e la eterogeneità del sistema. In Toscana non si era ancora sviluppato nella sua pienezza lo Stato moderno che ha per fine l’assoluto assoggettamento di tutti i sudditi alla sovranità del principe, ponendo fine all’esclusivo dominio di una classe o di un gruppo. Se in uno Stato, col persistere dell’economia cittadina mercantilistica resta in piedi la struttura sociale che da questa è nata, tutte le istituzioni privilegiate conservano la prevalenza perché sono artificiosamente mantenute le condizioni necessarie al loro sussistere. Non essendo perciò in Toscana cambiato indirizzo nella politica economica. la progressiva decadenza del sistema ha reso questo più rigoroso ed ha fatto incrudelire la legislazione.

Al Consiglio di Reggenza di Francesco di Lorena, le condizioni della Toscana apparvero ovviamente artificiali e dovute ad un sistema coercitivo mantenuto saldo da ceti interessati a non rinunciare agli utili che questo sistema loro assicurava. Si presenta la necessità di risolvere il problema del dualismo città-campagna e molte opere furono scritte per combattere I ‘ esclusiva egemonia della metropoli nella sua forma più esosa: la politica annonaria. Questa politica sacrificava agli interessi delle classi cittadine quelle dei contadini e salvaguardava i privilegi di cui godevano le arti e le industrie a danno degli altri ceti produttivi. Il concetto di questa politica è che la capitale è tutto, e lo Stato deve servire ad essa.

Quando si parla di “popolo” e quando si dice  che i prezzi bassi imposti dall’ Annona sono a favore di esso. in realtà non si pensa che ai consumatori cittadini e all’oligarchia sorta dalle manifatture e dai commerci della classe dominante. L’esclusivismo feudale ereditato dal Comune aveva generato il privilegio cittadino e questo privilegio non muore di consunzione ma occorre un coraggioso movimento riformatore per debellarlo completamente. Bisogna arrivare alle riforme leopoldine per assistere ai primi albori di una politica liberale perché il fine di queste riforme mirava ad abbattere il dualismo tra città e provincia. a eguagliare i sudditi nei loro diritti essenziali ed a potenziare l’ agricoltura per ottenere il maggior aumento possibile di prodotti alimentari.

Il successore di Ferdinando. Cosimo II. fu studioso di agricoltura. di botanica e di idraulica ed iniziò una vasta opera di bonifica delle paludi, accordando privilegi ed esenzioni a coloro che si fossero trasferiti nelle zone bonificate. Sotto Ferdinando II. successore di Cosimo II. le cose tornarono al peggio, sia per gli aggravati oneri fiscali e sia per la fissazione dei prezzi di imperio dei cyrani che indussero i contadini ad abbandonare i campi e ad annullare così i benefici delle bonifiche di Ferdinando I.

Verso la fine del Seicento. con Cosimo III, si tentò di mitigare la crisi dell’agricoltura con il diminuire le imposte e ripartire la spesa delle bonifiche tra i vari interessati non tenendo conto alcuno delle resistenze ecclesiastiche. Alcuni risultati positivi furono ottenuti da imprenditori privati, che favoriti da alcuni provvedimenti del principe, si interessarono a considerevoli opere di bonifica delle paludi della Maremma e della Valdichiana. Ma ben altro si rendeva necessario!

Al principio del Settecento. il Granducato di Toscana appariva consunto e disgregato. Nel 1737. con la morte di Gian Gastone. si estingueva la dinastia dei Medici e Francesco Stefano di Lorena assumeva il governo della Toscana. E sotto il nuovo principe che si creano le basi per la nascita di uno Stato moderno ed efficiente. anche se le vecchie istituzioni rimangono ancora in vigore. In Toscana, il principale problema dell’agricoltura era quello della proprietà della terra e della diversità delle leggi tra metropoli e provincia.

Il principe si volge pertanto a tutelare gli interessi dello Stato sottoponendo ad una legge comune quelle classi che avevano consolidato i loro privilegi ed i loro monopoli. Le conseguenze che i riformatori si prefiggono sono: a) sostituire un’economia territoriale all’esistente economia cittadina;

b) sostituire un’economia libera ad una economia di monopoli.

E ovvio quindi che i giuristi e gli uomini di cultura seguaci delle teorie illuministiche elaborino programmi

destinati in futuro a risolvere le aspirazioni dei lavoratori della terra a disporre liberamente sia della conduzione dei terreni sia dei prodotti ottenuti con Io sfruttamento degli stessi.

La tesi fisiocratica del libero commercio dei grani aveva fatto sentire la necessità di abolire le antiquate manomorte ecclesiastiche e di risolvere una volta per sempre i vecchi dissidi tra l’aristocrazia terriera ed il nuovo ceto medio agrario. E poiché al diritto di chiusura e difesa dei fondi coltivati si oppongono i celi più retrivi della società, i grandi proprietari di greggi ed anche le popolazioni più povere delle campagne, il movimento riformatore deve tenere conto di questi contrastanti interessi ed arrivare ad un compromesso che varia da regione a regione, da comunità a comunità, da popolazione a popolazione.

E aumento dei prezzi dei cereali e l’aumento dei profitti favoriscono i provvedimenti presi dai riformatori tendenti a limitare gli usi comunitari del pascolo. a facilitare la chiusura dei fondi, a togliere gli impedimenti alla libertà di coltura c di rotazione ed a riscattare terreni mediante opera di bonifica.

Francesco Stefano di Lorena non governò direttamente la Toscana ma attraverso un Consiglio di Reggenza presieduto dal ministro Emanuele di Richecourt. Francesco non fu ovviamente il restauratore della Toscana, Ina egli ha il grande merito di aver avuto fiducia in collaboratori intelligenti c favorevoli alle più ardite riforme.

La dinastia medicea aveva conservato quasi tutte le forme esteriori della repubblica. Da Cosimo I a Gian Gastone, l’ultimo granduca mediceo, i fiorentini erano stati amministrati da uffici con i nomi repubblicani. Ma non erano ormai più i tempi degli ordinamenti comunali. Se i

 nomi ed i sistemi erano gli stessi diversi erano i desideri. le necessità e le aspirazioni della popolazione del Granducato. Inoltre lo Stato non era formato da una unica struttura omogenea ma da tre parti distinte: Firenze, Pisa e Siena. Di queste. Firenze godeva di una posizione di da privilegio poiché i fiorentini esercitavano una vera e propria tirannia amministrativa nei confronti della provincia a di causa del loro diritto di esercitare gli atti amministrativi per mezzo di uffici  “estrinseci” solo ad essi riservati. es- Il Richecourt era stato profondamente colpito dall’ ingiustizia della diversità di trattamento applicato alle singole parti dello Stato. Il problema più importante era però quel del lo finanziario. Il debito pubblico era enorme e colpiva il consumo dei beni di prima necessità come il pane e il sale con imposte e gabelle che erano applicate con severità perché molto facile ne era la riscossione. Sulla popolazione delle campagne gravavano inoltre delle gabelle di superiori alla popolazione delle città ed era imposta anche l’iniqua tassa sul bestiame da lavoro. Il Richecout si o- adoperò ad alleviare il debito pubblico e ci riuscì operando la conversione della rendita. Fu perciò possibile ridurre il prezzo del sale ed abolire la tassa sul bestiame.

-Sotto Francesco fu iniziata la riforma giudiziaria, continuata e compiuta da Pietro Leopoldo, nello spirito della assoluta  tra le varie parti del Granducato per differenza di legislazione dello Stato ai territori sottoposti alla giurisdizione civile e penale  dei feudatari. liberò le comunità da ogni ingerenza amministrativa degli stessi feudatari. proclamò inviolabile la libertà dei vassalli e adettò ad essi, in caso di abusi. il diritto di ricorso diretto al granduca. Non era ancora abolita la feudalità ma ne era limitato il potere e proibito senz’altro ogni abuso. Francesco attuò anche una nuova politica nei confronti della Chiesa, che incontrò opposizione e contrasti nella parte più retrograda della società ma che, nonostante ciò, continuò per I a energia di governo del Richecourt e di Giulio Rucellai.

Una legge importante fu quella del 1751 che mirava ad arrestare lo sviluppo della “manomorta” ecclesiastica. lega che favorì la libera disponibilità della proprietà terriera e fu il primo passo delle ardite riforme di Pietro Leopoldo. La preparazione della legge fu scrupolosamente accompagnata da preziose tabelle statistiche, risultato di indagini difficilissime per quei tempi. Francesco aveva già dal 1745 riunito la corona di granduca a quella dell’Impero. Stabilì però che alla sua morte la corona granducale, nuovamente staccata da quella imperiale, sarebbe passata al di lui figlio secondogenito, Pietro Leopoldo. Alla di lui morte, avvenuta nel 1765, la Toscana con il nuovo granduca riacquistava la propria autonomia.

Pietro Leopoldo aveva 18 anni quando, nel 1765, divenne granduca di Toscana. Nessun altro principe lo supera per la sua intelligente, ardita e umana opera riformatrice. Iniziò la sua opera con la riforma oraria e trovò nel popolo toscano la comprensione e seguito. Ebbe consiglieri e cooperatori illuminati. Forse per tutte queste convergenze la riforma fu efficace.

Contemporaneamente venivano ripresi con maggior v1gore la bonifica ed il ripopolamento dei territori paludosi e malsani. Questi lavori erano stati iniziati da Ferdinando I ma erano stati interrotti all’inizio del XVII secolo. Pietro Leopoldo staccò la Maremma dal territorio amministrativo senese e ne costituì una amministrazione speciale. ponendovi a capo tecnici idraulici e agrari. Furono costruiti canali. arginati fiumi, fatto colmate, costruite case coloniche e grandi strade di comunicazione. La Toscana ebbe allora una rete stradale che allacciava centri minori ai maggiori e le terre bonificate con i centri di consumo e di mercato.

Più degli interessi di una città, di quella che era stata la città dominante. la rete stradale serviva ai nuovi centri di popolazione rurale che la bonifica creava. Vi è un impulso che agisce su Pietro Leopoldo: la fede nell’avvenire agricolo del Granducato secondo le nuove c interessanti teorie fisiocratiche del tempo. La legislazione leopoldina è animata da tale fede. Già avevamo osservato che uno dei principali problemi dell’  

agricoltura toscana era quello della proprietà. Furono aboliti tutti i vincoli che inceppavano la libertà di produzione, furono sciolti i fidecommissi che la Reggenza non aveva interamente soppresso, furono abolite le “comandate”, le prestazioni servili da parte delle comunità. furono aboliti i prezzi d’ imperio e confermata la piena libertà del commercio dei grani.

Il problema economico agrario era stato da Pietro Leopoldo collegato a quello sociale per revelazione e l’emancipazione del lavoratore. Prese pertanto concreta forma il sistema livellare leopoldino dopo che il latifondo si era frazionato mercé appunto l’istituzione del contratto di enfiteusi. Al frazionamento del latifondo contributi ovviamente la legge creata per l’abolizione della manomorta. del feudo e dei fideocommissi. Il lavoratore si trovava così per la prima volta nella facoltà di poter disporre della terra da ILIi coltivata essendogli conferito il diritto dell’ alienabilità e dell’affrancazione dei terreni. La Toscana trasse dalla riforma agraria elementi favorevoli ad un rapido sviluppo dell’agricoltura.

La riforma amministrativa. creando un nuovo sistema municipale basato sulle rappresentanze civiche, spostò decisamente l’ assetto economico-sociale dalla città alla campagna, formando una borghesia rurale capace di conoscere e regolare da sé gli interessi propri e delle comunità. Assistiamo pertanto alla frenetica attività dei municipi che. controllati dal potere centrale soltanto negli affari che riguardavano controversie con altre comunità, amministrano con oculatezza il Comune, regolano bene le spese per curare strade e canali. distribuiscono con giustizia tasse e imposte, nella convinzione che tutelare gli interessi delle comunità significa anche porre le basi per l’emancipazione ed il benessere dei singoli individui.

La riforma agraria di Pietro Leopoldo favorì specialmente il sistema   degli affitti. Ordinando la legislatura dello Stato in modo di favorire l’agricoltura, il granduca conseguì lo scopo di formare nel suo Stato una riunione di famiglie patriarcali che popolavano le campagne a preferenza della città, e di riportare la provincia a quel livello morale e culturale che la decadenza dell’agricoltura. provocata dalla inerte oligarchia cittadina. aveva paurosamente abbassato.

I problemi dell’agricoltura toscana all’inizio della riforma leopoldina erano numerosi e complessi ed affondavano le origini nella notte dei tempi. Dopo le bonifiche erano aumentati sì i terreni coltivabili ma non erano aumentate le case coloniche. Erano aumentate le superfici dei singoli poderi ma non si erano divise le famiglie, con la conseguenza di moltiplicare sotto lo stesso tetto il numero degli individui. Questo particolare comportava la mancanza di subordinazione al capo famiglia e creava nei componenti, specialmente i giovani, la volontà di procurarsi redditi fuori del podere. Il bestiame normalmente non stava nella stalla ma alla pastura ed era affidato alle cure di giovinetti spesso non volenterosi ed incapaci. Dove però il bestiame, come nella Valdinievole. era nutrito nelle stalle dalla mano dell’uomo. il prodotto era doppio ed anche triplo.a bonifica della Valdichiana

Nel 1763 Pietro Leopoldo I di Lorena assume la guida del Granducato di Toscana. Visitò personalmente la Valdichiana ed in seguito inviò sul posto a compiere studi e rilievi il matematico padre Leonardo Ximenes, l’altro grande matematico Tommaso Perelli e gli ingegneri Pietro Ferrini e Giuseppe Salvetti. Il Salvetti eseguì il profilo della Valle nel 1769, ove risulta che la platea del Callone di Valiano che pareggia il fondo del canale maestro è più elevata di 15 braccia della cresta della Chiusa dei Monaci, dimostrando così di quanto si fossero sollevati il fondo della Valle e quello del canale maestro dopo il 1551, data della perizia di Antonio Ricasoli.

Tutti questi tecnici suggerirono il loro metodo sui lavori di bonifica da eseguire nella Valle e specialmente sulla convenienza o meno di conservare la Chiusa dei Monaci o demolirla. Alcuni tecnici suggerirono di abbandonare il metodo delle colmate, alcuni addirittura di dare libero sfogo alle acque mediante la costruzione di un nuovo grande alveo. Lo Ximenes sosteneva doversi abbassare la Chiusa dei Monaci, fabbricare diversi sostegni lungo il canale per uso di navigazione e costruire a quattro archi i ponti di Arezzo che allora avevano due arcate.

Di fronte a così diverse opinioni Pietro Leopoldo, in attesa di addivenire ad una decisione, invitò i proprietari dei terreni palustri a bonificarli nell’interesse loro e delle comunità, e molti aderirono all’invito venendo talvolta a patti di temporanea cessione. Infine Pietro Leopoldo affidò la So vrintendenza della bonifica ad una deputazione di sei notabili eletti in Valdichiana, in attesa di conoscere l’esito della progettazione degli esperti. La deputazione non dette però buona prova e Pietro Leopoldo la sciolse nel 1788, istituendone una nuova – composta di tre membri, due di nomina sovrana ed uno eletto dai possessori contribuenti. Infine completò il suo intervento affidando la direzione della bonifica a Vittorio Fossombroni, autore delle “Memorie idraulico-storiche sulla Valdichiana” che tenne la Sovrintendenza dal 1788 al 1827, cioè anche nell’interposto periodo francese. Nel 1794 il Fossombroni fu nominato anche Sovrintendente generale del dipartimento delle acque della Valdichiana dal quale dipendevano oltre ai lavori di bonifica anche la regolazione delle colmate.

Quando il Fossombroni assunse la direzione della bonifica, la maggior parte della Valle era già ridotta a pastura ed a sementa, tranne una piccola parte nel piano di Chiusi ed i due laghi. Non erano però totalmente fruttiferi i terreni adiacenti ai bassi tronchi dei fiumi. Il Fossombroni dichiarò che al presente la Valle non era più bisognosa di bonifica ma necessitava di lavori che la mantenessero in condizione di fruttare. Osservò il Fossombroni che la torre di Valiano, demolita, aveva subito un interramento di oltre 10 braccia ed altri interramenti erano avvenuti in prossimità di Foiano.

Il Salarco entrava nel chiaro di Montepulciano. Il Monaco entrava nel Chiarino, ca datra l’uno e l’altro lago, la Tresa voltava verso il Callone del Campo alla Volta e l’Astrone andava più oltre e passando l’argine di Clemente e la Torre dei Ladri andava nella Chiana .

Il Fossombroni constatando che le colmate avevano servito sino allora a bonificare soltanto appezzamenti di terreno, intese a modificare il piano di ogni bonifica di tutta la Valle, ritenendo che prima di dare libero corso alle acque torbide occorreva dare a tutta la Valle ed alla campagna laterale una pendenza regolare, appunto perché le acque non chiarificate potessero in futuro convogliarsi verso l’Arno, liberamente. Allora la Chiana non sarebbe più stata un canale ma un fiume.

    Nel 1789 i rii dell’Olmo, di S. Anastasio e di Pieve al Quarto facevano “colmata
     presso la Chiana. I rii di Vitiano e di Cozzano venivano a fare una piccola
    colmata presso la piana di Brolio, quasi di fronte a Cesa. Il Vingone, il Biguzzo
  ed il Celone di Castiglione insieme al Cigliolo, al Loreto e all’Esse di Cortona
    mandavano le loro acque a colmare lungo la Chiana, tra la collina di Brolio e quella delle Capannacce ed il Montecchio. La Mucchia di Cortona scaricavasi a
    colmare lungo la Chiana quasi di fronte a Foiano, dove dalla parte opposta
    mandava le sue acque per formare colmata l’Esse di Monte S. Savino. La Foenna
    e la Fuga colmavano lungo la Chiana di faccia quasi ad Acquaviva e ad Abbadia.

Il Torricelli aveva affermato che era impossibile bonificare la Valle sen-

za prima togliere una grossa fetta di terreno verso Arezzo, il che impediva loro la soluzione essendo impossibile convogliare la Chiana in Arno per l’abbassamento di tutto il fondo valle. Fossombroni enunciò la teoria che si poteva fare il contrario: elevare il livello della Valle superiore verso Chiusi mediante

colmata. ln questo modo si rese perciò disponibile a ricevere un influente di più man mano che questi aveva “colmato”. Fossombroni riteneva che entro un secolo si poteva cessare di regolare artificialmente il corso delle acque, lasciando la natura ormai libera di continuare nel ciclo ormai a di +definitivamente stabilito. Proseguendo la bonifica sembrò fosse possibile abbassare la Chiusa dei Monaci ma si preferì invece praticare nella parte destra uno scaricatore fornito di cateratte, la cui soglia inferiore era più bassa della cresta della pescaia, per poterne usufruire all’occorrenza.

Nel 1780 tra il Papa Pio VI e Pietro Leopoldo fu stabilito un trattato per regolamentazione idraulica della Valle e delle acque di confine. Fu stabilita la nuova inalveazione della Tresa, la modifica del recapito del Maranzano nella Tresa stessa per dare sfogo all’uno e all’altra nella palude delle Bozze e nel chiaro di Chiusi, salvo valersene ancora per alcuni anni per “colmare” i luoghi più bassi appartenenti allo Stato Pontificio. E affinché le acque il torbide della Tresa e del Maranzano non turbassero il sistema di quelle quantità di acque chiare orche doveva portarsi liberamente in un più profondo canale al Callone ed alla Chiana romana, si ricostruì un argine di separazione alto 6 braccia e largo 4, attestato dalle colline di Chiusi sino al lato opposto alle colline

di Città della Pieve. Il nuovo argine delimitò il confine tra la Chiana toscana e la Chiana romana in modo definitivo, sebbene fossero sorte quasi subito controversie tra i confinanti e messa anche subito in dubbio la convenienza di conservarlo.

Nel 1790 si pensò anche di abbassare il regolatore di Valiano per concedere uno scarico più abbondante nella Chiana alle copiose acque del chiaro di Chiusi, del chiaro di Montepulciano e delle campagne superiori. A ciò si oppose il Fossombroni per il timore che una maggiore copia di acque nell’alveo della Chiana potesse arrecare pregiudizi alle ubertose e popolate campagne inferiori.

In un atlante composto di oltre 100 tavole attualmente nell’archivio comunale di Foiano, sono rappresentati tutti i terreni strappati alle acque con i terreni di proprietà del granduca colorati in giallo, quello dei privati in bianco e quelli appartenenti alla Religione di Santo Stefano colorati in rosso. Da questo atlante si rileva che salvo limitate proprietà private, il granduca possedeva personalmente le fattorie di Dolciano, di Rigutino, di Policiano e del Bastardo, mentre tutto il rimanente apparteneva ai Cavalieri di S. Stefano.

L’Ordine acquisì anche altri terreni man mano che la bonifica proseguiva e nel 1797 acquistò dai monaci Benedettini di Arezzo il molino di Ponte a Chiani con la famosa Chiusa. Essa serviva all’Ordine a disporre del controllo delle acque della Valle. L’Ordine possedeva anche grandi magazzini per i raccolti, uno al ponte alla Nave, uno a Montevarchi ed uno a Firenze. Aveva inoltre fabbricati e rimesse a Cortona, ad Arezzo e a Monte San Savino. Una perfetta contabilità veniva tenuta in merito alla quantità dei raccolti, delle spese annue, delle medie dei redditi sia dei terreni coltivati sia di quelli tenuti a prateria, in “colmazione” o a bosco.

Non era prevedibile in quel momento di grande prosperità e potenza dell’Ordine di S. Stefano, che entro pochi anni la rivoluzione del 1799 avrebbe travolto proprio direttamente i Cavalieri della Religione di Santo Stefano.

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IL LIBRO DELLA CHIAREZZA

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  “Il libro della chiarezza”  Sepher ha-Bahir

Federico P.

Questo contributo del carissimo Fratello Federico P. che si offre alla lettura e allo studio, è la prima traduzione integrale in lingua italiana, di uno dei tredici capitoli sciolti dello Zohar. Tale trattato, considerato dagli studiosi il nucleo portante del Libro dello Splendore, oltre ad essere annoverato tra i “capitoli sciolti”, è da considerarsi, anche, slegato nel soggetto, è, infatti, costituito da una serie di paragrafi senza alcuna consequenzialità argomentale. I contenuti di tali paragrafi, ripresi ed ampiamente argomentati,  dipingono comunque i temi trattati nelle varie sezioni dello Zohar.

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§27 La lettera Beth ricorda a causa della sua forma (b) la genesi dell’uomo, la quale, per merito della Saggezza divina, si compie in un corpo chiuso da ogni lato e aperto davanti. La lettera Aleph (a) è aperta anche nella parte inferiore, per ammaestrarci sul fatto che essa riceve, da Kether, il seme dall’apertura posta sopra e lo trasmette tramite quella posta sotto.

§28 Da dove sappiamo noi che la parola schamaim (cielo) indica il Santo, benedetto sia? Dalle seguenti parole della Scrittura (III Re VII,32): esaudiscici, schamaim.

Ora, si può supporre che Salomone invocasse il firmamento? Certamente no! esso invocava Dio che porta il nome di Schamaim. Perché è indicato con questo nome? Perché il firmamento, a causa della sua forma rotonda, assomiglia ad una testa. Inferiamo inoltre, da questo nome, che Dio ha alla sua destra l’acqua e il fuoco alla sua sinistra, in modo che egli dimori nel mezzo. La parola schamaim, infatti, si pronuncia scia mai; ora, se si capovolge l’ordine delle lettere della parola scia, si ottiene esc mai (fuoco e acqua), Dio armonizza, pertanto, il fuoco e l’acqua. Quando è il fuoco ad avvicinarlo trova la gradazione del fuoco, e quando invece è l’acqua, essa trova quella dell’acqua. É per questo che la Scrittura dichiara (Giobbe XXV,2): egli fa regnare la pace nei suoi alti luoghi. Decidiamo, quindi, a proposito della parola schamaim, che il Santo, benedetto il suo nome, ha unito il fuoco all’acqua unendoli insieme facendone il principio delle sue parole, proprio come è scritto (Salmi CXIX,160): la verità è il principio delle tue parole.

§29 É scritto (Genesi I,2): e la terra era thou e bohu. Quando il Santo, benedetto il suo nome, dimorava ancora tra le qliphoth (i gusci), o meglio tra i demoni, creava e subito distruggeva i mondi, dacché la linfa celeste non poteva fluire fino a loro, come è già stato detto. Il passo (Giobbe XIV,11): il fiume abbandonando il suo letto si prosciuga, indica il Giusto che era assente nei due mondi: in quello presente e in quello futuro. Secondo un ‘altra lettura, le parole: Dio creò i cieli e la terra sottintendono i mondi che intese lasciar sussistere, mentre le parole: e la terra era thou e bohu, indicherebbero quelli che aveva in mente di creare, ma che, non avendoli più nel suo proposito non presero consistenza; ed è proprio questo quello che la tradizione intende con l’enunciato: Dio creò dei mondi e li distrusse. Egli aveva in mente di creare numerosi mondi ma, in seguito, scegliendo sentenziò: questi mondi sono di mio gradimento, quegli altri no. É dell’epoca in cui Dio dimorava ancora tra le qliphoth che la Scrittura riferisce (Lamentazioni III,44): hai posto dinanzi a te una nube impedendo alla preghiera di giunge fino a te. Era il tempo del thou e del bohu di cui la Scrittura ricorda (Esodo XIV,20): e la nube era tenebrosa. Sono i gusci della noce; il cui frutto è posto al centro e diviso in quattro parti; porzioni, che corrispondono alle quattro lettere del nome Jéhovah, il quale non è mai insudiciato dalle impurità, così come è scritto (Geremia XXIII,29): le mie parole sono come il fuoco, dice il Signore; infatti, come il fuoco non può essere insudiciato da impurità alcuna, così non può esserlo il Nome sacro.

Allorquando le qliphoth giunsero a maturazione, non potendo più aderirvi, si distaccarono dal frutto [noce], fu allora che la preghiera della Schekinah, che è Adonaï, fu in grado di elevarsi fino al suo sposo Jéhovah. In effetti, fino a quando la Schekinah si trova avvolta dalle qliphoth, rimane nascosta al suo sposo; in questo caso porta il nome di “povera” e “sterile” mancando di chi può armonizzarla in segreto. Ma quando il Santo, benedetto sia il suo nome, spoglierà la Schekinah, dalle qliphoth che l’avvolgono, la profezia si compirà (Isaia XXX,20): e colui che ti istruisce non sparirà più dalla tua vista; e i tuoi occhi vedranno il Maestro che ti ammaestrerà. Così la Schekinah prima sterile, colmerà tutta la terra della sua gloria (Isaia VI,3). La sua benedizione sarà l’olocausto che consumerà le qliphoth.

§ 30 É scritto (Genesi I,2): e lo spirito di Elohïm aleggiava sulle acque. “Lo spirito di Elohïm” conforma lo spirito del Messia; nel momento in cui esso aleggerà sulle acque della Legge, allora la Liberazione avrà inizio, infatti la Scrittura aggiunge: e Elohïm disse: che la luce sia .

La Scrittura dice (Genesi III,23): e Jéhovah scacciò Elohïm dal giardino dell’Eden. Nel momento in cui l’uomo peccò, Dio allontanò il Messia, che dimorava nel giardino dell’Eden, così come è riferito: Jéhovah scacciò Elohïm dal giardino dell’Eden, il che vuol dire: allontanò dal suo Eden se stesso. E perché lo allontanò? La Scrittura risponde: … Affinché coltivasse la terra, vale a dire la Schekinah. La Scrittura aggiunge (Genesi III,24): e mise due Cherub dinanzi al giardino dell’Eden. Questi due Cherub sono: Il Messia, figlio di David, e il Messia, figlio di Giuseppe, i quali però non sono che un’unica persona [1]. Lo spirito del Messia, indicato con le parole “spirito di Elohïm” è anche chiamato (Genesi XLIX,10): Schiloh. É di questo spirito che riferisce la Scrittura (Numeri XI,25): e il Signore disceso nel nembo parlò a Mosè, prese lo spirito che era in lui e lo infuse ai settanta anziani”. Infatti il nome “Schilon” ha valore numerico identico a quello della parola Mosè. La parafrasi “E egli mise dinanzi… “ sta a significare che il Messia avrà il nome di “Schilon” posto prima dei due altri nomi[2], affinché il suo Spirito possa aleggiare sulla Legge, essendo la Liberazione condizionata alla sua presenza. La Scrittura aggiunge: … Che facevano volteggiare una spada di fuoco. Questa spada si trova nelle mani del Messia. E cos’è questa spada? É Metatron che si trasforma; talvolta in verga, altre volte in serpente. La verga indica, tra le altre cose, la Schekinah del basso. Se Israele è degno, la verga inclina dal lato destro, da dove promana la Clemenza; in caso contrario, la verga inclina dal lato del Rigore ove risiede il serpente, il “dio straniero” che tende all’assassinio, per cui il Messia verrà ucciso, come anche gran parte di Israele. É a tale evento che fanno riferimento le parole della Scrittura (Ruth III,13): … Resta coricata fino al mattino. É il “mattino di Abramo” durante il quale la verga inclinerà dal lato della Clemenza. É per questo che la Scrittura la chiama “Spada che volteggia”. Questa spada serve a custodire l’Albero della Vita vale a dire la Legge; chiamata a sua volta dalla Scrittura “Albero di Vita”. Sotto tale definizione è simboleggiata soprattutto la Legge orale. Per il Giusto, essa è un raggio di vita; ma per chi non lo è, essa si trasforma in un veleno mortale, come è stato riferito dai maestri della Mischna[3]. Ecco perché talvolta la verga si trasforma in serpente e il serpente in verga. Ma al tempo del Messia, saranno sterminati tutti quelli di cui la Scrittura racconta (Esodo VII,11): e i maghi egiziani eseguirono l’identica cosa tramite incantesimi.

§ 31 Una volta Rabbi Boon era seduto e spiegava le parole del versetto (Isaia XLV,7): sono io che formo la luce e creo le tenebre. Perché tale varietà di vocaboli? Perché la luce è una cosa reale, mentre le tenebre non lo sono affatto; ora, per tutto ciò che non è reale la Scrittura adopera la parola “creare” (bara), così come è detto (Amos IV,13): … formò i monti e creò il vento. La Scrittura riporta (Genesi I,4): ed Elohïm disse: che la luce sia fatta (iehi), e la luce fu fatta (va-iehi). “Iehi” esprime dunque una azione; pertanto la luce è cosa reale. Ecco il motivo per cui la Scrittura fa uso, a proposito della luce della parola “formare”, mentre, per le tenebre adopera un lemma che non lascia intendere alcuna azione. Il passo della Scrittura riporta difatti: … creò le tenebre.

La parola “bara” esprime anche l’idea “di inganno, illusione” nel senso del proverbio: Un tale ha ingannato (habri) ecc. Rabbi Berekhya chiese: Per quale motivo la Scrittura riporta: … Va-iehi òr invece di : … Ve-haiah òr?[4] Rabbi Boon rispose, questo è spiegabile con la seguente metafora, un re possedeva un oggetto prezioso e lo custodiva con estrema cura desiderando di trovare un luogo consono per esporlo. Ecco… la luce preesisteva già prima della creazione per questo la Scrittura usa la parola “va-iehi”.

§ 32 Il settimo cielo costituisce “l’Oriente” del mondo: e è da la che proviene il seme d’Israele: infatti è il midollo spinale che trasferisce la materia dal cervello a quel membro in cui essa si trasforma in seme, così come è riferito (Isaia XLIII,5): io riporterò dall’oriente il tuo seme. Quando Israele è rispettoso dei comandamenti, il seme gli giunge dall’Oriente e si rinnova continuamente; ma quando, al contrario, è iniquo riceve del seme già usato, come è detto (Ecclesiaste I,4): una generazione passa, e una generazione subentra. É la medesima generazione passata che si manifesta nuovamente. E cosa significano le parole: … io ti riunirò dall’occidente? La parola occidente indica quella regione ove le semenze sono mischiate le une alle altre; da qui il nome maàrab. Questo è spiegato con il racconto allegorico del figlio di un re che possedeva una fidanzata bella e pia, alla quale offriva gemme del tesoro di suo padre. Essa accettava tutti i doni conservandoli insieme. Dopo un certo tempo il figlio del re manifestò il desiderio di vedere tutte le ricchezze radunate. Ecco perché la Scrittura dice: … e io ti riunirò dall’Occidente. Che cosa riunirà? Le semenze che sono state seminate dall’Oriente. In effetti questo versa il suo seme nell’Occidente e dopo un certo tempo viene a radunare quanto seminato.

§ 33 Perché il numero sette? Per concordare con i giorni della settimana. Ne inferiamo che ciascun giorno della settimana possiede una potestà peculiare. Ciò nondimeno quale relazione intercorre tra questo numero e la Saggezza infinita? Esso ci fa conoscere che, come esiste una Saggezza infinita nell’orecchio dell’Ineffabile, così ciascuna delle altre membra ha la sua propria potestà. Questo corrisponde ugualmente alle sette membra principali dell’uomo, come è detto (Genesi IX,6): … Poiché l’uomo è stato creato ad immagine di Elohïm.

§ 34 L’anima dell’uomo emana dal principio maschile, e quella della donna dal principio femminile. Questo è il motivo per cui il serpente conveniva tra se: poiché Eva emana dal lato sinistro, dal Nord, giungerò presto a sedurla. In cosa consisteva la seduzione? Ebbe rapporti intimi con essa. Avendo alcuni discepoli chiesto a Rabbi Shimon come la cosa fosse possibile, il maestro rispose: l’empio Samael si adunò con tutte le sue legioni celesti di fronte al proprio Maestro. Quando il Santo, benedetto sia il suo nome, sentenziò (Genesi I,28): … e dominerete sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, Samael si chiese in quale maniera avrebbe potuto indurre l’uomo al peccato, facendolo così scacciare dalla presenza di Dio. Disceso sulla terra accompagnato dalle sue schiere, cercò un alleato che gli fosse simile. Trovò il serpente, che primitivamente aveva la forma di un cammello[5]. Ritornò nell’Eden superiore e andò a cercare la donna alla quale disse (Genesi III,1): sebbene Dio ti abbia comandato di non mangiare del frutto di tutti gli alberi che sono nel Giardino, ecc.. Samael si proponeva, esasperando il comandamento di Dio, a costringere la donna a trasgredirlo. La donna infatti rispose: Dio ci ha proibito soltanto l’Albero del Bene e del Male, raccomandandoci di non mangiarne i frutti e di non toccarli, per timore di morire. La donna aggiunse due altre prescrizioni che non provenivano da Dio, essa infatti affermò (Genesi III,3): … Dei frutti dell’albero che è nel Giardino, Dio ci ha comandato di non mangiarne. É una esagerazione, considerato che Dio non aveva vietato che i frutti dell’Albero del Bene e del Male. In seguito aggiunse: … E di non toccarli. É un altra esagerazione, considerato che Dio aveva soltanto proibito di mangiarne i frutti. Samael, l’empio, si avvicinò allora all’Albero e lo toccò. Questi lanciò un grido e parlò così (Salmi XXXVI,12): che il piede dell’orgoglioso non giunga fino a me, e che la mano del peccatore non mi sfiori. Il serpente disse allora alla donna, ho toccato l’Albero e tuttavia non sono morto, tu puoi fare altrettanto, e non morrai. Essa toccò l’albero, ma avendo veduto l’angelo sterminatore presentarsi dinanzi ad essa si disse: forse sto per morire, e il Santo, benedetto egli sia, creerà un altra donna e la donerà all’uomo. Non è giusto, vivremo tutte e due o moriremo entrambi. É allora che donò il frutto a suo marito perché ne gustasse. Appena questi ne ebbe mangiato e gli occhi di entrambi si schiusero, disse alla sua donna il frutto che ho mangiato non è offensivo soltanto per i mio palato, ma lo sarà anche per quello di tutte le creature. Quando Dio chiese ad Adamo ove fosse, rispose (Genesi III,10): ho inteso la tua voce nel Giardino e ho avuto paura, perché ero nudo, – nudo di buone opere, nudo di obbedienza ai comandamenti di Dio. Ora, l’abito di nascita di Adamo consisteva nella punta delle sue unghie. Interpellato Adamo riferì: Maestro dell’universo, se fossi vissuto da solo avrei forse ugualmente peccato dinanzi a te; ma avendomi destinato una donna, questo evento è inevitabile, infatti è stata proprio lei che mi ha indotto a trasgredire il tuo comandamento. Il Santo, benedetto sia il suo nome, disse ad Eva: non ti sei compiaciuta di peccare da sola, ma hai anche sedotto l’uomo! Avendo Eva accusato a sua volta il serpente, Dio li adunò tutti e decise: maledì la donna e l’uomo con nove maledizioni e con la morte, scacciò Samael con tutti i suoi compagni dalla regione sacra del cielo, amputò i piedi al serpente e lo conclamò come più esecrabile fra gli animali della terra condannandolo a cambiare pelle ogni sette anni.

§ 35 É scritto[6] (Isaia LV,1): venite, acquistate senza denaro e senza alcun baratto, il vino e il latte. Che cosa significano “Il vino e il latte”? E quale rapporto esiste fra questi due liquidi? Il vino simboleggia il timore[7], ovverosia il Rigore e il latte la Clemenza. Poiché siamo più frequentemente il soggetto del timore, la Scrittura antepone il vino al latte. Possiamo con ciò, ipotizzare che la Scrittura voglia indicare in senso stretto il vino e il latte? Assolutamente! Essa indica, piuttosto, le realtà  di cui questi due liquidi sono il simbolo.

§ 36[8] Secondo un altra versione, Rabbi Hiya disse che i figli di Dio, di cui parla la Scrittura (Genesi VI,2), sottintendono gli angeli del lato cattivo da sempre corrotti[9]. É quanto emerge dalle parole (Genesi VI,4): ne nacquero dei fanciulli che furono uomini potenti e famosi nel loro tempo. La Scrittura non riporta “schem” ma “ha-schem”[10]. Allo stesso modo le parole della Scrittura (Salmi XXV,6): ricordatevi, Signore, delle vostre bontà e delle vostre misericordie, che avete manifestato da sempre (meòlam), annunziano i patriarchi che costituiscono il basamento del trono sacro superiore. Rabbi Isaac aggiunse: La parola “meòlam” indica il letto del Re Salomone….[11].[Segue]

 NOTE

[1]L’edizione a stampa di Amsterdam e quella di Vilna riportano AB$MD  in luogo di WHNYA  RXD. [Torna al testo]

[2]Cioè prima dei nomi di “Figlio di David” e “Figlio di Giuseppe”. [Torna al testo]

[3]Confrontare Talmud, tr. Sabbath, foglio 88b, e tr. Yoma foglio 72b. [Torna al testo]

[4]HYXW esprime piuttosto l’idea del divenire, dell’essere creato ex novo, mentre YHYW esprime soprattutto l’idea dell’apparire di cosa già preesistente. [Torna al testo]

[5]Consultare nota 11 della sezione “Bereschith”, ai Riferimenti. [Torna al testo]

[6]Tutto questo passo è estratto dal Midrasch Ruth, dello Zohar Hadasch, foglio 63b; mentre nell’edizione di Venezia si trova al foglio 35a. [Torna al testo]

[7]La parola Timore non va intesa nel senso stretto del termine, ma con l’estensione metafisica che ne propone lo Zohar. A tale proposito consultare: Preliminari, foglio 11b: “Tutte le prescrizioni della Legge nel racconto della Genesi”, tradotte in Appendice a (Prima e seconda prescrizione). [Torna al testo]

[8]Tutto il paragrafo che segue, si trova in una nota a margine delle edizioni di Sulzbac foglio 19a. Sarebbe dunque un errore averlo intercalato nel testo. Noi ne proponiamo comunque la traduzione. [Torna al testo]

[9]Cioè: questi angeli, in realtà, non hanno mai subito una caduta, ma erano corrotti fin “Nel Principio”. [Torna al testo]

[10]Questa interpretazione fa perno sulla parola OLWEM e su O$X. [Torna al testo]

[11]Il seguito delle parole di Rabbi Isaac manca. [Torna al testo]

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BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

di

Blasco Mucci

Premessa

Anche noi toscani abbiamo appartenuto indirettamente a quella “Austria felix”, così definita dal buon governo di principi illuminati, dall’esistenza di una amministrazione onesta e parsimoniosa, di tecnici attivi e competenti, ma soprattutto da una concezione austera ed armoniosa della vita in cui ognuno, nella sua situazione e nelle sue competenze, trovava soddisfazione, rispetto e dignità.

Gli Asburgo-Lorena, successori dei Medici, diedero alla nostra regione sviluppo artigianale, industriale ed agricolo, strade ancor oggi essenziali ai nostri trasporti, bonifiche di terre trascurate da secoli, regimentazioni delle acque ancor oggi indispensabili e, purtroppo, mai più continuate, con i risultati che tutti i fiorentini ben conoscono. Più ancora, gli Asburgo-Lorena diedero, alla Toscana ed ai Toscani, diritti e libertà che precorsero quelli auspicati dalla Massoneria.

Quelli che furono poi i primi membri fiorentini della Massoneria ebbero un notevole ruolo nell’auspicare prima, e nello stabilizzare poi, il passaggio del Granducato a Francesco di Lorena, sotto il nome di Francesco Ill. Il Marchese Giulio Rucellai, Segretario della Giurisdizione, il Marchese Carlo Rinuccini, Ministro sotto Gian Gastone e poi del primo dei Lorenesi, Giovanni Lami, noto ed influente erudito, ed altri minori personaggi, avevano, infatti, appoggiato l’avvento dei Lorena

La gratitudine di questo sovrano, chiamato dai fiorentini “il fratello lorenese” protesse poi l’Ordine ed i suoi membri, contro lo strapotere ecclesiastico dell’inquisizione, fino alla sua abolizione, il 5 luglio 1782. I Lorena suoi successori mantennero lo stesso benevolo atteggiamento verso la Massoneria. Non è da dimenticare che, proprio in Toscana, a Lucca e Livorno, con il sostegno di Pietro Leopoldo, furono pubblicate le prime due edizioni dell’Enciclopedia, la monumentale opera illuminista, quando era stata già posta all’indice, nel Marzo del 1759.

La concezione politica dei primi Granduchi Lorenesi era improntata agli ideali massonici, che ponevano nella pubblica felicità lo scopo dei governi, attraverso la tolleranza ed il rispetto dei diritti altrui, e, nel loro fine ultimo, la Fratellanza universale. La libertà di culto, l’abolizione della pena di morte, il principio della reciproca collaborazione e fiducia fra governanti e governati, ciò che Pietro Leopoldo stesso definiva la “cooperazione ed il consenso dei soggetti interessati”, fecero scrivere al fratello Mirabeau che:

”L’Europa del XVIII secolo può essere veramente felice perché ha voluto mettere alle due estremità del continente due sovrani, così rari in tutti i secoli, quali Gustavo [di Svezia] e Leopoldo”.

La raffinata ideologia umanistica di Pietro Leopoldo non penetrò purtroppo nell’anima popolare, in cui godeva in ogni caso considerazione e rispetto, ma rimase appannaggio delle classi colte fiorentine, che ebbero modo di formare delle colte accademie tuttora esistenti e culturalmente vivaci.

La validità riformistica indotta dall’illuminismo in Pietro Leopoldo ebbe quindi degli altissimi estimatori, che formarono una élite, cosciente di essere all’avanguardia in Europa. maggiori spiriti toscani, nei principi della costituzione Leopoldina, videro un equilibrato ed efficiente compromesso fra la libertà nazionale e autocrazia illuminata. .

In quest’ambiente la stessa Rivoluzione francese fu vista come derivante da quegli stessi mali debellati pacificamente in Toscana, ed i suoi eccessi furono condannati, anche se compresi nel loro aspetto di dolorosa catarsi sociale.

Quest’equilibrio, politico e sociologico, ha una intrinseca natura massonica; per la sua ideologia umanistica a Massoneria è riformista o anche rivoluzionaria quando a  ciò è necessario all’evoluzione umana, ma, per le stesse motivazioni, ha in se anche elementi, bilancianti, di conservazione e di moderatismo.

Pietro Leopoldo, lasciando la Toscana per l’Impero, nonostante le gravi difficoltà e responsabilità dell’altissimo incarico, e le persistenti dicerie sul complotto massonico contro i troni e gli altari, sfociato nella Rivoluzione, mantenne una profonda coerenza di riformista, proteggendo coloro che, indicati come illuminati dalla propaganda antimassonica, conservarono, sotto il suo regno, proprietà, libertà e titoli. È inoltre nota la protezione e a benevolenza verso la Massoneria di un altro grande Asburgo-Lorena, l’imperatore Giuseppe: in un suo noto editto, l’esistenza della Massoneria nelle nazioni sottoposte all’impero era accettata e regolamentata.

La reazione dei principati europei, e soprattutto quella clericale, vide negli eccessi rivoluzionari la conseguenza dell’illuminismo e del riformismo della Massoneria, che avrebbe invece voluto un equo e pacifico trapasso di una parte dei poteri sovrani ai rappresentanti del popolo.

La leggenda del complotto massonico non ebbe tuttavia troppi estimatori in Europa, tranne che in Italia dove l’esistenza del potere temporale del Papato stravolse ogni possibilità… di contatto e rapporto fra Massoni e grandi masse popolari. Quando un principe come il popolare “Canapone”, ultimo Granduca lorenese di Toscana, prese la strada dell’Austria in carrozza, come un privato cittadino, la Massoneria toscana, nell’entusiasmo dell’unità italiana, non si rese conto di aver perso forse l’ultimo difensore ed assertore nei fatti dell’essenza ideologica più profonda e vera della Massoneria.

Ma dei Lorena, in Toscana, non rimane soltanto il globo chiodato ai crocicchi delle vie, ma un’impostazione di vita e di pensiero che per quanto patrimonio d’élite trova risposta anche nell’istinto del popolo, che, alla fine, ritrova sempre il fiuto per l’odore che distingue i buoni dai cattivi padron

Note

Francesco d’ Asburgo, Duca di Lorena era stato iniziato all’Aia in Olanda, nel 1731.

Il Granduca inviò a Benedetto XIV una lettera in cui difendeva la libertà di stampa vigente in Toscana, in cui si affermava, a proposito del comportamento dell’inquisizione nel caso Crudeli,: ” Prima che io mi partissi di Toscana mi fu domandato l’arresto di due dei miei sudditi per supposti delitti di fede, mai non può immaginarsi un caso più Circostanziato di quello, per poter negarlo. E noto a V. S. l’esito di quel processo, com’è noto a me, ch’ho avuti in mano i documenti autentici, ond’ella avrà una giusta idea dell’impressione che mi deve aver prodotto, e s’io abbia luogo senza offendere il dovere ed il lume della mia ragione medesima di restare ancora in dubbio o nell’indifferenza su questo punto” Traduzione di un biglietto di propria mano della Maestà Imperiale e Reale l’ Imperatore, concernente l’Ordine dei Liberi Muratori.

“La Libera ‘Muratoria si è talmente diffusa nei miei Stati, che non vi è alcuna piccola città di provincia ove non vi sia una Loggia e vi è la più grande necessità di stabilire un certo ordine. Io non conosco i loro misteri, e non ho mai avuto la curiosità di penetrarli; mi è sufficiente di sapere che i Liberi Muratori fanno sempre qualche bene, che sostengono i poveri. coltivano e proteggono le lettere, per fare per essa qualcosa in più che in ogni altro paese.

Ma siccome la ragion di stato ed il buon ordine domandano di non lasciare alcuno a se stesso e senza alcuna particolare ispezione, penso di prenderli sotto la mia protezione e di accordargli la mia grazia speciale se si comportano bene, alle seguenti condizioni:

I – Non vi sarà nella Capitale che una o due Logge, o se fosse impossibile riceverci tutti i Fratelli, tre tuttalpiù. Nelle città ove vi sia un’autorità, si permetterà una, due o tre logge. Tutte le Logge nelle città di provincia dove non vi sia autorità, sono rigorosamente vietate, e l’ ospite che accetta assemblee nella sua casa, sarà punito come un criminale che permette dei giochi proibiti.

2 – Le liste di tutte le Logge e dei loro membri saranno inviate al Governo, i giorni dell’assemblea sempre comunicati; ogni tre mesi si invierà un esatto dettaglio dei membri che sono stati ricevuti nella Loggia, o che l’hanno lasciata, ma senza annunziare i titoli. dignità e gradi che vi sono nelle Logge. Soddisfatto tutto ciò il Governo accorda ai Liberi Muratori accettazione, protezione e libertà; lascia interamente alla loro direzione le questioni interne delle Logge e delle loro costituzioni, senza far mai delle curiose inquisizioni. In questa maniera, l’Ordine dei Liberi Muratori, che è composto da un gran numero di gente onesta da me conosciuta, può divenire utile allo Stato: si comunichi questa ordinanza al Governo delle Provincie”. P. S. L’esecuzione di questa ordinanza cominci dal primo di Gennaio.

Quando. nella metà del XVIII secolo, si venne compiendo una vasta opera riformatrice, questa si ispirò alla necessità di eliminare il dislivello tra città

dominante e provincia soggetta. Infatti tutti i ministri e gli uomini di Stato che promossero queste riforme si sforzarono di dimostrare l’enorme sacrificio

che la provincia aveva sopportato nei confronti della metropoli. L’ industria della capitale. che aveva monopolizzato il mercato e subordinato ai propri interessi  l’economia generale dello Stato toscano, apparve allora come la principale causa di questa sperequazione. L’origine era nel Comune, manifatturiero e commerciale, che aveva combattuto per la conquista dei mercati e per l’egemonia economica, e che nella legislazione protettiva e proibitiva, aveva trovato l’arma più valida per mantenere il contado prima e, dopo le conquiste, il distretto in una condizione di dipendenza.

La dinastia dei Medici aveva sì guardato al di là delle mura cittadine e constatato la necessità di favorire l’evoluzione in certe città del dominio come Pisa e Livorno. ma sempre in correlazione con i privilegi mercantilistici della metropoli che non furono mai intaccati ma anzi rafforzati. In questa contraddizione consiste il difetto maggiore della politica medicea, che da un lato è l’espressione di una unità più coerente dello Stato, e dall’altro è un processo di accomodamento e di compromesso tra i nuovi bisogni di uno Stato accentrato ed i sistemi e gli istituti del vecchio regime.

I ministri della reggenza di Francesco Stefano di Lorena, quando questa dinastia ebbe il governo della Toscana. notarono gli anacronismi, le incongruenze e la eterogeneità del sistema. In Toscana non si era ancora sviluppato nella sua pienezza lo Stato moderno che ha per fine l’assoluto assoggettamento di tutti i sudditi alla sovranità del principe, ponendo fine all’esclusivo dominio di una classe o di un gruppo. Se in uno Stato, col persistere dell’economia cittadina mercantilistica resta in piedi la struttura sociale che da questa è nata, tutte le istituzioni privilegiate conservano la prevalenza perché sono artificiosamente mantenute le condizioni necessarie al loro sussistere. Non essendo perciò in Toscana cambiato indirizzo nella politica economica. la progressiva decadenza del sistema ha reso questo più rigoroso ed ha fatto incrudelire la legislazione.

Al Consiglio di Reggenza di Francesco di Lorena, le condizioni della Toscana apparvero ovviamente artificiali e dovute ad un sistema coercitivo mantenuto saldo da ceti interessati a non rinunciare agli utili che questo sistema loro assicurava. Si presenta la necessità di risolvere il problema del dualismo città-campagna e molte opere furono scritte per combattere I ‘ esclusiva egemonia della metropoli nella sua forma più esosa: la politica annonaria. Questa politica sacrificava agli interessi delle classi cittadine quelle dei contadini e salvaguardava i privilegi di cui godevano le arti e le industrie a danno degli altri ceti produttivi. Il concetto di questa politica è che la capitale è tutto, e lo Stato deve servire ad essa.

Quando si parla di “popolo” e quando si dice  che i prezzi bassi imposti dall’ Annona sono a favore di esso. in realtà non si pensa che ai consumatori cittadini e all’oligarchia sorta dalle manifatture e dai commerci della classe dominante. L’esclusivismo feudale ereditato dal Comune aveva generato il privilegio cittadino e questo privilegio non muore di consunzione ma occorre un coraggioso movimento riformatore per debellarlo completamente. Bisogna arrivare alle riforme leopoldine per assistere ai primi albori di una politica liberale perché il fine di queste riforme mirava ad abbattere il dualismo tra città e provincia. a eguagliare i sudditi nei loro diritti essenziali ed a potenziare l’ agricoltura per ottenere il maggior aumento possibile di prodotti alimentari.

Il successore di Ferdinando. Cosimo II. fu studioso di agricoltura. di botanica e di idraulica ed iniziò una vasta opera di bonifica delle paludi, accordando privilegi ed esenzioni a coloro che si fossero trasferiti nelle zone bonificate. Sotto Ferdinando II. successore di Cosimo II. le cose tornarono al peggio, sia per gli aggravati oneri fiscali e sia per la fissazione dei prezzi di imperio dei cyrani che indussero i contadini ad abbandonare i campi e ad annullare così i benefici delle bonifiche di Ferdinando I.

Verso la fine del Seicento. con Cosimo III, si tentò di mitigare la crisi dell’agricoltura con il diminuire le imposte e ripartire la spesa delle bonifiche tra i vari interessati non tenendo conto alcuno delle resistenze ecclesiastiche. Alcuni risultati positivi furono ottenuti da imprenditori privati, che favoriti da alcuni provvedimenti del principe, si interessarono a considerevoli opere di bonifica delle paludi della Maremma e della Valdichiana. Ma ben altro si rendeva necessario!

Al principio del Settecento. il Granducato di Toscana appariva consunto e disgregato. Nel 1737. con la morte di Gian Gastone. si estingueva la dinastia dei Medici e Francesco Stefano di Lorena assumeva il governo della Toscana. E sotto il nuovo principe che si creano le basi per la nascita di uno Stato moderno ed efficiente. anche se le vecchie istituzioni rimangono ancora in vigore. In Toscana, il principale problema dell’agricoltura era quello della proprietà della terra e della diversità delle leggi tra metropoli e provincia.

Il principe si volge pertanto a tutelare gli interessi dello Stato sottoponendo ad una legge comune quelle classi che avevano consolidato i loro privilegi ed i loro monopoli. Le conseguenze che i riformatori si prefiggono sono: a) sostituire un’economia territoriale all’esistente economia cittadina;

b) sostituire un’economia libera ad una economia di monopoli.

E ovvio quindi che i giuristi e gli uomini di cultura seguaci delle teorie illuministiche elaborino programmi

destinati in futuro a risolvere le aspirazioni dei lavoratori della terra a disporre liberamente sia della conduzione dei terreni sia dei prodotti ottenuti con Io sfruttamento degli stessi.

La tesi fisiocratica del libero commercio dei grani aveva fatto sentire la necessità di abolire le antiquate manomorte ecclesiastiche e di risolvere una volta per sempre i vecchi dissidi tra l’aristocrazia terriera ed il nuovo ceto medio agrario. E poiché al diritto di chiusura e difesa dei fondi coltivati si oppongono i celi più retrivi della società, i grandi proprietari di greggi ed anche le popolazioni più povere delle campagne, il movimento riformatore deve tenere conto di questi contrastanti interessi ed arrivare ad un compromesso che varia da regione a regione, da comunità a comunità, da popolazione a popolazione.

E aumento dei prezzi dei cereali e l’aumento dei profitti favoriscono i provvedimenti presi dai riformatori tendenti a limitare gli usi comunitari del pascolo. a facilitare la chiusura dei fondi, a togliere gli impedimenti alla libertà di coltura c di rotazione ed a riscattare terreni mediante opera di bonifica.

Francesco Stefano di Lorena non governò direttamente la Toscana ma attraverso un Consiglio di Reggenza presieduto dal ministro Emanuele di Richecourt. Francesco non fu ovviamente il restauratore della Toscana, Ina egli ha il grande merito di aver avuto fiducia in collaboratori intelligenti c favorevoli alle più ardite riforme.

La dinastia medicea aveva conservato quasi tutte le forme esteriori della repubblica. Da Cosimo I a Gian Gastone, l’ultimo granduca mediceo, i fiorentini erano stati amministrati da uffici con i nomi repubblicani. Ma non erano ormai più i tempi degli ordinamenti comunali. Se i

 nomi ed i sistemi erano gli stessi diversi erano i desideri. le necessità e le aspirazioni della popolazione del Granducato. Inoltre lo Stato non era formato da una unica struttura omogenea ma da tre parti distinte: Firenze, Pisa e Siena. Di queste. Firenze godeva di una posizione di da privilegio poiché i fiorentini esercitavano una vera e propria tirannia amministrativa nei confronti della provincia a di causa del loro diritto di esercitare gli atti amministrativi per mezzo di uffici  “estrinseci” solo ad essi riservati. es- Il Richecourt era stato profondamente colpito dall’ ingiustizia della diversità di trattamento applicato alle singole parti dello Stato. Il problema più importante era però quel del lo finanziario. Il debito pubblico era enorme e colpiva il consumo dei beni di prima necessità come il pane e il sale con imposte e gabelle che erano applicate con severità perché molto facile ne era la riscossione. Sulla popolazione delle campagne gravavano inoltre delle gabelle di superiori alla popolazione delle città ed era imposta anche l’iniqua tassa sul bestiame da lavoro. Il Richecout si o- adoperò ad alleviare il debito pubblico e ci riuscì operando la conversione della rendita. Fu perciò possibile ridurre il prezzo del sale ed abolire la tassa sul bestiame.

-Sotto Francesco fu iniziata la riforma giudiziaria, continuata e compiuta da Pietro Leopoldo, nello spirito della assoluta  tra le varie parti del Granducato per differenza di legislazione dello Stato ai territori sottoposti alla giurisdizione civile e penale  dei feudatari. liberò le comunità da ogni ingerenza amministrativa degli stessi feudatari. proclamò inviolabile la libertà dei vassalli e adettò ad essi, in caso di abusi. il diritto di ricorso diretto al granduca. Non era ancora abolita la feudalità ma ne era limitato il potere e proibito senz’altro ogni abuso. Francesco attuò anche una nuova politica nei confronti della Chiesa, che incontrò opposizione e contrasti nella parte più retrograda della società ma che, nonostante ciò, continuò per I a energia di governo del Richecourt e di Giulio Rucellai.

Una legge importante fu quella del 1751 che mirava ad arrestare lo sviluppo della “manomorta” ecclesiastica. lega che favorì la libera disponibilità della proprietà terriera e fu il primo passo delle ardite riforme di Pietro Leopoldo. La preparazione della legge fu scrupolosamente accompagnata da preziose tabelle statistiche, risultato di indagini difficilissime per quei tempi. Francesco aveva già dal 1745 riunito la corona di granduca a quella dell’Impero. Stabilì però che alla sua morte la corona granducale, nuovamente staccata da quella imperiale, sarebbe passata al di lui figlio secondogenito, Pietro Leopoldo. Alla di lui morte, avvenuta nel 1765, la Toscana con il nuovo granduca riacquistava la propria autonomia.

Pietro Leopoldo aveva 18 anni quando, nel 1765, divenne granduca di Toscana. Nessun altro principe lo supera per la sua intelligente, ardita e umana opera riformatrice. Iniziò la sua opera con la riforma oraria e trovò nel popolo toscano la comprensione e seguito. Ebbe consiglieri e cooperatori illuminati. Forse per tutte queste convergenze la riforma fu efficace.

Contemporaneamente venivano ripresi con maggior v1gore la bonifica ed il ripopolamento dei territori paludosi e malsani. Questi lavori erano stati iniziati da Ferdinando I ma erano stati interrotti all’inizio del XVII secolo. Pietro Leopoldo staccò la Maremma dal territorio amministrativo senese e ne costituì una amministrazione speciale. ponendovi a capo tecnici idraulici e agrari. Furono costruiti canali. arginati fiumi, fatto colmate, costruite case coloniche e grandi strade di comunicazione. La Toscana ebbe allora una rete stradale che allacciava centri minori ai maggiori e le terre bonificate con i centri di consumo e di mercato.

Più degli interessi di una città, di quella che era stata la città dominante. la rete stradale serviva ai nuovi centri di popolazione rurale che la bonifica creava. Vi è un impulso che agisce su Pietro Leopoldo: la fede nell’avvenire agricolo del Granducato secondo le nuove c interessanti teorie fisiocratiche del tempo. La legislazione leopoldina è animata da tale fede. Già avevamo osservato che uno dei principali problemi dell’  

agricoltura toscana era quello della proprietà. Furono aboliti tutti i vincoli che inceppavano la libertà di produzione, furono sciolti i fidecommissi che la Reggenza non aveva interamente soppresso, furono abolite le “comandate”, le prestazioni servili da parte delle comunità. furono aboliti i prezzi d’ imperio e confermata la piena libertà del commercio dei grani.

Il problema economico agrario era stato da Pietro Leopoldo collegato a quello sociale per revelazione e l’emancipazione del lavoratore. Prese pertanto concreta forma il sistema livellare leopoldino dopo che il latifondo si era frazionato mercé appunto l’istituzione del contratto di enfiteusi. Al frazionamento del latifondo contributi ovviamente la legge creata per l’abolizione della manomorta. del feudo e dei fideocommissi. Il lavoratore si trovava così per la prima volta nella facoltà di poter disporre della terra da ILIi coltivata essendogli conferito il diritto dell’ alienabilità e dell’affrancazione dei terreni. La Toscana trasse dalla riforma agraria elementi favorevoli ad un rapido sviluppo dell’agricoltura.

La riforma amministrativa. creando un nuovo sistema municipale basato sulle rappresentanze civiche, spostò decisamente l’ assetto economico-sociale dalla città alla campagna, formando una borghesia rurale capace di conoscere e regolare da sé gli interessi propri e delle comunità. Assistiamo pertanto alla frenetica attività dei municipi che. controllati dal potere centrale soltanto negli affari che riguardavano controversie con altre comunità, amministrano con oculatezza il Comune, regolano bene le spese per curare strade e canali. distribuiscono con giustizia tasse e imposte, nella convinzione che tutelare gli interessi delle comunità significa anche porre le basi per l’emancipazione ed il benessere dei singoli individui.

La riforma agraria di Pietro Leopoldo favorì specialmente il sistema   degli affitti. Ordinando la legislatura dello Stato in modo di favorire l’agricoltura, il granduca conseguì lo scopo di formare nel suo Stato una riunione di famiglie patriarcali che popolavano le campagne a preferenza della città, e di riportare la provincia a quel livello morale e culturale che la decadenza dell’agricoltura. provocata dalla inerte oligarchia cittadina. aveva paurosamente abbassato.

I problemi dell’agricoltura toscana all’inizio della riforma leopoldina erano numerosi e complessi ed affondavano le origini nella notte dei tempi. Dopo le bonifiche erano aumentati sì i terreni coltivabili ma non erano aumentate le case coloniche. Erano aumentate le superfici dei singoli poderi ma non si erano divise le famiglie, con la conseguenza di moltiplicare sotto lo stesso tetto il numero degli individui. Questo particolare comportava la mancanza di subordinazione al capo famiglia e creava nei componenti, specialmente i giovani, la volontà di procurarsi redditi fuori del podere. Il bestiame normalmente non stava nella stalla ma alla pastura ed era affidato alle cure di giovinetti spesso non volenterosi ed incapaci. Dove però il bestiame, come nella Valdinievole. era nutrito nelle stalle dalla mano dell’uomo. il prodotto era doppio ed anche triplo.a bonifica della Valdichiana

Nel 1763 Pietro Leopoldo I di Lorena assume la guida del Granducato di Toscana. Visitò personalmente la Valdichiana ed in seguito inviò sul posto a compiere studi e rilievi il matematico padre Leonardo Ximenes, l’altro grande matematico Tommaso Perelli e gli ingegneri Pietro Ferrini e Giuseppe Salvetti. Il Salvetti eseguì il profilo della Valle nel 1769, ove risulta che la platea del Callone di Valiano che pareggia il fondo del canale maestro è più elevata di 15 braccia della cresta della Chiusa dei Monaci, dimostrando così di quanto si fossero sollevati il fondo della Valle e quello del canale maestro dopo il 1551, data della perizia di Antonio Ricasoli.

Tutti questi tecnici suggerirono il loro metodo sui lavori di bonifica da eseguire nella Valle e specialmente sulla convenienza o meno di conservare la Chiusa dei Monaci o demolirla. Alcuni tecnici suggerirono di abbandonare il metodo delle colmate, alcuni addirittura di dare libero sfogo alle acque mediante la costruzione di un nuovo grande alveo. Lo Ximenes sosteneva doversi abbassare la Chiusa dei Monaci, fabbricare diversi sostegni lungo il canale per uso di navigazione e costruire a quattro archi i ponti di Arezzo che allora avevano due arcate.

Di fronte a così diverse opinioni Pietro Leopoldo, in attesa di addivenire ad una decisione, invitò i proprietari dei terreni palustri a bonificarli nell’interesse loro e delle comunità, e molti aderirono all’invito venendo talvolta a patti di temporanea cessione. Infine Pietro Leopoldo affidò la So vrintendenza della bonifica ad una deputazione di sei notabili eletti in Valdichiana, in attesa di conoscere l’esito della progettazione degli esperti. La deputazione non dette però buona prova e Pietro Leopoldo la sciolse nel 1788, istituendone una nuova – composta di tre membri, due di nomina sovrana ed uno eletto dai possessori contribuenti. Infine completò il suo intervento affidando la direzione della bonifica a Vittorio Fossombroni, autore delle “Memorie idraulico-storiche sulla Valdichiana” che tenne la Sovrintendenza dal 1788 al 1827, cioè anche nell’interposto periodo francese. Nel 1794 il Fossombroni fu nominato anche Sovrintendente generale del dipartimento delle acque della Valdichiana dal quale dipendevano oltre ai lavori di bonifica anche la regolazione delle colmate.

Quando il Fossombroni assunse la direzione della bonifica, la maggior parte della Valle era già ridotta a pastura ed a sementa, tranne una piccola parte nel piano di Chiusi ed i due laghi. Non erano però totalmente fruttiferi i terreni adiacenti ai bassi tronchi dei fiumi. Il Fossombroni dichiarò che al presente la Valle non era più bisognosa di bonifica ma necessitava di lavori che la mantenessero in condizione di fruttare. Osservò il Fossombroni che la torre di Valiano, demolita, aveva subito un interramento di oltre 10 braccia ed altri interramenti erano avvenuti in prossimità di Foiano.

Il Salarco entrava nel chiaro di Montepulciano. Il Monaco entrava nel Chiarino, ca datra l’uno e l’altro lago, la Tresa voltava verso il Callone del Campo alla Volta e l’Astrone andava più oltre e passando l’argine di Clemente e la Torre dei Ladri andava nella Chiana .

Il Fossombroni constatando che le colmate avevano servito sino allora a bonificare soltanto appezzamenti di terreno, intese a modificare il piano di ogni bonifica di tutta la Valle, ritenendo che prima di dare libero corso alle acque torbide occorreva dare a tutta la Valle ed alla campagna laterale una pendenza regolare, appunto perché le acque non chiarificate potessero in futuro convogliarsi verso l’Arno, liberamente. Allora la Chiana non sarebbe più stata un canale ma un fiume.

    Nel 1789 i rii dell’Olmo, di S. Anastasio e di Pieve al Quarto facevano “colmata
     presso la Chiana. I rii di Vitiano e di Cozzano venivano a fare una piccola
    colmata presso la piana di Brolio, quasi di fronte a Cesa. Il Vingone, il Biguzzo
  ed il Celone di Castiglione insieme al Cigliolo, al Loreto e all’Esse di Cortona
    mandavano le loro acque a colmare lungo la Chiana, tra la collina di Brolio e quella delle Capannacce ed il Montecchio. La Mucchia di Cortona scaricavasi a
    colmare lungo la Chiana quasi di fronte a Foiano, dove dalla parte opposta
    mandava le sue acque per formare colmata l’Esse di Monte S. Savino. La Foenna
    e la Fuga colmavano lungo la Chiana di faccia quasi ad Acquaviva e ad Abbadia.

Il Torricelli aveva affermato che era impossibile bonificare la Valle sen-

za prima togliere una grossa fetta di terreno verso Arezzo, il che impediva loro la soluzione essendo impossibile convogliare la Chiana in Arno per l’abbassamento di tutto il fondo valle. Fossombroni enunciò la teoria che si poteva fare il contrario: elevare il livello della Valle superiore verso Chiusi mediante

colmata. ln questo modo si rese perciò disponibile a ricevere un influente di più man mano che questi aveva “colmato”. Fossombroni riteneva che entro un secolo si poteva cessare di regolare artificialmente il corso delle acque, lasciando la natura ormai libera di continuare nel ciclo ormai a di +definitivamente stabilito. Proseguendo la bonifica sembrò fosse possibile abbassare la Chiusa dei Monaci ma si preferì invece praticare nella parte destra uno scaricatore fornito di cateratte, la cui soglia inferiore era più bassa della cresta della pescaia, per poterne usufruire all’occorrenza.

Nel 1780 tra il Papa Pio VI e Pietro Leopoldo fu stabilito un trattato per regolamentazione idraulica della Valle e delle acque di confine. Fu stabilita la nuova inalveazione della Tresa, la modifica del recapito del Maranzano nella Tresa stessa per dare sfogo all’uno e all’altra nella palude delle Bozze e nel chiaro di Chiusi, salvo valersene ancora per alcuni anni per “colmare” i luoghi più bassi appartenenti allo Stato Pontificio. E affinché le acque il torbide della Tresa e del Maranzano non turbassero il sistema di quelle quantità di acque chiare orche doveva portarsi liberamente in un più profondo canale al Callone ed alla Chiana romana, si ricostruì un argine di separazione alto 6 braccia e largo 4, attestato dalle colline di Chiusi sino al lato opposto alle colline

di Città della Pieve. Il nuovo argine delimitò il confine tra la Chiana toscana e la Chiana romana in modo definitivo, sebbene fossero sorte quasi subito controversie tra i confinanti e messa anche subito in dubbio la convenienza di conservarlo.

Nel 1790 si pensò anche di abbassare il regolatore di Valiano per concedere uno scarico più abbondante nella Chiana alle copiose acque del chiaro di Chiusi, del chiaro di Montepulciano e delle campagne superiori. A ciò si oppose il Fossombroni per il timore che una maggiore copia di acque nell’alveo della Chiana potesse arrecare pregiudizi alle ubertose e popolate campagne inferiori.

In un atlante composto di oltre 100 tavole attualmente nell’archivio comunale di Foiano, sono rappresentati tutti i terreni strappati alle acque con i terreni di proprietà del granduca colorati in giallo, quello dei privati in bianco e quelli appartenenti alla Religione di Santo Stefano colorati in rosso. Da questo atlante si rileva che salvo limitate proprietà private, il granduca possedeva personalmente le fattorie di Dolciano, di Rigutino, di Policiano e del Bastardo, mentre tutto il rimanente apparteneva ai Cavalieri di S. Stefano.

L’Ordine acquisì anche altri terreni man mano che la bonifica proseguiva e nel 1797 acquistò dai monaci Benedettini di Arezzo il molino di Ponte a Chiani con la famosa Chiusa. Essa serviva all’Ordine a disporre del controllo delle acque della Valle. L’Ordine possedeva anche grandi magazzini per i raccolti, uno al ponte alla Nave, uno a Montevarchi ed uno a Firenze. Aveva inoltre fabbricati e rimesse a Cortona, ad Arezzo e a Monte San Savino. Una perfetta contabilità veniva tenuta in merito alla quantità dei raccolti, delle spese annue, delle medie dei redditi sia dei terreni coltivati sia di quelli tenuti a prateria, in “colmazione” o a bosco.

Non era prevedibile in quel momento di grande prosperità e potenza dell’Ordine di S. Stefano, che entro pochi anni la rivoluzione del 1799 avrebbe travolto proprio direttamente i Cavalieri della Religione di Santo Stefano.

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FATIMA – GLI ETERNI PARADIGMI DEL MITO

FATIMA – GLI ETERNI PARADIGMI DEL MITO

Prodigi e divinazione nel XXI secolo

Vittorio Vanni

Ottimo indovino è colui che abilmente congettura…

Euripide

Plutarco fu sacerdote delfico per più di vent’anni. Gran Gerofante dei Misteri, appassionato neoplatonico, spirito sinceramente religioso, poneva dei precisi limiti alla credenza negli oracoli, criticando per primi quegli stessi che la Pizia profetizzava a Delfi, affermando:

” …l’esalazione profetica provocherà comunque con la sua presenza l’entusiasmo e disporrà al vaticinio non solo l’anima della Pizia, ma anche quella della prima persona che ne venga sfiorata. Da ciò ne consegue che è una sciocchezza impiegare per la divinazione una sola donna, rendendole inoltre penosa la vita con la continua sorveglianza della sua castità’

Ciò che Plutarco intendeva affermare è il concetto che il rapporto dell’uomo e dell’umanità con il divino non è soggetto a regole, e che il Nous, la mente divina, ispira quell’umana per naturale affinità e contatto.

Vi sono purtuttavia delle costanti universali nella necessità umana dei vaticini e dei prodigi, perché “l’uomo ha necessità di segni visibili… “

Il mondo antico proponeva l’eterno femminino faustiano come entità legate alle grotte o alle caverne, alla presenza di acque scorrenti. Le Ninfe, le Driadi, le Ondine, esseri inquietanti e sovrannaturali, si presentano agli uomini come le fate del folklore, benefiche come la Ninfa Egira di Numa o Melusina la bellissima, ma anche con un aspetto oscuro e terribile. Quando si uniscono in unione coniugale con i prescelti pretendono una fedeltà assoluta, come le Fate del Conte di Gabalis. Quando si presentano ai veggenti, questi devono essere puri come alcuni preadolescenti. Il “Camillus”, l’assistente fanciullo nei riti sacrificali romani, le Sibille, la Pitonessa Delfica, le “Pupille” dei magnetizzatori del XVIII e XIX secolo, devono essere vergini e caste, a garanzia di una corretta visione. I paradigmi universali delle teofanie infantili o verginali annunciano in genere terribili avvenimenti, a meno che…

Ed è in quella frase “a meno che” la chiave di tutto. Ma prima di trovare la chiave, bisogna trovare la serratura…

Giovanni Paolo II era stato in Germania pochi mesi prima del 13 maggio del 1981 (anniversario dell’apparizione di Fatima). Nella Rivista tedesca “Stimme des Glaubens” n. 10/81, che afferma di conoscere l’estensore dell’intervista e di possedere l’autenticazione del documento•, è riportato che furono poste a Giovanni Paolo II varie domande, di fronte a piccolo gruppo di persone. Il verbale stilato riportava queste domande e risposte:

Alla domanda “Che n’è stato del terzo segreto di Fatima? Non doveva essere pubblicato già nel 1960?”

Giovanni Paolo Il ha risposto:

Data la gravità del contenuto, per non incoraggiare la potenza mondiale del comunismo a compiere certe mosse, i miei predecessori nell’ufficio di Pietro hanno diplomaticamente preferito soprassedere alla pubblicazione. D’altra parte a tutti i cristiani può essere sufficiente sapere questo: se vi è un messaggio in cui sta scritto che gli oceani inonderanno parti della Terra, che da un momento all’altro milioni d’uomini periranno, non è davvero più il caso di bramare tanto la divulgazione di un tale messaggio segreto. Molti vogliono semplicemente sapere per curiosità e gusto del sensazionalismo, ma dimenticano che sapere comporta anche una responsabilità. Si cerca solo l’appagamento della propria curiosità e ciò è pericoloso se si è convinti che nulla si può fare contro il male, se non si è disposti in pari tempo a far qualcosa. ‘

Alla domanda – “Che cosa avverrà nella Chiesa?” – Giovanni Paolo II risponde:

“Dobbiamo prepararci a subirefra non molto grandi prove, le quali esigeranno da noi la disposizione a fra getto persino della vita e una dedizione totale a Cristo e per Cristo. Con la preghiera vostra e mia è possibile mitigare questa tribolazione, ma non è possibile stornarla, perché solo così la Chiesa può essere effettivamente rinnovata

Quante volte nel sangue è spuntato il rinnovamento della Chiesa! Anche questa volta non sarà diversamente. Dobbiamo essere forti, prepararci, confidare in Cristo e nella Sua Madre Santissima. ‘

Su Fatima ed i suoi segreti si è scritto molto, propriamente o meno. Chi ha un interesse reale ad approfondire la conoscenza dei fatti, può consultare il testo più attendibile ed esauriente As apariçôes e a mensagen de Fàtima conforme os manuscritos de Irmâ Lùcia, Editora Vera Cruz, Rua Dr. Martinico Prado, 246, 00124 — Sio Paulo, SP Antonio A.Borelli Machado.

In questo testo sono riportate i manoscritti di Suor Lucia, con tutti gli imprimatur possibili.

Prima di sintetizzare i castighi minacciati, esaminiamo quali sono le colpe imputate all’umanità dall’Immacolata Concezione:

“Le guerre non sono altro che il castigo per i peccati del mondo. Bisogna far penitenza. Se non si emendano verrà il castigo. Gesù è profondamente indignato per i peccati ed i delitti che si commettono in Portogallo. Per questo un terribile cataclisma d’ordine sociale minaccia il nostro paese e specialmente la città di Lisbona. Si scatenerà, come pare, una guerra civile di carattere anarchico e comunista, accompagnata da saccheggi, uccisioni, incendi e distruzioni d’ogni specie. La capitale si convertirà in un’immagine dell’inferno.”

“I sacerdoti devono occuparsi solo di cose di Chiesa! I sacerdoti devono essere puri, molto puri! La disubbidienza dei sacerdoti e dei religiosi ai loro superiori ed al S. Padre offende molto Gesù. Guai a quelli che perseguitano la Religione di Gesù. Se il governo lasciasse in pace la Chiesa e lasciasse libertà alla santa religione, sarebbe benedetto da Dio”

“I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne. Fuggire le ricchezze, essere amici della santa povertà. Osservare i comandamenti. La confessione è un sacramento di misericordia. La Madre di Dio vuole molte anime vergini, che si leghino a lei con il voto di castità. Chi non adempie le promesse che fa alla Madonna, non avrà più pace

La buona fede e la purezza di cuore dei tre pastorelli non sono assolutamente discutibili e, proprio per questo, neanche l’apparizione, che rientra negli schemi tradizionali ed universali.

La trasmissione di questi schemi è tuttavia legata al contesto religioso, cultuale, culturale e storico in cui la teofania si esprime. I “peccata mundi” che indignano Gesù e la Beata Vergine, e le indicazioni generiche di buon comportamento sono quelle che qualsiasi buon parroco di campagna potrebbe indicare ai suoi ragazzi. La penitenza personale e comunitaria indicata sostituisce i sacrifici cruenti prescritti dalle antichi Sibille. Vi è ancora la sessuofobia tipica del cristianesimo, ancora presente nel nuovo catechismo, ma che sta scomparendo nei paradigmi comportamentali della società cristiana, come del resto la pratica della confessione. Ancora più tipica dei primi decenni del XX secolo è la paura ecclesiastica degli sconvolgimenti politici e sociali che avrebbero minato nei decenni susseguenti il controllo della società da parte della Chiesa. Ma la fase illuminate è quella della Vergine che si dichiara Immacolata Concezione, dogma, a quei tempi, da poco dichiarato e che impedisce qualsiasi ecumenismo nei confronti delle Chiese riformate, così come quello dell’infallibilità papale quando i Pontefici parlano ex cathedra.

Caratteristica delle veggenti è l’espressione di una conoscenza superiore alla loro cultura o qualificazione, una conoscenza che purtuttavia non si discosta da quella media della società in cui vivono. Tradizionalmente una veggente è ispirata da ciò che gli esoteristi potrebbero chiamare eggregore, cioè una sorta d’immaginario collettivo che trae l’energia dagli archetipi eterni (la Virgo, la Diana, la Donna del Lago, la Sophia, la Fata) e la forma dalle idee che turbano la coscienza dei popoli, idee molto spesso più imposte che pensate.

Ma spesso, quando ha finito di parlare il Nume, chi è che continua a parlare? Madre Godinho, la superiora del Convento in cui viveva Giacinta, sorella di Suor Lucia e partecipe delle apparizioni, le domandò chi gli insegnava tante cose. Giacinta rispose “La Madonna, ma alcune cose le penso io. Mi piace tanto pensare. ‘

La missione di Suor Lucia è quella di instaurare la devozione al Cuore Immacolato di Maria, secondo le stesse parole che la Vergine le rivolse: ” Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato” Questa missione ricorda quella di Suor Maria Alacoque, che profetizzava al suo re grandi disgrazie se non si fosse instaurato il culto del Sacro Cuore di Gesù. Il culto del cuore è spesso associato ai misteri femminili. Nelle estasi dionisiache le Menadi e le Baccanti vagavano per i boschi alla ricerca di cerbiatti, e nello stravolgimento e nella possessione del Dio, gli strappavano il cuore, come una riparazione all’offesa fatta al cuore stesso del Dionisio fanciullo, perseguitato e sacrificato. I testi Orfici affermano: “Dalle membra del fanciullo fecero sette parti, ma solo il cuore, dotato d’intelligenza, fu abbandonato” Neanche gli empi Titani osarono mangiare il cuore del Dio. I Pitagorici imponevano “Non mangiare il cuore, non mangiare  il cervello” assieme al più noto tabù per le fave. Il cervello ed il cuore sono, in effetti, nell’essere vivente, secondo le concezioni antiche, il luogo della generazione: genèseôs archè. Il cuore è la fonte del calore e dell’energia divina che si spande in ogni cellula dell’anatomia umana, il generatore del seme, scintilla del fuoco del Padre, sorgente di vita.

Riproporre il culto del Cuore nell’ambito cristiano ha valore di ritorno all’omphalos, al centro generativo della Resurrezione, nel momento stesso che la crisi del concetto di Grazia stava per arrivare al suo momento di acme, al punto di non ritorno. L’etica e la morale laica stava per sostituirsi alla Grazia, indispensabile alla salvezza. La Chiesa, nella sua tradizione, insegna che non è la morale che trae al salvamento, né le opere che da lei derivano. L’umanità può solo mendicare la grazia della pietà divina, il migliore degli uomini è solo un panno sporco di fronte allo sguardo dell’Altissimo. Ma questo ritorno al culto del Cuore, secondo le richieste della Vergine, doveva essere prima di tutto una testimonianza dell’unità di tutti i Vescovi attorno al Papa. Chiede quindi al Papa e tutti i Vescovi la consacrazione della Russia, simbolo geopolitico del comunismo ateo, al suo Cuore Immacolato. Suor Lucia venne riconoscendo come valida la consacrazione fatta da Giovanni Paolo II il 25 marzo 1984, ma con molti dubbi ed interpretazioni contrastanti.

Purtuttavia la distruzione del mondo attraverso la guerra atomica è ormai un incubo quasi finito. Gli avvenimenti dell’est europeo, anche se non si può parlare di un’effettiva “conversione” della Russia, sembrano aver placato la furia divina.

Ma gli uomini non sono affatto cambiati e gli “errori” ed i “peccati” continuano e diventano anzi sempre più complessi, più difficili ad inserirsi con chiarezza nei dieci comandamenti e nella legge dei noachiti. La morale di un cattolico praticante di oggi farebbe arrossire Voltaire.

Quindi, i segreti non finiscono mai, con la loro conseguente serie di richieste perentorie e di castighi terribili se non verranno soddisfatte. È stato diffusa una versione del terzo segreto molto generica, che indica come il male ed il demonio siano ormai vicini anche al Soglio Pontificio, (ma Papa Borgia è stato un santo?), come il Falso Messia ed il Falso Agnello, aspetti dell’Anticristo, navighino ormai intrepidi su Internet ed impestino le demenziali fiction televisive. Di recente è stato diffusa ufficialmente una versione del terzo segreto come una semplice preveggenza dell’attentato al Papa, nell’attesa di una “spiegazione” autorevole, che nega intanto la preveggenza di una catastrofe universale. Ma alcune attività del Papa, alquanto anomale nel consueto atteggiamento prudente del Vaticano, fanno congetturare altre possibili rivelazioni, d’altro canto prevedibili.

Il Santo Padre ha chiesto a Dio perdono di alcune attività di antichi Pastori, che un tempo erano considerate lodevoli, ma oggi evidentemente non rientrano più nel “religiosamente corretto”. Perdono richiesto a Dio però, non agli uomini nella loro innocenza. La volontà ecumenica di riconciliazione, soprattutto nei confronti dell’islamismo e dell’ebraismo, con frequenti ed importanti viaggi nei luoghi santi, non comporta un ordine mariano di conversione delle religioni uscite dal seno d’Abramo, piuttosto difficile da ottenere? E se questo non succederà, finirà finalmente questo mondo, suoneranno le trombe del giudizio? E ammettendo che questo succeda, che cosa dovrebbero temere i credenti, che saranno accolti come agnelli alla destra di Dio? Ma nemmeno i reprobi, se ci credessero, dovrebbero temere, trovando il riposo e l’oblio della seconda morte.

Nel Fatimismo, che è forse l’ennesimo divertimento mediatico, tipico dei nostri tempi, o la concorrenza pessimista allo stupido ottimismo del New Age, vi sono dei lati oscuri, incoerenti, forse strumentali.

Tutte le forme del Sacro, da quello più numinoso e sublime a quello studiato e pubblicizzato dal marketing, stanno nuovamente e potentemente influenzando i paradigmi della società attuale ed ancor più di quella futura. Più che l’illuminismo, che ha visto morire i suoi figli più amati, il positivismo ed il materialismo, le grandi religioni monoteiste temono la Gnosi, che non è lo gnosticismo religioso, ma la ricerca libera dell’uomo di un piano superiore cui tendere, senza dogmi e senza intermediari. L’occidente ha concesso per duemila anni l’esclusiva religiosa al cristianesimo, ma sembra oggi orientato ad un pluralismo spirituale in cui l’etica e la morale diventano un fatto esclusivamente

laico e civile. L’occidente non crede più ad un dio indignato e corrucciato che conta sul pallottoliere gli atti carnali di ognuno, che minaccia morte e distruzioni se si adora, ad esempio, un fegato ed un cervello piuttosto che un cuore, come diceva Tommaso Crudeli. Come si può amare e credere in un dio che non ci conceda, con supremo amore, la libertà di non amare, di non credere, di non dubitare. Che non guarda, con misericordia e con rigore assieme, le nostre opere ed i nostri pensieri, che ci concede salvezza e liberazione con gli ingiusti favori di un satrapo orientale, o con l’intermediazione sacramentale di una casta d’uomini come noi, migliori o peggiori che siano?

Spenti i roghi, crollate le forche, chiuse le galere ai reati di pensiero, l’umanità intera ha la libera possibilità di porsi questi interrogativi eterni, di fronte ad un dio che è indefinibile, inimmaginabile, ineffabile, un’energia incomprensibile che ha tutti i nomi e tutte le forme. Di fronte a questo scabro mistero impenetrabile alla ragione, di fronte all’amore che in ogni modo l’umanità prova per questo mistero, e che riesce a superare l’indescrivibilità dell’indefinibile, dell’infinito, dell’eterno, cosa diventano i misteri di Fatima? Ciò che Maria Rosa dos Santos, madre di Lucia, disse quando la bambina raccontò di aver visto, assieme ai suoi fratelli, un angelo, l’angelo del Pace: “Sciocchezze”.

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L LAVORO MASSONICO

IL LAVORO MASSONICO

Dall’insegnamento di Wirth si evince che l’uomo comune lavora per vivere, mentre è privilegio dell’uomo saggio (e quindi anche del massone) vivere per lavorare. Più i massoni cercano di costruire e non di distruggere, di testimoniare e non di contendere, più risultano idonei al ruolo di perfezionatori dell’umanità che li contraddistingue da secoli.

Tavola del fr.’. A.’. Z.’.

La vita nel mondo profano è spesso caotica, ingarbugliata e perennemente accelerata… Le persone sono costrette a correre sempre più, a forzare tutti i ritmi, a cercare di incorporare, nelle ore che hanno a disposizione durante la giornata, il lavoro ordinario, spesso e volentieri quello straordinario, quello che riguarda la professione e quello che riguarda la famiglia.

Il lavoro, all’uomo, è sempre stato presentato come una sorta di castigo divino, come un pegno che siamo obbligati a pagare per poter raggiungere gli obiettivi minimi della nostra esistenza.

Basti pensare a Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso e condannati ad una vita di lavoro e fatiche. Ma non c’è bisogno di scomodare i nostri primi antenati per costatare che, anche al giorno d’oggi, la maggior parte delle persone vive il loro lavoro come una sorta di schiavitù, di condanna ai lavori forzati; si consumano quotidianamente drammi che vedono protagonisti uomini e donne, ostaggi del sistema che non riescono a liberarsi da questa terribile piaga: il lavoro.

Leggendo alcuni autorevoli scrittori massonici mi sono trovato in completo accordo con la tesi di O. Wirth: “La vita consiste nell‘azione: senza l’azione la vita non differisce in nulla dalla morte. Vivere oziosi non è vivere, è vegetare…”. “. Da queste parole si evince che l’uomo comune lavora per vivere, mentre è privilegio dell’uomo saggio (e quindi anche del Massone) vivere per lavorare. Questa maniera di intendere la parola LAVORO come un’attività assolutamente positiva, vitale, che riesce a nobilitare l’uomo che la compie, è ciò che mi suggerisce maggiormente il concetto di “lavoro massonico”.

Qual è dunque il “lavoro massonico” che i Liberi Muratori sono desiderosi di compiere? Penso si tratti soprattutto di un lavoro di costruzione e testimonianza di ciò che è stato edificato.

Più i Massoni cercano di costruire e non di distruggere, di testimoniare e non di contendere, più risultano idonei al ruolo di perfezionatori dell’umanità.

Forse è proprio questo desiderio di perfezionamento che ci contraddistingue e ci caratterizza. Il Libero Muratore compie il suo lavoro massonico soprattutto compiendo un perfezionamento su se stesso, cercando di migliorarsi in maniera autocritica e propositiva; diciamo perfezionamento e non progresso: progresso, oltre che essere un termine estremamente inflazionato., ha un senso più corale, mentre perfezionamento è prima di tutto degli individui.

E’ il perfezionamento delle varie individualità che dà senso compiuto alla crescita corale e innesca quell’”egregio”, quella vibrazione che a questo stato più elevato, più perfezionato, attraversa il cuore di tutti i fratelli seduti tra le Colonne.

Per riuscire a raggiungere questo particolare momento, dobbiamo compiere un ulteriore lavoro su noi stessi: sostando in silenzio quei pochi minuti nella Sala dei Passi Perduti, prima di entrare nel Tempio, la nostra mente torna momentaneamente nel Gabinetto di Riflessione, “visitando interiora terrae” per poi rigenerarsi e rinascere.

I pensieri profani sembrano così sbiadirsi, il nostro corpo subisce una decelerazione e si creano quella concentrazione e quella tranquillità interiore che ben dispongono l’animo e creano i presupposti al nostro scopo principale, che è il perfezionamento dell’umanità.

Possiamo perseguirlo, non lanciando precetti o programmi, ma edificando, all’interno del Tempio, l’Uomo Nuovo: l’INIZIATO!

A:. Z:.

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I QUATTRO REGNI

    I QUATTRO REGNI

    I tre Mondi del nostro pianeta sono attualmente il campo di evoluzione per un certo numero di differenti regni di vita giunti a diversi stadi di sviluppo. Solo quattro di questi ci riguardano ora, e cioè i regni minerale, vegetale, animale e umano. Questi quattro regni sono in rapporto con i tre Mondi in modi diversi, secondo il progresso che questi gruppi di vita in evoluzione hanno fatto alla scuola dell’esperienza. Per quello che si riferisce alla forma, i corpi densi di tutti i regni sono composti delle medesime sostanze: solidi, liquidi e gas della Regione Chimica.

    Il corpo denso di un uomo è veramente un composto chimico quanto lo è la pietra, sebbene quest’ultima sia animata solo da vita minerale. Ma, anche parlando dal solo punto di vista fisico, lasciando da parte per ora tutte le altre considerazioni, molte e importanti sono le differenze fra il corpo denso dell’essere umano e il minerale della terra. L’uomo si muove, cresce e propaga la sua specie; il minerale al suo stato nativo non fa nessuna di queste cose.

    Paragonando l’uomo con le forme del regno vegetale, noi troviamo che, tanto la pianta quanto l’uomo possiedono un corpo denso, capace di sviluppo e di propagazione. Ma l’uomo possiede facoltà che il vegetale non ha. Egli sente, ha il potere di muoversi, e la facoltà di percepire le cose al di fuori di sé.

    Se noi compariamo l’uomo con l’animale, vediamo che l’uno e l’altro hanno le facoltà di sentire, di muoversi, di crescere, di propagarsi e la percezione dei sensi. In più l’uomo possiede la facoltà di parlare, una struttura superiore del cervello e infine le mani, che costituiscono un grandissimo vantaggio fisico. Notiamo in modo particolare la conformazione del pollice, che rende la mano molto più efficiente di quella degli antropoidi. L’uomo ha anche sviluppato un determinato linguaggio mediante il quale esprime i suoi sentimenti e pensieri, e tutto ciò pone il corpo denso dell’essere umano in una classe a sé al di sopra dei tre regni inferiori.

    Onde spiegare tali differenze nei quattro regni, noi dobbiamo passare nei Mondi invisibili e cercarvi le cause che danno ad un regno quello che è negato all’altro. Per funzionare in qualunque Mondo ed esprimere le qualità che ad esso sono peculiari, dobbiamo per prima cosa possedere un veicolo fatto dei suoi materiali. Per funzionare nel Mondo Fisico denso, è necessario avere un corpo denso, adatto al nostro ambiente. Altrimenti saremmo come fantasmi, e invisibili alla maggior parte degli esseri fisici. Così dobbiamo possedere un corpo vitale prima di poter manifestare la vita, crescere od esternare le altre qualità inerenti alla Regione Eterica.

    Per mostrare sentimento ed emozione, è necessario avere un corpo formato della materia del Mondo del Desiderio; ed una mente formata della sostanza della Regione del Pensiero Concreto, è necessaria per poter pensare.

    Se noi esaminiamo i quattro regni in relazione con la Regione Eterica, troviamo che il minerale non possiede un corpo vitale separato, e ci rendiamo subito conto del perché non possa crescere, propagarsi e manifestare una vita cosciente.

    Per spiegare certi fatti riconosciuti la scienza materiale si serve dell’ipotesi che, sia nel solido più denso come nel gas più rarefatto, non ci siano due atomi a contatto fra loro; essa afferma che ciascun atomo è avvolto in un involucro di etere e che gli atomi nell’universo fluttuano in un oceano di etere.

    I cultori di occultismo sanno che questo è vero per la Regione Chimica e che il minerale non possiede un corpo vitale separato. E siccome il solo etere planetario avvolge gli atomi del minerale, ne deriva la differenza descritta. E’ necessario, come abbiamo mostrato possedere un corpo vitale, un corpo del desiderio ed un corpo materiale separati, per esprimere le qualità inerenti a ciascun regno, perché gli atomi del Mondo del Desiderio, del Mondo del Pensiero e anche quelli dei Mondi superiori interpenetrano tanto i minerali quanto il corpo umano denso, e se l’interpenetrazione dell’etere planetario il quale è l’etere che avvolge gli atomi dei minerali, fosse sufficiente per renderli atti alla sensazione e alla riproduzione, la stessa interpenetrazione a mezzo del Mondo del Pensiero planetario sarebbe ugualmente sufficiente per farli pensare. Ma il minerale non può far questo, appunto perché manca di veicoli separati composti della sostanza di ciascun Mondo. Esso è penetrato soltanto dall’etere planetario e quindi è incapace di sviluppo individuale. Solo il più denso dei quattro stati dell’etere – l’etere chimico – è attivo nei minerali e ciò spiega le loro proprietà chimiche.

    Se noi consideriamo i rapporti dei vegetali, degli animali e dell’uomo con la Regione Eterica, notiamo che ciascuno ha un corpo vitale separato, oltre ad essere penetrato dall’etere planetario, il quale forma questa Regione. Tuttavia esiste una differenza fra il corpo vitale della pianta e il corpo vitale dell’animale e dell’uomo. Nel corpo vitale della pianta sono completamente attivi soltanto gli eteri chimico e vitale. Perciò la pianta può crescere per mezzo dell’azione dell’etere chimico, e può propagare la sua specie per mezzo dell’attività dell’etere vitale del corpo vitale separato che essa possiede. L’etere luminoso è presente, ma è parzialmente latente o inattivo, e l’etere riflettore è mancante. E’ quindi evidente che le facoltà della percezione sensibile e della memoria, che costituiscono le qualità di questi due eteri, non possono essere espresse dal regno vegetale.

Figura B: I quattro Regni

    Volgendo la nostra attenzione al corpo vitale dell’animale, noi troviamo che in esso gli eteri chimico vitale e luminoso sono dinamicamente attivi. Perciò l’animale possiede le facoltà di assimilazione e di sviluppo, prodotte dalle attività dell’etere chimico, e la facoltà di propagazione dovuta all’etere vitale; ciò analogamente alle piante. Ma inoltre, in conseguenza dell’azione dell’etere luminoso, l’animale ha la facoltà di produrre il calore interno ed ha la percezione sensibile. Tuttavia il quarto etere è inattivo nell’animale e perciò esso non possiede né pensiero né memoria. Vedremo in seguito come ciò che può sembrare tale, sia di diversa natura.

    Se analizziamo l’essere umano troviamo che in lui tutti i quattro eteri sono dinamicamente attivi nel suo corpo vitale altamente organizzato. Per mezzo delle attività dell’etere chimico, l’uomo può assimilare il cibo e svilupparsi; le forze che operano nell’etere vitale lo rendono atto alla propagazione della specie; le forze dell’etere luminoso forniscono il corpo denso di calore, stimolano il sistema nervoso ed i muscoli, aprendo così le porte di comunicazione col mondo esterno per la via dei sensi, e l’etere riflettore permette allo Spirito di controllare i suoi veicoli per mezzo del pensiero. Quest’etere accumula inoltre le esperienze passate costituendo così la memoria.

    Il corpo vitale della pianta, dell’animale e dell’uomo si estende al di là della periferia del corpo denso, come la regione eterica, che è il corpo vitale del nostro pianeta, si estende al di là della sua parte densa, dimostrando ancora una volta la verità dell’assioma ermetico: ” Come in alto così in basso “. L’estensione del corpo vitale dell’uomo oltre il suo corpo fisico è di circa quattro centimetri. La parte che eccede il corpo denso è molto luminosa ed ha approssimativamente il colore dei fiori di pesco appena sbocciati. E’ sovente visibile anche da persone che posseggono una lieve chiaroveggenza involontaria. L’autore si è accorto, parlando con tali persone, che esse non avevano coscienza di vedere qualcosa d’insolito, e non sapevano che cosa vedevano. Il corpo fisico è costruito nella matrice di questo corpo vitale durante la vita prenatale: e, con una sola eccezione, ne è la copia esatta, molecola per molecola. Come le linee di forza dell’acqua che gela sono le vie di formazione dei cristalli di ghiaccio, così le linee di forza del corpo vitale determinano la forma del corpo denso. Durante tutto il corso della vita, il corpo vitale è il costruttore e il restauratore della forma densa. Senza l’attività del cuore eterico, il cuore denso si spezzerebbe rapidamente sotto lo sforzo costante cui è sottoposto. Tutti gli abusi ai quali noi assoggettiamo il corpo fisico sono neutralizzati, per quanto è in suo potere, dal corpo vitale, che combatte senza posa contro la morte del corpo fisico.

    La sola eccezione menzionata sopra consiste nel fatto che il corpo vitale di un uomo è femminile, o negativo, mentre quello di una donna è maschile, o positivo. Troviamo in ciò la spiegazione a molti problemi imbarazzanti della vita. Che la donna si abbandoni alle sue emozioni, è dovuto alla polarità cui si è accennato, poiché il suo corpo vitale positivo produce un eccesso di sangue e la costringe ad agire sotto l’effetto di un’enorme pressione interna, che infrangerebbe la sua struttura fisica, ove non soccorresse una valvola di sicurezza costituita dal flusso periodico, e un’altra fornita dalle lacrime che attenuano quella pressione in determinate occasioni, perché le lacrime sono come ” un’emorragia bianca “.

    L’uomo può provare, e prova, emozioni tanto forti quanto quelle della donna, ma può, di solito, superarle senza lacrime, perché il suo corpo vitale negativo non produce più sangue di quanto egli ne possa facilmente controllare.

    Contrariamente a quanto fanno i veicoli superiori dell’uomo, il corpo vitale (meno in alcune circostanze, che saranno illustrate quando tratteremo dell’”Iniziazione”) non abbandona ordinariamente il corpo fisico fino a che questo venga a morte. Le forze chimiche del corpo denso allora non sono più tenute a freno dalla vita evolventesi. Esse provvedono a ricondurre la materia alla sua condizione primordiale mediante la decomposizione, per renderla idonea alla costituzione di altre forme, nell’economia della natura. La decomposizione è perciò dovuta all’attività delle forze planetarie nell’etere chimico.

    Il tessuto del corpo vitale può essere grosso modo paragonato a quelle cornici fatte di centinaia di pezzetti di legno concatenati fra loro, che presentano innumerevoli piccole asperità. Il corpo vitale presenta milioni di punti. Questi punti penetrano dentro i centri cavi degli atomi fisici, li imbevono di forza vitale che li spinge a vibrare ad un ritmo più alto di quello del minerale della terra, che non è così accelerato ed animato .

    Se una persona sta per affogare o cade da una grande altezza, o è sul punto di morire per congelamento, il corpo vitale lascia il corpo fisico e i suoi atomi divengono, in conseguenza, temporaneamente inerti; ma non appena la persona rinviene, il corpo vitale rientra nel corpo fisico e i ” punti ” tornano di nuovo ad inserirsi negli atomi fisici. Lo stato di inerzia spinge questi ultimi a resistere alla ripresa della vibrazione, e ciò è causa della pungente pena e della sensazione di ronzio che si avverte in tali momenti, ma non abitualmente, per la stessa ragione che noi diveniamo consci dell’inizio del moto di un orologio o del suo arresto, mentre non ci accorgiamo del suo ticchettio quando esso cammina.

    Ci sono alcuni casi nei quali il corpo vitale abbandona parzialmente il corpo fisico, come quando una mano s’intorpidisce per aver assunto una cattiva posizione. Allora la mano eterica del corpo vitale si può vedere pendente sotto il braccio fisico come un guanto.

    Quando la mano ritorna in posizione normale e la circolazione non è impedita, la mano eterica riprende il suo posto e i suoi ” punti ” producono una particolare sensazione di formicolio. Talvolta, nell’ipnosi, la testa del corpo vitale si divide in due parti e pende fuori dalla testa fisica, metà sopra ciascuna spalla, o giace attorno al collo come il colletto di una maglia. L’assenza della sensazione di formicolio al risveglio, in casi di questo genere, deriva dal fatto che, durante l’ipnosi, una parte del corpo vitale dell’ipnotizzatore ha sostituito quella dell’ipnotizzato.

    Se vengono somministrati anestetici, il corpo vitale è spinto fuori coi veicoli superiori, e se la dose è troppo forte e l’etere vitale viene espulso, ne può seguire la morte. Lo stesso fenomeno si può anche osservare nelle materializzazioni prodotte dai medium. Infatti la differenza fra un medium materializzatore ed un uomo o donna comuni è proprio questa: nell’uomo o donna comuni il corpo vitale ed il corpo fisico sono, allo stadio attuale di evoluzione, saldamente uniti insieme, mentre nel medium sono debolmente connessi. Non è sempre stato così, e verrà il giorno in cui il corpo vitale potrà lasciare agevolmente il corpo fisico, come era capace di fare una volta; ma ciò non si può di regola effettuare attualmente. Quando un medium abbandona il suo corpo vitale per farlo usare da entità del Mondo del Desiderio, che desiderano materializzarsi, il corpo vitale defluisce in generale dolcemente dal lato sinistro, attraverso la milza, che è la sua ” porta ” particolare. Allora le forze vitali non possono circolare nel corpo come fanno normalmente; il medium diviene fortemente esausto, e molti di essi ricorrono a stimolanti per combattere questo indebolimento, divenendo col tempo bevitori incurabili.

    La forza vitale del Sole, che ci circonda allo stato di fluido incolore, è assorbita dal corpo vitale mediante la parte eterica della milza, dove subisce una curiosa modificazione di colore: essa diviene di un color rosa pallido e si espande poi lungo i nervi attraverso tutto il corpo denso. La forza vitale è per il sistema nervoso quello che l’elettricità è per un sistema telegrafico. Se anche ci sono fili, apparecchi e telegrafisti completamente efficienti, quando manca la corrente il messaggio non può essere trasmesso. L’Ego, il cervello ed il sistema nervoso possono similmente essere in perfetto ordine; ma se la forza vitale mancasse per trasmettere il messaggio dell’Ego ai muscoli attraverso i nervi, il corpo denso rimarrebbe inerte. Accade proprio così quando una parte del corpo è paralizzata. Il corpo vitale si è ammalato e la forza vitale solare non può ulteriormente fluire. In questi casi, come nella maggior parte delle malattie il guasto interessa i veicoli più sottili e invisibili. Riconoscendo consciamente od inconsciamente questo fatto, i medici che hanno maggior successo usano la suggestione, che agisce sui veicoli superiori, a sussidio della medicina. Quanto più un medico può infondere nel suo paziente la fede e la speranza, tanto più sollecitamente la malattia sparirà per dar luogo ad una salute perfetta.

    Finché dura la salute il corpo vitale produce una quantità sovrabbondante di forza vitale, la quale, dopo esser passata attraverso il corpo fisico, s’irradia in linee rette in ogni direzione, a partire dalla sua periferia, come i raggi di un cerchio dal suo centro; ma quando subentra lo stato di malattia, il corpo vitale s’indebolisce e non può attrarre a sé la stessa quantità di energia e per di più il corpo fisico vive a sue spese. Le linee del fluido vitale che s’irradiano dal corpo sono allora contorte e ricurve, la qual cosa indica una riduzione della forza di espansione. Nello stato di salute, la grande forza di queste radiazioni trascina con sé i germi ed i microbi nocivi alla salute del corpo fisico; ma nella malattia, essendo debole la forza vitale, queste radiazioni non hanno la forza di eliminare tanto facilmente i germi del male. Perciò, se le forze vitali sono depresse, il pericolo di contrarre una malattia è molto maggiore di quando si è in buona salute.

    Nei casi in cui vengono amputate parti del corpo fisico, soltanto l’etere planetario accompagna la parte separata. Il corpo vitale distinto ed il corpo fisico si disintegrano sincronicamente dopo la morte. Così avviene con la controparte eterica del membro amputato. Esso si disintegra gradatamente a misura che il membro denso si decompone; ma poiché l’uomo possiede ancora il membro eterico, si spiega facilmente come egli possa sentire secondo le sue asserzioni, l’arto mancante o anche provarvi dolore. Tra il membro amputato e la parte eterica esiste cioè un certo legame, indipendentemente dalla distanza. Si riferisce il caso di un uomo che provava un forte dolore, come se un chiodo fosse stato conficcato nella carne dell’arto che gli era stato amputato; tale dolore era così persistente che l’arto venne dissotterrato e si trovò che nel chiuderlo nella cassa nella quale era stato sotterrato, un chiodo si era realmente infisso in esso. Il chiodo fu rimosso e il dolore cessò. Concorda con questo fatto, il dolersi che qualcuno fa di sofferenze ad un arto amputato, perfino dopo due o tre anni dall’avvenuta operazione. Trascorso un certo tempo il dolore cessa. Questo avviene perché, anche dopo l’amputazione, la malattia persiste nell’arto eterico non distaccato; ma appena la parte amputata si disintegra l’arto eterico la segue ed il dolore ha fine.

    Dopo avere osservato le relazioni dei quattro regni con la Regione Eterica del Mondo Fisico, volgiamo la nostra attenzione alla loro relazione col Mondo del Desiderio.

    Qui troviamo che tanto i minerali come le piante mancano di un corpo del desiderio separato. Essi sono permeati soltanto dal corpo del desiderio planetario. Mancando di un veicolo separato, sono incapaci di sentimento, desiderio ed emozione, che sono facoltà pertinenti al Mondo del Desiderio. Se una pietra è spezzata, essa non soffre; ma sarebbe errato dedurne che nessun sentimento è connesso con siffatta azione. Questo è il punto di vista materialistico, accettato dalla moltitudine incomprensiva. Gli occultisti sanno che non c’è nessuna azione, grande o piccola, che non sia avvertita in tutto l’universo, e sebbene la pietra, priva com’è di un corpo del desiderio separato, non possa soffrire, lo Spirito della Terra sente, poiché è appunto il corpo del desiderio della Terra che permea la pietra. Se un uomo si taglia un dito, il dito, non avendo alcun corpo del desiderio separato, non sente il dolore, ma lo sente l’uomo il cui corpo del desiderio permea anche il dito. Se una pianta è strappata dalle radici, ciò è avvertito dallo Spirito della Terra, come un uomo avverte se un capello gli viene strappato dalla testa. La nostra Terra è un corpo vivente e sensibile e tutte le forme sprovviste di corpi del desiderio individuali, per mezzo dei quali gli Spiriti in evoluzione che le animano potrebbero sperimentare delle sensazioni, sono comprese nel corpo del desiderio della Terra il quale è dotato di sensibilità. Lo spezzare una pietra e il cogliere fiori producono piacere alla Terra, mentre lo strappare le piante dalle radici produce pena. La ragione di ciò verrà data in una parte successiva di quest’opera, perché a questo punto del nostro studio la spiegazione sarebbe prematura e incomprensibile al comune lettore.

    Il Mondo planetario del Desiderio pulsa nei corpi vitale e fisico dell’animale e dell’uomo, allo stesso modo che nei minerali e nelle piante; i primi hanno inoltre un corpo del desiderio separato, che permette loro di provare desideri, emozioni e passioni. C’è tuttavia una differenza fra gli animali e l’uomo. Il corpo del desiderio dell’animale è formato interamente col materiale delle regioni più dense del Mondo del Desiderio, mentre, anche nel caso delle razze umane più primitive una piccola quantità di materia delle regioni più elevate entra nella composizione del loro corpo del desiderio. I sentimenti degli animali e delle razze umane meno evolute sono quasi del tutto rivolti alla soddisfazione dei desideri e delle passioni più basse, che trovano la loro espressione nella materia delle regioni inferiori del Mondo del desiderio. Perciò, affinché possano avere emozioni che li conducano ad un grado superiore di sviluppo, è indispensabile che essi abbiano i materiali corrispondenti nei loro corpi del desiderio. Via via che un uomo avanza nella scuola della vita, le sue esperienze lo ammaestrano ed egli desidera di divenire più puro e migliore. Così, gradatamente, nella materia del suo corpo del desiderio interviene un cambiamento corrispondente. Il materiale più puro e più brillante delle regioni superiori del Mondo del Desiderio sostituisce gli oscuri colori delle regioni inferiori. Il corpo del desiderio cresce anche di dimensioni, così che in un santo esso è veramente una cosa meravigliosa a vedersi la purezza dei suoi colori e la sua luminosa trasparenza non trovano adeguata similitudine. Occorre vederlo per apprezzarlo.

    Attualmente i materiali, sia delle regioni inferiori che di quelle superiori, entrano nella composizione dei corpi del desiderio della grande maggioranza dell’umanità. Non c’è nessuno che sia tanto cattivo, da non possedere qualche buona qualità. Questa trova espressione nei materiali delle regioni superiori, che si trovano nei loro corpi del desiderio. Ma, d’altra parte, pochi, pochissimi, sono tanto buoni da non usare affatto i materiali delle regioni inferiori.

    Allo stesso modo che i corpi planetari vitale e del desiderio. interpenetrano la materia densa della Terra come abbiamo visto nell’esempio della spugna, della sabbia e dell’acqua così i corpi vitali e del desiderio interpenetrano il corpo denso della pianta, dell’animale e dell’uomo. Ma durante la vita dell’uomo sulla Terra il suo corpo del desiderio non ha la stessa forma dei corpi denso e vitale. Assume quell’aspetto dopo la morte. Durante la vita ha l’apparenza di un ovoide luminoso il quale, nelle ore di veglia, avvolge completamente il corpo fisico, come l’albume avvolge il tuorlo di un uovo. Esso si estende da 30 a 40 centimetri al di là del corpo fisico. In questo corpo del desiderio ci sono numerosi centri di percezione ma, nella maggioranza delle persone, essi sono ancora allo stato latente. Il risveglio di questo centri corrisponde all’acquisizione del senso della vista da parte del cieco del nostro primo esempio. La materia del corpo del desiderio dell’uomo è in movimento incessante, di una rapidità inconcepibile. Non esiste nessun posto fisso per nessuna delle sue particelle, come è invece il caso per il corpo fisico denso. La materia che ora è alla testa, un istante dopo può essere ai piedi, e così di seguito. Nel corpo del desiderio, non esiste alcun organo di senso, come nel corpo fisico o nel corpo vitale; ma ci sono dei centri di percezione i quali, quando sono attivi, appaiono come vortici, che rimangono sempre nella stessa posizione relativamente al corpo fisico. Nella maggioranza delle persone questi centri sono dei semplici vortici, e non sono di alcuna utilità come centri di percezione. Essi sono, tuttavia, suscettibili di essere risvegliati in ciascuno; ma, a seconda dei diversi metodi usati per il loro risveglio, si hanno risultati differenti.

    Nel chiaroveggente involontario, sviluppato con metodi negativi, questi vortici girano da destra a sinistra ossia nella direzione opposta a quella delle lancette di un orologio.

    Nel corpo del desiderio del chiaroveggente volontario sviluppato in modo corretto, i vortici girano nella stessa direzione delle lancette di un orologio, rilucendo di straordinario splendore, di gran lunga maggiore della luminosità scintillante del corpo del desiderio ordinario. Questi centri lo provvedono dei mezzi adatti alla percezione delle cose del Mondo del Desiderio, ed egli vede ed investiga a volontà, mentre il medium i cui centri girano in senso inverso, somiglia ad uno specchio che riflette solo ciò che passa davanti ad esso. Egli è incapace di indagare per ottenere informazioni, poiché non può osservare quello che desidera. La ragione di ciò sarà spiegata in un altro capitolo; ma quella esposta è una delle differenze fondamentali fra un medium ed un chiaroveggente, correttamente esercitato. La maggior parte della gente, non fa distinzione fra i due; tuttavia c’è una regola infallibile, alla quale ognuno può attenersi: Nessun veggente correttamente formato eserciterà la chiaroveggenza a scopo di lucro, sia esso denaro od altra cosa; non la userà per soddisfacimento di curiosità, ma unicamente per aiutare il genere umano.

    Nessuno che sia capace di insegnare il metodo adatto per lo sviluppo di questa facoltà, darà una tale lezione a scopo di lucro. Coloro che chiedono denaro per esercitare la chiaroveggenza o per impartire lezioni su queste cose, non posseggono effettivamente nulla che meriti di esser pagato. La regola data è una guida sicura che può esser seguita da tutti con piena fiducia.

    In un futuro molto lontano, il corpo del desiderio dell’uomo diverrà tanto completamente organizzato quanto lo sono ora il corpo vitale e il corpo fisico. Quando quello stadio sarà raggiunto, avremo il potere di funzionare nel corpo del desiderio come facciamo ora con il corpo fisico, che è il più antico ed il meglio organizzato dei nostri veicoli, mentre il corpo del desiderio è il più recente (1). Il corpo del desiderio ha la sua sede nel fegato, come il corpo vitale l’ha nella milza.

    Le creature a sangue caldo sono le più evolute nella scala degli esseri; esse provano sentimenti, passioni ed emozioni che si esteriorizzano nel Mondo col desiderio; creature delle quali si può dire vivano realmente nel più vasto senso della parola, e non semplicemente vegetino; in esse le correnti del corpo del desiderio fluiscono all’esterno del fegato. La materia del desiderio scaturisce in ruscelli o correnti, che procedono per linee curve verso ogni punto della periferia dell’ovoide e fanno poi ritorno al fegato attraverso una quantità di vortici, pressappoco come fa l’acqua bollendo, che scaturisce continuamente all’esterno dalla sorgente del calore e vi ritorna dopo aver compiuto il proprio ciclo.

    Le piante sono prive di questo principio dinamico ed energetico e per questo esse non possono esprimere la vita ed il movimento, come fanno gli organismi più altamente sviluppati. Dove esiste vitalità e movimento, ma non sangue rosso, non esiste un corpo del desiderio separato. La creatura si trova semplicemente in un periodo di transizione dalla pianta all’animale e quindi si muove interamente sotto il controllo dello Spirito-gruppo.

    Negli animali a sangue freddo, che hanno un fegato e sangue rosso, esiste un corpo del desiderio separato, e lo Spirito-gruppo dirige le correnti verso l’interno perché nel loro caso, lo Spirito individuale (del singolo pesce o del rettile, per esempio) è del tutto al di fuori del veicolo fisico.

    Quando l’organismo si è sviluppato al punto che lo Spirito individuale possa cominciare a penetrare nei suoi veicoli, comincia a dirigere le correnti verso l’esterno, e noi vediamo allora l’inizio del periodo di esistenza caratterizzato dalle passioni e la comparsa del sangue caldo. E’ dunque il sangue rosso e caldo nel fegato dell’organismo sviluppato al punto da possedere in sé uno Spirito individuale (2) – il quale dirige col suo dinamismo le correnti della materia del desiderio verso l’esterno – che produce la manifestazione del desiderio e della passione nell’animale e nell’uomo. Nel caso dell’animale, lo Spirito non dimora ancora interamente in lui.

Figura C: Il corpo del desiderio nell’uomo ordinario

Figura D: Il corpo del desiderio nel chiaroveggente involontario

Figura E: Il corpo del desiderio nel Chiaroveggente Volontario

    Ciò non avviene finche i punti del corpo vitale e del corpo fisico non vengono in corrispondenza fra loro, come vedremo nel capitolo XII. Per questa ragione l’animale non vive tanto completamente quanto l’uomo, non essendo capace di desideri ed emozioni così elevati, in quanto esso non è altrettanto cosciente. I mammiferi odierni si trovano su di un gradino più elevato di quello raggiunto dall’uomo quando si trovava nella fase animale della sua evoluzione, perché essi posseggono sangue rosso e caldo, che l’uomo a quello stadio non possedeva. Questa differenza di condizione è spiegata dal sentiero dell’evoluzione a spirale; l’uomo attuale appartiene ad un più alto tipo di umanità che non gli attuali Angeli, quando si trovavano allo stadio umano. I mammiferi che ai nostri giorni attraversano la loro fase animale, hanno conseguito il possesso del sangue rosso e caldo, e sono quindi atti a sperimentare in certa misura desideri ed emozioni; essi saranno nel Periodo di Giove un tipo di umanità più puro e migliore di quello che non siamo noi ora, mentre fra la nostra presente umanità ci sarà qualcuno, anche nel Periodo di Giove, che sarà manifestamente ed apertamente malvagio. Questi non potranno allora dissimulare la loro vera natura, come fanno ora; ma non si vergogneranno affatto delle loro malvagità.

    Alla luce di questa esposizione circa il rapporto fra il fegato e la vita dell’organismo, è curioso notare che in parecchie lingue europee (l’inglese, la tedesca e le lingue scandinave) la parola che indica l’organo del corpo (liver = il fegato) ha anche il significato di persona che vive, ” vivente “.

    Se rivolgiamo la nostra attenzione ai quattro Regni per quanto riguarda la loro relazione col Mondo del Pensiero, troviamo che minerali, piante ed animali mancano di un veicolo che li metta in relazione con quel Mondo. Tuttavia sappiamo che alcuni animali pensano; ma questi sono gli animali domestici superiori, che sono stati in stretto contatto con l’uomo per numerose generazioni ed hanno in tal modo sviluppato una facoltà non posseduta dagli altri animali privi di siffatto vantaggio. Ciò in base allo stesso principio per cui un filo percorso da una carica elettrica ad alto potenziale “indurrà” una corrente più debole in un filo portatovi vicino. Incontriamo un fenomeno simile nell’ordine morale: un uomo di salda moralità farà sorgere un’uguale tendenza in una natura meno nobile; mentre una natura moralmente debole sarà sopraffatta e trascinata dall’influenza di caratteri malvagi. Tutto ciò che noi facciamo, diciamo o siamo si riflette nel nostro ambiente. Ed è in tal senso e per tale motivo che gli animali domestici superiori pensano. Essi sono i più elevati della loro specie, quasi sul punto della individualizzazione, e le vibrazioni del pensiero dell’uomo hanno ” indotto ” in loro un’analoga attività ad un livello inferiore. A parte le eccezioni notate, il regno animale non ha acquistato la facoltà del pensiero. Gli animali non sono individualizzati: questa è la grande e cardinale differenza fra il regno umano e gli altri regni. L’uomo è un individuo distinto; gli animali, le piante, i minerali sono divisi in specie. Essi non sono individualizzati nello stesso senso in cui lo è l’uomo.

    E’ vero che noi dividiamo l’umanità in razze, tribù e nazioni; rileviamo la differenza fra il caucasico, il negro, l’indiano, ecc.; ma non sta in ciò l’importanza della questione. Se noi desideriamo studiare le caratteristiche del leone, dell’elefante o di altre specie inferiori è sufficiente prendere in esame un solo membro di quella specie. Conosciute le caratteristiche di un solo animale, conosciamo anche quelle della specie a cui esso appartiene. Tutti i membri di una stessa tribù animale sono simili: questo è il punto importante. Un leone, o suo padre, o suo figlio appaiono tutti simili fra loro; non c’è nessuna differenza nel modo in cui essi agiscono di fronte a circostanze analoghe. Tutti hanno le stesse simpatie ed antipatie; uno è simile all’altro.

    Non è così con gli esseri umani. Se noi desideriamo conoscere le caratteristiche dei negri, non ci servirebbe prendere in esame un singolo individuo. Sarebbe necessario esaminare ciascun negro individualmente e anche con ciò non arriveremmo a nessuna conoscenza intorno ai negri considerati come un tutto, semplicemente perché ciò che era la caratteristica di un singolo individuo, non è applicabile a tutta la razza collericamente.

    Se noi desideriamo di conoscere il carattere di Abramo Lincoln, non ci servirà affatto studiare quello di suo padre, o di suo nonno o di suo figlio, perché essi differirebbero fra loro completamente. Ciascuno avrà le sue particolarità del tutto distinte da quelle di Abramo Lincoln.

    Al contrario, per descrivere minerali, piante ed animali, è sufficiente che noi dedichiamo la nostra attenzione ad un solo esemplare di ciascuna specie. Ci sono invece, fra gli esseri umani, tante specie quanti sono gli individui. Ogni persona è una ” specie “, una legge in sé, del tutto separata e appartata da ogni altro individuo; essa è tanto diversa dai suoi simili quanto una specie dei regni inferiori è diversa dall’altra. Possiamo scrivere la biografia di un uomo, ma l’animale non ha nessuna biografia. E ciò perché in ciascun uomo esiste uno Spirito individuale interiore, il quale dirige i pensieri e le azioni di ogni singolo essere umano, mentre vi è uno Spirito-gruppo comune a tutti i diversi animali o piante della medesima specie. Lo Spirito-gruppo agisce in essi dall’esterno. La tigre che vaga nei deserti selvaggi della giungla indiana e la tigre chiusa nella gabbia di un circo, sono entrambe espressione del medesimo Spirito-gruppo. Esso influenza entrambe dal Mondo del Desiderio in cui risiede e dove le distanze sono un fattore pressoché insignificante.

    Gli Spiriti-gruppo dei tre regni inferiori sono variamente situati nei Mondi superiori, come vedremo fra breve quando investigheremo la coscienza dei diversi regni; ma per intendere correttamente la loro rispettiva posizione, è necessario rammentare e chiaramente comprendere quello che è stato detto intorno a tutte le forme che si trovano nel mondo visibile e che sono cristallizzazioni dei modelli e delle idee esistenti nei Mondi superiori, come è stato esemplificato con la casa dell’architetto e la macchina dell’inventore. Come gli umori del molle corpo della chiocciola si cristallizzano nel duro guscio che essa si porta dietro, così gli Spiriti dei Mondi superiori cristallizzano all’esterno di se stessi i corpi materiali densi dei diversi regni.

    Così, i veicoli che chiamiamo ” superiori “, benché tanto sottili e nebulosi da essere invisibili, non sono affatto ” emanazioni ” del corpo denso; ma i veicoli solidi di tutti i regni corrispondono per così dire al guscio della chiocciola, che è cristallizzato dai suoi umori mentre la chiocciola rappresenta lo Spirito; gli umori del suo corpo nel loro processo di cristallizzazione, rappresentano la mente, il corpo del desiderio e il corpo vitale. Questi diversi veicoli furono emanati dallo Spirito stesso allo scopo, grazie ad essi, di acquisire esperienza. E’ lo Spirito che muove il corpo fisico a suo piacimento, come la chiocciola muove la sua casa, e non è il corpo che controlla i movimenti dello Spirito. Più strettamente entra lo Spirito in contatto col suo veicolo, meglio può controllarlo ed esprimersi attraverso quel veicolo e viceversa. Questa è la chiave per i diversi stati di coscienza nei diversi regni. Lo studio delle Tavole schematiche n. 2 e n. 3 darà una chiara idea dei veicoli di ciascun regno e del modo col quale essi sono in correlazione coi diversi Mondi, e lo stato di coscienza che ne risulta.

Tavola Schematica B: Relazione tra i veicoli ed i Mondi

Tavola Schematica C: Stati di Coscienza di ciascun Regno

    Dalla Tavola schematica n. 2 impariamo che l’Ego separato è completamente racchiuso entro lo Spirito Universale nella Regione del Pensiero Astratto. Questa Tavola mostra che solo l’uomo possiede la completa catena dei veicoli che lo mettono in relazione con tutte le divisioni dei tre Mondi. All’animale manca un anello della catena: la mente; alla pianta ne mancano due, la mente e il corpo del desiderio; ed al minerale mancano i tre anelli della catena di veicoli necessari per funzionare in modo autocosciente nel Mondo Fisico: la mente, il corpo del desiderio e il corpo vitale.

    La ragione delle varie differenze consiste nel fatto che il regno minerale è l’espressione dell’onda di vita in evoluzione più recente, il regno vegetale è animato da un’onda di vita che da più lungo tempo si trova sul sentiero dell’evoluzione; l’onda di vita del regno animale ha un passato ancora più antico; mentre l’uomo e cioè la vita che ora si esprime nella forma umana, ha dietro di sé il più lungo viaggio di tutti i quattro regni, e quindi è in testa a tutti. Col tempo le tre onde di vita che ora animano i tre regni inferiori, raggiungeranno la condizione umana mentre noi avremo allora raggiunto un più alto grado di sviluppo.

    Per comprendere il grado di coscienza risultante dal possesso dei veicoli che la vita evolvente usa nei quattro regni, consideriamo la Tavola schematica n. 3, la quale mostra che l’uomo pensante, l’Ego, è disceso nella Regione Chimica del Mondo Fisico. Qui egli ha coordinato tutti i suoi veicoli pervenendo così allo stato di risveglio della coscienza. Ora sta imparando a controllare i suoi veicoli. Gli organi del corpo del desiderio e quelli della mente, non sono ancora evoluti. Quest’ultima non è ancora neppure un corpo. Attualmente, è solo un involucro, una guaina, usata dell’Ego come punto focale in cui concentrare le sue energie. E’ l’ultimo veicolo costruito. Lo Spirito, lavorando, passa gradatamente dalla sostanza più sottile alla più grossolana, ed i suoi veicoli sono prima formati di sostanza sottile e poi di sostanza sempre più densa. Il corpo fisico fu costruito per primo ed ha ora raggiunto il quarto grado di densità; il corpo vitale è al terzo stadio; il corpo del desiderio al secondo, e perciò è ancora nebuloso; infine la guaina della mente è ancora più sottile. Poiché questi veicoli non hanno finora sviluppato alcun organo, è chiaro che, da soli, essi non potrebbero servire come veicoli di coscienza. L’Ego, tuttavia, penetra all’interno del corpo denso, collega questi veicoli privi di organi coi centri dei sensi fisici e perviene così a risvegliare la coscienza allo stato di veglia nel Mondo Fisico.

    Lo studioso dovrebbe osservare in modo particolare che è a causa del loro legame col meccanismo meravigliosamente organizzato del corpo fisico, che questi veicoli superiori acquistano valore. Egli eviterà un errore nel quale incorrono frequentemente coloro che, giunti a conoscere l’esistenza dei corpi superiori, cominciano a disprezzare il veicolo fisico, lo definiscono ” basso ” e ” vile “, volgendo gli occhi al cielo desiderosi di presto lasciare questa terrena massa di creta e prendere il volo nei loro ” veicoli superiori “.

    In generale, queste persone non rilevano la differenza fra ” superiore ” e ” perfetto “. Certamente il corpo fisico è il veicolo più basso, nel senso che è il più pesante e che unisce l’uomo al mondo sensibile con tutte le limitazioni che ne derivano. Come già detto, esso ha un lunghissimo periodo di evoluzione dietro di sé ed ha ora raggiunto un grande e meraviglioso grado di efficienza. Col tempo raggiungerà la perfezione, ma, anche ora, è il meglio organizzato dei veicoli dell’uomo. Il corpo vitale è al suo terzo stadio di evoluzione ed è organizzato meno completamente del corpo fisico. Il corpo del desiderio e la mente sono, per ora, semplici nubi quasi del tutto disorganizzate. Negli esseri umani meno evoluti, questi veicoli non sono ancora ovoidi ben definiti, ma hanno forma più o meno indecisa.

    Il corpo fisico è uno strumento costruito meravigliosamente e degno dell’ammirazione di chiunque sia in possesso di una qualche conoscenza della costituzione dell’uomo. Osservate il femore, per esempio. Quest’osso sopporta l’intero peso del corpo. All’esterno è formato da un delicato involucro di osso compatto, rafforzato internamente da fibre ossee cellulari incrociate in modo così meraviglioso che il ponte più perfetto e la migliore opera d’ingegneria non potranno mai giungere a formare con tanto poco peso, un pilastro così forte. Lo stesso dicasi per le ossa del cranio: sempre col minimo impiego di materiale si ottiene il massimo di forza. Considerate la sapienza che si rivela nella formazione del cuore e poi chiedetevi se questo superbo meccanismo meriti di essere disprezzato. L’uomo saggio è grato per il suo corpo fisico e ne ha la massima cura ben sapendo che esso è il più prezioso dei veicoli di cui per ora dispone.

    Nella sua discesa lo Spirito dell’animale non ha raggiunto che il Mondo del Desiderio. Questo Spirito non è ancora evoluto fino al punto di poter ” penetrare ” in un corpo fisico. Perciò, l’animale non possiede uno Spirito individuale interiore ma uno Spirito-gruppo che lo guida dal di fuori. L’animale possiede il corpo fisico, il corpo vitale, e il corpo del desiderio, ma lo Spirito-gruppo che lo dirige è esterno. Il corpo vitale ed il corpo del desiderio dell’animale non si trovano interamente dentro il corpo denso, specialmente per quel che riguarda la testa. La testa eterica di un cavallo, per esempio, si proietta assai al di là e al di sopra della testa fisica. Quando, come avviene in rari casi, la testa eterica di un cavallo entra dentro la testa fisica, il cavallo può imparare a leggere, a contare ed a fare semplici operazioni di aritmetica. A questa peculiarità è anche dovuto il fatto che cavalli, cani, gatti ed altri animali domestici, percepiscono il Mondo del Desiderio sebbene non sempre si accorgano della differenza fra tale Mondo ed il Mondo Fisico. Un cavallo si adombrerà alla vista di una forma invisibile al conduttore; un gatto cercherà di strofinarsi contro gambe invisibili per noi: non si accorge che non ci sono gambe dense utilizzabili per strofinarcisi contro. Il cane, che è più intelligente e savio del cavallo e del gatto, spessissimo sente che c’è qualcosa che egli non comprende quando vede che gli si appressa l’ombra del defunto padrone alla quale non può lambire la mano in segno di affetto. Allora esso mugolerà cupamente e si nasconderà in un cantuccio con la coda fra le gambe. L’esempio che segue sarà forse utile per chiarire la differenza fra l’uomo col suo Spirito interiore e l’animale diretto dal suo Spirito-gruppo.

    Immaginiamo una stanza divisa per metà da una tenda, e che una parte della tenda rappresenti il Mondo del Desiderio e l’altra il Mondo Fisico. Vi sono due uomini nella stanza, uno da ciascun lato della tenda; essi non si possono vedere, né possono riunirsi dalla stessa parte. Ci sono dieci buchi nella tenda, e l’uomo che si trova dalla parte che rappresenta il Mondo del Desiderio può introdurre le sue dieci dita attraverso questi buchi verso l’altra parte rappresentante il Mondo Fisico. Egli ci fornisce ora un’eccellente rappresentazione dello Spirito-gruppo che si trova nel Mondo del Desiderio. Le dita rappresentano gli animali appartenenti alle singole specie. L’uomo può muoverle a volontà, ma non può farne uso così liberamente e così intelligentemente come l’uomo che passeggia nella parte che rappresenta il Mondo Fisico può usare il suo corpo denso. Quest’ultimo vede le dita spinte attraverso la tenda e osserva che tutte si muovono, ma non si accorge di alcun legame fra loro. A lui appaiono come se fossero separate e distinte una dall’altra. Non può vedere che esse sono le dita dell’uomo che si trova di là dalla tenda e che vengono governate nei loro movimenti dalla sua intelligenza. Se egli ferisce una delle dita, non ferisce soltanto quel dito, ma principalmente l’uomo invisibile che si trova dietro la tenda. Se un animale è ferito, soffre, ma non quanto soffre lo Spirito-gruppo. Il dito non possiede coscienza individuale, si muove come l’uomo comanda; così l’animale si muove come comanda lo Spirito-gruppo. Parliamo di ” istinto animale ” e di” istinto cieco “, ma non esiste una cosa così vaga e indefinita come il ” cieco ” istinto. Non v’è nulla di ” cieco ” nel modo col quale lo Spirito-gruppo guida i suoi membri; vi è la SAPIENZA e scritta a lettere maiuscole. Il chiaroveggente addestrato, quando agisce nel Mondo del Desiderio, può entrare in relazione con questi Spiriti delle specie animali e li trova molto più intelligenti di una larga percentuale di esseri umani. Egli può constatare il meraviglioso discernimento che essi dimostrano nel dirigere gli animali che sono i loro corpi fisici.

    E’ lo Spirito-gruppo che in autunno raccoglie gli uccelli in stormi e li spinge a migrare verso il sud, né troppo presto né troppo tardi, per sfuggire al vento gelido dell’inverno; è lui che dirige il loro ritorno a primavera, spingendoli a volare alla giusta altezza, diversa per le diverse specie.

    Lo Spirito-gruppo insegna al castoro come costruire con giusta angolatura la sua diga attraverso la corrente del fiume con una notevole precisione. Esso considera la rapidità del corso delle acque e tutte le circostanze, proprio come farebbe un esperto ingegnere mostrandosi al corrente di ogni particolare dell’arte come un professionista tecnicamente istruito in una scuola. E’ la sapienza dello Spirito-gruppo che dirige la costruzione delle celle esagonali dell’ape con tanta geometrica esattezza, che insegna alla chiocciola a modellare la sua casa in una magnifica e precisa spirale e al mollusco dell’oceano l’arte di decorare la sua iridescente conchiglia. Saggezza, saggezza ovunque! Così grande, così sublime che chiunque osservi con occhio attento è riempito di meraviglia e di venerazione.

    A questo punto sorgerà spontanea la domanda: se lo Spirito-gruppo dell’animale è tanto saggio, considerando il breve periodo di evoluzione dell’animale rispetto a quello dell’uomo, perché mai quest’ultimo non si mostra più sapiente e perché è obbligato a studiare l’algebra e la geometria per poter costruire una diga o altre opere, cose tutte che lo Spirito-gruppo dell’animale fa senza alcun ammaestramento ?

    Noi risponderemo che la causa di ciò è dovuta alla discesa progressiva dello Spirito Universale nella materia di sempre crescente densità. Nei Mondi superiori, dove i suoi veicoli sono meno numerosi e più sottili, esso è in più stretto contatto con la sapienza cosmica che rifulge in modo ineffabile nel Mondo Fisico denso; ma, via via che lo Spirito discende, la luce della sapienza si offusca temporaneamente sempre di più finché, nel più denso dei Mondi, essa è quasi del tutto spenta.

    Un esempio varrà a rendere questo più chiaro. La mano è lo strumento più prezioso dell’uomo e la sua destrezza le permette di rispondere al minimo comando di lui. In alcune professioni, come quella di cassiere, il delicato tocco della mano diviene così sensibile, da distinguere una moneta falsa da una buona in modo tale da far quasi pensare che essa sia dotata di intelligenza individuale.

    E’ nell’esecuzione di un pezzo musicale che la mano può forse meglio mostrare la sua abilità. Essa è capace di produrre le melodie più belle e commoventi. Il tocco delicato e gentile della mano fa scaturire dallo strumento i più teneri accenti del linguaggio dell’anima che esprimono angosce, gioie, speranze, timori, desideri, come solo la musica può fare. E’ il linguaggio del Mondo celeste, la vera dimora dello Spirito, e giunge alla divina scintilla imprigionata nella carne come un messaggio dalla sua terra natale. La musica parla a tutti qualunque sia la loro razza, la loro religione o la loro posizione sociale. Più elevato e più spirituale è l’individuo, più chiaro diventa per lui quel linguaggio, che tuttavia giunge anche al cuore di un’anima primitiva.

    Immaginiamo ora un celebre violinista che si metta i guanti e poi cerchi di suonare il violino. Noteremo subito che il tocco è meno delicato, che l’anima della musica è svanita. Se egli calza sui primi un altro paio di guanti, la mano resta intralciata in misura tale da produrre solo delle stonature. Se, infine, aggiungesse alle due paia di guanti che già lo imbarazzano un altro paio di guanti, il violinista sarebbe assolutamente incapace di suonare, cosa che farebbe dubitare, a chi non l’avesse mai sentito suonare in condizioni normali, della sua abilità.

    Così accade per lo Spirito: ogni passo in giù, ogni discesa verso la materia più densa costituisce per esso ciò che il calzare un paio di guanti costituirebbe per il musicista del nostro esempio. Ogni passo verso l’involuzione limita il suo potere di espressione fino a che poi si abitua alle limitazioni, e vi si adatta, così come l’occhio deve adattarsi alle variazioni d’intensità della luce. La pupilla si contrae al massimo nella luce abbagliante del sole, se noi entriamo allora in casa tutto sembra oscuro; ma via via che la pupilla si dilata e lascia passare la luce si finisce per veder così bene nella penombra della casa come in pieno sole.

    Scopo dell’evoluzione dell’uomo quaggiù è di metterlo in grado di trovare il suo centro nel Mondo Fisico dove, ora, la luce della saggezza sembra oscurata. Ma quando, a tempo debito, avremo ” trovato la luce “, la saggezza dell’uomo rifulgerà nelle sue azioni sorpassando di gran lunga quella espressa dallo Spirito-gruppo dell’animale.

    Inoltre bisogna distinguere fra lo Spirito-gruppo e gli Spiriti Vergini dell’onda di vita che ora sta esprimendosi negli animali. Lo Spirito-gruppo appartiene ad un’evoluzione diversa ed è il guardiano degli Spiriti animali.

    Il corpo fisico, per mezzo del quale noi agiamo, è composto di numerose cellule aventi ciascuna una coscienza propria pur se di ordine molto basso. Mentre queste cellule fanno parte del nostro corpo, esse sono soggette alla nostra coscienza e da essa dominate. Uno Spirito-gruppo animale funziona in un corpo spirituale che è il suo più basso veicolo. Questo veicolo consiste di un numero variabile di Spiriti Vergini attualmente immersi nella coscienza dello Spirito-gruppo. Quest’ultimo dirige i veicoli costruiti dagli Spiriti Vergini in sua balìa, prendendone cura, ed aiutandoli a sviluppare i loro veicoli. Mentre gli Spiriti Vergini si evolvono, si evolve anche lo Spirito-gruppo passando per una serie di trasformazioni in modo analogo a quello col quale noi cresciamo ed acquistiamo esperienza assimilando nel nostro corpo le cellule nutritive che ingeriamo, suscitando la loro coscienza coll’arricchirle per un certo tempo della nostra.

    Così, mentre un Ego separato autocosciente si trova in ogni corpo umano e domina le azioni del suo veicolo particolare, lo Spirito del singolo animale non è ancora individualizzato né autocosciente ma fa parte del veicolo di una entità autocosciente appartenente ad una diversa evoluzione: lo Spirito-gruppo.

    Questo Spirito-gruppo domina le azioni degli animali in armonia con la legge cosmica, finché gli Spiriti Vergini in sua balìa non abbiano raggiunto l’autocoscienza e siano individualizzati allo stato umano. Allora essi manifesteranno gradatamente una volontà personale, emancipandosi sempre più dallo Spirito-gruppo e divenendo responsabili delle loro azioni. Lo Spirito-gruppo le influenzerà tuttavia (sebbene in misura decrescente) come Spirito di razza, tribù comunità, o famiglia, sino a che ogni individuo non acquisti la capacità di agire in piena armonia con la legge cosmica. Finché non sia giunto un tal momento l’Ego non sarà completamente libero ed indipendente dallo Spirito-gruppo e quando ciò avverrà s’inizierà una fase superiore della evoluzione.

    Il fatto che lo Spirito-gruppo si trovi nel Mondo del Desiderio conferisce all’animale una coscienza diversa da quella dell’uomo, il quale possiede una coscienza di veglia chiara e precisa. L’uomo vede le cose esteriori con contorni ben netti e distinti. In virtù del sentiero dell’evoluzione che si svolge a spirale, gli animali domestici superiori, specialmente il cane, il cavallo, il gatto e l’elefante, vedono gli oggetti quasi allo stesso modo benché, forse, non proprio distintamente.

    Tutti gli altri animali posseggono una ” coscienza rappresentativa ” interiore simile a quella dell’uomo quando sogna. In presenza di un oggetto, essi percepiscono interiormente un’immagine accompagnata da una forte impressione che inquadra l’oggetto come favorevole o contrario al loro benessere. Se il sentimento che suscita è di paura, esso si associa ad una suggestione proveniente dallo Spirito-gruppo che gl’indica come sfuggire al minacciato pericolo. Questo stato negativo di coscienza facilita allo Spirito-gruppo la guida dei corpi fisici degli animali mediante la suggestione, perché gli animali non posseggono volontà individuale.

    L’uomo non è facilmente guidato dall’esterno con o senza il suo consenso. Via via che l’evoluzione avanza e la volontà dell’uomo si sviluppa sempre di più, egli si affrancherà dalle suggestioni esteriori e sarà libero di agire secondo il proprio volere, indipendentemente dalle influenze altrui. Questa è la principale differenza fra l’uomo e gli altri regni. Questi agiscono secondo la legge e gl’imperiosi ordini dello Spirito-gruppo (che noi chiamiamo istinto), mentre l’uomo diviene sempre più legge a se stesso. Noi non chiediamo al minerale se si vuol cristallizzare o no, né al fiore se vuole o non vuole sbocciare, né al leone se vuole o non vuole cessare di predare. Essi sono tutti, nelle cose piccole come nelle grandi, sotto il dominio assoluto dello Spirito-gruppo, in quanto privi di libero arbitrio e di iniziativa, qualità possedute invece, in diverso grado, da ogni essere umano. Tutti gli animali della stessa specie appaiono approssimativamente uguali, perché essi sono l’emanazione dello stesso Spirito-gruppo, mentre fra il miliardo e mezzo di esseri umani che popolano la terra (3), non due soli esseri umani appaiono esattamente simili neppure i gemelli nell’adolescenza, perché il segno posto su ciascuno dall’Ego individuale, produce la differenza nell’aspetto come nel carattere.

    Che tutti i buoi si nutrano d’erba e tutti i leoni mangino carne, mentre ciò che costituisce un buon nutrimento per un uomo, non sempre conviene ad un altro uomo, è ancora una prova dell’universale influenza dello Spirito-gruppo sugli animali, in contrasto con l’Ego, il quale fa sì che ogni essere umano richieda una proporzione di cibo specialmente adatta al proprio organismo. I medici notano perplessi la stessa particolarità negli effetti delle loro medicine. Queste agiscono in modo differente nei vari individui, mentre la stessa medicina produrrà identici effetti in due animali della stessa specie, in virtù del fatto che tutti gli animali seguono gli ordini dello Spirito-gruppo e della Legge Cosmica, ed agiscono sempre in modo simile nelle identiche circostanze. Soltanto l’uomo è, in qualche misura, capace di seguire, entro certi limiti, i suoi propri desideri. Che i suoi errori siano molti e gravi, si concede, ed a molti potrebbe sembrare preferibile che egli fosse obbligato a seguire la retta via; ma, se così fosse, egli non imparerebbe mai ad agire correttamente. Le lezioni per discernere il bene dal male, non possono essere imparate se non a condizione che egli sia libero di scegliere il proprio genere di vita, ed abbia appreso ad evitare il male come una vera ” fonte di dolore “. Se egli agisse correttamente solo perché non ha altra scelta, e non avesse alternativa di agire in modo diverso, sarebbe un automa e non un Dio in evoluzione. Come il costruttore impara dai suoi errori a correggersi nelle future costruzioni, così l’uomo, mediante i suoi errori ed il dolore che ne deriva, consegue (perché autocosciente) una sapienza superiore a quella dell’animale, il quale agisce saggiamente perché forzato dallo Spirito-gruppo. Col tempo l’animale giungerà allo stadio umano, avrà libertà di scelta e, attraverso gli errori, imparerà come noi facciamo adesso.

    La Tavola schematica n. 3 mostra che lo Spirito-gruppo del regno vegetale ha il suo più basso veicolo nella Regione del Pensiero Concreto. Esso si trova a due gradini di distanza dal suo veicolo denso e, in conseguenza, le piante hanno coscienza corrispondente a quella del sonno senza sogni. Lo Spirito-gruppo del minerale ha il suo più basso veicolo nella Regione del Pensiero Astratto e dista quindi di tre gradini dal suo veicolo denso; perciò il minerale è in uno stato di profonda incoscienza simile alla condizione di trance.

    Vediamo così, dunque, come l’uomo sia uno Spirito individuale, un Ego separato da tutte le altre entità, che dirige ed opera in una serie di veicoli dall’interno e come le piante e gli animali sono guidati dall’esterno per opera di uno Spirito-gruppo avente giurisdizione su un certo numero di animali e di piante nel nostro Mondo Fisico. Essi sono separati solo in apparenza.

    Le relazioni della pianta, dell’animale e dell’uomo con le correnti vitali che circolano nell’atmosfera della Terra sono simbolicamente rappresentate dalla croce. Il Regno Minerale non è compreso in questo simbolo perché, come abbiamo veduto, non possiede un corpo vitale individuale e perciò non può essere il veicolo per le correnti dei regni superiori. Platone, che era un iniziato, enunciò spesso verità occulte. Egli disse: ” L’Anima del Mondo è crocifissa “.

    Il braccio inferiore della croce indica la pianta con le sue radici che affondano nel terreno chimico minerale. Gli Spiriti-gruppo delle piante si trovano al centro della Terra. Essi dimorano, ricordiamolo, nella Regione del Pensiero Concreto che interpenetra la Terra così come fanno tutti gli altri Mondi. Da questi Spiriti-gruppo fluiscono correnti in tutte le direzioni verso la periferia della Terra passando all’esterno attraverso il fusto della pianta o dell’albero.

    L’uomo è rappresentato dal braccio superiore; egli è la pianta rovesciata. La pianta assorbe il suo nutrimento attraverso la radice; l’uomo prende il cibo dalla testa. La pianta spinge i suoi organi della generazione verso il sole; l’uomo, pianta rovesciata, volge i suoi verso il centro della terra. La pianta riceve le correnti spirituali dello Spirito-gruppo proveniente dal centro della terra, che penetrano in essa attraverso la radice; vedremo in seguito che la più alta influenza spirituale giunge all’uomo dal sole i cui raggi penetrano in lui attraverso la testa. La pianta inala il velenoso biossido di carbonio esalato dall’uomo ed esala l’ossigeno, datore di vita, inalato da lui.

    Gli animali, simbolizzati dal braccio orizzontale della croce, stanno fra la pianta e l’uomo. La loro spina dorsale è in posizione orizzontale ed attraverso di essa vibrano le correnti dello Spirito-gruppo, correnti che circolano intorno alla Terra.

    Nessun animale può rimanere costantemente in posizione eretta, perché in questo caso le correnti dello Spirito-gruppo non potrebbero guidarlo, e non essendo abbastanza individualizzato da sopportare le correnti spirituali che attraversano la spina dorsale verticale dell’uomo, morirebbe.

    E’ necessario che un veicolo, affinché possa servire per l’espressione di un Ego individuale, soddisfi a tre condizioni:

        un’andatura eretta che gli permetta di mettersi in contatto con le correnti ora menzionate;

        una laringe verticale, perché solo questa rende possibile il parlare (ai pappagalli, alle gazze e agli stornelli, che hanno una laringe verticale, si può insegnare a parlare);

        un sangue caldo, capace di ricevere le correnti solari.

    Quest’ultima condizione è della massima importanza per l’Ego, come in seguito razionalmente spiegheremo e illustreremo. Per il momento ci limitiamo alla menzione degli elementi necessari all’Ego, terminando questo studio sui rapporti dei Quattro Regni, fra loro e con i differenti Mondi.

    (1) Poiché ” (la mente) non è ancora neppure un corpo. Attualmente è solo un involucro “.

    (2) L’Ego.

    (3) Max Heindel scrisse questo libro nel 1909.

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JOSEPH “RUDYARD” KIPLING- LA SUA VITA

JOSEPH “RUDYARD” KIPLING

(1865-1936)

LA SUA VITA

di

Riccardo Isnenghi

Joseph “Rudyard” Kipling, nacque a Bombay, in India, il 30 Dicem bre 1865, da genitori inglesi ivi trasferitisi per motivi professionali. Nacque in quel momento uno dei personaggi più significativi nell’ambito della letteratura inglese, grande iniziato e punto fermo della Massoneria moderna. A 5 anni fu mandato in Inghilterra, per ricevere un’istruzione adeguata; studiò a Londra e, successivamente, in un college del North Devon; questo fu per lui un periodo terribilmente triste in quanto, ragazzo molto sensibile, soffriva della mancanza dei genitori, ancora molto impegnati in India.

Finito il college, Joseph ritornò finalmente in India, a Lhaore, dove pur essendo giovanissimo, diventò vicedirettore della “Civil and Military Gazette”, importante notiziario informativo in lingua inglese. Egli rimase profondamente colpito ed estasiato dalla tipicità di quel paese, trovò nelle piccole cose comuni della strada e nelle persone di tutti i giorni, le più frequenti basi per le sue storie e i suoi poemi. Il suo ingresso nell’istituzione massonica avvenne nel 1886 quando egli, ancora ventenne, non aveva conseguito la maggiore età. Ciò avvenne però ugualmente in quanto fu presentato da due colonnelli dell ‘esercito inglese che gli fecero da garanti.

La scelta di essere iniziato Libero Muratore fu per lui forte e decisa poiché anche suo padre era massone. L’iniziazione avvenne nell’Aprile del 1886 nella “Hope and Perseverance” n. 782 all’oriente di Lhaore, loggia di cui fu subito segretario.

Negli anni successivi, molti spostamenti per motivi di lavoro portarono Kipling a frequentare assiduamente diverse logge in tutta l’India, paese allora molto eterogeneo, e ciò diede sicuramente al Kipling massone un’impronta che egli manterrà per tutta la vita. L’anno 1889 vide il suo definitivo ritorno in Inghilterra, paese in cui rimase fino al suo matrimonio e in cui intrattenne fitti rapporti con altri importanti letterati del tempo, primo fra tutti A. C. Doyle, anch’egli massone e famosissimo creatore di S. Holmes.

Nel 1892 si sposò con Caroline Balestier e si trasferì nel Vermount negli Stati Uniti, ove rimase quattro anni, fino al 1896 anno durante il quale ritornò in Inghilterra. Cominciò in seguito a viaggiare come inviato di guerra in numerose nazioni tra cui il Sudafrica, l’Italia e la Francia, continuando però nel frattempo a frequentare con devozione ed assiduità l’Istituzione

         alla quale era così attaccato. Nel 1900 entrò nella Società dei Rosacroce e nel 1910 fu tra i fondatori di una loggia, la “Authors” n.3456. Avendo ricevuto, primo tra gli scrittori inglesi, nel 1907 il premio Nobel per la Letteratura, venne invitato a presenziare ai lavori di numerose logge di cui diverrà poi socio onorario (tra tutte ricordiamo la famosa Loggia “Motherland” n.3861 all’Or. di Londra).

Lo sconforto per la ravvicinata perdita dei due figli lo fece fortemente tentennare ma, anche in questo caso, i Fratelli di Loggia furono con lui per sostenerlo dopo questo dolore immenso, aiutandolo a ritrovare la forza morale per continuare la professione e rinsaldare la sua profonda vocazione di Framassone. Joseph “Rudyard” Kipling, muore nel 1936, dopo una lunga malattia che strapperà al mondo letterario e soprattutto alla Fratellanza Universale uno dei suoi più grandi esponenti in senso assoluto.

Kipling: La Massoneria. Come anticipato in precedenza, l’iniziazione di Kipling avvenne nell’aprile del 1886, tra le colonne della Loggia “Hope and Perseverance” di Lhaore, officina estremamente eterogenea, composta da Fratelli di almeno cinque confessioni diverse e con differenti caratteristiche sociali, si trovavano, infatti, in essa componenti di religione Mussulmana, Ebraica, Cattolica, Induista e Shik ed altresì vi erano Fratelli militari, agricoltori, popolani e di alto censo.

Questa loggia rappresentò quindi per lui, uomo di grande tolleranza e di buona indole, la perfetta sintesi di ciò che in buona sostanza definisce ancora oggi l’essenza Massonica: Tolleranza, Fratellanza e Uguaglianza. A Lhaore, la gente credeva che nella Loggia ci fosse qualcosa di magico; infatti si pensava che solo in questo modo persone di così differenti caste e di diversa religione potessero convivere in grande fraternità e armonia, diventando addirittura un esempio per il mondo profano. Dopo un solo mese, nel maggio dello stesso anno, si ebbe il suo passaggio al superiore grado di Compagno d’Arte e, sette mesi più tardi, quello ulteriore a Maestro. Segretario e M.D.C. nel febbraio del 1887, dovette però lasciare la sua amata Officina in quanto pressanti impegni di lavoro lo portarono a trasferirsi ad Allahbad, lì entrò nella loggia “Indipendence with Fidelity” n.391, ove restò fino al suo definitivo ritorno in Inghilterra nel 1889. Tristissimo fu il suo addio all’amata terra orientale. Appena giunse a Londra, venne chiamato tra le colonne della più antica e famosa Loggia del mondo, la “Cannongate Kilvsânning” n. 02, di cui divenne membro onorario. Il lavoro lo portò inviato di guerra in Sudafrica e lì, insieme a Sir Arthur Conan Doyle, dottore in un ospedale da campo, fondò nel 1900 un’officina cui fu dato nome di “Emergency Lodge”.

Nel 1900, rientrato in Inghilterra, entrò a far parte della Società dei Rosacroce, momento questo che gli permise di ampliare notevolmente le sue conoscenze esoteriche e di conseguenza migliorarsi anche sotto il profilo massonico. Il suo assiduo lavoro di grande iniziato, lo portò a fondare nel 1910 un’altra loggia di ispirazione culturale, che prese il nome di “Authors” e il numero distintivo di 3456. Nel 1918 anche la “Motherland Lodge” in Londra lo volle come membro onorario e la sua presenza nelle più grandi ed importanti logge europee diventò molto ambita. Nel 1922, per conto della G.’.L.’ di Francia fondò un’ulteriore officina chiamata “The Builder of the Silent Cities”.

Ulteriori esperienze Massoniche minori dell’autore inglese non sono state riportate in quanto, volendo essere concisi, si sono narrate solo le fasi salienti del suo lungo ed intenso impegno nell’Istituzione, impegno che lo pone innanzi a noi “Massoni Posteri”, come uno dei più grandi letterati iniziati, non solo del diciannovesimo secolo, ma dell’intera storia Massonico-letteraria mondiale.

Kipling: un vero Maestro

Immaginiamo per un momento di non avere letto i primi due punti di questo breve lavoro, pur non essendo a conoscenza dell’appartenenza di Kipling alla Libera Muratoria potremmo capire ciò semplicemente leggendo alcune delle sue opere in cui i concetti basilari dell’essenza iniziatica vengono posti in evidenza, talvolta in modo quasi lapalissiano, talvolta più velatamente ma comunque sempre con un vigore e una profondità spirituale e morale raramente riscontrata in altri autori. Comodo sarebbe a questo punto, avendo una fornita bibliografia sotto gli occhi, fare una sorta di resoconto e di elenco delle sue “Opere Massoniche” ma scrivendone una lunga lista, oltre ad annoiare il lettore e a rischiare di risultare prolissi, non si renderebbe giustizia ad un autore che fu “Universale” e che in tale maniera deve essere conosciuto e considerato. Kipling può dunque essere considerato un “Maestro Globale”, i cui insegnamenti Massonici, basati fortemente sui principi del Compagnonaggio inglese, vertono sui tre famosi principi di Tolleranza, Uguaglianza e Fratellanza.

I principi classici della Liberomuratoria nell’opera Kiplingiana sono espressi limpidamente in un’opera come “ln the Interest of Brethern” (1926), breve storia narrante i lavori svolti in una Loggia d’Istruzione inglese all’epoca della guerra, lavori descritti con una profondità ed al tempo stesso una semplicità degni proprio di un maestro. Durante i Lavori di Loggia in quell’epoca, si dava priorità all’aspetto comunitario, inteso come il ritrovarsi tra fratelli, uniti dall’ideale comune di una società migliore. Nel  caso delle Logge di Istruzione, le facce cambiavano quasi continuamente essendo Londra una metropoli di grande passaggio e, all’epoca, di un continuo ricambio di visitatori molti dei quali, essendo militari, ed appartenente  spesso alla Massoneria, passavano di Loggia in Loggia spostandosi per i  loro compiti militari di città in città. Ricordiamo che in Inghilterra, fino a

qualche decennio fa, l’esercito era un fonte molto forte da di buoni Massoni, che cambiando spesso città per servizio, portavano le loro personali esperienze nelle varie Logge ove lavoravano. Ciò andava quindi visto in maniera assolutamente positiva, in quanto era proprio in casi come questi, ove molti dei fratelli partecipanti ai lavori non si erano mai ne visti ne conosciuti, che la fraternità e la comunione di intenti, evidenziati dall’identico percorso iniziatico da essi compiuto, legavano fortemente le persone e davano a queste riunioni una profondità ed un serietà riscontrabili solo in un ambito come appunto quello Massonico.

A questo punto mi sembra doveroso ricordare, tra le tante, l’opera che più esalta lo spirito massonico dell’autore, la splendida poesia dedicata alla Loggia in cui egli fu iniziato, poesia che racchiude pur nella sua brevità, l’essenza principale e portante di tutto il Kipling grande iniziato e che a mio modo di vedere, può permetterci di vivere intensamente e con profondità anche le ulteriori opere a carattere iniziatico da lui elaborate. Nella “Mother Lodge”, poesia del 1896, un intero mondo con tutte le sue varie caratteristiche viene ritrovato nello stesso luogo,  nello stesso istante, con le stesse finalità e lo stesso sentimento; nel Tempio Massonico di Lhaore, infatti, uomini provenienti da luoghi diversi, con differenti percorsi, religioni dissimili e talvolta anche diversi linguaggi, sono insieme come fratelli, in un’unità totale di intenti morali e spirituali. Questa importante universalità viene ricordata dall’autore con estrema emozione e grande nostalgia, a voler spiegare all’attento lettore, la magia immensa ed incredibile che la Massoneria portava, ed ancora porta con se, in un mondo dove gli uomini per diverse idee politiche o credo religiosi differenti arrivano a combattere guerre assurde, che potrebbero essere evitate applicando i semplici ma profondi principi della Tolleranza e della Fraternità. Della Loggia Madre, Kipling ricorda la pace interiore provata lavorando coi Fratelli, le estreme diversità riscontrabili tra i suoi vari appartenenti all’esterno della Loggia, la totale uguaglianza che per contro vi era all’interno di essa, l’estrema tolleranza dimostrata per esempio nel non celebrare agapi per non offendere le varie caste o i vari credo religiosi e il profondo spirito di fratellanza mostrato da ognuno nei confronti dell’altro. Pare a tutti chiaro l’aspetto fortemente universalistico e fraternalistico da lui fortemente espresso.

Vi sono però altri aspetti iniziatici da non trascurare altresì presenti nella sua opera in maniera profonda: il simbolismo e l’uso di segni e comportamenti a forte carattere iniziatico e rituale che si trovano ne “L’uomo che volle farsi Re” e ne “La Gran Guardia”, opere in cui si fa esplicito riferimento a segni e parole tipiche dell’Arte Reale; la definizione sintomatica di come dovrebbe essere l’iniziato viene invece chiaramente espressa in un’opera che Kipling stesso ha dedicato e letto al figlio durante la sua iniziazione, poesia intitolata “I F” (se), considerata a pieno titolo una delle opere Massoniche per eccellenza, ove egli traccia una sorta di profilo interiore ideale del “Massone Illuminato”. Menzione a parte per “La Notte del Banchetto”, poesia in cui l’autore descrivendo un’agape, non esprime opinioni o traccia linee guida, ma sprona semplicemente il Fratello a dimenticare tutti i problemi che l’assillano nel mondo profano ed a godere appieno della compagnia che lo circonda beandosi di quella, quindi in questo caso esaltando la fratellanza non in senso prettamente esoterico, ma cogliendone maggiormente l’aspetto compagnonistico, inteso in senso quasi cameratesco.

“La Notte del Banchetto”, può comunque essere avvicinata nello spirito alla “Loggia Madre”, in quanto dispensatrice di sentimenti di fraternità e di tolleranza, ed è questo, a mio modestissimo parere, il vero cuore della “Maestria Massonica” di Rudyard Kipling, scrittore e Fratello illuminato che ancora oggi ci traccia una strada, insegnandoci cosa significhi non solo chiamarsi Fratelli, cosa che tra noi generalmente accade, ma anche a sentirsi tali ed a viverlo intensamente, sia nella quotidiana vita profana, che lungo il nostro percorso iniziatico nei momenti passati insieme nelle rispettive officine.

Dobbiamo comportarci anche e soprattutto tra noi con correttezza e fraternità, seguendo quell’insegnamento di virtù che ci ha lasciato questo illuminato Fratello, che ha dedicato tutta la sua vita alla nostra Istituzione facendo nascere nuove Logge, scrivendo opere di estremo spessore ed acutezza, iniziando tanti nuovi Fratelli e soprattutto amando ciò in cui credeva visceralmente.

Ringraziamolo infinitamente per ciò che ci ha lasciato, una grande eredità fatta di bontà, di rettitudine morale e di amore per la Massoneria. Tanto e altro ancora si potrebbe scrivere di lui, non basterebbe un libro intero, ma in questo mio piccolo lavoro ho provato ad esternarvi e, spero, a farvi capire, non tanto i più profondi e complessi concetti dell’esoterismo Kiplinghiano bensì, dal profondo del mio cuore, la visione del carissimo Joseph “Rudyard” Kipling riguardo il senso del termine Fratello, che è simile a ciò che io, modesto Compagno d’Arte e giovane Libero Muratore, ritengo sia alla base di quello che dovrà essere il mio percorso iniziatico: segni, simboli, esoterismo, ritualità e soprattutto tanto amore per gli altri, siano essi sconosciuti profani oppure amati e stimati Fratelli di Loggia. •

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