PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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IL GREMBIULE

Il grembiule

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

il grembiule è la tangibile insegna del Lavoro e della operosità e simboleggia, quindi la missione, il compito, il dovere che ogni Massone è chiamato a svolgere.

Non si può e non si deve stare nei nostri Templi senza cingere il grembiule, e questo non per un vuoto formalismo, ma per una necessità interiore. Indossiamo fieramente i nostri grembiuli per veramente sentire e ricordare sempre che in Massoneria ognuno ha un compito e che questo compito viene accettato ed assolto; per dimostrare che siamo presenti e attivi, operosi c necessari, non assenti, passivi, oziosi ed inutili; per affermare che in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo dobbiamo lavorare nell ‘interesse del nostro comune ideale.

Tutta la nostra terminologia, cominciando dall ‘espressione partecipare ai Lavori per finire alla parola Officina, presuppone un’operosità che trova nel grembiule il simbolo più evidente.

Naturalmente, il lavoro che questo ornamento ha il compito di ricordarci costantemente, non può essere limitato al concetto che se ne aveva nelle confraternite dei Muratori medievali.

La Massoneria ha del lavoro una concezione ben più alta e più piena, che supera le comuni definizioni e proprio per questo potrcmmo affermare, con le parole del Fratello Fichte, che il lavoro massonico dovrà essere “insegnare e non solo operare “, che dovrà essere “produrre e non solo ricevere ” dovrà essere “creare e non solo imitare

Scopo della nostra Istituzione è quello di formare l’uomo e di formarlo in funzione ed in relazione agli altri uomini. La Massoneria si prefigge di adattare l’uomo alla società e quindi di adattare la società all’uomo. Edificare il Tempio interiore vuol dire cercare di conoscere se stessi il più possibile.

L’ Età dell’oro, la Repubblica di Platone, il Paradiso terrestre sono delle semplici aspirazioni dell ‘umanità. La Massoneria è nata per cercare di avvicinarsi il più possibile a questi ideali, per fornire un metodo di vita il più possibile aderente a questi modelli e, in una parola e più semplicemente, per rendere possibile la convivenza degli uomini fra loro.

La nostra Istituzione è principalmente una scuola dove si studia una sola materia: l’uomo. La religione, la filosofia la politica sono alcuni dei mezzi escogitati dall ‘uomo per aiutare se stesso a comprendere o, almeno, a sopportare i suoi simili. La Massoneria è il compendio, la sintesi, la ragione di tutti questi mezzi.

Infatti i concetti di stato, di religione, di fede politica, riescono a collegare una parte di individui, ma, nel tempo stesso, creano nuove divisioni e nuovi motivi di disaccordo. La nostra Istituzione, pur partendo dall’evidente presupposto che esistono cristiani e maomettani, europei e asiatici, bianchi e neri, cerca di superare queste differenze per creare una piattaforma comune a tutta l’umanità; prende quindi Ic mosse laddove le altre ideologie, gli altri dispositivi per l’aggregazione degli uomini si arrestano, tende a superare queste divergenze c ad appianare gli ostacoli che si frappongono ad una pacifica e fraterna convivenza.

Questo è il fine della Massoneria ed è quindi evidente che il lavoro muratorio sarà rivolto alla ricerca del mezzo o dei mezzi più idonei per raggiungere questo fine.

Il grembiule serve, perciò, a ricordarci costantemente questo compito che, con le parole del Fratello Lessing, può essere espresso in quella che ci pare una completa definizione del lavoro massonico: “rendere inutili la maggior parte di quelle che comunemente si chiamano buone azioni

G. Bltt,

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RELIGIOSITA’ ED ALIMENTAZIONE

Religiosità ed alimentazione

(parte I A – Ebraismo e Cattolicesimo)

Tra quelli che si usa definire i bisogni primari dell’uomo, l’alimentazione è certamente al primo posto.

Se non si mangia si muore!

Ma sc l’alimentazione effettivamente risponde ad un’esigenza fisiologica basilare, a ben vedere, trascende questa caratteristica per imporsi, anche e soprattutto, come fenomeno sociale e culturale.

Le abitudini gastronomiche, i tabù verso certi alimenti, i rituali spesso complicati che accompagnano le consumazioni del cibo, espressi da gruppi ben definiti di persone, non hanno nulla a che fare con le esigenze organiche di sopravvivenza, ma sono assurte ad elementi caratterizzanti di ben definite differenti società.

Il modello dietetico di ciascun popolo è dettato dall’appartenenza di questo popolo ad una determinata arca geografica, ma ancor più ad una precisa arca culturale.

Ad esempio, l’ordine dei piatti nei nostri pasti, con una partenza da cibi salati ed un finale riservato al gusto dolce, frutta o pasticceria, non è altro che la rappresentazione gustativa e reiterata di una storia a lieto fine.

Così, sempre trascurando il fattore fisiologico del nutrirsi, la cena con gli amici, la colazione d’affari o il pranzo commemorativo, sono momenti aggregativi di persone o di gruppi socialmente uniti da interessi comuni.

Nelle comunità del Nord America, come nei kibbutz israeliani o nelle mense aziendali (per citare casi disparati c molto lontani fra loro) il pasto viene consumato in comune.

Quando un elemento della comunità comincia ad isolarsi ed a consumare i pasti da solo, vuol dire che la sua vita comunitaria sta finendo, si sta allontanando dalla sfera degli interessi del gruppo ed è quindi ormai pronto ad andarsene.

Uno dei fattori che maggiormente ha contribuito a differenziare culturalmente e spiritualmente i popoli, attraverso un rigido dettato alimentare, è stata certamente la religione.

Quale più, quale meno, ogni tipo di religione ha cercato di aggregare attorno a sé i propri adepti, differenziandoli dai seguaci delle altre religioni, oltre che attraverso teorie e pratiche spirituali e dottrine teologiche originali, anche attraverso rigide regole dietetiche e tabù alimentari, più facilmente comprensibili da parte di masse non sufficientemente istruite per assimilare difficili concetti filosofico-teologici.

Per averne una conferma cerchiamo di scoprire la connessione dottrina-alimentazione, nei modi in cui si estrinseca nelle più diffuse religioni del mondo.

L’antico concetto biblico di differenziazione e separazione degli ebrei da qualsiasi altra società si poggia interamente su due pilastri, rappresentati dalla santità e dalla purezza.

L’ordine naturale, cosi come è configurato nella Bibbia, è composto da tre elementi e ad ognuno di essi si adatta ogni forma di animale: nel ciclo volano gli uccelli, che hanno due zampe e le ali; sulla terra corrono e saltano gli animali, che hanno quattro zampe; nel mare nuotano i pesci, caratterizzati dalle squame e dalle pinne.

Questi animali sono santi e puri, quindi possono essere mangiati con la massima tranquillità, sia per il corpo che pcr l’anima.

Ma vi sono animali che sono estranei a questo ordine: l’anguilla, ad esempio, sta nell ‘acqua, ma non ha le pinne, così come non hanno squame e pinne i crostacei.

Serpenti, lombrichi e tutti gli animali che strisciano e vivono sulla terra, ma sono sprovvisti delle quattro zampe prescritte dall ‘ordine biblico.

Ogni tipo di animale, che non è equipaggiato per il giusto tipo di movimento assegnatogli per l’ambiente in cui vive, non è santo e puro ed il mangiarlo porta anche I ‘uomo a perdere la sua santità e purezza.

Chi magia questi animali fuori posto è come una bestia a quattro zampe che voli.

Ecco, quindi, che l’alimentazione, così strettamente regolamentata, diviene per gli ebrei un preciso fattore di unione, che li rende uguali fra loro e differenti da ogni agglomerato sociale. Col passare del tempo e con l’evolversi dei modi di vita, queste regole alimentari si sono adattate alle nuove condizioni, addolcendosi e perdendo per via alcune delle indicazioni più drastiche.

Assistiamo, quindi, al formarsi di due nuove aggregazioni all’interno dello stesso gruppo: gli ortodossi, uniti nella stretta osservanza e nella rigida applicazione delle antiche regole, ed i progressisti che, pur percependo parte dei dettami che li differenziano dagli altri gruppi religiosi, si trovano meglio inseriti in un ordine nuovo, più adatto agli stili di vita attuali.

Quanto il cibo è importante, regolamentato e discusso nel Vecchio Testamento, tanto è di scarso interesse e di poca rilevanza nel Nuovo Testamento.

A dire il vero, nei primi anni del Cristianesimo, si ebbero infinite discussioni sulle possibili regole alimentari da far seguire ai credenti, ma le continue ed insanabili controversie fra il ramo giudaizzante della Chiesa, più vicino al Vecchio Testamento, e quello ellenizzante, più pragmatico e innovatore, misero i teologi in una situazione di stallo che si risolse solo con il concilio di Gerusalemme, che si limita a mettere un tabù alimentare solo sulla carne delle bestie strangolata e di quelle impiegate per fare sacrifici.

Un nulla di fatto, quindi.

D’altro conto il concetto di impurità di alcuni animali, rispetto ad altri, propugnato dalla legge ebraica, non poteva essere recepito nel credo cristiano per il quale, essendo tutti gli esseri viventi frutto della creazione divina, non poteva esistere in natura nulla di imperfetto.

Fu l’apostolo Paolo a sancire definitivamente questo concetto, sostenendo che nulla è impuro per proprio conto.

L’usanza, più che la regola, di non mangiare come il venerdì è piuttosto recente ed è stata poi abbandonata; in essa vi si poteva vedere il ricordo simbolizzato dei lunghi digiuni di un lontano passato.

Il Cristianesimo non ha stabilito, dunque, regole di comportamento nei confronti dell’alimentazione, ma ha anch’csso impiegato l’ideologia del cibo per rendere accessibile a tutti la comprensione del proprio dettato.

Momenti di grande religiosità si trovano nell’Ultima Cena, preludio alle grandi sofferenze che il Cristo sta per affrontare per la redenzione degli uomini, ma l’apice della simbolizzazione cristiana avviene là dove i più semplici ed universalmente noti elementi della tavola – il pane ed il vino -, nel rito dell’Eucarcstia, divengono divinità che può essere assunta da ogni credente

C. A.

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ELOGIO ALL’AMORE

Elogio dell’amore

La più perfetta esperienza che ci fa definitivamente vivere l’unità totale con I ‘altro non è la devozione, è un ‘esperienza più intima e insieme più irresistibile: l’amore.

L’amicizia e la benevolenza riescono a eliminare dall ‘animo umano quella diffidenza sistematica di cui l’individuo suol farsi una corazza, quasi a difesa della propria intimità.

La devozione, poi, ci fa compiere un altro passo innanzi: ci fa scoprire che I ‘unità spirituale con il maestro non costituisce, per il discepolo, un uscir fuori di sé.

L’esperienza dell’amore compie questo ciclo mostrandoci che è possibile realizzare un’unità di vita, completa e perfetta, con l’altro di sé senza che ciò abbia minimamente a ferire l’intimità dell’individuo che si dà all ‘altro.

Affinché venga realizzata l’unità completa di due individui è necessario che si stabilisca fra essi una confidenza totale; e questo esige due condizioni:

l) una profonda simpatia dell’uno verso l’altro, simpatia per lui, nel suo essere concreto, non comunque idealizzato; per lui, con i suoi slanci, le sue capacità, le sue debolezze, i suoi dubbi, le sue paure, le sue piccole ingenuità.

2) un ‘assoluta sincerità, costante, senza eccezioni; sincerità che li porti a

comunicarsi l’un l’altro ogni loro esperienza, ogni sentimento, ogni desiderio, ogni pensiero.

Perché questa comunicazione totale, senza segreti, non ferisce l’intimità dell ‘individuo che ama? Perché la comunicazione con l’amante non è la comunicazione con un individuo qualsiasi; la fiducia più completa dell ‘uno nell’altro li garantisce che, quanto essi si rivelano a vicenda, resterà un segreto per gli estranei.

Essi ne parleranno soltanto fra loro; ne discuteranno come l’individuo suol discutere fra sé e sé intorno a ciò che gli sta più a cuore, ma con il vantaggio di circondare questo loro discorso con un velo di tenerezza, di affettuosa indulgenza che l’individuo non può trovare in sé.

L’intimità non è ferita, perché l’amato non è più un altro per l’amante; è lui stesso in quanto vive le medesime gioie, i medesimi desideri, i medesimi dolori, ma è più di lui in quanto è sempre qualcosa di nuovo per lui; è un essere che si è aperto completamente per lui e che tuttavia, come un essere vivo e concreto, riserva sempre al suo sguardo appassionato qualcosa di non ancora visto, di non ancora approfondito a sufficienza.

È chiaro che noi parliamo qui dell’amore ricambiato. L’altro, quello non corrisposto, si riduce ad un’aspirazione, ad un desiderio; è qualcosa di incompleto, è un ‘ esperienza mancata.

Forse, da un punto di vista psicologico, può risultare più interessante; per questo i poeti si soffermano preferibilmente su di esso. Però, dal punto di vista filosofico, l’esperienza davvero essenziale è l’amore ricambiato, è quella serie illuminata di atti amorosi, per cui due individui riescono a vivere una sola vita, sentire e vibrare all ‘unisono, creare un ‘unità più alta che li supera senza distruggerli.

Non è nemmeno il caso di ricordare, tanto risulta evidente, che l’essere anonimo, l ‘automa, il non individuo non può né amare, né essere amato.

L’amore è un rapporto caratteristico fra persone, è impossibile negare la realtà dell ‘individuo senza negare insieme la realtà dell’esperienza amorosa.

L’inizio della vita individuale è l’opposizione fra il proprio io e quello altrui; la conclusione di essa è l’atto dell ‘amore che elimina fra due individui tale opposizione.

I due amanti erano, prima di amarsi, due individui diversi, erano due esseri cresciuti ciascuno con le proprie esperienze, le proprie lotte, le proprie vittorie o sconfitte.

Ora si sono dati l’uno all ‘altro, hanno provato la gioia sublime di rivelarsi, gioia tanto più viva quanto più di suo ciascuno di essi aveva (di intimo a lui, di non conosciuto agli altri). Due esseri meccanici, due automi, non nascondono alcun segreto, non posseggono nulla e perciò non possono darsi, non sono in grado di amare.

Due essere spirituali che non fossero realmente altri ( che già ab initio fossero un unico essere) non avrebbero nulla di verarnente intimo da rivelarsi, non avrebbero da lottare per vincere i propri limiti, non avrebbero bisogno di trasformarsi a fondo per realizzare fra loro un’unità superiore, anche se l’esperienza amorosa potrebbe essere soltanto un’esperienza illusoria, non realtà.

Ma se fra gli uomini – fra alcuni di essi – l’esperienza amorosa è davvero un’esperienza non illusoria, ciò dimostra a chi ricerca che gli individui umani sono individui reali, particolarizzazioni contingenti di un unico essere sopraindividuale.

La realtà dell ‘amore dimostra che l’unità di due individui è una conquista, difficile c non concessa a tutti, è il punto di arrivo non un punto di partenza.

Tale unità superiore non abbraccia, su questa terra, più di due individui, questo è un fatto che non ammette dimostrazioni dialettiche, ma è semplicemente dato come gli altri fatti del nostro mondo.

Di principio, però, nessun ostacolo teorico impedisce che l’amore si estenda sì da comprendere in sé l’universalità degli uomini.

Il filosofo non può intercalarsi tuttavia di questa nuova unità, se non come un desiderio (desiderio che si esprime, per esempio, nella tradizione cristiana, con I ‘amore fra i beati nella contemplazione di Dio).

Per quanto l’amore terreno sia limitato a due individui, per quanto generi fra loro un ‘intimità che non comunica i propri segreti agli altri, esso però non è in alcun modo fonte di egoismo rispetto a quegli altri. Al contrario, creando nell’individuo una natura sopraindividuale, lo dispone alla comprensione, alla generosità, alla fiducia, alla benevolenza verso tutti.

Una volta apertosi con un altro individuo, una volta compreso quest’altro individuo in tutta la sua profonda e segreta realtà, l’essere umano impara, da un lato, il valore della comunicazione sincera, dall ‘altro, quanti segreti essa riveli, prima nemmeno sospettati, impara perciò il rispetto della personalità altrui e impara – attraverso questo fondamentale rispetto – a trattare più umanamente con tutti gli uomini.

Ma una cosa, sopra tutto, l’individuo impara nell ‘amore: impara ad essere sincero.

Talvolta, per desiderio di essere amato,  qualcuno può fingere di possedere ciò che di fatto non possiede (qualità morali, intellettuali, fisiche che desidererebbe avere, ma non ha); questa finzione lo costringe, però, a controllare continuamente sé stesso e, per il fatto che si controlla, non può abbandonarsi – per la contraddizione che nol consente –

non riesce quindi ad amare e ad essere amato, la parvenza d’amore che crea in se sarà per lui soltanto una fonte di disillusione, di disprezzo e di odio.

Per essere sincero bisogna rinunciare nel modo più assoluto a giocare una parte, bisogna parlare ed agire non in vista degli altri (in vista di ciò che gli altri potranno pensare di noi), ma per esprimere ciò che è veramente in noi.

Ora la società è talmente penetrata di finzioni che spesso l’uomo, educato da essa, non sa essere sincero nemmeno nei suoi pensieri.

Egli non osa pensare per sé; perfino quando discute nel suo animo intorno alle verità che più lo interessano, egli non osa seguire spontaneamente il corso dei propri ragionamenti; all’improvviso si ferma per chiedersi che diranno gli altri di questa mia ricerca? Non parrà loro ingenua? Non rideranno delle mie verità?

Perfino il ribelle riveste il proprio atto di ribellione di una forma artificiosa affinché esso si presenti agli altri nel modo più attraente, più simpatico e, talvolta, più spettacoloso.

Soltanto nell’amore e nella morte non si può fingere; chi nell’amore cerca di fingere può illudersi di amare, ma non ama.

Chi sta morendo non finge più perché ciò che diranno gli altri ormai non lo interessa; egli cessa di pensare per gli altri e riflette unicamente per sé.

L’amore c la morte hanno, dunque, davvero qualcosa in comune, come ritennero molti poeti. Hanno in comune quello stato d’animo d’ebbrezza per cui l’individuo rinuncia totalmente a voler apparire ciò che non è, per cui comprende l’inutilità di persistere nella finzione, la vanità di ogni giudizio che non sia fondato sulla pura realtà.

Il vero amore cerca l’amore effettivo, non la finzione dell’amore, poiché questa non può accontentarlo. Egli deve, quindi, per necessità logica dell ‘amore, essere sincero di fronte all’amato, come è sincero di fronte a sé stesso chi sta per morire.

In questa sincerità completa l’uomo scopre sé medesimo così quale egli è: una realtà diversa da quella che gli altri pensano, inconfondibile con essi, innanzi tutto e sopra tutto individuale.

R. Grll,

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LE TRE LUCI

Le tre luci

Venerabile Maestro, Fratelli tutti di ogni dignità e grado,

le Luci di una Loggia sono tre. Il Maestro Venerabile, che ha per gioiello una squadra e siede all’Oriente; il’ Primo Sorvegliante, che ha per gioiello una livella e siede nella colonna del Settentrione; il Secondo Sorvegliante, che ha per gioiello un filo a piombo e siede nella colonna del Meridione.

Presso il Secondo Sorvegliante è posta la statua di Venere, dea della bellezza, dell’amore, della fecondità; dea della generazione. Di qui nasce il motivo del perché al Secondo Sorvegliante spetta la conduzione primaria dell’iniziazione di un profano. Si può affermare che Venere è il simbolo dell ‘iniziato, del nuovo nato alla Luce Massonica e pertanto il Secondo Sorvegliante è il Sorvegliante dell’Apprendista.

Presso il Primo Sorvegliante è posta la statua di Ercole, protettore del suolo e del bestiame, dio dell’abbondanza e della lealtà di parola. Infatti i Fratelli debbono rafforzare se stessi in tutte le loro qualità, debbono avvicinarsi alla Luce Massonica con modestia e semplicità. Al Primo Sorvegliante spetta il controllo dei Fratelli Compagni e la sua luce deve prepararli al maggior chiarore: alla maestranza.

Presso il Maestro Venerabile è la statua di Minerva, dea della sapienza, protettrice delle arti pacifiche, luce di tutti i Fratelli in quanto sono queste le doti che un Fratello Maestro deve raggiungere per essere degno di tale grado.

Tre luci che raffigurano un numero chiave della Massoneria, infatti tre sono gli anni dell’Apprendista, base dell ‘edificio massonico; tre fondamenti dell’universo stesso; tre graficamente rappresentato dal triangolo.

Permettetemi di osservare questo numero Tre pitagoricamente scomposto nell’uno o nel due, cercando di comprendere il significato filosofico del numero Due ed i suoi rapporti con l’unità e, mentre procederò a questo esame, valutate le Luci della Loggia.

Il due, che è simboleggiato dalle colonne, esprime quel principio fondamentale dell’universo sensibile che è chiamato principio di dualità o degli opposti. Luce ed ombra, passato e futuro, destro e sinistro, alto e basso, bianco e nero, positivo e negativo, essere e non essere, ecc.. Possiamo affermare che gli opposti sono inseparabili perché sono il duplice aspetto di un’unica realtà; realtà che non potremmo percepire se non si manifestasse mediante questa dualità. Ma oltre che inseparabili gli opposti sono relativi, cioè ciascun attributo ha un significato di per sé, ma solo in rapporto all’altro. Un albero non è né alto né basso se non in confronto ad un altro oggetto. Un bambino è piccolo rispetto ad un adulto, ma è grande rispetto ad un coniglio. Sembrano opposizioni banali, ma non lo sono più se le applichiamo a tutte le coppie di attributi o qualità opposte, non solo alla proprietà degli oggetti che cadono sotto i sensi, ma anche ai valori morali ed ai fenomeni sociali.

Bello e brutto, buono e cattivo, sono anch’essi coppie di opposti, espressioni del principio universale di dualità, e quindi inseparabili e relativi. Un’infinità di discussioni inutili e di gravissimi errori sociali derivano dalla credenza  che gli aggettivi buono e bello possano avere un valore assoluto, indipendente dal riferimento o paragone con il

cattivo ed il brutto. Pretendere che gli uomini siano tutti buoni e che la vita sia tutta bella e piacevole, è come desiderare che tutti gli oggetti siano egualmente illuminati da tutte le parti.

Questa può sembrare un’affermazione paradossale, ma è proprio uno degli insegnamenti che ci dà il triangolo. Ad ogni vertice sta opposto un lato: non possiamo sopprimere i lati e ritenere i soli vertici o viceversa. Un punto isolato non è più un vertice: esso è tale quando è messo in relazione ed opposizione ad un segmento che ne rappresenti il lato opposto.

D’altra parte il triangolo è il simbolo del Grande Architetto, vale a dire che è il fondamento dell’universo, che esprime una legge, o principio che dir si voglia, che si applica a tutto ciò che nell’universo si manifesta. Per affermare l’universalità di questo simbolo basterà considerare il fatto che esso si ritrova in tutti i capisaldi del rituale. Osserviamo che in questo il Maestro Venerabile non si rivolge mai direttamente ai Fratelli, ma sempre per il tramite dei due Sorveglianti. Ciò simboleggia appunto il fatto che l’uno si manifesta solo attraverso la dualità e questa è, per la sua stessa natura, una dualità di opposti.

Per meglio chiarire pensiamo al triangolo. Esso è formato da tre punti: due di essi rappresentano una coppia di opposti, il terzo la loro sintesi.

Ora osserviamo il sacro Delta che splende all’Oriente: i due estremi della base rappresentano, abbiamo detto, la coppia degli opposti; il segmento che li unisce ci dice la loro inseparabilità; i due lati del triangolo che uscendo dagli estremi della base convergono al vertice ci mostrano che i due opposti derivano dall’Uno (se li consideriamo in senso discendente) c ncll ‘Uno si risolvono (se li consideriamo in senso ascendente).

E questa, secondo una opinione, l’inseparabilità delle Tre Luci di Loggia le quali attraverso i suoi lati (Colonne) debbono diffondere continuamente bellezza, forza e saggezza. Bellezza per il significato d’amore che si deve dare agli iniziati attraverso l’istruzione e la guida del Secondo Sorvegliante; Forza per il significato di lealtà che si deve creare nei Fratelli sotto gli insegnamenti del Primo Sorvegliante; Saggezza per il significato della tolleranza, primaria arte della pace e della comprensione, che, nel suo vertice, il Maestro Venerabile può dare a tutti i Fratelli nella completezza della dualità.

G. Bltt,

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IN MEMORIA DEL FRATELLO AUGUSTO

In memoria del Fratello Augusto

Carissimi Fratelli,

il nostro Rituale dice che ci riuniamo “per edificare Templi alla Virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene e al progresso dell ‘Umanità ‘

Orbene, i nostri normali lavori in Tempio sono soprattutto, o dovrebbero essere, lo scavo (delle prigioni al vizio, quando si lavora in Primo Grado) e l’elevazione (di templi alla Virtù, con i lavori in Terzo Grado). Ma lavorare per il bene e il progresso dell ‘Umanità, quando lo facciamo?

E sempre stata mia convinzione che tale lavoro consistesse nell’esempio che ciascuno di noi porta all’esterno sì da far pensare coloro che vivono accanto a noi, ma tale esempio non necessariamente deriva da un iniziato, perché esso può benissimo giungere anche da un profano di buoni costumi.

E allora? Allora noi dobbiamo avere in più la visione esoterica delle cose, del mondo e della vita stessa. Il mondo, beh, è quello che è e va come va, e noi possiamo solo, caricandoci come molle nei nostri lavori rituali, migliorarlo un pochettino quando, fuori dei nostri Tcmpli, scarichiamo le energie ivi accumulate; la vita, invece, nei suoi molteplici aspetti comprende anche la morte o, per dirla con il nostro linguaggio, il passaggio all ‘Oriente Eterno.

Un iniziato non teme c non ama particolarmente né la vita, né la morte, poiché sa che la vita va vissuta come un evento del ciclo, conscio di essere un aspetto, una faccia, di quel diamante dalle infinite sfaccettature che è quell’Ente che noi definiamo Grande Architetto dell ‘Universo, e la morte non è che un ‘altra faccia dello stesso diamante.

Ciascuno di noi, insomma, concorre alla costruzione del Tempio che l ‘ Umanità deve costruire per poter effettivamente crescere spiritualmente, e ciascuno di noi deve impegnarsi al massimo perché occorre lavorare dapprima su noi stessi e poi, ma solo in un secondo momento, alla costruzione più generale. E qui dobbiamo lavorare per noi e, in un certo senso, anche per tutti coloro che, non sentendone la necessità, non collaborano.

In questa Loggia la Catena che ci unisce è sembrata per un attimo interrotta l’altro giorno quando un ‘inesorabile malattia ha vinto la forte tempra di un uomo giusto che per tanti anni ha lavorato con noi, per il suo e per il nostro perfezionamento: il Fratello Maestro Augusto CMSS, già Maestro Venerabile di questa Officina. Tuttavia egli continua, in spirito, ad essere presente qui con noi per cui dobbiamo ritenere non interrotta la nostra Catena, ma tuttora unita e salda.

La sua professione era insegnare, qui tra le Colonne come Maestro Massone, nel mondo profano come professore insegnando ed educando dei giovani che si preparano ad affrontare la vita. Noi che lo conosciamo bene sappiamo con quanto amore egli esercitasse questo suo ruolo, con quale e quanto impegno egli ci si dedicasse, dirci ben oltre il dovuto.

Coerentemente con questi suoi intendimenti, quindi, intendo onorarlo con un atto concreto che a me pare indirizzato per il bene dell ‘Umanità:

Prendendo lo spunto dalla rivista Hiram no I l e 12 del 1988, intendo devolvere il Tronco della Vedova, e quanto raccoglieremo in seguito, all’iniziativa Manana, e più specificatamente al Villaggio Mi Perù.

Si tratta dell ‘impegno assunto in prima persona dalla Massoneria Peruviana di allestire un villaggio intero per 25.000 persone, educarle ed istruirle!

Come appare evidente è un impegno molto oneroso, sotto tutti i punti; innanzi tutto le dimensioni: 25.000 persone sono molte, moltissime; poi per il grado di grande sottosviluppo in cui ci si appresta ad operare, ove mancano molte delle infrastrutture che qui noi siamo abituati a considerare normali, cd infine perché instillare nei giovanissimi (ai quali il nostro contributo intende specificatamente andare) l’idea di studiare oggi per poi avere un qualche cosa in più domani è impresa ardua. Insegnare a lavorare, con il rispetto di certe norme di elementare comportamento e di rispetto, non è cosi facile come superficialmente può apparire, ma sono certo che voi» carissimi Fratelli, già avete intuito la bellezza di questa iniziativa e ciascuno di noi l’ha già fatta sua. Vorrei chiudere con una poesia del Fratello Elio Pronzini:

TENUTA FUNEBRE

Non pianger Sorella!

Chi ieri

Fratello era nostro e tua guida

ln noi uve così come allora viveva.

Domani non più in questo Tempio

saremo a tessere amore al rimpianto.

Ricorda

che devi morir

 ma pure che il sole fiammante di luce

 ci chiama al lavoro.

Ricorda che vivere devi!

A. Bgg,

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SIMBOLOGIA DEL 2° GRADO

Simbologia del 20 grado

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

la Libera Muratoria ha per meta la fratellanza universale e quindi indirizza l’attività dei Fratelli verso la pratica della bontà e della virtù allo scopo di fare di ognuno di essi un uomo saggio e colto. Perciò essa pretende da lui soltanto la fede nell ‘esistenza del GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO, ma non intesa dogmaticamente.

Al materialista che dubita dell ‘esistenza di un Supremo Creatore o Coordinatore, le porte del Tempio non saranno precluse, ma certo difficile, se non impossibile, sarebbe per lui il procedere nell’ascesa spirituale. Si vuole cioè giungere alla fede per la strada della meditazione, della ragione, pur consapevoli che la mente umana, in materia sovrannaturale, non potrà mai pervcnire, con ogni probabilità, a conoscenza certa.

La Muratoria svolge tale suo proprio istituzionale  compito spirituale cercando di aprire ai propri adepti questa via elevata con insegnamenti nelle Logge, con l’esempio dei Maestri e con la pratica indefettibile del bene operare, della solidarietà e della riflessione. Questo insegnamento si esplica, immediatamente dopo l’iniziazione, nel corso dei tre Gradi.

E qui, al neofita, trovandosi di fronte ad un compito arduo, necessariamente si impongono doveri la cui osservanza si pone quale presupposto indispensabile  per poter proseguire sul cammino iniziatico intrapreso. Appena entrato, e quindi nel periodo di permanenza nel primo grado, quando lavorando ne lla colonna che gli è destinata, deve solo pensare a studiare c conoscere se stesso; compiere quindi un lavoro eminentemente riflessivo allo scopo di notare e confessare a se stesso, con severo realismo e senza reticenze, i vizi che lo disturbano nell ‘impegnativo cammino intrapreso.

Il segno dell’Apprendista sta appunto ad indicare il distacco fra la mente ed il corpo che consente alla prima di dedicarsi, nella serena atmosfera del Tempio, a questo compito introspettivo. Senza questo distacco totale egli non potrà avere la piena conoscenza e la volontà di non indulgere, di non scendere a compromessi. Conseguentemente, senza questa volontà, non potrà mai divenire un buon Muratore.

Ne deriva che il dovere dell’Apprendista è quello di applicarsi a questo lavoro interiore con tenace volontà e quindi con forza. Non è a caso, pertanto, che per il primo grado sia stata attribuita una parola sacra tratta dal Vecchio Testamento il cui significato suona colla forza, in forza, quella forza che appunto deve avere l’Apprendista nello scalpellare se stesso, simbolicamente paragonato alla pietra grezza. Quella forza necessaria all’Apprendista per provvedere alla sua formazione interiore liberandosi dalle scorie profane. Egli deve, in altre parole, porsi in condizione di formarsi una nuova

conoscenza che senta il bisogno di estrinsecarsi attraverso il male e che, aggiungerei, consenta di sentirsi libero da servitù, intolleranza, ipocrisia.

Il dovere dell’Apprendista si può così compendiare nel dovere di rieducarsi. E egualmente partendo dalla parola sacra attribuita al secondo grado che si può passare a considerare i doveri in senso etico del Compagno d’Arte.

Si legge che la parola significa stabilità, fermezza, perseveranza e, talvolta, passività. Stabilità, fermezza e perseveranza che, si intende, deve avere il Compagno nell ‘intraprendere, o meglio, nel proseguire il cammino nella via della perfezione.

Come detto la parola significa anche passività. E in tale accezione il termine, secondo la Dottrina Massonica, sta ad indicare quella condizione interiore, di particolare rinuncia, cui deve pervenire il Compagno per raggiungere il massimo grado di perfezione morale ed intellettuale, per rinnovarsi compiutamente e passare, attraverso l’iniziazione, ad un’altra vita; perché possa realizzarsi in lui la catarsi, la vera e propria palingenesi. La reale rinascita dcl Muratore alla nuova vita, che ha per meta la fratellanza universale, postula il possesso di superiori qualità morali, ossia di quelle qualità che gli consentono in ogni circostanza di indirizzare la propria ed altrui attività verso la pratica costante e proficua della bontà e della virtù.

ln questo grado il Libero Muratore deve dunque cominciare a svolgere quel compito concreto, proprio della Massoneria, mantenere la sua mente sulla via della costruzione di un Tempio che raccolga il vero, il bello ed il giusto. Perciò, avendo a disposizione i nuovi strumenti di cui è stato simbolicamente dotato e l’aiuto fraterno dei Fratelli Maestri, dovrà essere costantemente impegnato nel lavoro tenace di trasformare la pietra, che ha dimostrato di aver saputo dirozzare nel primo grado, in pietra cubica e confermare quindi la capacità del proprio apporto concreto alla erezione del Tempio.

Egli ha, in conclusione, il dovere di raffinare la propria perfezione intellettuale c morale. Solo con l’osservanza di questo specifico dovere egli potrà sentirsi pronto ad essere ricevuto nel grado superiore: divenire Maestro.

G. Bitt,

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L’APPRENDISTA FRA I SIMBOLI

L’apprendista fra i simboli

Maestro Venerabile, Fratelli Carissimi,

dalla prefazione di un testo di Zimmer, scritta dallo stesso autore, ho intuito un messaggio interessante per la strada iniziatica, tanto chc ho voluto “tradurlo sostituendo nel testo originale parole e frasi e trasformarlo così in una tavola per apprendisti.

L’apprendista fra i simboli

La maggior parte del retaggio di conoscenza ci è giunto da epoche remote e da lontani, sconosciuti, angoli del mondo attraverso la lettura di simboli disseminati sulla strada dell ‘uomo dai Maestri che ci hanno preceduti.

Ogni iniziato vi aggiunge qualcosa della sostanza, delle proprie intuizioni, ed i semi dei simboli cosi nutriti riprendono a vivere ed a produrre nuova conoscenza.

La facoltà di germinare dei simboli è perenne, attende solo di essere stimolata dalla nostra ricerca. La progressiva conoscenza proietta un raggio indagatore sulle immagini simboliche portando alla luce fondamentali elementi strutturali che prima erano immersi nelle tenebre.

L’unica difficoltà di lettura del messaggio sta nel fatto che l’interpretazione delle forme scoperte non può essere mai ridotta ad un sistema sicuro; perché nei veri simboli vi è qualcosa che non si può circoscrivere, essi sono inesauribili nel loro potere di evocare e di istruire,

  1. contenuti scopribili delle immagini simboliche, ampiamente disseminate nel Tempio, continuano a subire, davanti ai nostri occhi, mutazioni incessanti ed i significati devono essere costantemente riletti c ricompresi per evitare interpretazioni aride risultanti da un lavoro di metodo.

Se si abbandona l’atteggiamento di ricerca nei confronti dei simboli c si diventa certi della loro corretta interpretazione ci si priverà del contatto vivificante, dell ‘assalto stimolante e ispiratore che è effetto della virtù intrinseca del simbolo. Perdendo l’umiltà e la disponibilità dovuta a ciò che deve essere oggetto di continua ricerca, l’Apprendista rischierà di rifiutare l’interpretazione di ciò che non verrà mai detto a chiare lettere né a lui né a nessun altro,

Il tentativo di classificare il contenuto dcl messaggio simbolico in categorie e capitoli già noti impedirebbe l’emergere di qualsiasi nuovo significato e rallenterebbe il cammino sulla strada iniziatica fatta di ricerca e di conoscenza.

  1. potere “fertilizzante ” del simbolo si attiva proprio mediante l’interpretazione dell’innocenza e dell’umiltà interiore e la ricerca esteriore, evitando di ridurre ciò che non ci è famigliare in cose note attraverso uno sterilizzante dogmatismo avviluppato nell’autocompiacimento mentale.

Solo un atteggiamento “umilmente ” ricettivo e la disponibilità a lasciarsi momentaneamente sbilanciare da una nuova concezione rivelatrice rimbalzata dall ‘urto con i simboli, consente di conversare con l’intimo, con l ‘ Essere Supremo che è in noi ed essere fecondati, come la terra d’Egitto dalle acque del Nilo, dalla conoscenza delle immagini dei simboli che resistono, perché vive, rinnovate, imprevedibili eppure coerenti, a tutti i tentativi di sistematizzazione.

Se l’intelligenza indagatrice rifiuta di accettare la possibilità di imparare qualcosa dall ‘aspetto vivente dell ‘oggetto sottoposto alla sua attenzione, l’approccio mentale all ‘enigma del simbolo, il progetto di sottrargli il sc

Egreto della sua profondità non può che fallire.

I simboli sono gli estremi oracoli della vita. Devono essere interrogati e consultati daccapo ad ogni epoca ed in ogni Tempio, ed in ogni epoca e Tempio saranno avvicinati dagli iniziati con il loro tipo di ignoranza e di incomprensione, diverse da quelle delle epoche e degli iniziati precedenti.

Le trame della vita, iniziatica e profana, che noi, nel nostro tempo, dobbiamo tessere non sono quelle di nessun ‘altra epoca; i fili da intrecciare ed i nodi da sciogliere sono sempre diversi da quelli del passato e le risposte già date                                                           ci possono servire solo se interpretate e adattate al percorso della nostra vita.

I simboli devono essere riconsultati direttamente, I ‘Apprendista ha il compito di apprendere, oltre quel che si dice abbiano già detto, il modo di avvicinarsi a loro, il modo di evocare da loro nuove parole e poi capirle. L’apprendere deve liberare l’intuizione creativa, permettendole di vivificarsi al contatto dell’affascinante scrittura delle figure simboliche.

La conoscenza che si acquisisce nel rileggere i simboli permette di misurare fino a che punto la vita, a contatto con loro, abbia condotto lo spirito verso la ricerca costante e produttiva.

E solo alimentando qucsta ricerca l’ Apprendista sarà sempre pronto a ricominciare daccapo e sarà in lui che i semi prodigiosi dei simboli metteranno radici e cresceranno meravigliosamente.

G. Frsn

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NUOVI RITUALI

Nuovi Rituali

Osservazioni sulla proposta di adozione di nuovi rituali rimessa in occasione della Gran Loggia del Marzo 1988.

Fratelli carissimi,

nel rimettervi le nostre osservazioni riguardanti la bozza dei rituali rimessaci nella persona del Venerabile nell’ultima Gran Loggia del marzo ’88, non possiamo esimerci dal felicitarci per aver viste attuate buona parte delle nostre precedenti proposte .

Ciò che vogliamo però evidenziare con questa nostra sono quelle tre o quattro cose che ancora necessitano di essere giustapposte, affinché si possa parlare, a buon diritto, di un rituale consequenzialmente logico in ogni sua parte e conforme in tutto e per tutto alle antiche regole.

Come nostra consuetudine  corrediamo le osservazioni che seguono con motivazioni basate su testi tradizionali massonici a nostre mani, riservandoci di ampliarle là dove i limiti che abbiamo voluto imporci nello scolpire la presente rendessero indispensabile farlo in un prossimo prosieguo.

SOLE, LUNA, ORATORE, SEGRETARIO

Nella rivista massonica inglese Speculative Mason (dove – fino agli anni cinquanta – illustri autori massonici si pregiavano rispondere ai lettori interessati al simbolismo muratorio, confortando le proprie risposte con brani tratti da antichi documenti massonici) troviamo quanto segue:

Studioso – Le Colonne di Henoc sono in relazione con le Colonne del Portico? Nella mia Loggia nessuno sembra sapere nulla sulle Colonne di Henoc.

Risposta – Si dice che le Colonne di Henoc … furono da lui costruite impiegando due differenti materiali, l’uno resistente all ‘acqua e l’altro al fuoco; su ciascuna era inciso l’essenziale di tutte le scienze. Esse furono erette rispettivamente in Siria ed in Etiopia, e si dice che quella che aveva resistito alle acque del Diluvio esista tuttora in Siria. La Siria, infatti, viene qui da noi messa in rapporto con il Nord e con l’acqua, l’Etiopia con il Sud e con il fuoco; il che giustifica pienamente la relazione esistente fra le Colonne di Henoc e quelle del Portico. Del resto, dovunque si trovino le due colonne, esse hanno sempre in comune un

3 Ci riferiamo qui all’attribuzione della Forza al 1 0 Sorvegliante ed alla Bellezza al 2 0, al fatto che durante il rito dell’apertura dei Lavori – il Copritorc interno rende conto della debita copertura del Tempio direttamente al 2 0 Sorvegliante, avendone da lui direttamente ricevuto l’ordine di accertarsene, all’attribuzione della prova dell’Acqua al 20 Sorvegliante e di quella dell’Aria al 1 0 durante il rito di Iniziazione al 1 0 Grado, alla corretta circolazione della parola Sacra al termine dei Lavori (dal Maestro Venerabile al 1 0 Sorvegliante, tramite il 1 0 diacono, e dal 1 0 al 2 0 Sorvegliante, tramite il 20 Diacono), all’attribuzione della formula conclusiva Tutto è giusto e perfetto al 2 0 Sorvegliante, alla chiarezza ed alla logicità impiegate nella stesura dei cartelli destinati al passaggio al Grado di Compagno.

significato binario, che si tratti di quelle di Salomone, di Henoc, di Ercole, eccetera. V’è pure da notare che la Siria e l’Etiopia, nella tradizione cui ci riferiamo, non si identificano necessariamente con i paesi che portano attualmente questi due nomi, trattandosi di due denominazioni che hanno soprattutto un senso simbolico e nascosto; …

Considerando che nella tradizione ebraica (dal cui simbolismo sono tratte le Colonne del Portico) la destra è sempre il Sud c che il Volume della Sacra Legge riporta che Salomone davanti al Tempio eresse due Colonne … Collocò poi queste Colonne nel vestibolo del Tempio, l’una a destra e l’altra a sinistra: quella di destra la chiamò Jachin, quella di sinistra Boaz. ” (cfr. Il Cronache, 15-17), considerando queste cose dicevamo – resta inteso che, nel nostro caso specifico, la Colonna del Nord è quella contrassegnata con la lettera ebraica Beth (iniziale di Boaz) e quella del Sud è quella contrassegnata con la lettera ebraica Jod (iniziale di Jachin), cosa che, d’altra parte, è espressamente prevista anche dalle piante della Loggia da voi pubblicate nel fascicolo rimessoci.

Ora, dal momento che l’armonia di una Loggia si regge anche sulla coerenza del proprio simbolismo e sulla corretta corrispondenza dei simboli che vi si trovano collocati, occorre che, ad Oriente, alla Colonna J del Portico (che ricorda la Colonna di Henoc eretta per resistere al Fuoco) corrisponda e trovi la sua giusta collocazione, come il Sole, mentre alla Colonna B del Portico (che ricorda la Colonna di Henoc eretta per resistere all’Acqua) corrisponda e trovi la sua giusta collocazione, come astro, la Luna. Le corrispondenze fra tali astri e gli elementi citati sono troppo note perché ci si debba soffermare ulteriormente.

Altri documenti massonici a nostre mani ci confermano certezza che ad Oriente la Luna deve essere posta in corrispondenza della Colonna del Nord cd il Sole in corrispondenza della Colonna del Sud.

Uno fra i tanti, un rituale inglese estremamente ricco di particolari interessanti dove si legge, tra l’altro:

  • I Liberi Muratori come chiamano il Settentrione?
  • Il Luogo Oscuro.
  • Perciò gli Apprendisti che lavorano da quella parte della Loggia sono nell ‘oscurità?

-No certo, ma simbolicamente siedono dalla parte meno rischiarata della Loggia…

Se non fosse che, per consuetudine, preferiamo non dilungarci eccessivamente, potremmo confortare ulteriormente quanto sostenuto traendo spunto dalla simbologia numerica delle lettere che contraddistinguono le Colonne del Portico, ma, dal momento che preferiamo mantenerci nei limiti che abbiamo voluto assegnarci nello scolpire la presente, ci limiteremo a segnalarvi che al valore numerico della lettera J (iniziale di Jachin), che è IO, la tradizione pitagorica (così importante dal punto di vista massonico) fa corrispondere la circonferenza con il suo centro, che è il simbolo alchemico del Sole, di modo che, anche in questo caso, alla Colonna del Portico contraddistinta dalla lettera J corrisponde, ad Oriente, l’astro solare e null ‘altro.

Del fatto che i due Astri fossero correttamente collocati nei fascicoli precedenti (ove la Luna era stata collocata alla testa della Colonna del Nord ed il Sole alla testa della Colonna del Sud) ci eravamo rallegrati e non avevamo mancato di segnalarvelo. Tutto ciò che auspicavamo era che alla corretta collocazione dei due Astri seguisse la corretta collocazione dei due Dignitari corrispondenti, vale a dire che il Segretario (la cui funzione di memoria è tipicamente lunare) venisse fatto sedere alla Destra del Maestro Venerabile, in corrispondenza della Luna e che l’Oratore (la cui funzione legislatrice è tipicamente solare) venisse fatto sedere alla sinistra del Maestro Venerabile, in corrispondenza del Sole.

Ciò – aggiungevamo – ci avrebbe evitato anche di procedere alla forzatura di far sedere il neofita alla testa della Colonna dei Compagni per ascoltare le parole rivoltegli dal Fratello Oratore, immediatamente dopo l’avvenuta iniziazione, ed avevamo parlato di forzatura in quanto il posto dislocato alla testa della Colonna dei Compagni non compete minimamente all’Apprendista neo-iniziato.

Secondo la Massoneria inglese, infatti, il posto proprio dell ‘ Apprendista neo-iniziato è l’angolo di Nord-Est, tant’è vero che il rito dell’angolo di N.E. è uno dei punti fondamentali per fare validamente un Libero Muratore. Resta quindi ulteriorrnente ribadito il fatto che la collocazione dell’Oratore all’apice della Colonna del Sud è la conditio sine qua non per procedere validamente in tal modo.

Dal momento che non ci aspettavamo di certo che, anziché far seguire alla corretta collocazione dei due Astri la corretta collocazione dei due Dignitari corrispondenti, venisse rispolverata la vecchia ed errata collocazione dei due Astri ad Oriente, vi proponiamo, a fronte delle considerazioni su esposte, quanto da noi sostenuto nelle precedenti tavole rimessevi e cioè che – procedendo da Occidente verso Oriente – si incontri sul lato Nord del Tempio, la Colonna B, la Colonna degli Apprendisti, la Pietra Grezza, il Segretario e la Luna e, per converso, sul lato Sud, la Colonna J, la Colonna dei Compagni, la Pietra Squadrata, l’Oratore ed il Sole, che è – di fatto – quanto più adatto ad illustrare ciò che all’inizio della presente, abbiamo chiamato la coerenza e l’armonia del nostro simbolismo 4.

CIRCUMAMBULAZIONE

Abbiamo citato nelle nostre precedenti osservazioni che, fra i punti fondamentali per fare validamente un Libero Muratore, esiste un punto chiamato il rito dell’angolo di Nord-Est.

Questo angolo è considerato – tra le altre cose – l’angolo da cui inizia il cammino di un Libero Muratore ed, in effetti, il neofita traccia con i piedi l’angolo di N.E. stando in piedi e all’ordine con i piedi ad angolo, il piede sinistro rivolto verso Sud, il piede destro rivolto verso Ovest.

Dal momento che il cammino di un Libero Muratore ha da iniziare con il piede sinistro si ha colà la precisa indicazione circa il fatto che si circumambula dando il lato destro al centro del Tempio, ovvero che la circumambulazione ha da essere oraria.

4 Ove ciò venga fatto (cosa che – resta inteso – caldeggiamo vivamente) vi invitiamo anche a provvedere a chiare lettere che l’ Apprendista neo-iniziato venga fatto sedere al posto che, di fatto, gli compete, ovvero  alla testa della Colonna degli Apprendisti, in prossimità dell’angolo Nord-Est del Tempio.

Altri rituali portano indicazioni ancora più particolareggiate al riguardo. Ad esempio:

.. il Maestro Venerabile salirà sulla cattedra dal lato Nord ed alla fine scenderà dal lato Sud;

  • il Primo Sorvegliante salirà al seggio dal lato Sud e ne scenderà dal lato Nord;
  • il Secondo Sorvegliante salirà al seggio dal lato Est e ne scenderà dal lato dell ‘Ovest.

Questo perché tutti gli Ufficiali Principali debbono seguire il corso del Sole.

Al fine di corredare ulteriormente queste nostre osservazioni aggiungiamo, a questo riguardo, che è pur vero che i rituali della Massoneria Operativa parlano di circumambulazionc antioraria, ma è anche vero che i seggi dei tre Maestri che dirigevano i lavori occupavano una posizione diamentralmente opposta a quelli occupati dalle nostre tre Luci di Loggia, essendo posizionati in modo tale da permettere loro di contemplare il Sole e vederlo nei diversi punti della sua corsa.

Non possiamo tracciare qui la storia degli indispensabili adattamenti che la nostra organizzazione iniziatica ha dovuto adottare nel corso dei secoli per conservarsi tale, ma è un fatto che nell’adattamento che doveva vedere la Libera Muratoria trasformarsi da organizzazione iniziatica a carattere polare ad organizzazione iniziatica a carattere solare, ad una diversa dislocazione dei tre principali Dignitari di Loggia doveva seguire un modo diverso di circolare, non essendo conciliabili una circumambulazione antioraria (propria delle tradizioni polari) con una organizzazione iniziatica che, per le mutate condizioni cicliche, aveva dovuto assumere tutte le caratteristiche proprie ad una forma tradizionale solare.

LETTURA DELLA TAVOLA ARCHITETTONICA TRACCIATA DAL FRATELLO SEGRETARIO NELLA PRECEDENTE TORNATA

Fra le massime tradizionali più ricorrenti in cui capita di imbattersi nel corso della vita massonica esiste quella massima tradizionale che dice: “il processo iniziatico riproduce il processo cosmogonico “, con il che solitamente si intende che il processo iniziatico riproduce il processo di manifestazione del cosmo e che la divisa massonica “Ordo ab chao ” ha una sua ben precisa connotazione, tanto nell’ordine esteriore quanto nell’ordine interiore.

Se riferita al rito di apertura dei Lavori di Loggia, tale massima permette di comprendere come ogni atto che viene ivi posto in essere è finalizzato alla costruzione di un cosmo ordinato, regolare ed illuminato, atto a fungere da campo di manifestazione dei Lavori di Loggia.

Orbene, di tale processo l’esposizione o, meglio, la tracciatura del Quadro di Loggia al centro del Tempio rappresenta l’atto conclusivo, ovvero, la fissazione al centro del Tempio della sintesi dei principi che regolano e sostengono il lavoro massonico e rispetto ai quali il lavoro massonico è ordinato.

E per questo motivo che anche nelle precedenti tavole abbiamo sostenuto che la Tavola Architettonica tracciata nella precedente Tornata ha da essere letta dopo la tracciatura del Quadro di Loggia, dal momento che, ove il processo di costituzione del cosmo non sia giunto a compimento, non vediamo come si possa dar voce a chi – di fatto – trasmetterebbe qualcosa che non è più ad un qualcuno che non è ancora.

L’accenno fatto in una delle precedenti tavole rimessevi, alla voce di coloro che la tradizione indù chiama Pitri e che la tradizione cinese chiama Antenati, ci pare estremamente significativo al riguardo, così come ci paiono estremamente interessanti le relazioni che legano tali figure alla funzione del Segretario e alla sfera della Luna.

Per concludere, un paio di osservazioni che ci è parso indispensabile aggiungere alle precedenti.

Pur concordando sul fatto che è bene indicare le Parole Sacre e le Parole di Passo del 20 e 3 0 Grado unicamente con la lettera iniziale e la lettera finale (separandole con una serie di puntini), pensiamo sia ancora meglio non invertirne la stesura, ma segnalarle di fatto con la lettera iniziale a sinistra e con la lettera finale a destra

(esempio

                    | 0 Grado             Parola Sacra               B..Z     

                    20 Grado              Parola Sacra               J….N

                                              Parola di Passo          S……..H

                   3 0 Grado             Parola Sacra

                                              Parola di Passo          T…….N)5

Quanto alla possibilità di aprire i Lavori direttamente in 20 0 3 0 Grado, essa è stata presa in considerazione da questa Officina in più di un’occasione, ma, dal momento che l’unica giustificazione che si può ragionevolmente portare a suffragio di tale proposta è il risparmio di tempo, non ci è sembrato giusto introdurre una tale consuetudine in un luogo che – per definizione – è al di là ed al di fuori dello spazio e del tempo.

Per quel che ci riguarda – infine – non muteremmo il Quadro di Loggia del 3 0 Grado impiegato fino ad oggi con quello riportato nell ‘ultima proposta pervenutaci.

Augurandoci che i rallegramenti comunicativi all’inizio della presente non vengano disattesi, vi rinnoviamo le felicitazioni per le opportune correzioni già apportate nella bozza dei rituali rimessaci , ringraziandovi anticipatamente per l’ennesimo sforzo che vi chiediamo di sostenere al fine di redigere un rituale stabile, fisso, integro ed equilibrato.

Col triplice fraterno saluto.

Rispettabile Loggia

Pedemontana n o 696 Oriente di Torino

A. Mnncc,

  • Anche se si tratta di parole ebraiche (che nella stesura in lingua originale vengono scritte e lette da destra a sinistra) non pensiamo sia il caso di seguirne la stessa stesura nella trascrizione in lingua volgare e ciò al fine di scongiurare ogni possibile equivoco.
  • Vedasi nota 3
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REGOLARMENTE

Regolarmente

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

regolarmente mi sono trovato a meditare su quanti vantaggi, ma su quanti impegni avevo accettato e sottoscritto, la sera dell’iniziazione, nei miei confronti e del mondo esterno, diventato da quella sera più distante, diventato il mondo profano

Quale grossa responsabilità avevo io, privilegiato, nei confronti dell’esistenza che mi circondava! Ero io virtuoso e di sani principi per accedere alla costruzione del Tempio ed accedere all’aiuto della Forza, della Bellezza e della Saggezza che mi veniva offerto e poterne così usufruire per crescere nel mio intimo? Io sapevo dove attingere e cercare, sapevo dove e come confortarmi nei momenti difficili e sapevo ricercare, costruire, sapere, crescere nella forza e nella saldezza dell’lniziazione.

I miei Fratelli mi indirizzavano ed io potevo chiedere, informarmi, ricevere ed immergermi in me stesso con tutta serenità e tranquillità senza che niente e nessuno potesse infrangere questo mio microcosmo.

Dovevo imparare a spogliarmi dei metalli, dovevo avere tolleranza nei confronti di chi turbava o mi avversava, ma comunque ricercare la Luce: questo è ed era il mio scopo, teoricamente, unico.

Ma quanto egoismo era in tutto ciò, quanto i miei pensieri si infrangevano sulle realtà del mondo profano e sulla utopica estraneità della mia vita materiale?

Io, Iniziato, Massone vivo nel mondo, in un mondo che mi pesa, mi ostacola, mi condiziona e non mi capisce. Non mi capisce ed io inconsciamente lo accantono, non voglio considerarlo e mi defilo dalla realtà perché mi può creare impedimenti, momento per momento divido le mie due vite, quella pratica e quella spirituale.

Vergognati Massone, mi dico, tu hai di più e ti lamenti, ti nascondi.

Poi un amico, un lontano conoscente, un ex compagno di scuola si avvicinano e mi chiedono aiuto; subito mi sento importante, poi sono felice e mi sento vivo e partecipe dei loro problemi, ma soprattutto mi sento un uomo, un Massone vivo.

Questo per trasmettervi nella maniera più semplice, ma anche più provocatoria, un pensiero che è prevalente nelle mie riflessioni da sempre e che non mi sembra affrontato positivamente nella nostra Istituzione.

Il vivere nel mondo con il dono dell’iniziazione ci obbliga a trasformarci in doverosi trasmettitori della nostra conoscenza e del nostro equilibrio a vantaggio di coloro che ci circondano.

È difficile trattare questo argomento senza cadere in facili luoghi comuni religiosi, ma credo che nessuno dei molti illustri Fratelli del passato si siano mai posti questo problema, ma abbiano fatto solo ciò che sentivano doveroso verso il mondo, e più semplicemente, impegnandosi ad essere Massoni fuori del Tempio, fuori da quel piccolo mondo che ci permette di cercare la Lucc lottando con la vita terrena, ma non partecipandovi in maniera attiva nella sua trasformazione.

Quale risultato pensiamo di ottenere se questa via serve solo a noi e non a modificare nel possibile il genere umano ed a regolare noi stessi, essendo tra i pochi che con l’unione e con la forza del Tempio possiamo non vacillare?

Essere Massoni in ogni gesto, in ogni azione, in ogni incontro con le difficoltà della vita terrena è la reale essenza delle nostre scelte, da non confondersi con il riunirci tra noi, per accrescere solo noi stessi, senza portar fuori tutto quello che è necessario ed utile per migliorare alla gente questo gravoso passaggio di costante disconoscimento tra quello che può essere e quello che gli uomini ne stanno facendo.

Ora vi chiedo: sappiamo noi quanta linfa possiamo trovare fuori dal Tempio se teniamo sempre la porta chiusa?

“E la Luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno ricevuta ‘ .

R. Gril,

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LA CARITA’

La Carità

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

scrisse Oswald Wirth che il Pellicano è l’emblema di quella carità “in mancanza della quale, nell ‘iniziazione, tutto resta irrimediabilmente vano ‘ .

Simbolo cristiano dei primissimi secoli, il Pellicano entrò a far parte della iconografia massonica e oggi ci ricorda che esiste per noi Massoni un retaggio cristiano non meno importante dell’egizio, dell’ebraico, del pitagorico.

La leggenda del pellicano è ben nota, ma il significato simbolico non è forse tanto chiaro. È simbolo della carità, il pellicano, perché secondo la leggenda tale uccello sarebbe capace di dilaniarsi il petto per nutrire i piccoli quando necessario. Esso infatti è invariabilmente rappresentato nell’atto di compiere tale gesto eroico, nella iconografia cristiana come nella massonica. E per la presenza di questo elemento di nutrimento che nel mondo cristiano il pellicano è spesso inteso a simbolizzare la Eucarestia. In questa forma la leggenda discende da una più antica, egizia, nella quale non è il pellicano, bensì l’avvoltoio che offre ai piccoli il nutrimento del suo sangue.

Esplorando le forme medievali più antiche, e quindi più genuine, la leggenda che vi compare è diversa. Il pellicano non nutre, bensì fa rivivere i suoi pulcini, che erano stati uccisi dal nemico (il serpente), oppure dal padre stesso.

Questo ultimo è l’aspetto più peculiare. Il pellicano punisce con la morte i figli i quali, dopo essere stati nutriti, avevano cominciato a mostrare ingratitudine, disprezzare il cibo, ribellarsi. Dopo di che, il terzo giorno, si pente e, apertosi il petto, li bagna e purifica con il suo sangue: i pulcini rivivranno così come l’uomo rivisse, purificato dal sangue di Cristo che lo tolse alla morte spirituale.

Ecco che il sangue del pellicano non è più il nutrimento, bensì l’elemento di purificazione totale. Con questo significato lo si ritrova anche in alchimia dove “Sangue di Pellicano ” è il materiale destinato alla Grande Opera dopo una prima purificazione.

Qualcuno ha notato il legame con una profezia di Ezechiele (47, 1-2) nella quale il profeta vede acqua purificatrice sgorgare dal alto destro del tempio. Ha notato altresì che in tutta la iconografia medievale cristiana il pellicano si ferisce il petto invariabilmente sulla destra (quando non in mezzo).

E curioso come i Massoni abbiano invece adottato l’immagine del pellicano che si fcrisce a sinistra. Tale immagine massonica si trova oggi anche in chiese moderne e loro arredi, essendosi perduta completamente la nozione della originale differenza.

A proposito di carità, speranza e umiltà.

La leggenda del Pellicano.

Simbolismo cristiano e massonico.

Nutrimento verso rigenerazione.

Significato alchemico.

La profezia di Ezechiele.

Il lato sinistro è quello massonico.

Wirth: “… tutto resta irrimediabilmente vano”.

Carità: è più importante della conoscenza?

Unde charitas?

Figlia della fede? (San Francesco)

Fede: intima certezza di possedere una certa verità soprarazionale.

Chi ha fede è dogmatico per definizione.

Fede di per sé: né buona, né cattiva.

Cfr. Torquemada; cfr. il Massone che deride il Fratello meno sapiente.

Torniamo alla carità: cosa è e donde.

Carità del mistico: amore di Dio; Dio sentito così importante che nulla altro conta.

Carità in ambito religioso: Padre Kogbe; i Bodhisattva.

Carità innata (la madre, Salvo D’ Acquisto)

   N.B.:               I A non ha limiti;

2A pericolo di autogratificazione.

Che cosa è carità in ambito massonico?

Tolleranza non basta: è dovuta anche al profano.

Fratellanza è di più.

Forse la carità massonica è figlia della fede in quel valore che è la fratellanza iniziatica.

La fede preferisco chiamarla speranza.

Carità figlia di speranza?

Torniamo all’esempio “Massone che deride ecc.”

Umiltà

= consapevolezza della nostra pochezza di fronte al sacro;      

= atteggiamento di reverenza di fronte al mistero avvolto dal mistero.

Forse quello che derido è più vicino di me alla verità.

Ananda.

La parabola del fariseo e del pubblicano.

Il mio sacrificio è perfetto.

E perfetto anche il nostro sacrificio?

R. scch,

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