PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI
NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo. Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere». Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
(Per gentile
concessione della rivista “Sotto il velame”) di Renzo Guerci
Si può ancora riscoprire Dante? Dopo secoli e secoli
caratterizzati da una sterminata e minuziosa esegesi sull’opera del Sommo
Poeta, esiste ancora un territorio poco esplorato?
Il
punto di partenza è costituito dal presupposto che possa esserci una lettura
diversa, se vogliamo “alcune” letture diverse, rispetto a quella per
così dire ufficiale, quella che possiamo chiamare storico-letteraria,
validissima a pieno titolo, ma incompleta, non sufficiente.
Riscoprire
Dante è come aprirsi ad un mondo immenso, ad un paesaggio sterminato, è come
ritrovare un mare di cose là dove sembrava di aver ormai trovato tutto.
E
farlo in chiave esoterico-simbolica è un grande progetto, una sfida profonda e
allettante poiché la Divina Commedia è la summa dell’esoterismo cristiano o più
in generale dell’esoterismo occidentale e non soltanto di questo perché, a
voler scavare con pazienza e con spirito libero, potremmo trovare frammenti e
luci anche di altre saggezze e conoscenze.
Il
primo ad avvertire l’esigenza di una più ampia visione interpretativa del poema
dantesco è Ugo Foscolo. Nel 1818 in un saggio sulla Edinburgh Review,
paragonava il poema dantesco ad una intricata e affascinante foresta, in cui
una strada era stata tracciata ma “la maggior parte di questa foresta è
ancora, dopo le fatiche di cinque secoli, avvolta nella sua primitiva
oscurità”. E confessava nello stesso anno ad un amico: “credo di aver
scoperto una terra sconosciuta sino ad ora
Nel
suo “Discorso sul testo del poema di Dante” del 1825, egli vede nella
Commedia il bando di una rinascita cristiana del mondo, di una revisione
evangelica della Chiesa, della quale peraltro accetta i dogmi e la gerarchia.
La
Divina Commedia non è pertanto il frutto di una finzione poetica, ma di una
visione vera, come quella di S. Paolo e dell’Apocalis.se, in cui Dante si
sarebbe sentito investito dallo Spirito Santo nella sua missione di
rinnovamento religioso.
E
interessante rilevare come il Foscolo adombri un tema di grande interesse, che
potremmo sintetizzare nella dicotomia “Dante santo o eretico?” ,
interrogativo che permea una parte consistente dell’interpretazione dantesca
non ufficiale dall’800 ad oggi.
Diatriba
solo apparente: Dante non è un santo e la Chiesa si è sempre ben guardata dal
beatificarlo; al contrario qualche rogo nel ‘300 lo ha perpetrato (ad esempio
sul De Monarchia) o lo ha tentato (iniziativa del vescovo Bertrando del
Poggctto).
Se
approfondiamo però la storia dell’amicizia tra Dante e Guido Cavalcanti (e gli
altri Fedeli d’Amore) diventa chiaro come Dante non possa essere considerato in
alcun modo un eretico.
Il
sogno di Dante è quello di una Chiesa non riformata, ma rigidamente ricondotta
alle origini, al messaggio del Vangelo, prima che la donazione di Costantino la
allontani dalla sua missione spirituale; una Chiesa che in un certo senso
riconquisti la dimensione esoterica dei Vangeli e del Cristianesimo delle
origini, che la Chiesa stessa ha distrutto per non mettere a repentaglio il suo
potere terreno.
Dopo
il Foscolo chi aprì un ‘altra strada di grande importanza nella foresta
dantesca fu Giovanni Pascoli. A detta della sorella Maria il poeta iniziò gli
studi danteschi subito dopo la laurea e li sviluppò per tutta la vita, tra
molte amarezze perché la critica ufficiale, così prodiga di lodi per Pascoli
poeta, accolse con freddezza e non fu in grado o non volle comprendere le sue
prodigiose intuizioni sulla Divina Commedia.
Questo
silenzio e indifferenza è uno degli aspetti più evidenti dell’atteggiamento
conformista ed ostile che fu riservato, sino ad oggi, nei confronti di chi si è
addentrato in una interpretazione esotericosimbolica dell’opera di Dante.
Tra
il 1898 e il 1902 vedono la luce tre testi: “Minerva oscura, Sotto il
velame, La mirabile visione” in cui vengono espresse le tesi
dell’interpretazione pascoliana di Dante, quali:
—
l’unità strutturale del poema e la sua costruzione imperniata sul numero
settenario
— la contrapposizione e l’abbandono della vita attiva verso
quella contemplativa — la simmetria della croce e dell’aquila (Impero e Chiesa)
che permea il Poema.
Ma il concetto di fondo dell’esegesi pascoliana è l’intenzione
criptografica di Dante, che avrebbe racchiuso il contenuto mistico del poema in
un piano preordinato di segni: pertanto scopo precipuo della critica sarebbe
quello di impadronirsi del codice segreto. Sulla strada tracciata da Foscolo e
Pascoli si avventurarono tutta una serie di studiosi, su cui torneremo. Da essi
fu nuovamente avvalorato e riportato in luce qualcosa che non bisognava
dimenticare: che tutta l’opera dantesca “poteva e doveva” essere
letta secondo due criteri, entrambi ugualmente importanti e indissolubili: ciò
che appare e ciò che è nascosto, secondo progressivi livelli di comprensione
(letterale, allegorica, morale, analogica) che non possono essere
“saltati” e che non sono in contraddizione tra loro.
È la dottrina del
“polisenso”, come Dante stesso ce la presenta, indispensabile per
l’interpretazione delle Sacre Scritture, un poco estranea alla nostra
sensibilità moderna, ma cardine della cultura medievale e, vorrei dire, molto
utile e feconda per comprendere meglio le contraddizioni dei nostri giorni.
Ci
spiega ad esempio il disagio che c’è nella cultura e nella spiritualità del
nostro mondo moderno, che ha perduto la visione polisensa della realtà ed è
scientificamente tutto rivolto alla descrizione e comprensione
“letterale” della realtà stessa: questa visione scientifica ci dà
dettagliate spiegazioni su “come” avviene un processo o un
avvenimento ma non sa spiegarci il “perché”:
Anche nell’iter della nostra vita Dante sembra darci
un’indicazione, proprio nel suo insistere sulla necessità della comprensione
letterale alla base di ogni conoscenza. In altre parole sembra dirci che lo
zoccolo della nostra quotidianità è letterale, che ad esso non dobbiamo
sfuggire isolandoci dal mondo, tentando di “saltare” alla
comprensione allegorica senza passare attraverso la lettura — e quindi la
comprensione — dell’intelaiatura letterale del mondo del divenire in cui siamo
calati tutti i giorni e che altrimenti ci appare incomprensibile. Tutta
l’esistenza umana, ci dice Dante, è un’ascesa iniziatica, dall’in-
ferno,
mondo diabolico della “separazione” , al paradiso, mondo del simbolo,
della conoscenza che unisce. Così saremo portati a comprendere il polisenso
negli eventi della nostra vita.
L’interpretazione del mondo dantesco, come si è detto, passa
quindi attraverso le due dimensioni di apparente e nascosto: tutta l’esegesi
dantesca dal 1300 in poi si svilupperà intorno a questi due filoni. Sul filone
dell”‘apparente” si concentrerà tutta la critica storico letteraria
che nei secoli esalterà più o meno il Dante poeta e letterato. Assai meno
sviluppata — per motivi che vedremo — sarà nei secoli l’interpretazione dei
sensi “nascosti” ed è a questi che noi vogliamo dedicare l’attenzione.
Per farlo dobbiamo sviluppare due considerazioni.
La
prima è su: “che cosa è nascosto”, “sotto il velame delli versi
strani ” ? Impresa ardua: “conoscere e descrivere Dante sarà mai
possibile? ” si chiede Pascoli in “Minerva oscura”. E prosegue
“Egli eclissa nella profondità del suo pensiero: volontariamente
eclissa”.
Per comprendere il
“pensiero nascosto” occorre partire da quei “Fedeli
d’Amore” che Dante cita alcune volte, da quel Dolce Stil novo che la
scuola ci ha abituati a vedere come una sorta di corrente letterario-poetica.
Sotto questo profilo ci troviamo davanti una cospicua
produzione di sonetti e canzoni in cm, in una forma a dir poco complessa, ma
comunque piuttosto fredda ed estremamente cerebrale, questi letterati — che poi
sono personaggi di spicco della classe dirigente della loro città — si
scambiano notizie sui loro amori.
Amori per delle improbabili donne, rigorosamente mai descritte
in modo realistico — e (salvo che per Dante) mai storicamente individuate —,
con toni e immagini che sono francamente noiosi e sovente incongruenti.
E da notare, per inciso, che, con scarse eccezioni, questi
“letterati non ci lasciano altro che
queste poesie amorose, pur essendo considerati dai contemporanei (vedasi Dante
stesso) i migliori ingegni dell ‘epoca.
In realtà chi ha affrontato in chiave diversa questo aspetto
ha dimostrato — o cercato di farlo — che i fedeli d’amore erano un gruppo
(qualcuno l’ha chiamato setta), con forti connotati esoterici ed iniziatici
, forse eretici. Un gruppo,
dati i tempi* caratterizzato da un ‘parlar coverto” che
portava i suoi componenti a comunicare tra di loro, per scambiarsi concetti,
speranze, fatti e avvenimenti, mediante componimenti poetici apparentemente
amorosi, componimenti che in realtà erano scritti in un “gergo” la
cui chiave di interpretazione era nota soltanto agli adepti del gruppo.
Chi
ha tentato di decifrare questo ” gergo”, ci ha lasciato indicazioni
che forse possono essere oggetto di
discussione e di approfondimento ma che aprono orizzonti infiniti di comprensione
di opere poetiche che diversamente ci appaiono un poco anacronistiche, talvolta
veramente ostiche e incomprensibili.
La
chiave del gergo ci indica invece tutto un fermento spirituale e culturale tra
uomini accomunati da un profondo senso mistico ed esoterico e impegnati in
un’opera di rinnovamento profondo della religione cristiana.
Con
questa chiave acquistano significati ben diversi molti dei termini che troviamo
nelle loro canzoni e sonetti, come ad esempio, per citare i più ricorrenti:
Amore (amore per la sapienza santa, la dottrina e il gruppo dei Fedeli d’Amore)
— Donna (l’adepto, il fedele d’amore) — Beatrice (la sapienza santa) — Morte,
Pietra (la Chiesa corrotta e persecutrice) — Dormire, Sonno (essere
nell’errore) — Piangere (simulare fedeltà alla Chiesa ufficiale) — Saluto (è
l’iniziazione e il grado dell’iniziazione; si pensi al saluto di Beatrice e
Dante) — Noia (è il mondo profano o avverso alla setta) — Cuore, gentile (è
l’acquisizione della dottrina iniziatica — la sede ove avviene l’illuminazione
della conoscenza spirituale).
Questa
interpretazione la dobbiamo ad un gruppo di studiosi, tra i quali in
particolare: Luigi Valli, allievo del Pascoli (Il linguaggio segreto di Dante e
dei Fedeli d’Amore, di recente ristampato), Gabriele Rossetti (La Beatrice di
Dante) Alfredo Ricolfi (Studi sui Fedeli d’Amorc) e Mario Alessandrini (Dante
fedele d’amore); e, nel filone degli studi tradizionali, René Guénon
(Esoterismo di Dante) e Robert John (Dante templare).
La
seconda considerazione che è opportuno fare è: ” perché nascosto”?
Gli sviluppi che possono trarsi da tale considerazione hanno due possibili
strade.
Una fa riferimento al contesto storico-culturale in cui vive
Dante. Il poeta nasce nel 1265 e nello scorcio di secolo sino al 1300 si sviluppa
il gruppo dei Fedeli d’Amore, le cui radici sono da ricercare, circa un secolo
prima, nelle Corti d’amore e nel trobar clus che si sviluppa in Francia,
segnatamente — e non casualmente — tra i poeti mistico-allegorici della
Provenza (a questo riguardo il citato libro del Ricolfi rappresenta sempre una
pietra miliare).
Intorno all’anno 1000 sorge e cresce tutta una corrente di
pensatori e mistici che in qualche modo rappresentano potenziali rivoli e
rivoletti di riforma e di eresia, con feroci reazioni da parte della Chiesa di
Roma.
Il panorama è vastissimo: Ci basti qui ricordare due
avvenimenti chiave, che ruotano intorno al 1265. Nel 1244 c’è la caduta e il
rogo di Montségur, che conclude nella più feroce repressione tutta l’avventura
dei catari in Provenza.
Il catarismo peraltro era diffuso anche in Italia (si
chiamavano patarini) e segnatamente in Toscana e a Firenze. E condanne per
catarismo rischiarono i Farinata degli Uberti e i Cavalcanti. Ed alcuni dei
Fedeli d’Amore (ad es. Guido Cavalcanti) subirono probabilmente l’influenza del
catarismo.
Tra il 1300 e il 1314 inoltre si compie la distruzione
dell’Ordine del Tempio e la dispersione e morte dei Templari ad opera di
Clemente V e di Filippo il Bello. E una corrente di studi ha posto in luce l’influenza
templare su Dante e sui Fedeli d’Amore.
È quindi comprensibile che gruppi o sette che in qualche modo
si ricollegavano alla gnosi e al templarismo escogitassero delle modalità di
espressione in cui il significato letterale non potesse suscitare sospetti da
parte dell’inquisizione.
L’ambiente culturale infine, elemento fondamentale nella
crescita spirituale di Dante, può essere considerato come motivo di
“attenzione” nell’esprimersi da parte dei Fedeli d’Amore.
Qui non si possono fare che cenni, ma si pensi a tutto
l’aristotelismo, così come si sviluppa nei corsi universitari di Parigi, sede
di controversie teologiche feroci (con qualche ricorrente Concilio che
sconfessa qualche studioso troppo ardito).
Trapelava sotterraneo in questi studiosi un aristotelismo e un
culto
dell’intelletto poco
gradito all’ortodossia religiosa: il concetto aristotelico di intelletto
agente, unico per tutti gli uomini e l’interpretazione averroistica, ponevano
in seria difficoltà la dottrina cristiana della immortalità personale di
ogni uomo.
E
d’altro canto operarono in quegli anni in Toscana, intorno al 1288/ 89 e poi
oltre, Pietro Olivi e Ubertino da Casale. LI primo in particolare fu il
portatore del messaggio degli Spiritualisti francescani e delle profezie di
Gioacchino del Fiore che riecheggiano nella visione profetica del Divino Poema.
Dante
ha in quel periodo poco più di 20 anni ed è nel pieno della sua formazione
spirituale e intellettuale e già milita nei Fedeli dell’Amore. Di tre anni dopo
è La Vita Nova in cui descriverà questo suo processo iniziatico.
Né si può dimenticare che (come Dante stesso ci
indica nell’Epistola a Cangrande) uno dei suoi principali maestri fu Riccardo
da S. Vittore: è significativa la concezione di questi sulla “morte
mistica’
e l’allegoria della morte della
Rachele biblica. Quella che Riccardo spiega essere la “morte” della
ragione di fronte alla suprema contemplazione del mondo spirituale, fornisce
una prodigiosa chiave di lettura sul significato della morte di Beatrice e in
genere di molte donne dei Fedeli d’Amore.
Una
seconda strada di interpretazione del “perché nascosto” è più
attinente ad una visione di carattere esoterico-iniziatico, e più generalmente
alla conoscenza tradizionale. Molti studi hanno portato a rilevare come, in
generale, anche senza un pericolo incombente (quindi senza una necessità
contingente di “parlare in gergo”), tutta la poesia e le opere
letterarie esoterico-simboliche si esprimono attraverso modelli molto simili,
ossia attraverso simboli in cui l’amore e la donna sono una delle allegorie
ricorrenti.
Si
pensi, per fare un esempio diverso, al vino, simbolo per eccellenza, sia in un
poeta mistico come Omar Kaiyam, sia in altre opere esoteriche, sino al Vangelo
stesso. O ancora al simbolo mistico della
rosa che, già presente
nei riti iniziatici pagani (l’eco lo troviamo nell’Asino d’oro di Apuleio in
cui il protagonista ritorna uomo mangiando un serto di rosa), diffuso nella
poesia sufica persiana e presente in tutta la lirica provenzale (il Roman de la
Rose) e siciliana
(“Rosa fresca aulentissima…”), sino alla rosa
mistica del Paradiso dantesco.
E
sulla base delle considerazioni sopra dette che si può impostare una analisi
dell’esegesi esoterica dell’opera di Dante e dei Fedeli d’Amore.
Come
si è accennato più sopra è 1’800 a segnare l’inizio di una Comprensione del
messaggio esoterico e simbolista dell’opera dantesca. Questa interpretazione di
Dante si è profondamente sviluppata a partire da quegli anni ed oggi sono
certamente maturi i tempi perché finalmente si aprano gli occhi sul messaggio
dantesco e sulla sua validità anche ai nostri giorni.
Perché il velo sembra sollevarsi dopo circa 7 secoli? I perché
si possono ricondurre fondamentalmente a due motivi.
Uno
è di tipo storico sociologico: sottrarre Dante e la Divina Commedia ad un
ambito puramente letterario e cercare per esso una valenza di carattere
teologico, orientata in chiave di riforma della Chiesa o addirittura
eretico-gnostica, è un’operazione che poteva avvenire soltanto dopo le grandi
rivoluzioni liberali del secolo scorso. Prima l’opposizione della Chiesa
sarebbe stata determinante: valga per tutte la posizione del Bellarmino che
rivendicò la Commedia all’ortodossia cattolica allorché i primi protestanti
cercarono di impossessarsene.
Un secondo motivo è di carattere più esoterico-tradizionale e
si ricollega ad una presunta profezia secondo cui la Commedia sarebbe stata
compresa dopo sette secoli.
Il
tema è molto ampio e ci riconduce da un lato al valore simbolico del 7 (numero
di Dante come dice il Singleton, mentre ad esempio il 9 è il numero di
Beatrice) e d’altro lato al concetto di ciclo e di fasi di evoluzione per il
compimento di qualsiasi evoluzione simbolica (valga per tutti come esempio
quello dei 6 giorni + 1 della Creazione).
Le
due motivazioni sono alla base delle due correnti seguite dagli interpreti in
chiave esoterico-simbolica di Dante e dei Fedeli d’Amore.
La
prima vede in essi una setta politico-religiosa, mirata a combattere la Chiesa
corrotta, in qualche modo legata al clima di eresie che infiammava l’Europa,
per la quale il “gergo” era un modo di comunicare per sfuggire agli
strali dell’inquisizione.
La seconda corrente, meno storicamente connotata, pur
non ignorando gli aspetti di cui sopra, pone maggiormente l’accento sulla natura esoterica ed iniziatica
del gruppo dei Fedeli d’Amore, cui Dante appartenne, ma da cui in parte si
staccò, perché i suoi orizzonti di conoscenza spirituale si allargavano,
corrente che attribuisce il gergo segreto alla natura appunto iniziatica della
setta dei Fe- deli d’Amore ed al percorso
interiore che ciascun adepto doveva percorrere per pervenire a comprendere
completamente la dottrina segreta.
Quest’ultima corrente interpretativa è certamente quella più
feconda, perché ci permette di ritrovare le radici di quell’esoterismo
cristiano che è andato perduto dopo il cristianesimo dei primi secoli, per
motivi che sarebbe complesso analizzare.
Esoterismo
cristiano che peraltro non andò completamente perduto nell’opera nascosta di
molti filosofi e letterati, sempre osteggiato dalla Chiesa ufficiale, che
permeò di sé anche il gruppo dei Fedeli d’Amore e del quale Dante, nella Divina
Commedia, seppe fornire una summa che seppe raccogliere in sé anche gli echi
degli altri esoterismi occidentali e non soltanto di quelli.
Nei riti di passaggio, in ogni epoca si è marcato un momento fondante di un diverso livello di conoscenza.
ln
sintesi, esistono solo due aspetti della ricerca degl)i di essere presi in
considerazione: l’esplorazione della materia (sia a livello microscopico che
dell’universo) e la discesa nell’abisso dell’inconscio, per la quale lo
strumento più efficace resta la tecnica dell’iniziazione, Il Fuori e il Dentro:
ecco la grande questione. Nel corso dell’avventura umana il resto è poca cosa.
Ogni giorno
ciascuno di noi sfiora senza saperlo persone che hanno ricevuto l’iniziazione.
Questi
esseri hanno raggiunto livelli qualitativi di coscienza diversi da quelli
occupati dai comuni mortali; eppure solo raramente ci si può rendere conto fin
dall’inizio dell ‘importanza della persona con cui si ha a che fare.
Ebbene, non basta lasciarsi
portare dalle onde dell’esistenza. Le correnti della vita sono disseminate di
scogli che vanno superati con successo. Mancare il proprio percorso è vedersi
condannato ad essere solo una caricatura d’uomo. Per gli umani il viaggio
inizia quando, alla nascita, il bambino riceve un nome. Il primo ostacolo
importante è rappresentato dal raggiungimento della pubertà, accompagnata da
metamorfosi psicofisiche importanti: sembra che sia nato un nuovo essere. Anche
il momento del matrimonio annuncia un’ alba di nuova esistenza. Quanto al lento
declino, esso porta con sé nuovi problemi. Per poter sussistere, l’uomo ha
bisogno di saggezza, altrimenti sarà preda della disperazione. Infine
sopraggiunge la morte. Nascita, pubertà, matrimonio, invecchiamento e morte
rappresentano quindi delle inevitabili prove. Che le si affronti serenamente o
con smarrimento, che siano celebrate o passate sotto silenzio, esse scandiscono
il cammino dell’uomo. Ad ogni ostacolo superato segue una nuova fase della
vita; al termine di ogni stagione dell’esistenza si delinea realmente un nuovo
essere.
Purtroppo,
l’uomo di oggi tende a non celebrare più le sue tappe. Egli non sa più
percepire con la stessa intensità i propri cambiamenti ad ogni prova; perde a
poco a poco coscienza delle proprie metamorfosi. Spianando il cammino della
vita, il suo passo dimentica I ‘indispensabile cadenza vitale. I popoli arcaici
e le antiche civiltà, invece, percepivano intensamente quanto fosse importante
celebrare ogni prova della vita.
Ogni
celebrazione rituale a carattere iniziatico inaugura un nuovo periodo
dell’esistenza. Non basta però che l’essere umano prenda coscienza della
propria ‘metamorfosi: conviene prepararlo ad affrontare l’ignoto e temprarlo in
vista degli ostacoli che si presenteranno.
L’
iniziazione imiterà, anticipandole, le prove che scandiscono il mistero
dell’esistenza. Essa in fondo è un sogno ad occhi aperti. Così l’iniziato, in
seno alla comunità festante, sogna la sua vita futura. Egli simula le azioni
della sua prossima metamorfosi. La stessa anticipazione si ritrova, ugualmente
intensa, presso i popoli arcaici che si preparano alla guerra: le loro danze in
armi, accompagnate da ritmi incalzanti, mimano con realismo la battaglia dell’
indomani.
Esistono
anche, evento capitale, delle iniziazioni alla morte. La morte, l’estremo
trapasso, è la suprema iniziazione. Tutti i popoli del mondo esigono dai
neofita che subisca la prova del trapasso e ne conosca i tormenti affinchè possa rinascere.
Così, tramite giochi che simula l’azione futura, la Natura anticipa il
momento in cui l’essere si confronterà con gli ostacoli del suo successivo
stadio di esistenza. E come se essa avesse un programma. In effetti tutta una
eredità sembra trasmessa al bambino Quando nasce egli è già vecchio di tutti i
secoli precedenti. A ciascuno va lasciato il compito di riflettere sulle sue
esperienze per spiare, nella quotidianità, dei momenti eccezionali nei quali
egli sembra un ‘altra persona. Allora ci si sorprende a reagire in modo
insolito, non previsto dalla coscienza lucida. Ci si sente perfino più persone
contemporaneamente e molteplici coscienze sembrano convivere nell’uomo. In
questi momento privilegiati, l’unità dell’individuo non ha più un grande
significato; sembrano riapparire delle facoltà anteriori alla coscienza
presente.
Se
allo stato embrionale la Natura sembra prevedere un programma che prepari
l’essere umano alla vita terrestre, la nascita appare un evento, un’ammissione
a livello di coscienza lucida e, in qualche modo, una iniziazione. Il bambino
entra nella vita, passa nel mondo dei vivi. Presso la gran parte dei popoli
egli subirà quello che viene chiamato un rito di passaggio, di cui il battesimo
cristiano è un esempio. Ogni nascita tuttavia non è che un primo gradino della
vita: la pubertà, il matrimonio, la malattia. la morte saranno altrettante
soglie da attraversare. Bisogna guardarsi dal ritenere i riti iniziatici che si
svolgono in queste occasioni delle semplici feste. Si tratta piuttosto di prove
cariche di un indicibile mistero. Subire una iniziazione equivale ad
abbandonare la superficie degli avvenimenti, scendere nelle profondità
dell’oceano psichico, perdere la coscienza lucida per seguire la corrente
tumultuosa dell’Universo; infine vedere in faccia lo splendore stesso della
Forza vitale. Quando l’uomo torna tra i suoi simili, dopo aver superato la
prova. è stato toccato dal mistero: è diventato un altro. •
Presso
tutti i popoli i riti di passaggio hanno uno svolgimento simile: una
separazione dal mondo profano, la grande esperienza e un ritorno dell’essere
rigenerato in seno alla comunità.
Ma ecco il
fatto fondamentale: l’antico rito di passaggio non comporta più solo
l’integrazione, per magia, dell’individuo al gruppo: ad essa si aggiunge la
trasmissione di un insegnamento segreto. D’ora in poi l’ iniziato non trarrà
più la sua forza solo dall ‘ apparenza alla comunità, ma avrà il privilegio di
imparare; presto egli conoscerà tutto ciò che un uomo può conoscere; e colui
che sa tutto, può tutto. Nella iniziazione il neofita, unendo la sua coscienza
al gruppo, perde la propria individualità, ma perdendo questo involucro che lo
isola dal Mondo, egli diventa capace di percepire la sublime Unità
dell’Universo. Egli si fonde con il divino e ne trae i propri poteri. Tuttavia,
se la morte dell’antenato aurorale fu la prima iniziazione, tutte le
iniziazioni a venire si acquisiranno tramite morte rituale. Ecco perché, a
tutte le conoscenze segrete sull’origine del Mondo, sulla natura del Divino
sulla salvezza personale, già trasmesse con l’iniziazione, si aggiunge spesso
il supremo sapere al quale si giunge con una morte rituale. La soglia della
morte è stata varcata e per questo si è raggiunto un nuovo livello di
coscienza.
Il pensiero razionalista
concepisce la Storia come un perfezionamento infinito, a partire dai primi
utensili immaginati dall’animale verticale fino al completo dominio
dell’universo ad opera dell’intelligenza umana. Per la mentalità religiosa, al
contrario, gli eventi importanti hanno avuto luogo all’inizio. Così il mito del
razionalismo si trova al termine del cammino, mentre quello dell’uomo religioso
si situa all’origine della Storia. L’uomo religioso quindi vive fin
dall’origine in un mondo sacro; fu all’inizio dei tempi che apparve il Mistero
al quale lo spirito umano deve rifarsi continuamente, se non vuole piombare
nella decadenza. Ogni generazione quindi farà bene a trasmettere intatto il
contenuto di questo Mistero originario. Ogni eletto dovrà veder giocare, o
giocare lui stesso il gioco sacro della morte e della risurrezione aurorali.
Quando avrà identificato il proprio destino con quello del Progenitore dell’alba
dei tempi, egli diventerà immortale come lui. Questo è lo scopo delle dottrine
e pratiche segrete denominate Misteri, comuni al Medio Oriente, alla Grecia ed
a Roma antica. Esse mirano a trasformare la qualità dell’anima del novizio, ad
elevare la sua coscienza ad un livello sovrumano, a farne un essere eterno.
I
riti iniziatici del passato dovrebbero spiegare l’ideale delle società segrete
di oggi, a patto che la loro tradizione non sia stata interrotta. Per quanto
riguarda l’iniziato alla Massoneria o ad altre società esoteriche, nessun segno
svela la sua appartenenza, tranne un segreto equilibrio interiore, un dominio
del corpo e dello spirito, frutto di un’ azione dell’uomo su se stesso. Ma tale
dominio e serenità sono davvero il risultato di una tradizione intatta? Le
tecniche iniziatiche dell’antichità portavano tutte lo stesso messaggio: lo
spirito umano poteva emergere tramite l’iniziazione.
La
questione è di primaria importanza. Infatti se le dottrine, i riti ed i simboli
antichi si fossero tramandati intatti fino alle organizzazioni segrete di oggi,
gli iniziati contemporanei avrebbero la certezza di compiere, negli scenari di
un tempo. gli stessi gesti efficaci. Custodi di conoscenze venerabili,
garantite da una tradizione uscita indenne dalla rovina del mondo antico, essi
sarebbero gli ultimi prestigiosi anelli di una catena tesa al di sopra dei
secoli.
A
prima vista la storia non induce a credere in questa ideale continuità. Eppure
i quattro millenni della civiltà egizia non potevano sparire senza lasciare
traccia. E’ molto probabile che il grande mito faraonico delle creazioni del
Mondo attraverso la Parola abbia influenzato la teologia giudaico cristiana del
Logos, il Verbo creatore. Se dunque l’Europa medioevale non ha raccolto che un
‘eredità smembrata e talvolta snaturata, non di meno ha scoperto in essa degli
elementi sopravvissuti non sempre irrimediabilmente alterati. Tra questi
elementi sopravvissuti i l processo iniziatico ha conservato una integrità
sorprendente. Se le parole e i simboli ai quali ricorrono gli iniziati di oggi
sono ben lontani dalle loro forme originarie, sembra però che le tecniche
segrete abbiano mantenuto la loro antica efficacia. E’ a questo punto che ci
vengono in aiuto alcune decifrazioni di antichi papiri e l’identificazione
precisa di alcuni siti archeologici di cui non si avevano notizie certe. Tra i
molteplici esempi riferiremo le nozioni riguardanti gli antichi riti iniziatici
di Osiride compiuti ad Abido, grazie ad una nuova interpretazione e traduzione
del papiro di Leida. Il fatto che l’uomo possa sottrarsi alla propria
condizione terrena, diventare un Superuomo e dare così un significato più alto
al proprio destino, è senza dubbio la più sorprendente emergenza dello spirito
umano inserito nell’evoluzione biologica. Fu nella valle del Nilo che venne
elaborato per la prima volta il processo psicologico dell’iniziazione ed il
papiro di Leida ne descrive le varie tappe in successione.
L’arrivo del postulante
l . Il gesto di benvenuto: il visitatore riceve dei fiori del
Signore dell’Occidente (Osiride) o forse la corona dei giustificati osiriaci.
L’apertura delle Porte del regno dei
Morti: il nuovo venuto penetra in un Aldilà simbolico.
L’apparizione di Anubi, ossia di un
sacerdote che indossa la maschera dello sciacallo divino guida dei morti (e dei
defunti iniziati): comincia il grande viaggio che preparerà la grande nascita
di un nuovo
uomo.
La discesa della Terra, la Madre
Terra. fonte di vita e dispensatrice di immortalità. Un cammino regressivo,
fino alla Madre Terra, permetterà di rinascere.
I – Giustificazione del postulante
5. L’ingresso nella grande Sala sotterranea dove riposa il
dio. Il visitatore conosce, da vivo, la gloria dei defunti: è proclamato maakheru
(giustificato)
II – Rigenerazione
6. Il bagno rituale nell’acqua della rinascita. Dopo essere
stato giustificato, il neofita risuscita grazie all’acqua primordiale.
III – Illuminazione
La
rilevazione osiriaca. Divenuto immortale al pari degli dei, il postulante può
finalmente contemplare la più sacra delle reliquie. La visione ineffabile
trasferisce la sua coscienza su di un piano inaccessibile ai comuni mortali. E
l’illuminazione personale e sublime.
Fine del rituale
If sonno nel tempio:
l’iniziazione è terminata. La notte trascorsa nel santuario permetterà senza
dubbio al nuovo iniziato di vedere il suo dio in sogno e di riconoscersi suo
servitore radioso.
Giustificazione,
rigenerazione, illuminazione sono le tre fasi principali dell’iniziazione ad
Abido secondo il papiro di Leida. La loro successione è semplice, rigorosa e
l’ascesa, sapientemente ordinata, è liberatrice: non vi è rigenerazione senza
prima una giustificazione dell’anima e non si ha rivelazione del divino prima
che l’uomo stesso sia divinizzato dalla rigenerazione. Queste tre tappe
provocano l’emergenza spirituale si ritrovano nelle iniziazioni di oggi. Certo
la terminologia e lo scenario sono cambiati, ma l’itinerario imposto al neofita
moderno ricorda stranamente quello dell’antico Egitto. In effetti Ordini segreti
di oggi badano in primo luogo a plasmare la coscienza del postulante, suggerendogli
un tema sul quale riflettere o attribuendogli un titolo (la giustificazione del
papiro di Leida); in seguito ha luogo un rito rigeneratore (il bagno di
Horsiesis); infine si ha la rivelazione improvvisa, in una luce abbagliante,
del sacro emblema dell’Ordine (in Egitto la reliquia osiriaca). Perciò per
diventare iniziati bisogna — come il sacerdote di Amon — essere stati prima
psicologicamente rivelati a sé stessi, poi rigenerati e infine illuminati.
Lo
studioso indaga i fatti religiosi, il sacerdote li difende; il fedele vi si
sottomette. L’iniziato vive costantemente nel Mistero. I turbamenti dell’anima
si placano. L’uomo conosce l’autentica pace interiore. L’iniziazione l’ha
aperto all’armonia universale. Per vivere al livello di coscienza raggiunto da
un iniziato non vi è che un mezzo: subire l’iniziazione. Oggi perciò si dovrà
bussare alle porte di una società iniziatica. In realtà, le società definite
iniziatiche non dissimulano affatto il luogo in cui si riuniscono, né la loro
storia e le dottrine sulle quali si fondano. Però preservano i loro riti, i
loro segni di riconoscimento ed il lavoro sperimentale da esse compiuto.
Segrete, le società esoteriche lo sono solo nella misura in cui procurano ai
loro membri i mezzi per trasformare il loro mentale. ln verità esse sono aperte
a lutti coloro i quali ne sono spiritualmente degni. Il segreto, l’indicibile
segreto, è nel cuore dell ‘iniziato. Per trasformare una coscienza si usano
delle tecniche che ricorrono, in un primo tempo, alla dissoluzione delle
tendenze umane, troppo umane, del neofita.
Ricordiamo ad esempio quanto
succede nelle nostre iniziazioni quando il neofita è lasciato solo
nel gabinetto di riflessione di fronte alla parola VITRIOL (motto latino
attribuito al leggendario monaco e adepto Basilo Valentino: visita interiora terrae recti.ficandoque invenies occultum lapidem).
Il senso è chiaro: rinuncia ai clamori del mondo, scendi in te stesso; lì si
trova il tesoro nascosto della tua spiritualizzazione. Non si tratta perciò di
apprendere una dottrina. La tecnica iniziatica è addirittura opposta
all’acquisizione di conoscenze. Isolamento, sottomissione, rinuncia, sacrificio
di sé, questo è il preludio a qualunque iniziazione. Solo allora avrà inizio la
grande esperienza. Il processo è misterioso e rimarrà tale perché sfugge ad
ogni spiegazione razionale. Orbene, nell’uomo vi è un bisogno di divinità, ma
come realizzare questo sublime incontro che unirà l’uomo al divino? Svelando di
colpo un simbolo della Potenza universale, cioè un’ intensa luce. Così il
cammino, a partire dall’oscuro gabinetto di riflessione fino alla grande Luce,
annovera spesso alcuni tra i momenti più intensi di una esistenza. Una volta
che essa vi sia riuscita, l’iniziazione diventa una condizione permanente che
determina una autentica metamorfosi dell’uomo. Per raggiungere
tale risultato non è affatto necessario che le prove siano
spaventose, ma psicologicamente efficaci. Dopo le parole rituali che chiedono
la sua ammissione nel Tempio, la porta si apre, il neofita viene introdotto nel
Tempio ed intraprende un cammino disseminato di ostacoli e quindi deve superare
prove dell’ aria, dell ‘acqua e del fuoco. Dopo aver solennemente giurato di
custodire per sempre il segreto della iniziazione, il neofita viene liberato
della benda. Che la Luce sia! Egli vede la grande Luce (il Sacro lo illumina) e
scorge intorno a sé i fratelli che ormai lo proteggeranno. Si sente divenuto
davvero più di un uomo, quasi un dio.
L’
avvento del Superuomo può essere suggerito per mezzo della prova suprema: la
morte iniziatica seguita dalla resurrezione. E ciò che si verifica nel mito di
Hiram. Infatti. Quando il suo corpo
venne scoperto, fu esumato e trasferito in una tomba degna di lui. ln quel
momento, misteriosamente. il sapere del defunto (la parola del Maestro) penetrò
nello spirito dei fratelli caritatevoli.
L’
Universo è stato creato o è eterno? La sua evoluzione nasconde un volere
supremo? Qual è il ruolo dell’uomo in questo immenso crogiolo di energia? Qual
è l’origine della vita? Esistono altre forme di vita nello spazio? Che cos’è in
realtà la motte? Dove porta l’avventura umana? Perché il male e la sofferenza?
Che cos’è infine l’uomo? In altre parole l’interrogativo principale è:
sono o no tutt’uno con I ‘Universo? Non rendendosi conto di questo, l’uomo
trascura una possibile alleanza con il Mondo.
I famosi libri ermetici,
adattati da greci che avevano frequentato gruppi esoterici alessandrini alla
fine delta civiltà egizia, restano l’esempio impressionante di un lungo sforzo
per giungere, attraverso la via razionale, ad una conoscenza totale. Ma se
l’edificio crollò fu in seguito al fuoco appiccato dalla scienza greca. L’uomo
allora arretrò. Volle misurare il Sacro. Il sacro divenne per lui I’ Avversario
da intrappolare nella robusta gabbia dei principi generali. Ormai solo in un
mondo di oggetti, l’uomo calcolava. Si ricominciava ancora una volta verso
un’impresa totale, ma per un ‘altra via. Lo strumento era cambiato: la ragione,
non lo spirito intero, agendo su un piano esclusivamente materiale, attraverso
il calcolo e l’esperienza, si arrogava tutti i diritti di comprendere
l’Universo. Alla fine del cammino però che cosa si sarebbe scoperto? Che dopo
la distruzione dell ‘ Alleanza sacra, [a ragione conquistatrice, esplorando la materia,
finisce per spogliarla di ogni rappresentazione sensoriale. La massa e
l’energia diventano intercambiabili. La ragione ed i suoi principi miravano
allora ad incatenare l’Universo. Ora si rinuncia alla comprensione dei fenomeni
fisici sul piano oggettivo. Ecco che il Sacro riprende ciò che gli è dovuto.
L’intelletto ha i suoi limiti che l’uomo non oltrepassa. Le facoltà
irrazionali, seconda gamma di conoscenze, sembrano generare altrettante verità
di quanto non faccia la ragione, cara allo studioso. Esistono concezioni
spiritualistiche nel mondo nate da un’ istituzione immediata della coscienza.
Per questo sono fuori dalla portata della critica razionale. In modo
particolare l’insegnamento iniziatico, dispensato dalle scuole segrete, appare
una evidenza.
Se
l’uomo accetta di aderirvi, senza trascurare le scienze, la sua visione si
amplia insieme alla sua condizione di uomo.
Lo
sviluppo dello spirito umano, sotto la pressione dell’istinto di conservazione,
inizialmente prese avvio in una sola direzione: ‘quella dell’efficacia. L’uomo
fu affascinato in primo luogo dall’intuizione della propria eternità. La sua riflessione
si appuntava sulle stelle, sul corso instancabile del sole e della luna, sul
ritorno annuale della vegetazione. Nascite. morti e rinascite gli parlavano di
eternità. In uno spettacolo mobile, l’uomo si percepiva in movimento. In un
Mondo eterno, egli era eterno. Era minuscolo, una minuscola parte di un Essere
misterioso. L’ Universo lo trascinava nei suoi immensi circuiti dove l’uomo
respirava come un frammento irradiante energia cosmica. Ma come concepire una
tale energia? La forza vitale racchiusa in lui non era forse la stessa che
faceva crescere la spiga di grano e sorgere il sole? L’uomo la chiamò Spirito.
Lo Spirito è ovunque, lo Spirito è in tutto. La Potenza sacra è ovunque
manifesta. Il Mondo è questa Potenza. Il Mondo è la Potenza di cui gli oggetti
non sono che la parte più pesante. Ciò che l’uomo chiama realtà è una
manifestazione dello Spirito invisibile. In effetti tutto è spirituale. Tutto è
in tutto ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso.
Ma allora che cos’è l’uomo? Una
parte d’infinito. Se l’infinito lo assorbe, egli, essendone una parte, ne
possiede i poteri. Così l’uomo è sacro, onnipotente come il Mondo. Gli organi
di senso, creatori di illusioni (quella di spazio ad esempio) scavano un abisso
apparente tra l’intelligenza e il mondo delle cose. Di qui il vuoto dell’anima
che atterrisce l’uomo. Per allontanare questo spettro bisogna eliminare
innanzitutto ogni illusione di spazio; ciò che significa cercare la notte. la
penombra che regna in tutti i santuari. L’ equilibrio ritorna, l’essere umano
di nuovo disponibile, si unisce in pace alla Potenza e ritorna ad irradiare.
Il nemico
principale dell’uomo è lui stesso. Da quando la sua condotta si personalizza ed
egli si appropria di esseri e di oggetti, il suo potere cresce e la sua anima
diminuisce. L’uomo divorzia dal Sacro. Più si vuole materialmente forte, più
diventa spiritualmente debole. Cancellare la persona, ecco quindi la prima
tappa sulla via della realizzazione umana e dell’attivazione di poteri che
ognuno possiede. Tale attivazione dipende da una neutralizzazione psicologica,
da principio intermittente e poi permanente, acquisita attraverso tecniche
segrete. Il mondo visibile non è che una manifestazione dell’Invisibile. Le
realtà, solide e rassicuranti, esistono solo nella mente dell’uomo. In
definitiva la sua realtà non ha nulla in comune con l’Universo reale. Il
significato sta nell’Invisibile. Ma come conoscere l ‘ Invisibile? L’
Invisibile è ovunque, lo Spirito è in tutto. Così, sin dall’ alba della civiltà
si è cercato di rendere manifesta la presenza dello Spirito nell’uomo. Nel
segreto dei Templi si svelano così le immagini più percepibili dell’Uomo
spirituale. Ma la via della spiritualità va percorsa con lenta tenacia e sotto
l’egida di un alto Insegnamento. Del resto, l’accesso a livelli diversi di
coscienza non si realizza per via intellettuale. Per tale motivo i membri delle
Società iniziatiche non si incontrano per scambiarsi conoscenze. Al momento di
penetrare nei Templi segreti, ognuno di essi ha già raggiunto un grado di
percezione personale. L’importante non è mantenerlo segreto alla comunità ma
ricreare, nel Tempio iniziatico, uno stato di coscienza che renda possibile
compiere esperienze di gruppo. La visione del corpo psichico, in particolare. è
una rivelazione per un neofita. Che dire allora dell’ esperienza di
sdoppiamento? Gli iniziati dicono che il corpo psichico ha lasciato il suo
veicolo terrestre e si sposta liberamente. L’uomo ha così rotto i pesanti
ormeggi della sua condizione naturale. La manifestazione del corpo psichico
tuttavia non è che un preludio ad esperienze i cui effetti, sul piano
materiale, non dovrebbero lasciare nessuno indifferente. Se si vive
quotidianamente con questa convinzione secondo la quale non esiste alcuna discontinuità
tra il Visibile e l’Invisibile, e l’Universo è un immenso clavicembalo di tutte
le vibrazioni cosmiche, tra le quali le più basse sono la Materia, si apre la
via ad una giusta comprensione delle cure psichiche.
Lo
Spirito è in tutto. Ogni essere umano è un deposito dell’ Invisibile ed ha in
sé una scintilla della sua energia: goni uomo irradia. Nell’ ambito dell’alta
spiritualità, qualunque esitazione nella messa in atto del Sacro appesantisce
l’essere umano e lo priva di efficacia. Nulla si realizza senza aver prima
abbandonato la persona. Finché essa è presente nel mentale non succede niente.
Ogni trasmissione di energia non si può
ottenere senza un completo oblio di sé. Il resto, cioè l’utilizzazione
progressiva della Potenza, è solo una questione di livello. Certo non è ancora
tempo per l’ Uomo di essere onnipotente, ma in un futuro non lontano egli si
accorgerà di poterlo un giorno diventare.
Ma
cos’è esattamente il mondo degli oggetti? La terra gira nello spazio infinito.
Alla percezione della notte segue quella del giorno; dal loro dualismo nasce il
fluire del tempo. Tra lo spirito umano e l’oggetto che esso percepisce si apre
il vuoto che genera a sua volta il concetto di spazio. E sul mare che si oscura
al tramonto, lo smeraldo delle onde volge lentamente al violetto suggerendo il
movimento. Così tempo, spazio, movimento, si manifestano nella coscienza urnana
solo facendo leva su una duplice apparenza. Su un doppio supporto emerge.
davanti all’uomo, la Manifestazione. Il suo Mondo è quello delle
manifestazioni. E come se un Tre misterioso, un Triangolo ideale, dominasse l ‘
Universo. Il Tre appare ovunque. In primo luogo nell’uomo: le due metà del
corpo agiscono in armonia creando un essere intero. Gli iniziati affermano che
ingrandendo questo triangolo su scala cosmica, il vertice raggiunge il piano
dell’invisibile e la base poggia, sempre su due punti, nel campo del visibile.
La coscienza dei Maestri è un Tre luminoso: la sua base, già evanescente al
livello materiale, si slancia verso un vertice che ha lo splendore
dell’Invisibile. D’altronde, i membri delle scuole iniziatiche che hanno
raggiunto i livelli più alti del sapere sono detti Illuminati.
Per quanto riguarda ka morte,
essa suscita un turbamento senza pari, perché obbliga a guardare in faccia
l’irrazionale; cosa c’è dunque oltre la grande porta? I membri delle società
esoteriche, grazie alle ripetute iniziazioni subite, hanno sperimentato più
volte il trapasso simbolico seguito dalla rinascita. Il loro mentale, posto
ritualmente e periodicamente in stato di morte, si è incontestabilmente
caricato di emozioni che, interpretate nel modo giusto, potrebbero comunicare
una visione premonitrice di un al di là dell’uomo. La morte non si conosce, ma
quando sopraggiunge, ciascuno la prova. Perciò bisogna rinunciare a dissertare
su di essa. Vita e morte, giorno e notte, bene e male sono inesorabili contrari
inseriti nel piano del visibile; sono i due termini della manifestazione sulla
quale si edifica il Triangolo sacro. il cui vertice, terzo punto
dell’Invisibile, farà sorgere la percezione nella coscienza umana. Con la
morte, di colpo, si rompe la base esistenziale dell’uomo. Il corpo fisico si
decompone. L’essere psichico, a lungo contenuto entro limiti triangolari, si
trova libero e si congiunge all’Invisibile. Il trapasso non è una prova più
dolorosa della nascita. In questi istanti cruciali predomina un senso di
liberazione: morire è vivere altrimenti. Del resto, nascere è in un certo senso
morire, perché la coscienza si trova di colpo presa nella rete delle più basse
vibrazioni cosmiche, quelle del piano materiale. Perciò non esistono né nascite
né morti, ma solo delle differenze di livello nelle metamorfosi dell’essere
psichico. Inizialmente “il defunto-iniziato” non è cosciente del
proprio stato, non sa di essere mollo, come il neonato non sa di essere nato. E
necessario un certo tempo per il
lento risveglio della coscienza. Lentamente essa comincia a sapere di aver
raggiunto un nuovo livello dove non esistono tutti gli ostacoli creati dalle
basse vibrazioni del mondo materiale. L’uomo diventa allora realmente ciò che
ha sempre presentito: energia in libertà. Per l’uomo che semplicemente decide
di restare tale, ciò che importa sapere è che in realtà il problema della morte
non esiste.
La
grande opera delle Società esoteriche è quella di dispensare per gradi ripetute
iniziazioni. Queste devono precedere a successive morti rituali seguite da
rinascite, per scuotere il mentale nel profondo e suscitare infine delle
emozioni che non soltanto saranno analoghe a quelle precedenti il vero
trapasso, Ina faranno anche prevedere il destino ulteriore della coscienza in
una sorte di visione premonitrice. Le diverse cerimonie iniziatiche sono perciò
i momenti più alti di una lunga alchimia mentale. E vero che nei giovani
iniziati le impressioni nate dalla morte per anticipazione restano fugaci.
Questa sorta di stato di grazia perdura tutt’al più qualche giorno. La vita
profana, come una marea montante, ben presto ricopre le tracce del cammino
spirituale. Si dovranno perciò moltiplicare i rituali ripetendo i gesti
creatori dello stato iniziatico fino a rendere quest’ultimo permanente. Si
raggiunge così la condizione di illuminato. Ma questi è ancora un uomo? Certo
ne ha l’aspetto; però la sua vita interiore vibra ad un livello qualitativo che
nessuno, tranne lui stesso, è in grado di valutare. Ciò che l’Illuminato
considera essenziale è la sua unione definiti va al mondo delle alte
vibrazioni. il suo contatto permanente con l’ Invisibile. Credere al divino o arrivare
a presentirlo è poca cosa. L’illuminato sente il divino intensamente e
costantemente. I segni che egli ne riceve, visivi, uditivi. tattili o più
sottilmente interiori, riservano al suo viaggio gli stati d’animo più preziosi
che l’uomo possa provare: quelli della pace interiore, nata dalla
consapevolezza del proprio destino. Perciò per diventare un iniziato bisogna
esser stato prima psicologicamente rivelato a sé stesso, poi rigenerato ed
infine illuminato. Queste sono le tre fasi dell’alchimia dello spirito umano.
L’iniziazione è quindi una epifania provocata che dispone lo spirito a
conoscere l’autentico contatto cosmico. L’estrema tensione ottenuta con
l’iniziazione si rilassa a poco a poco, cedendo il posto ad una gioia
indicibile: quella dello spirito umano che muta avanzando verso vette
inconcepibili per un’umanità non ancora realizzata che soffre nelle tenebre.
Negli antichi riti egizi l’ascesa verso la conoscenza non dipende tanto da
nozioni precise, acquisite tramite apprendimento intellettivo, ma è il
risultato di una paziente sottomissione dello spirito alla visione di immagini simboliche e l’esecuzione di gesti rituali. La
conoscenza o l’intelligenza del divino non basta per 1-111ire i fedeli a Dio, scrive
Giamblico nel IV secolo della nostra era,
altrimenti i filosofi con le loro speculazioni realizzerebbero l’unione con gli
dei… E l’esecuzione perfetta e
superiore all’intelligenza di atti ineffabili; è la forza inesplicabile dei simboli
che darà l’intelligenza delle cose divine. Il contatto con il divino si
ottiene tramite il gesto e la parola; il mistico non ha spada, la sua spada è
ciò che sta al di sopra della ragione. Il neofita riceve progressivamente più
luce grazie a gesti allegorici, alla manipolazione ed alla contemplazione di
oggetti simbolici. Egli non confonderà mai le conoscenze dello studioso con la
Conoscenza che al termine del cammino salvifico gli è promessa. Nessuno gli
chiederà di fissare nella memoria i principi di una dottrina. Nessuno si
azzarderà ad indottrinarlo. Lentamente, attraverso la riflessione personale,
egli otterrà il controllo della mente: la grande opera di ogni iniziato sul
piano terreno. Le tecniche iniziatiche si limitano a mettere in atto quadri
simbolici, parole e gesti destinati a suscitare un mutamento di livello
spirituale, mentre ciò che l’iniziazione condanna sono proprio le nozioni
dogmaticamente insegnate.
In una recente tornata di loggia si ripropose un dibattito
sul tema frequentemente ricorrente della validità e dell’attualità della
Massoneria ai giorni nostri. Dopo una prima serie di interventi non ancora
esauriti ad ora tarda, si decise di rimandare la discussione alla tornata
succesSiva per consentire a tutti di esprimere il proprio pensiero sull
‘argomento.
ln quell’occasione ciascuno si sforzò di descrivere la
situazione politica, sociale, religiosa, comportamentale di questa nostra
epoca, facendo del suo meglio per evidenziare ed esaltare quegli aspetti che
più riteneva meritevoli di segnalazione a conforto dell’esistenza e della
validità della Massoneria nonchè della sua persistente attualità.
Ma ci si potrebbe chiedere, senza enfasi e senza polemica, se
sia necessaria una documentazione del mondo esterno, dei suoi aspetti
contingenti, dei suoi problemi attuali e delle caratteristiche della civiltà
contemporanea per rispondere affermativamente alla domanda. O non sarebbe più
semplice rispondere che la Massoneria, nata con I ‘ uomo e tramandatasi nei
secoli, propone principi che possono sembrare arcaici e oggi anacronistici
soltanto ai meno provveduti mentre sono immutabili ed eterni, costantemente
attuali e in perfetta armonia e corrispondenza con i tempi.
Al limite, la semplice proposizione di una domanda del genere
potrebbe già far sorgere dubbio e sospetto sulla maturazione iniziatica di chi
la propone così come, indipendentemente dal credo religioso, dal costume
morale, dalla pratica di vita, non si può disconoscere la validità tuttora
attuale delle tavole di Mosè, dell ‘opera di ConfUcio, della parola di Cristo.
Un Uomo dotto e famoso non seppe rispondere alla domanda se fossero i tempi a
creare i grandi uomini o se fossero questi, con il loro genio, la forza, le
azioni a creare e plasmare i loro tempi; io personalmente, che dotto e famoso
non sono, non arrossisco se non so rispondere alla domanda se i tempi
differiscano tra loro, almeno per quanto concerne le passioni, le lotte, le
ambizioni, le aspirazioni dell uomo.
E quasi sarei tentato di rispondere che i tempi sono
ilnmutabili e si ripropongono quindi sempre uguali, invocando a conforto le
opere dei grandi scrittori e dei grandi poeti che si è soliti definire eterne e
i cui personaggi, riposti i costumi del romanzo e della rappresentazione, non
hanno epoca e neppure nazionalità definita. Proprio perché immutabile è la
scena e l’arnbiente di vita e immutabili sono i sentimenti degli uomini, eterni
e quindi moderni e quindi attuali sono e rimangono gli eroi della tragedia
greca, i personaggi di Shakespeare, Don Chisciotte e il Dottor Faust e, con le
dovute differenze. le creature di Molière e di Goldoni e le maschere del teatro
popolare.
Ma forse questa mia risposta potrebbe risultare troppo
semplicistica e sbrigativa e apparire maldestro tentativo per concludere che
l’ideologia massonica, squisita sintesi politica, nel senso etimologico della
parola, e quindi morale, costituisce una concezione inimitabile di vita sempre
e comunque in armonia con i tempi.
Per completare e migliorare la risposta cercherò di
appellarmi a quella saggezza popolare forse un po’ ingenua, magari troppo
disponibile ma solo apparentemente contradditoria che con tanta sicumera talora
rammenta che «nulla di nuovo avviene sotto il sole» rna per ammonire subito
dopo, con un ‘velo di rassegnazione, che «i tempi cambiano» o talora, con
maggior senso di nostalgia e di rammarico, che «i tempi sono cambiati».
Si potrebbe allora concludere che pur nella immutabilità
di quei parametri rappresentati dai sentimenti eterni degli uomini, ogni epoca
non sfugge ad una sua caratterizzazione in funzione di tutta una serie di
elementi culturali, scientifici. artistici, religiosi, politici, tanto è vero
che, a distanza, possiamo ricordare secoli bui c secoli brillanti, secoli in
cui sembra prevalere un oscurantismo senza speranza e secoli in cui sembra di
assistere ad una rivincita dello spirito quasi ad una sua
rinascita, forieri talora di aneliti e di messaggi d’avanguardia.
La lontananza di quelle epoche, il comprensibile distacco
dei nostri cuori e delle nostre menti dai tanti episodi che si sono succeduti,
la possibilità di un ‘analisi storica a posteriori che colleghi in grossi
capitoli gli avvenimenti salienti del passato facilita l’opera dello storico e
consente ai posteri una più semplice anche se spesso grossolana catalogazione
che permette con una certa facilità di apporre una etichetta, talora anche
azzeccata, ai periodi storici del nostro passato.
Non diversamente i nostri posteri potranno esprimere un più
distaccato giudizio in merito a questa nostra epoca, ulteriormente agevolati
per la quantità di messaggi, di documenti, di ricordi che il progresso loro
concede. Ma noi, attori di quest’epoca, partecipi interessati di queste nostre
vicende, protagonisti, spettatori o vittime del momento attuale, con quale
superbia c quanta presunzione possiamo permetterci un giudizio sereno,
impersonale, disinteressato? Potremmo essere enfatici o entusiasti citando
tutta una serie di conquiste e di successi della nostra civiltà o potremmo
essere troppo severi censori dei tanti aspetti negativi che la
contraddistinguono.
Non credo sia possibile aggiungere nulla di nuovo o di
originale a quanto è già stato detto in merito alla nostra epoca, tanto frequentemente
anche nell ‘ambito della nostra Organizzazione, né intendo indulgere ad una
critica già fin troppo severa: credo semplicemente di poter configurare e
comprendere gli aspetti più deteriori del tempo che viviamo nello sbigottimento
che si pervade di fronte alla povertà morale, alla mortificazione della
spiritualità c alla disperata ricerca di riferimenti. Appropriandomi di un
titolo ad effetto potrei definire la nostra quale I ‘epoca della «caduta degli
Dei» e dobbiamo tutti riconoscere con
umiltà
e coraggio che nel corso della nostra vita, per ciascuno di noi, anche dei più
forti, quegli «Dei», cui ci ispiravamo ancora nella nostra infanzia e nella
nostra adolescenza, hanno almeno vacillato.
Ai mali che angustiano questa
nostra epoca si aggiunge il sempre più diffuso disinteresse di gran parte della
gente nei confronti dei tanti problemi contingenti, la sempre maggior renitenza
riguardo la gestione della cosa pubblica, la rassegnazione serpeggiante che
oggi riesce persino a condizionare quella fondamentale manifestazione di
democrazia che è costituita dall ‘esercizio del voto.
Ed ecco allora che la
risposta alla nostra domanda trova una sua maggior completezza: è proprio nei
periodi in cui maggiormente incombono crisi morali, spirituali, esistenziali,
in cui più intensa e sofferta è la ricerca di punti di riferimento che gli
uomini dotati di “virtute ed intelletto” c soprattutto forniti di
buona volontà debbono ricercare in se stessi la forza per risvegliare le
coscienze e per dare ciascuno un personale contributo al riscatto dalla
rassegnazione, dall’abulia, dall’inerzia. In questa operazione, squisita
espressione di nobile volontariato umanistico e sociale, i massoni non possono
che essere in prima linea: presenti ed educati in una scuola iniziatica e
compresi dei suoi insegnamenti, essi fruiscono del vantaggio di potersi
ispirare a quegli ideali che già in altri tempi hanno offerto prova di
indiscussa validità e che possono costituire un sicuro riferimento in questa
epoca di decadenza dei valori spirituali. Solo con il conforto del loro
recuperato entusiasmo. l’Organizzazione potrà, a sua volta, attingere e
validamente utilizzare preziose riserve di intelligenza, competenza, energia
per continuare ad esprimere, attraverso i suoi uomini, come è suo costume, la
sua funzione sempre attuale di aiuto al progresso della comunità.
Se è vero infatti che la
modema Massoneria nasce solo all’inizio del 1700 con le costituzioni di
Anderson, altrettanto noti sono i riferimenti a movimenti iniziatici ben più
antichi.
Si tratta di movimenti che,
pur con differenti connotazioni, si propongono con periodica ricorrenza in
tutte le epoche dall ‘antichità ad oggi.
Attraverso ad essi si è realizzato, di volta in volta, un
tentativo “di accostarsi alla divinità che si differenziava da quello
peculiare del culto pubblico e privato’ .
E non è casuale che tali culti misterici si siano formati
soprattutto laddove li favorirono particolari circostanze storiche, politiche.
culturali, in particolare quando si verificavano decadenza delle religioni,
appannamenti degli ideali (e perchè no, delle ideologie), crisi delle
coscienze.
Non sembra quindi difficile cogliere la sottile analogia Ira la moderna
Massoneria e le correnti iniziatiche cultrici dei misteri elensini o di quelli
orfici o ermetici o dionisiaci o con gli stessi Cristiani delle catacombe.
Ancor più facili da riconoscere sono i rapporti tra la moderna muratoria e
correnti iniziatiche sviluppatesi culturalmente nell’oscurità della notte
medievale, nei chiostri dei conventi, fra gli architetti delle cattedrali, tra
i cavalieri delle Crociate che trovarono i loro esponenti più noti negli
Alchimisti, nei Templari, nei Rosacrocc. E ancor più facile e comprensibile
sarebbe analizzare ed interpretare le matrici della muratoria moderna alla luce
degli aneliti riformatori del Rinascimento, degli effetti sconvolgenti della
rivoluzione scientifica del seicento e infine, e soprattutto, degli influssi
culturali, sociali. spirituali provocati dall ‘Illuminismo.
Erede e depositaria di un messaggio iniziatico di così lunga
e consumata tradizione, la Massoneria, da corrente di pensiero può
trasformarsi, specie in certi momenti, in vera e propria scuola di vita, capace
di offrire agli uomini un insegnamento morale e comportamentalc. Essa ripropone
infatti in ogni tempo quei suoi ideali che, ispirati alla libertà, alla
tolleranza, alla fratellanza e soprattutto alla costante e fiduciosa ricerca
della verità, possono dar vita a momenti liberatori e possono costituirc valido
strumento per superare Ic più comuni passioni e le ricorrenti debolezze.
Tali ideali
sono cterni nell ‘uomo e vivono nei tempi e ancorché sembrino talora sopiti
nelle coscienze, improvvisamente rinascono come la mitica fenice e si
ripropongono con sempre rinnovata vitalità.
In un testo
taoista racconta Ciuang-Ze: “Sognai una notte di essere una farfalla che
volava contenta della sua sorte; poi mi svegliai ed ero Ciuang-Ze. Chi sono in
realtà? Una farfalla che sogna di essere Ciuang-Ze, o CiuangZe che sogna di
essere stato una farfalla? Ci sono nel mio caso due individui reali? O vi è
stata trasformazione reale da un essere ad un altro? Né l’ una, né l’altra
cosa: vi sono state due modificazioni irreali dell’ essere unico, della forma
universale, nella quale tutti gli es seri, in tutti i loro stati sono
Uno”.
Il sogno è quello stato che permette
all ‘uomo di identificarsi con altri esseri ed essere contemporaneamente se
stesso. Esso è in questo senso indicativo di un rapporto relazionale tra unità
e molteplicità, attestando della presenza di queste due modalità all ‘interno
dello stesso essere umano. I testi vedici (Mandujya Upanishad), nella
considerazione degli stati molteplici caratterizzanti tale essere: veglia,
sogno, sonno, descrivono quello di sogno come la condizione Taijasa (sscr.),
letteralmente “luminosa”, in quanto definita dall’elemento igneo
(sscr. Tejas), costituito dalla luce e dal calore. Queste componenti ignee
hanno relativamente all ‘uomo il [oro corrispettivo rispettivamente nel sistema
nervoso e nel sangue, in quanto canali conduttori delle energie vitali (sscr.
Nadi) a livello sottile, psichico, dominio dell’anima. Essi costituiscono il
collegamento tra l’anima e lo stato corporeo. E nel sogno che l’anima produce
un mondo che procede da sé, secondo combinazioni simboliche, che riguardo allo
stato vigile di veglia, costituiscono possibilità più estese, essendo mescolati
i tempi ed interpenetrati gli spazi, in un procedere pluridirezionale,
“stellato”. Ecco come il simbolo della stella si può collegare simbolicamente
alla sfera psichica.
La stella
presente nella simbologia massonica sia nella volta del Tempio che
singolarmente, come strumento del Compagno, indica l’orientamento in virtù del suo fiammeggiare.
Ciò che conduce alla ricerca dell’iniziato è il principio cognitivo non
correlabile ad un metodo sistematico in cui sia implicito il compimento
metafisico, ma piuttosto al movimento del pensiero che non si compie, restando
fedele a se stesso, in itinere. Osservandone la geometria, la stella appare disegnata
da alcune linee intersecantesi a formare una struttura ultimamente non lineare,
che ne permette l’inquadramento nel cerchio. Prendendo tali linee a
rappresentare la direzione lineare del metodo logico di causa-effetto,
riferibile ad un pensiero che coincide con ta realtà secondo l’antico adagio
dell ‘adaequatio rei et intellectus, si può notare come tale
direzione contribuisca a costituirne la forma, ma non ad esaurirla. Concorrono
infatti alla sua formazione altre linee che esplodono da un centro incoglibile,
in senso irradiante, pluridirezionale e descrivono un movimento a raggiera,
circoscrivibile in una forma circolare dinamica (il movimento è infatti
indicato dal fiammeggiare della stella stessa). Il senso pluridirezionale viene
così a corrispondere all’approccio cognitivo polisemico, secondo le differenti
letture che possono essere fatte di una stessa realtà e dunque secondo diverse
modalità comunicative tra i molteplici stati dell’essere. L’uso della logica
unidirezionale nel metodo stellato appare in questo modo ridotto o comunque non
assoluto o privilegiato, di fronte ad un processo dinamico asistematico, che si
sviluppa secondo il principio dell’affermazione multipla o della regioni
coesistenti (la pluralità dei sensi del Senso inafferrabile), oltre il metodo
di confutazione, fondato sul principio di non contraddizione e di ragion
sufficiente. L’approccio cognitivo è cioè, in ultima analisi, definito secondo
la probabilità e l’orizzonte congiuntivo. In particolare il principio
dell’affermazione multipla, all’ insegna della comunicazione e
dellinterdisciplinarietà, celebra più che una ragione totalitaria, una ragione
creatrice, dubbiosa ed al contempo continuamente motivata ad esplorare la vita,
secondo l’apertura a 3600 del compasso, in quanto coadiuvata dalle
altre facoltà dell’anima.
Il
procedere a raggiera in senso pluridirezionale dice di una rete significativa
che sollecita la ricerca in avanti rimanendo allo stesso tempo cosciente della
memoria di una genesi. Si tratta di una sollecitazione permanente che permette
di stabilire livelli interpretativi differenziati, che si sovrappongono e si
combinano, senza reciprocamente escludersi,
il cui continuo urto spinge a sempre nuove intuizioni. È il ragionar sognando o
il sognare ragionando. La ricerca dei sensi avviene attraverso la struttura
associativa, fatta di corrispondenze significative e rigorose ove ogni elemento
è logicamente associato al contesto e dove lo sbocco si iscrive ogni volta nell
‘innovazione, nella nuova prospettiva che conserva il ricordo della
retrospettiva, secondo la consequenzialità, l’analogia o la contraddizione ed
il paradosso. La tendenza logica si avvale così della tendenza intuitiva, di
quel ‘supplemento d’anima” che
ha segnato la dinamica massonica nel suo procedere innovativo nei secoli,
rispetto al pensiero e alla vita, alla teoria ed alla prassi, considerati a
campi unificati.
Si ritorna
così al fiammeggiare della stella, simbolo dello stato animico, il cui
principio igneo veniva già da Eraclito definito in termini divini (è nota
peraltro la corrispondenza etimologica greca di theiov e theios, tra gli
aggettivi sulfureo e divino):
“11 dio è giorno notte, inverno
estate, guerra pace, sazietà fame: differisce come “il fuoco” che,
quand’è unito agli aromi, prende il nome dal piacere proprio a ciascuno di essi’ (Fr.A91).
La stella è
dunque rappresentativa del logos stesso, parola della mente, analoga alla
Parola dell ‘Origine, alla Parola della Genesi che nel movimento creativo
divide e riunisce. Parola originaria impronunciabile eppure evocatrice,
indicativa nella sua risonanza di un quid inafferrabile, di un’origine
continuamente sottratta, di un vuoto incolmabile, ma in quanto tale produttivo
della polisemia analogica, dell’interpretazione infinita, del movimento di fuga
dello stesso pensiero. Logos ana-logos, parola e trasgressione. Parola dunque
essenzialmente poetica. il cui dire è contemporaneamente impossibilità del dire
stesso, nella fuga verso I ‘oltre, in quanto il suo limite risiede nel
nascondimento della sua origine: che in quanto tale permane irraggiungibile,
pur costituendone l’essenzialità. Parola che è al contempo suono e silenzio
essendone la relazione.
Razionalità e
irrazionalità (sovrarazionalità), logica della misura e logica della dismisura
risultano molto più interconnesse di quanto non appaia a prima vista. E infatti
il linguaggio l’ambito strutturato della logica, della geometria, delle
scienze, le quali sviluppandosi in equilibrio e misura giungono a toccare la
soglia della sovrarazionalità. Il modello logico-matematico dell’adaequatio rei et intellectus è
infatti indicativo della trasparenza e coerenza e dunque nella conoscenza
analitica chiara e distinta, propria del sistema dualistico oppositivo, con le
antinomie del vero e del falso, del bene e del male. Ma il numero matematico
stesso nel suo aspetto trascendente con le connessioni infinite che esso
indica, oltrepassa la connotazione logica di tipo dualistico, comprendendo in
se stesso l’eco dell ‘oltre. Le due modalità razionale e irrazionale dunque si
compensano e si compenetrano a livello d’impossibilità cognitiva di tipo
unitario la prima e d’impossibilità cognitiva di tipo definitivo la seconda.
Un’aporia del pensiero che, da qualsiasi lato la si osservi, definisce
un’impotenza appropriativa riguardo l’origine ed il fine. Ma è tale impotenza,
tale incompiuto del pensiero a conferirgli ricchezza e fecondità.
Pertanto
oltre il postulato filosofico dell ‘identità di essere e pensare, della
simultaneità assoluta negatrice del tempo e della storia, che ha segnato
profondamente il pensiero e la vita dell’Occidente, ecco riemergere ancora oggi
l’attualità del metodo simbolico massonico (inteso • come processo e non come
sistema), coniugante mito e ragione, sogno e realtà, quali dimensioni
irriducibili. Ne emerge l’ uomo nella sua dimensione autentica, relativa non solo al presente, ma anche
al passato, inteso come memoria storica
ed al futuro, inteso come sogni, utopia. E propria del simbolo infatti la
trasposizione analogica che permette una lettura della realtà a più livelli (da
quello letterale a quello profondo) nella considerazione di una
“verità” che eccede la ragione, richiedendo l’utilizzo delle altre
facoltà dell’anima, quali la memoria, l’immaginazione, la fantasia,
l’intuizione, secondo l’adesione ad un progetto creativo in continuo divenire e
dunque secondo una libertà creatrice. Un tipo di conoscenza che definisce un
‘indefinibile processo inarrestabile, illimitato, connotato dal limite di ogni
traguardo, affermabile solo contestualmente e non assolutamente, in quanto
relativo.
Arte
interpretativa, ascolto del silenzio, invenzione analogica, sono resi possibili
dal linguaggio simbolico, che traduce il mistero in parole propriamente non
tali, trattandosi più di interferenze associative che oltrepassano la
definizione stessa di parola. Questa “irreale realtà” sempre in fieri, sempre da ricostruire, mai
compiuta, questo continuo ritorno a compiti sempre ripresi e sempre da
riprendere, suggerisce all’uomo la necessità di rompere continuamente il Senso
per far emergere significazioni nuove, scorrevoli tra differenti registri della
realtà, secondo risonanze infinite.
Questa irreale realtà costituisce l’erranza essenziale secondo un appello
venuto dall’ombra, l’itinerario incompiuto del massone alle soglie della
poetica dell ‘essere che, alla stregua della stella, si situa sempre altrove e
altrimenti, semplicemente indicando e in tale indicare trasformando I ‘errante
in un Testimone dell ‘infinito.
L’antimassonismo, per l’Occidente, è diventato una categoria
dello spirito o è un fatto storicamente ben individuato? In altri termini, c’è
la speranza che l’antimassonismo si attenui o addirittura scompaia col mutare
della mentalità, della cultura, delle condizioni storiche e politiche della
nostra civiltà occidentale?
Sono queste le domande, non espresse
ma ugualmente evidenti, che si sono posti gli organizzatori, i relatori, i
partecipanti al convegno “Dal congresso antimassonico di Trento del 1896
al diritto di associazione”. L’incontro, che si è tenuto all’Hotel Mediterranèe
di Sanremo il 16 e 17 novembre 1996, è stato organizzato dalla Gran Loggia
d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori all’Obbedienza di Piazza del
Gesù-Palazzo Vitelleschi in collaborazione con il Centro per la storia della
Massoneria, il Comitato italo-francese di studi storici, l’Istituto per la
storia del Risorgimento (comitato di Cuneo). La direzione scientifica è stata
affidata allo storico Aldo Alessandro Mola.
La caratterizzazione internazionale del convegno ha permesso
di porre a confronto diverse situazioni ambientali in cui opera la massoneria
nel mondo. Le varie gradazioni dell’antimassonismo sono così state evidenziate
sotto un aspetto comparativo e ricostruite secondo un percorso storico molto
articolato.
Dal “taxilismo” ottocentesco e dall’avversione che
tutti i totalitarismi hanno sempre dimostrato nei confronti della Libera
Muratoria emerge il quadro di una complessiva visione antimassonica che quasi
sempre si intreccia inestricabilmente coi giochi di potere e con maneggi
politici di livello più o meno elevato. La massoneria, in altri termini, ha
attirato su di sé anatemi, scomuniche, sospetti e persecuzioni ben oltre quanto
avrebbe meritato su di un piano di pura condanna morale e religiosa o su quello
della pura contrapposizione culturale e ideale. La massoneria è sempre stata
anche un fatto politico che, come tale, non poteva non alterare equilibri e
zone di influenza dei poteri tradizionalmente costituiti, in particolare quelli
statali e quelli ecclesiastici. Di qui un antimassonismo che non avrebbe potuto
21
sopravvivere
sul solo piano culturale e ideale, se non fosse stato supportato da volontà ben
strutturate e molto solide perché rappresentative di “poteri forti”,
M. Cristina Pipino Ferrari, ad esempio, ha ben delineato l’inserzione del
taxilismo e della Lega Antimassonica nel quadro delle rivalità politiche
dell’Italia “fin de siécle” e della sua diplomazia europea.
Situazioni immaginarie come quelle peraltro realisticamente descritte da Leo
Taxil o personaggi mistificati o mistificanti come Diana Vaughan, in perenne
oscillazione fra immaginazione e verisimiglianza, nascono però — quasi
sovrastrutture marxiane — dalla realtà concretissima di quegli scontri di
potere che ogni epoca ha sempre conosciuto.
Le
relazioni di Daniel Ligou, di José Ferrer Benimeli, di Rosario Esposito, di
André Combcs hanno evidenziato questo sviluppo di forze e di interessi che rende
faticosamente percorribile la foresta dell’antimassonismo storico.
Ma dal
convegno, emerge anche l’esaltazione e il potenziamento dell’antimassonismo nei
regimi totalitari che, per definizione, non tollerano contropoteri, neanche
spirituali. Sanchez Ferré, Eduard Boeglin, Luigi Pruncti, Aldo Mola ne hanno
analizzato le fattezze politiche nel
quadro di un generale declino delle tradizioni più squisitamente umanistiche di razionalità, di tolleranza, di libertà che
sono l’eredità spirituale più preziosa della civiltà europea. Tra il declinare
del] ‘800 e la metà del secolo successivo, la Massoneria si trova a
fronteggiare — nelle parole di Aldo Mola
— “le offensive antimassoniche convergenti di clerico-reazionari,
nazionalisti fanatici, socialmassimalisti: la follia che alimentò poi la
conflagrazione europea del 1914 e i totalitarismi che ne scaturirono: Terza
Internazionale moscovita, fascismo, nazismo, franchismo…
Una
convergenza di forze oscure che avrebbe schiantato qualunque altro movimento
ideale.
La
relazione di André Combes (“La Francia verso la legge sulle associazioni
(1896-1901) ha posto poi il tema e il problema che sono stati dibattuti
domenica 17 novembre: la libertà di associazione ai nostri giorni. Mentre la
Francia possiede una legge sulla libertà associativa sin dal 1901, l’Italia ne
è priva, fatto che lascia mano libera ad ogni moto di insofferenza politica, ad
ogni capriccio dei pubblici poteri nei confronti di associazioni come la
massoneria. E stata pertanto ribadita la necessità di una legge in tal senso
che ponga la massoneria — ma anche le altre associazioni — al riparo da simili
pericoli. Il fantasma dell’antimassonismo si aggira ancora oggi nei paesi
civili e liberi, ma in Italia assume una preoccupante concretezza. II nostro paese
ha infatti — anche a causa di una certa tradizione cattolica di sospetto e
diffidenza che affonda le sue radici nella contrapposizione al laicismo e
all’anticlericalismo risorgimentali — una storia di antimassonismo molto
radicata, accentuata dai fatti ormai lontani, ma sempre presenti
nell’immaginario collettivo, relativi alla loggia P2. Ciò che per altri paesi,
dotati di un maggiore e consolidato patrimonio politico liberale e democratico,
è ovvio, in Italia è aleatorio. Le associazioni, specie se difformi dallo
schema comunemente accettato, continuano ad essere solo tollerate dai pubblici
poteri. E tempo che si giunga a riconoscerle come titolari di loro propri
diritti e doveri e si estendano a tutte le associazioni portatrici di valori
socialmente apprezzabili quantomeno quei diritti e quelle garanzie che partiti
politici e sindacati — che pure non hanno riconoscimento giuridico — sono stati
in grado di riservare a sc stessi.
Tale
decisione, ponderata e, per quanto si sa, sofferta, appartiene a una sfera che
si sottrae al giudizio storico-politico ed è di assoluta e insindacabile
pertinenza delta Chiesa cattolica apostolica romana.
Crediamo
sarebbe quindi inopportuno, perché metodologicamente improprio, evocare, per
contrasto con tale decisione, le note dispute sulle decisioni da papa Pio IX
assunte quale sovrano dello Stato pontificio.
Quanto alla
valutazione delle molteplici condanne da papa Mastai pronunziate nei confronti
della Massoneria – su cui scrisse Rosario F. Esposito in Pio IX. La Chiesa in
conflitto col mondo (Roma, Paoline, 1979) -, occorre riflettere sulla
situazione storica nel cui ambito esse presero corpo: magistralmente
perlustrata da padre Giacomo Martina S.J. nella poderosa biografia di Pio IX
pubblicata nelle edizioni della Pontificia Università Gregoriana e frutto di
molti decenni di studio se-
vero.
Furono
tempi di animosità, pregiudizi, acredini di cui s’ebbe un estremo saggio con
l’aggressione al corteo che nottetempo il 13 luglio 1881 traslava le spoglie
del papa da San Pietro a San Lorenzo fuori le Mura: vicende che l’Italia laica
non può certo ascrivere a propria gloria.
In
quest’occasione, come di sua norma, la Chiesa cattolica ha maturato un giudizio
che trova le sue motivazioni al proprio interno.
La lezione
da trarne è che altri Ordini, altre Istituzioni sappiano fare altrettanto del
proprio passato, senza farsi prestare canoni di valutazione e metri di giudizio
da poteri esterni — men che meno dai tribunali profani —, bensì in coerenza con
i propri statuti e la propria Storia . Beato dunque Pio IX che trova nella sua
beatificazione un punto d’approdo delle lunghe controversie sulla sua Figura.
E beati
quanti sapranno fare altrettanto di sé e del loro passato, nell’ ambito della
propria competenza.
La metafora
del viaggio, tanto cara ai Liberi Muratori, ricorre spesso nel pensiero di
Marco Aurelio Antonino, l’imperatore-filosofo raramente ricordato nei nostri
templi. Troppo raramente. Se vado indietro con la memoria, trovo una sola
tornata a lui dedicata. Per la precisione, meditammo su una parte del paragrafo
3 del libro III. Ti eri imbarcato, hai
navigato, ora sei giunto in porto: scendi dunque dalla nave.
Marco
prendeva nota dei suoi pensieri negli accampamenti danubiani, fra il 172 e il
180 dopo Cristo. Aveva dunque superato la cinquantina e — per la sua epoca —
era già avviato verso la vecchiaia. L’addio al viaggio della vita, la discesa
all’ultimo porto, sono allora espressione della malinconia d’un anziano?
Tutt’altro: il suo brogliaccio di pensieri (che noi usiamo intitolare Ricordi)
era una vitalissima palestra morale, un esercizio per mantenere in forma
eccellente i muscoli dello spirito.
Il libro
di Marco aveva per titolo Cose per se stesso; s’indirizzava ad un unico lettore
(se stesso, appunto) e probabilmente sarebbe stato distrutto se la morte non
avesse colto l’autore all ‘improvviso. Anche da ragazzo, infatti, Marco
scriveva molto e poi distruggeva: poesie, arringhe di cause immaginarie,
orazioni. Tutto materiale da esercitazione. Lo sappiamo dalle lettere che
mandava al suo maestro di retorica (il quale invece conservava ogni scritto del
giovane patrizio). Quando dalla retorica passò alla filosofia degli stoici, Marco
era già esperto di esercizi: che non furono più intellettuali ma divennero
esercizi spirituali.
Dalla sua palestra morale, Marco si
attendeva la forza per essere atleta
della più grande delle lotte, quella di non lasciarsi abbattere da nessuna
passione, imbevuto di giustizia sino in fondo, disposto ad accogliere tutto ciò
che venga assegnato dal destino. Ci riuscì’? La sua biografia sembra
confermarlo.
Non ricchissimo, Marco era cresciuto a
Roma, nella bella casa del Celio, fra boschi di querce. Non
ebbe modo di annoiarsi; a sette anni cominciò il suo tirocinio al servizio
dello Stato: entrò nel gruppo dei Salii, i sacerdoti di Marte, e prese molto
sul serio i suoi compiti. S ‘impratichì delle danze e dei salti sacri, imparò a
memoria le formule da recitare nell’ormai incomprensibile latino arcaico (gli
altri dovevano leggerle, tanto erano ostiche). Raggiunta l’età adulta, seppe
evitare mirabilmente l’avidità e la rapacità del potente. Non si lasciò mai
prendere dalla spirale del lusso e del danaro. Anzi, rinunciò a vistose fette
di eredità in favore di parenti. E quando, ormai imperatore, i reduci dalla
guerra d’oriente portarono la peste, Marco non esitò ad aprire le casse dello
Stato, e le sue proprie, per elargire sovvenzioni alla gente colpita dalla
carestia e dai lutti. Intere legioni vennero inghiottite dalla terribile
epidemia. Proprio al[ora i barbari del nord si ribellarono, attraversarono le
Alpi, occuparono Aquileia.
Ancora
una volta Marco Aurelio mantenne una stoica calma e armò un esercito a
pagamento, fatto di schiavi,’ di gladiatori, di altri mercenari. E lo affidò
agli impareggiabili istruttori delle legioni. Ma intanto occorreva danaro.
L’imperatore mise all’asta il palazzo imperiale: statue, ori, scrigni,
ornamenti, persino le vesti dorate dell ‘imperatrice. Venne fuori anche il
tesoro segreto di Adriano (nonno adottivo di Marco) costituito dalle più belle
gemme che si potessero raccogliere in Asia. Due mesi durò l’asta. Infine Marco,
il mite filosofo, lo studioso che passava le notti a leggere e scrivere, partì
per le pianure danubiane. Andò a combattere e a vincere.
Sotto la
tenda scriveva, continuava ad allenare lo spirito, si esortava, si ammoniva.
C’è un bruciante promemoria Bada a non
incesarirti che è stupendo, detto da un Cesare (V1,30). Ci sono certe
luminose elevazioni al di sopra del contingente, della sua qualifica imperiale,
del
suo rango; Come Antonino ho per patria
Roma, come uomo ho per patria il cosmo (VI,44). I Ricordi indugiano spesso sulla
morte, sulla caducità della vita. Pensieri d’apparenza asettica che celano lo
strazio di un padre che aveva visto morire otto dei suoi quattordici figli,
tenere foglioline cadute dal grande albero della vita. Sono note tracciate con
pudore dei sentimenti, con l’intento di superare il dolore (o almeno di
controllarlo). Il libro a se stesso punta dunque all’accettazione, e può
apparire un po’ triste se non teniamo presente l’intento energetico di quelle
pagine, il loro valore di quotidiano esercizio atletico.
Ma dobbiamo resistere alla tentazione
di addentrarci nella struttura del libro. Teniamoci fermi alla metafora del
viaggio, leggendo il passo IV,3 che sicuramente troverà e chi attualissime in
molti massoni. Scrive l’imperatore: Vanno
alcuni alla ricerca di luoghi in cui ritirarsi, chi nei campi, chi lungo la
riva del mare, chi sui monti. E tu stesso hai l’ abitudine di desiderare tutto
ciò. Ma è cosa stoltissima, dal momento che tu puoi, sempre che voglia,
ritirarti in te stesso. Poiché l’ uomo, in qualunque luogo si rifugi, non ne
troverà mai uno più quieto e Più libero da brighe di quello che può offrirgli
l’anima sua; specialmente se porta dentro di sé tali principi che, col solo
affacciarsi a contemplargli, acquista immediatamente un’ intima tranquillità,
un ordine perfetto.
I piaceri
che Marco si rimproverava erano semplici: cavalcate, vendemmie, visite all
‘antica e misteriosa Anagni, pacifiche giornate campestri passate in compagnia
di libri. Forse Marco li ricorda per scacciare la nostalgia, sentimento
pericoloso che distrae dal dovere presente, dall’azione militare.
Perché Marco
era sì stoico, ma romano e imperatore. Ogni convinzione, ogni azione è
illuminata da un eroico senso del dovere. Non
nella passività, ma nell’attività consiste il bene (e il male) dell’ essere
ragionevole e socievole (IX, 16). Passando dalla vita sociale alla vita
personale e morale, il tono non cambia:
Non è più tempo di discutere intorno a ciò che deve es-
sere l’ uomo dabbene, ma
di cominciare ad esserlo coi fatti.
L’azione e
l’adempimento del dovere sono per Marco Aurelio il necessario corollario della
filosofia che, altrimenti, resta vago sentimentalismo e diventa comodo alibi
per l’egoista. La costruttività massonica può trovare molte conferme in tale
atteggiamento; molti spunti di riflessione.
Così
cominciamo ad inquadrare meglio l’invito a rifugiarsi in se stessi. Non è il pigro
adagiarsi sulla personalità esistente (inizialmente rozza, squilibrata).
Sarebbe di
scarsa utilità affacciarsi sulla propria interiorità e scoprirvi un panorama di
insicurezza, rancori, ansietà, amarezze. Marco suggerisce di attrezzare il
rifugio interiore con princìpi tali da comunicare immediatamente un ordine
perfetto. I princìpi (Marco lo dimostra continuamente) non sono formule
astratte, sono un rallentamento di vita, sono un costante atteggiamento
spirituale. Tutto il libro dei Ricordi è un manuale per trasformare il rifugio
interiore in luminoso — e vivente — santuario della filosofia. Solo allora esso
avrà la funzione rasserenante e ritemprante che Marco promette.
Il ripiegarsi
su di sé, come un gatto acciambellato, allude a un viaggio della vita, ad
andamento circolare. Si parte dall’io, ancora opaco e inconsapevole, si viaggia
nella conoscenza, si torna colmi di ricchezza interiori. Sulle quali, per dirla
con Marco, ci si può affacciare felicemente. Tutto ciò è già un viaggio
magnifico. Ma esiste un viaggio ulteriore, quello ad andamento lineare,
ascendente e dritto come una freccia scagliata contro il cielo. E i] viaggio
della suprema iniziazione, che abbandona per sempre il punto di partenza.
Potremo dire che l’io si sposta sul Sé e che questo punta a Dio.
Mi piace
immaginare che questo sia stato il percorso di Marco Aurelio: egli aveva
ricevuto I ‘iniziazione a Eleusi e non era uomo da contentarsi d’una semplice
cerimonia, una specie di laurea ad honorem. Colui che da bambino fu sacerdote
di Marte, certamente divenne un iniziato perfettamente consapevole dei Misteri.
Quando lasciò i gelidi accampamenti per salire all ‘Oriente
eterno, forse Marco mormorava ancora: Tutte
le cose sono collegate le une con le altre, e sacro è il filo che le
avvince. Uno è il mondo e uno il Dio che tutto pervade (VII,9).
Ha ragione lo storico francese Daniel Ligou, autore del
noto “Dictionnaire de la FrancMaçonnerie” quando sostiene che ben
poco di egiziano è presente nei riti cagliostriani di Memphis e Misraim:
“Ce rite “égyptien” est peu égypticn…••
Agli
effetti i riferimenti all’Egitto e alla sua ritualità sono assenti o appena
sfiorati nei limiti di qualche accenno minimo e stereotipo. L’ossatura del rito
massonico è di estrazione ebraico-cabalistica come la totalità di questo genere
di sistemi iniziatici.
Secondo
lo stesso Ribadeau Dumas, Cagliostro, infervorato dalla moda dilagante per
l’Egitto, volle dedicare a questa terra la sua complessa opera a metà tra
alchimia, filosofia esoterica e misticismo. Però è vero che proprio dalla
civiltà egiziana era scaturito ogni sapere ermetico di cui tutta la Cabalah è
necessariamente infarcita. Quindi parrebbe, quella del di Guido Guidi Guerrera
mago, un ‘opera di recupero delle radici al di là dei
segni esteriori con la ricerca di una verità protoarcaica e oltre qualsiasi
ristretto confine.
“Altotas mi parlava spesso delle
piramidi, degli immensi sotterranei scavati dagli antichi egiziani per
custodire e difendere dalle in2iurie del tempo il prezioso patrimonio della
sapienza umana . . . “. Sono parole queste che rivelano tutta la forza
suggestiva della Terra del Nilo su un animo assetato di certezza e di mistero,
infiammato e influenzato dagli insegnamenti del sapiente Altotas.
Fu costui ad iniziare il Grande Cofto
ai misteri di Iside e di Osiride ed è dal suo sapere che derivano non solo i
presunti poteri magici di Cagliostro ma l’intera formazione esoterica.
Se fosse. Altotas, un ciarlatano. una
specie di esaltato mitomane o un autentico iniziato all’Ars Regia è impossibile stabilirlo.
Cagliostro lo incontrò in una locanda
di Messina e ne rimase subito affascinato. Si esprimeva in un guazzabuglio
linguistico anche se sosteneva di essere un po’ greco, un po’ spagnolo c si
vantava di conoscere portentosi segreti alchemici. come la famosa “polvere
di proiezione”. nonchè di possedere miracolose doti di guaritore.
Probabilmente la trasformazione di
Balsamo in Cagliostro parte proprio da questo punto: fatto che indubbiamente
dimostra come Aitolas pur nella sua strampalatezza abbia gettato i semi di una
evouune verso nobili conquiste spirituali.
Da questa specie di personaggio guardjjeffiano
ante litteram Cagliostro apprende il fondamento di ogni esperienza magica che è
costituito dalle varie fasi alchemiche. Ogni parte del Rito Egiziano è specialmente
pervasa da questo dettato ermetico volto ad alludere ai passaggi tradizionali
che dalla cosiddetta Opera del Corvo o al Nero portano attraverso la “rubedo”
alla scoperta dell ‘Oro dei Filosofi.
Al rito
partecipano oltre al Maestro, il Grande Cofto, dodici “profeti” e
sette “sibille”. Tutti sono tenuti all’obbedienza verso una serie di
imperativi e di comandamenti, tra cui spicca la tolleranza rispettosa dell’universalità
delle religioni e della dignità umana, nonchè il perseguimento del bene
assoluto.
Una
volta nel suo archetipo di Hermes Thoth, un ‘altra in quello di serpente,
signore del tempo e della vita, Mercurio viene “ucciso” ritualmente
dagli adepti maschi e dalle “sibille”.
Questa
sorta di “estrazione mercuriale” rappresenta la base sostanziale del
Rito Egiziano con tutte le significazioni possibili tanto di natura alchemica,
che di valore magico-esoterico.
L’iniziato
colpisce la parte “volatile” e irrazionale del proprio sè e la uccide
per dar luogo a una palingenesi finalizzata alla fissazione dell ‘idea nella
forma. Gli echi della dottrina ermetica egizia appaiono più evidenti evocando
una forza archetipa come I ‘Ermete Trismegisto dentro il quale si agitano e
congiungono i duplici bipolari aspetti dell ‘ermafroditismo. Tanto al fratello
di sesso maschile che alla sorella vengono additati i mezzi esplorativi del
proprio sè che portano dopo un travaglio iniziatico di tipi isidino-apuleiano
alla perfetta fusione animus-anima.
Probabilmente
l’intero rito di Memphis e Misraim sebbene sia, come sia considerato, costruito
su modello cabalistico, con l’inevitabile frequentazione di forme angeliche
nonchè di figure legate alla geometria sacra e a certi nomi divini ”di
potenza”, risente di una formazione magico-esoterica assai vicina a culti
primordiali. Questi ultimi sono stati mescolati ad altri più recenti di
impostazione “salomonica” e rosacruciana, con l’inevitabile aggiunta
di qualche medievalismo come nel caso della consacrazione degli “strumenti
dell’arte”.
Se non
fosse per la puntuale osservanza di regole astrologiche e
planetario-analogiche, leggendo le “Quarantene” verrebbe in mente più
di una correlazione con quel sistema di espirazione e affermazione spirituale
noto come •’La Magia sacra di Abramelin il Mago”
Si
tratta di un testo non conosciutissimo di autore ignoto, anche se pare
probabile si tratti di un ebreo convertitosi al cristianesimo. Nel libro si
prescrivono diverse norme comportamentali per giungere a una degna evoluzione
che assicuri il contatto con il cosidetto Santo Angelo Custode. Per questo è
necessario allontanarsi dal mondo per un periodo di tempo assai lungo (sei
mesi), utile alla totale immersione nella vita contemplativa. meditativa e
ritualistica.
Le
quarantene spirituali del rituale cagliostriano sebbene previste per un tempo
più breve, sembrano ricalcate dal precedente, almeno riguardo a quello che
concerne tutta una serie di privazioni, digiuni e di volontario annullamento
del significato stesso di fisicità corporale… Anche in questo caso tutto è
finalizzato alla “Visione benefica” grazie alla quale come spiega il
Dumas: “L’uomo si risolleva dalla caduta adamitica e si ricongiunge con la
primitiva divinità”. Il candidato dedica quotidianamente sei ore alla
meditazione, tre alla preghiera e ben nove alla preparazione e consacrazione di
strumenti vari e della pergamena vergine ricavata dalla pelle di un bambino
nato morto da una donna ebrea. Al termine della prova l’iniziando se è ancora
vivo e perfetta mente lucido avrà dagli angeli
la consegna delle parole di potere e del fuoco sacro contenuto in un sigillo
magico.
Aleister
Crowley grande e discussa figura di occultista vissuto fino agli anni quaranta
del nostro secolo, aveva tentato le prove iniziatiche di Abramelin, animato da
quella sincera e appassionata ricerca del proprio Angelo di Luce che sarebbe
stata l’ossessione di tutta la sua vita. Un po’ per volubilità caratteriale, un
po’ per ispirazione della sua fulgida intelligenza troncò quella esperienza
molto prima della prescritta durata, nonostante a Boleskine un posto vicino a
Loc-Ness avesse attrezzato il tempio come si chiedeva e avesse già constatato
l’addensarsi di “‘nere ombre” anche in pieno giorno.
Quasi con
certezza il mago inglese aveva compreso l’insussistenza della lettera del
programma iniziatico. Nc aveva perciò estrapolato la simbologia e l’arcanum
criptico chiuso nelle allegorici e difeso dalla capziosità di
“impedimenta”, impossibili da superare se non teologicamente
interpretati.
Cagliostro
costruì il suo sistema su regole dello stesso tipo: “Chi aspira a questo
ritirarsi nel Plenilunio di maggio con un amico di campagna ed ivi chiudersi in
una camera ed acovo soffrire per quaranta giorni una dieta estenuante con
scarsi cibi. per modo però che ogni refezione cominci col liquido, cioè colla
bevanda, e termini col solido, che sarà un biscotto o una crosta di pane”.
In seguito si richiede all’aspirante di procurarsi un certo numero di salassi e
di aspettare la caduta dei denti e capelli che rinasceranno prodromi di una
totale rigenerazione.
Se
queste indicazioni non fossero considerate nel loro valore esclusivamente
allegorico, l’incauto e stolto adepto si autoescluderebbe alla Conoscenza per
dichiarata insipiente inadeguatezza e certo ne morrebbe.
Da che
mondo è mondo ogni rito è stato sempre ammantato di una fitta rete di astruse e
inconcepibili pretese solo per misurare il grado di evoluzione intellettuale ed
esoterica del richiedente, proprio alla maniera dei cosiddetti “Koan”
della filosofia Zen.
ln
realtà l’intera Opus Iniziatica è sottesa da un continuo passaggio dalla Morte
del sole Osiride alla vita della luna Iside che fusi nell’atto sessuale cosmico
svelano il mistero dell ‘esistenza che è magia pura. Da questa sintesi nasce il
Mercurio dei Saggi che racchiude tutta la forza di Eros e Thanatos nel perpetuo
divenire degli eventi.
Forse come qualcuno ha sostenuto per
Crowley a proposito di Aiwass il ministro di Hoor-Paar-Kraat, anche la figura
dell ‘ineffabile Altotas potrebbe essere la dilatazione delle potenzialità inconsce di Cagliostro.
Poco importa se tanto Aiwass che Altotas possano vantare una propria autonoma
realtà: essi vivono ed esistono essenzialmente in funzione della personalità
dei maghi e della loro ricerca interiore.
Lo
stesso Eliphas Levi nella sua Storia della Magia tende a dimostrare il
significato criptico del nome Altotas che significherebbe ministro, messaggero
di Thoth, l’Ermete egiziano. Come poi il Crowley, Cagliostro perciò sarebbe
stato promotore e profeta di una riforma spirituale di impronta egizia in
costanza dell ‘Eone osiridiano che avrebbe ceduto il posto a Horus, il figlio
vendicatore.
Della logica legata al potere di
Osiride il cui Grande Cofto aveva intitolato molti dei suoi riti, sarebbe stato martire egli stesso pagando col prezzo
della vita il sacrificio al dio della passione e della morte. Forse, questo,
l’unico è più autentico messaggio esoterico di Alessandro Conte di Cagliostro.
Franz Liszt, compositore, pianista, direttore di orchestra,
ungherese, è considerato uno dei più importanti musicisti europei
dell’Ottocento (1811-1896).
Il valore e la portata della sua
attività, collegate a tutti i problemi essenziali della storia musicale europea
dal 1830 al 1880, acquistano un particolare significato dalla sua appartenenza
alla Massoneria.
Venne iniziato Apprendista nella
Loggia Zur Einigkeit all’Oriente di Francoforte nel 1841, ricevendo la nomina
onoraria di appartenenza per l’opera umanitaria e assistenziale da lui
esercitata; passò al Grado di compagno I ‘8 febbraio 1842 presso la Loggia
inglese Royal York alla presenza del principe Guglielmo, futuro imperatore, e
nello stesso anno al grado di Maestro nella Loggia Modestia cum Libertate di
Zurigo; infine nel 1870 gli venne conferito il grado di Maestro Onorario presso
la Loggia Zur Einigkeit all’Oriente di Budapest.
L’aspetto più interessante dell ‘opera sinfonica di Liszt è
il proposito di farsi capire dagli ascoltatori attraverso la Musica a
Programma. Scriveva egli stesso nel 1837: Il musicista che trae ispirazione
dalla Natura traduce in suoni i più intimi misteri del suo destino. Egli pensa,
sente, parla in musica; ma poiché il suo linguaggio, meno definito di tutti gli
altri, si piega a una moltitudine di interpretazioni diverse.
non è inutile che il compositore tracci con poche linee lo
schizzo psichico della sua opera, dica ciò che ha voluto fare, esprima l’idea
fondamentale della sua composizione.
Il programma poetico o letterario, anche se aggiunto a posteriori, è
essenziale per la comprensione da parte dell’ascoltatore; tenendo presente le
immagini gli stati di animo che hanno ispirato il compositore, egli può
sintonizzarsi con il musicista in una determinata sfera della conoscenza che
potrà, seguendo la musica, costruire e adornare con la propria fantasia.
Il compositore, scegliendo il soggetto della sua musica tra i
più nobili temi della cultura, contribuisce al suo arricchimento e alla sua
divulgazione presso il pubblico. L’artista svolge un compito sociale e
culturale lavorando per il progresso della musica e avendo a cuore il progresso
dell’ umanità. (R. Dalmonte – F. LISZT Feltrinelli). Per questo scopo i
fratelli massoni si riuniscono e Liszt doveva avere ben presente questo nobile
principio.
Les Préludes (d’après Lamartine) è uno dei
brani più famosi del musicista ungherese; vi si può riscontrare uno stretto
legame tra il pensiero musicale e il pensiero massonico che deve aver ispirato
il compositore. Per capire meglio il valore e i significati della musica è
opportuno conoscere il Programma, la meditazione del poeta francese Lamartine
anche se pare sia stata suggerita a posteriori dalla principessa Wittgenstein,
dedicataria dell’opera. Eccone il testo: — Non è forse la nostra vita una serie
di Preludi a quel canto di cui la morte intona la prima nota solenne? L’amore è
l’aurora incantata di ogni esistenza; ma qual’ è la vita le cui voluttà di
gioia non sono interrotte da qualche uragano che con soffio mortale dissipa le
sue belle illusioni e con folgore fatale distrugge il suo altare, e qual’ è
l’anima crudelmente ferita che, uscendo da una di queste tempeste, non cerca di
riposare i suoi ricordi nella calma dolce della vita dei campi? Tuttavia l’
uomo non si rassegna a lungo a gustare il tepore benefico che all’ inizio lo
aveva allettato in seno alla natura, e quando “la tromba ha dato il
segnale di allarme” , egli corre all’ avamposto pericoloso quale che sia
la guerra che lo chiama, per ritrovare nella lotta la piena coscienza di sé
stesso e il completo possesso delle sue forze.
Il percorso
psicologico-drammatico del testo trova una corrispondenza nella forma e nei
contenuti del brano musicale. Vi si può intravvedere anche una affinità con i
principi che alimentano la volontà del massone sulla via di una continua
ricerca di sé stesso, la sua lotta e i suoi sforzi per far sì che la pietra
grezza diventi cubica, sempre sospinto dalla forza dell’amore.
Liszt sceglie tra i simboli che tradizionalmente
vengono considerati i più significativi per edificare la composizione, il
criterio di elaborazione e di variazione di un tema, il passaggio dall’informe
all’ordine, dalla pietra grezza a quella cubica e l’elemento ternario sotto
molteplici aspetti.
Il tema inizia sul terzo movimento di una misura di
quattro tempi e si presenta con tre note ribattute, la terza assume il ritmo di
nota con il punto (valore tre) e la fase si sviluppa in arpeggio per intervalli
di terza per arrivare a due colonne d’armonia con flauti, clarinetti e fagotti;
I elemento ternario, i criteri melodici, armonici e di orchestrazione fanno
pensare a una scelta massonica di simboli musicali.
L’introduzione si sviluppa fino alla variazione del
tema in 12/8 affidata ai violoncelli e contrabbassi, tromboni, tuba e fagotti,
che rappresenta la meta, il fine da raggiungere: la vittoria.
La seconda variazione è il tema d’amore in 9/8 (3
movimenti con 3 suddivisioni = 9) che viene esposto tre volte con modulazione a
tonalità distanti una terza sopra (do – mi – sol#), aprendo ogni volta una
nuova prospettiva sonora.
La consapevolezza di quanto la Fortuna possa aiutare le
anime elette é lo stato d’animo che ispira la terza variazione, quasi un nuovo
tema contrastante B, caratterizzato dall’elemento ritmico della terzina,
Purtroppo la Fortuna è passeggera, e la quarta
variazione, con le sue cromatiche terzine e le sue volute di accordi di settima
diminuita (4 terze minori sovrapposte) descrive le agitazioni della vita, il
pencolo imminente, l’avvicinarsi dell’uragano.
Con la quinta variazione il tema d’amore si trasforma
in tema di morte, contrapponendone i significati in un allegro tempestoso.
La sesta variazione, elaborando il tema per inversione, mette in
risalto il carattere agitato e sempre più parossistico del combattimento.
Come un ‘eroica cavalcata la settima variazione
affidata a trombe e corni e ripresa dai primi violini porta a compimento il
travagliato sviluppo corrispondente alle fasi di difficoltà che spesso si
incontrano nelle vicende della vita.
Finalmente la ottava variazione rappresenta il calmarsi
degli eventi con un passo dell’oboe che con solistiche cadenze rasserena il
clima precedente conducendo a un paradisiaco e nostalgico ritorno del tema
d’amore con gli archi e arpa.
La pacifica scena idilliaca e i paesaggi bucolici
descritti nella nona variazione con cambi di prospettiva modulante per terze
(mi – do # – la fa #) offrono un meritato ristoro all’animo umano.
La ripresa della terza variazione o tema B fa
riacquistare fiducia nei propri mezzi e nella Fortuna.
La suddetta variazione viene ripresentata con tre nuove
orchestrazioni, sempre più positive, come un eroico cammino che riprende verso
la meta da raggiungere.
Con la decima variazione l’uomo ha ritrovato la Fortuna
e la forza necessaria per gettarsi nuovamente nella difficoltà della vita e per
ritrovare sé stesso.
La undicesima variazione è una vera marcia trionfale
contrappuntata da inni di guerra.
La volontà di vittoria è espressa dalla dodicesima
variazione con trascinante veemenza.
Finalmente la ripresa della prima variazione
rappresenta la meta, la vittoria.
Con la salita sui gradini che conducono verso I ‘Altare
dell’Oriente, raffigurata nella coda dai gruppi ternari degli archi, termina il
percorso musicale del poema sinfonico.
L’ascolto completo del brano può offrire così la
rappresentazione del viaggio che il massone si propone di intraprendere,
dall’Iniziazione alla Maestranza.
Ho immaginato, così per non saper che fare, di ritornar
bambina oggi. La radio, allora, la facevo io.
Proprio.
Ci recitavo il pomeriggio dentro microfoni tondi, grossi e
con i raggi. Sembravano tanti bellissimi soli.
I miei a casa mi stavano a sentire e così i parenti, gli
amici e le compagne di scuola. La maestra faceva finta di ignorare.
La vita era semplice.
Persino nel mangiare. La merenda era pane e marmellata
oppure pane, burro e zucchero.
Solo la domenica mattina papà, che mi portava a spasso, mi
offriva una brioche tonda, lucida e con in cima un ciuffo di crema gialla. I
grissini erano tanto buoni, croccanti fuori e a cura di Arnaldo Francia
morbidi dentro, da essere preferiti ai
biscotti.
Si camminava molto.
Il giro della collina era normale.
Prati verdissimi, qualche villa isolata, cancelli di
ferro che davano adito a viali misteriosi che pareva non avessero fine.
Io credevo nelle fate e negli gnomi.
Così come credevo che mio nonno ogni mattina a
colazione ingoiasse un orologio d’oro, ma senza la catena. Me lo aveva detto
lui e, davanti alla tazza di caffè bollente, faceva tutti i giorni una
complicatissima mimica, tanto ben condotta che solo da grande mi resi conto
della mia assoluta fiducia nei “grandi”.
Loro parlavano e mi spiegavano e qualche volta mi
prendevano in giro ed io credevo, credevo.
Se fossi bambina oggi passerei la maggior parte del
tempo davanti alla TV, avrei una idea del mondo dei grandi non certo basata
sulla fiducia, ma sullo sgomento e la paura.
Pretenderei cartelle e scarpe firmate, confronterei
l’auto di mio padre con quella dei genitori delle mie compagne, sarei condotta
da una scuola di danza ad una lezione di inglese, per poi correre in piscina ed
a lezione di tennis. Sarei una bambina stanchissima, elegantissima e scattante.
Ma sarei così felice e con la testa piena di favole?
Avrei la possibilità di star sola interi pomeriggi a raccontarmi
storie, animando gli oggetti della mia camera inventando dialoghi tra la sedia
ed il quadro?
Se fossi piccola oggi già mi avrebbero detto della
droga e delle sue conseguenze. mettendo nella mia testa non preparata, le idee
della morte, della paura, della diffidenza, del decadimento fisico ed
intellettuale. Tutti concetti non adatti alla mente di un bambino.
I discorsi.
A parte quelli politici che non capivo tanto ma che
avevano un ritornello . . . “Quel. ci rovinerà completamente, prima o
poi!” erano soprattutto sui libri letti, sui quadri dipinti da zio
Francesco, sulla preferenza di mamma per la Tempesta e di papà per Amleto.
Nonno scovava libri strani, poeti minori, ci leggeva,
ancora in bozze, gli scritti del suo amico Bontempelli ed i suoi, magari con il
parere di Gargiulo o Manara Valgimigli.
Non dico che mi divertissi sempre.
Però il fatto che i libri facevano parte della vita e che
ad essi si dedicasse la maggior parte del tempo possibile, che se ne parlasse e
che da essi si traesse una specie di magica possibilità di moltiplicare i
pensieri all ‘infinito, mi piaceva e nutrivo un amore geloso per i MIEI.
Pochi, con le figure, ma assolutamente di mia proprietà.
Se li volevano dovevano chiedermeli in prestito.
Anche papà e mamma che furono sempre rispettosissimi del
mio privato.
Il tempo.
Se fossi bambina oggi avrei un paio di orologi digitali,
grossi quasi quanto il mio avambraccio e con le sfere ed i numeri a forma di
puffi.
Ne sarei vittima.
Alle quattro dobbiamo andare dalla nonna. Mezz’ora. Poi a
lezione di inglese. Ti lascio e ti vengo a prendere. Andiamo dal dentista.
Invece allora (i dentisti c’erano e mi mettevano le macchinette) il tempo era:
la mattina ed il pomeriggio.
La sera per i bambini non esisteva.
La cena e a letto. Nonostante le proteste ed i capricci.
Io non avevo assolutamente il senso del tempo. Del passare
dell’ore.
Se mi divertivo mi dimenticavo di tornare a casa.
Andavo a giocare dalle amiche. Era già buio da un pezzo ed
io ancora stavo là, mentre la mamma non mia poggiava rumorosamente i piatti sul
tavolo e diceva: “Si è fatto tardi!’
La mia, di mamma, diceva: “Torna presto!” senza
stabilire un’ora. Lo faceva per abituarmi ad una specie di disciplina.
Con scarsi risultati.
Quando già avevo mangiato una mezza cena dall’amica, suonava
il telefono e la voce di mio padre, che mi veniva passato, tuonava: ‘Possibile? Non impari mai!
Adesso devo venirti a prendere!”
Prediche, rabbuffi, “autodisciplina” “senso
della responsabilità”. Paroloni pesanti che mi calavano addosso come una
doccia gelata. Mi sentivo molto, molto cattiva.
Se fossi una bambina oggi mi sentirei colpevole ed
irriconoscente? Non mi risulta di avere avuto un peso determinante nella mia
famiglia, nel senso, dico, che la vita degli altri ruotasse intorno alla mia.
Ognuno aveva un suo ruolo e lo svolgeva nel modo migliore.
Le cose.
Mica ne avevo tante e tutte erano desiderate. Bisognava
essere bravi, ubbidienti, rispettosi e allora si aveva una cosa, magari
necessaria.
Se fossi bambina oggi chissà quante pretese. Così che il
concetto del merito proprio non saprei dove andarlo a cercare. In compenso
considererei tutto come dovuto.
Dagli altri, naturalmente.
Il genitore come dispensatore di cose, senza possibilità di
rifiuto. Altrimenti il ricatto della nevrosi e. più tardi, della droga.
No. Non potrei oggi sentirmi cattiva o ingrata. Quindi non
potrei nemmeno aver voglia di migliorare.
Il miglioramento.
Era una delle lezioni di Nonno P. Non diretta. Favole,
storie di “gente vera’ che invece era inventata di sana pianta ma che
rendeva l’insegnamento più concreto.
Nonno P. era mio amico. Estroso, strano,
generoso, intelligentissimo con quel dono grande della chiarezza e dell’humour.
Oggi avrei un nonno così?
Oppure mi troverei accanto un signore velleitario, vestito
casual, dedito a dimostrare a se stesso e agli altri di non essere vecchio? Che
dico? Anziano. Come se vecchio fosse una parolaccia.
Un uomo con la vacuità del pensionamento,
l’angoscia mal celata dei primi
acciacchi non accettati ma respinti come una verità ripugnante. Com’era bello
il mio, un po’ gottoso, che doveva fermarsi ogni tanto per la strada a poggiare la gamba, sollevandola,
al muro e che al bar diceva al cameriere: “Porti un raggio di sole in una
tazza d’argento e con una perla sopra, per la mia nipotina” fugando la
perplessità del poverino con una abbondante mancia riparatrice ed una complice
strizzatina d’occhi.
Nonno P. mi diede una regoletta di vita semplicissima.
“Non tare mai nulla che non avresti il coraggio di
confessare a tua madre e di veder pubblicato sul giornale”
Una norma che deve, per funzionare, fare riferimento ad un
tipo di famiglia e di società che forse non esiste più.
Soltanto in un nucleo dove ogni singolo ha un ruolo determinato e delle precise
responsabilità, dove il comportamento quotidiano e privato sostituisce la
parola (le “urla” della classica madre italica che minaccia
continuamente ma non agisce se non nei momenti sbagliati), dove una sorta di
timore reverenziale impronta l’atteggiamento dei figli, è possibile applicare
la regoletta di mio nonno. Quanto ai giornali.
beh! Lasciamo perdere!
Tutto sommato è meglio che oggi io sia grande.
Un po’ vecchiotta anche, visto che sono in pieno nella fase
delle rimembranze.