PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

PINOCCHIO: IL MITO DEL BURATTINO SECONDO FOLCO QUILICI

  1. NSA) – ROMA, 15 OTT – «C’è ancora molto, molto da scoprire su d i lui», con questa frase si chiude il bel Viaggio nel mondo di Pinocchio di Folco Quilici (durata circa 50 minuti) che Raitre proporrà domenica alle 23.10. Realizzato da un’idea di Paolo Fabbri e prodotto da Raitre con Arte Geie, Ex Nihilo, F.Q.P.E. e Avro Tv, il film documentario attraversa il mito di Pinocchio in ogni sua forma. Si va dalla vita di Lorenzini di cui si sfatano alcune leggende («Non era Massone come qualcuno ha detto, nè donnaiolo e giocatore», ci tiene a dire Quilici) alle mille versioni di Pinocchio che sono state date in tutto il mondo.  Si visita poi la fondazione di Carlo Collodi che raccoglie centinaia di edizioni del libro, si vedono sequenze del primo film a lui dedicato nel 1911 fino al Pinocchio di Comencini e a quello di Disney. Ma ci sono anche due rari cartoni animati: uno russo, ‘Buratinò e l’inedito Pinocchio di Enzo D’Alo ancora in produzione per la Rai. E anche, infine, un omaggio alla singolare lettura del mito Pinocchio che ne ha dato Carmelo Bene. E il Pinocchio di Benigni? Risponde candidamente Folco Quilici a margine della proiezione stampa a Viale Mazzini: «Non l’ho ancora visto. Il fatto è che devo mettere insieme tutti i miei nipotini per andarlo a vedere».  Per il resto dal documentarista anche una sua lettura del mito Pinocchio: «Pochi sanno che Collodi non ha avuto padre e forse il suo Pinocchio alla ricerca del babbo non è che una sua proiezione e anche un qualcosa che in un modo o nell’altro riguarda ognuno di noi». Sulla messa in onda in seconda serata del film documentario interviene il direttore di Raitre Paolo Ruffini: «non è vero che è un orario penalizzante – dice il direttore -. In fondo non è un programma per i ragazzi, ma chissà si potrebbe anche pensare a una replica in un altro orario più agevole».
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IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di Angelo Scrimieri

IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di
Angelo Scrimieri
Far luce sulla religione buddista non è cosa facile ma, è pure vero, una interpretazione personale posso azzardarla con la speranza di non andare oltre i confini della realtà ed inoltrarmi nel mondo della fantasia.
Dunque chi è veramente, e cosa significa Buddha che in sanscrito significa “lo svegliato” ?
Con questo nome la tradizione indiana indica speciali personaggi i quali, conseguita la suprema illuminazione spirituale (bodhi) hanno il compito di impartire all’umanità l’insegnamento salvatore.
L’ultimo di costoro, il Buddha per antonomasia, fu Siddharta, detto Gautama Sakyamuni.
Gli episodi più salienti della vita di Buddha sono tratti da testi pali, che, pur non essendo documenti strettamente storici, rappresentano la tradizione più antica.
Secondo tali documenti Buddha nacque a Lummini nel 557 a.C. La leggenda posteriore fa nascere Buddha dal fianco della madre Maya ed è questo uno degli episodi più cari alla iconografia buddista. Morì nel 477 a.C. Due scoperte archeologiche comprovano sia la data che il luogo della sua nascita che quelli della sua morte. Nel 1896 venne trovata una colonna eretta nel 244 a.C. a Lummini dall’imperatore Asoka per ricordare il luogo dove era nato Buddha. La seconda scoperta venne fatta da Claxton Peppè che dopo 24 secoli ritrovò a Kusinagara il tumulo contenenti le ceneri di Buddha.
Si narra che il padre tentasse di distrarlo dal portentoso destino, profetatogli’ sin dalla nascita, allevandolo fra gli agi e sposandolo all cugina Yasodhara, da cui ebbe un figlio, Rahula. Ma la vocazione ascetica risvegliatasi alla vista dei funerali di un malato e di un asceta vagante, Buddha abbandonò famiglia e beni, per cercare la verità.
Ritiratosi nella foresta a meditare, con la guida di due brahmana, indi seguitoda cinque discepoli che più tardi lo abbandonarono, Buddha, dopo terribili prove, raggiunse l’illuminazione interiore e riconobbe le cosiddette “Quattro Verità “: la realtà del mondo è dolore; l’origine del dolore è il desiderio o attaccamento alla vita; la liberazione dal dolore è possibile mediante l’estinzione del desiderio, il nirvana (condizione estatica corrispondente al puro godimento dello spirito o all’annullamento di ogni concreta realtà).
Nel Buddismo, per meglio intenderci, la felicità consistente nell’assenza di ogni sensazione e quindi del dolore, esiste una via per tale estinzione: la Legge (dharma).
Dopo profonda meditazione e riflessione Buddha decise di rendere partecipe l’umanità, della sua esperienza liberatrice, ed iniziò la predicazione di una dottrina che chiamò Via Mediana, perché distante sia dai piaceri sia dagli eccessi ascetici. Non elaborò una particolare teoria sul mondo: questo è ciò che è, occorre solo liberarsene. A tale fine si deve seguire l’ottuplice Sentiero, consistente in: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta via, retto sforzo, retta consapevolezza, retta meditazione. Quest’ultima rappresenta il precetto principale di Buddha, dato che la personalità umana non è fondata sull’Io, ma sulla consapevolezza individuata dal potere di rappresentazione, legata a sensazioni dipendenti da impulsi prenatali, limitata da forma materiale: i cosiddetti cinque Skandha.
“L’uomo è responsabile del suo destino e lo determina con le sue azioni (Karma) da una vita all’altra
Il ciclo di nascita e morte (Samsara), articolato in dodici momenti che sono causa l’uno dell’altro (ignoranza, predisposizioni innate, forma, facoltà, percezione, sensazione, sete e vincolo della vita, esistenza, nascita, vecchiaia, morte), deriva da una ignoranza innata che solo il Nirvana può sradicare.
Per 40 anni Buddha predicò nell’India settentrionale, con immenso successo, una dottrina fatta di serenità, amorevolezza, stoica sopportazione dei mali, di cui egli fu esempio vivente. Quando egli morì il suo Ordine Monastico (Sangha) era stato già costituito ed era ormai in atto la diffusione del buddismo in tutto il mondo: un sistema filosofico-religioso, un notevole esempio di religione atea in quanto non incentrata nel culto di divinità ma elabora una dottrina per la salvezza dell’uomo, con l’estinguersi del dolore, nel Nirvana.
Il Buddismo è altresì una filosofia tesa alla risoluzione di problemi etici sempre al fine di eliminare il dolore, senza elaborare una particolare teoria del mondo.
Le numerose “sette” e “scuole” del Buddismo, si raggruppano in due grandi correnti dette rispettivamente del “Piccolo Veicolo ” e del “Grande Veicolo”.
Agorà gennaio – marzo 1997 35 Tale dottrina è chiamata “veicolo” perché concepita come “un mezzo che trasporta i seguaci alla santità e alla liberazione dalla rinascita”: Piccolo Veicolo, per portare alla salvezza coloro che praticano rigidamente la vita monastica, Grande Veicolo, perché porta a salvamento tutti fedeli i fedeli.
Ora però occorre fare delle riflessioni attente e mirate; quindi e necessario sapere in che cosa consiste la responsabilità dell’uomo, dato che il Buddismo nega l’esistenza di un Io permanente, pur affermando che dalla libera azione, buona o cattiva dell’uomo viene occultamente foggiato il destino a cui questi va incontro, nella presente vita e nelle successive.
Per quanto riguarda l’uomo, il Grande Veicolo afferma che esso deve realizzare l’essenza cosciente del proprio spirito mediante lo sviluppo di mistica conoscenza attraverso le meditazioni e le pratiche di comprensione, che è il mezzo per eccellenza.
Il caratteristico sviluppo del monachesimo ha dato luogo alle “sette” dei Berretti Rossi e dei riformati Berretti Gialli, dalle quali viene scelto il “DALAI-LAMA”, sovrano temporale del Tibet.
Si può, a questo punto, affermare che questa dottrina etico-filosofica, elaborata dal veggente indiano Gautama Buddha (VI sec. a.C.), si concretizza in religione predicata come mezzo di salvazione.
Tentare una analisi, con l’illusione di approfondire i concetti più fondamentali che l’argomento richiede, è utopistico. Non ci resta altro da fare che tentare una analisi dei concetti più fondamentali, sperando che l’approfondimento sbocchi in una logica più vicina ai nostri tempi.
Ma superate queste considerazioni, è necessario tentare di sintetizzare il “modo” in cui noi ci poniamo dinanzi al grande Tema. Di rende necessario, quindi, che le menti e gli animi dei Fratelli raggiungano la serenità cosciente del ruolo loro affidato dall’aristocrazia dello spirito alla quale appartengono di diritto, per parlare di politica e di religione.
Analizzando il significato del termine “Filosofia”, l’etimologia è chiara, si tratta di un composto: amare, aspirare a sapienza, saggezza , quindi, amore della sapienza, aspirazione al raggiungimento della sapienza. Si pone in evidenza il nesso logico con le “Quattro Nobili Verità” che sono, senzadubbio, alla base di tutto il pensiero buddista e la nostra cultura religiosa.
Si può ritenere che le varie forme, in cui il buddismo è conosciuto e praticato nel mondo, esprimono a tutti gli effetti, questo insegnamento semplice ma di enorme importanza.
Le “Quattro Nobili Verità” sono: la Sofferenza, l’origine della Sofferenza, la fine della Sofferenza, la via che conduce alla fine della sofferenza. La nostra cultura religiosa come reagisce di fronte a tanta saggezza?
Con interesse certamente, ma anche confortandosi con quanto il DALAI-LAMA, Sua Santità Gyawa Tenzin Gyatso XIV, dice con molta disinvoltura: “Invito tutto l’Occidente a non cercare di cambiare la propria cultura tramandata nei secoli. Il Dharma deve essere insegnato e non diffuso, e questo insegnamento deve essere completo ed obiettivo, altrimenti potrebbero nascere settarismi”.
Egli, con la sua saggezza, leader politico di un paese privato dal 1959 della sovranità nazionale, gira il mondo alla ricerca della solidarietà dei popoli.
Platone approfondisce il concetto socratico di filosofia come aspirazione al sapere: essa nasce da quel sapere di non sapere che non è totale ignoranza e nemmeno sapienza, ma perenne atteggiamento di dubbio e di critica che ha in Eros, il Dio dell’amore, figlio di povertà e di abbondanza, la sua splendida personificazione.
La filosofia è in questo senso, vita morale e soprattutto “preparazione alla morte”, desiderio non solo del vero ma anche del bene e del bello. Anche per Aristotele, la filosofia è aspirazione a possedere la “scienza divina”, la conoscenza dell’universale; quindi, per entrambi, contemplazione disinteressata della realtà, non dei suoi aspetti accidentali ma in quelli sostanziali (i principi metafisici e le cause prime). La filosofia, come scienza “dell’ente in quanto ente” , si distingue rigorosamente non solo dalle scienze prati- che e poetiche, ma anche dalle altre scienze teoretiche, quali la fisica e la matematica.

Nella storia della filosofia, la conoscenza è stata intesa come una possibilità garantita a tutti, come qualcosa di impossibile o come qualcosa di possibile in determinate condizioni. La filosofia, quindi, se vuole affrontare le problematiche connesse con la conoscenza, deve poter contribuire con chiarificazioni interne alle metodologie specifiche.
Francamente mi preoccupa porre in corelazione o in parallelismo la filosofia della conoscenza, con il Buddismo, religione che si discosta e non si identifica con la nostra cultura. Religione che vive in un suo ermetismo alquanto particolare e singolare nelle sue regole-leggi. Non fosse altro che per accettare con me stesso la scom- messa di trovare alla fine un nesso logico, valido e significativo tra la nostra cultura le la Civiltà Buddista.
36 Agorà gennaio – marzo 1997 Permettetemi ancora qualche personale considerazione ricordando a tutti voi l’ ancoraggio massonico ai Libri Sacri dell’Umanità: la Bibbia ed il Vangelo. Fatto salvo questo principio devo necessariamente citare come termine di confronto i Codici Sacri delle Indie e della Persia, la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le massime di Confucio, le dottrine di Pitagora e di Platone. Tutti sono improntati di morale purissima talvolta anche trascendente la possibilità della pratica razionale; ma tutte le credenze dogmatiche hanno il difetto che, quando cessa o diminuisce la fede in Dio punitore, anche la morale, che in quella fede si appunta e si ravviva, necessariamente si scolora e si perde nel nulla. Ecco perché noi “crediamo” senza imposizioni dogmatiche e facciamo il possibile perché la nostra fede non diminuisca: perché non si perda la morale che in essa si incentra e si avviva.
In una conversazione-relazione di Fausto Taiten Guareschi si legge che da qualche tempo si ricomincia a sentir parlare di “Maestri”. Ed insieme al tema dei “maestri”, risorge un dramma che era stato violentemente rimosso negli ultimi decenni: quello dell ‘apprendimento reale, diretto, frutto del rapporto dialettico tra persone vive.
La filosofia buddista che più si avvicina agli occidentali non è molto complessa. Essa essenzialmente dice: “I maestri non scrivono, insegnano, trasmettono, comunicano”. Thomas Mann diceva: “O uno muore giovane, o diventa maestro”.
La vocazione dell’uomo è quella di insegnare, non di scrivere. La parola, quindi, deve essere un evento, perché abbia senso.
Per concludere devo necessariamente dedurre, senza timore alcuno e senza creare pregiudizi, che la nostra religione ci ha permesso di sentirci a posto con la nostra coscienza, di sentirci a nostro agio e con serio raccoglimento spirituale tanto nella Cattedrale quanto nella Moschea, tanto seguendo il rito Ortodosso quanto ascoltando quello Mussulmano e quello Buddista.
Ma al di là di questo, credetemi, non ci si può spingere. •
IL LAMENTO PER IL GIORNO DEI DIRITTI UMANI

Per coloro che si afferrano alle sbarre della prigione, senza speranza, perché noi si cammini liberi un pensiero
per coloro che marciscono nella tenebra perché noi si possa camminare nel sole un pensiero
Per coloro ‘le cui costole sono state spezzate perché noi si respiri a pieni polmoni un pensiero
Per coloro la cui schiena è stata piegata perché noi si possa stare eretti un pensiero
Per coloro che sono stati schiaffeggiati perché noi si possa andare avanti senza timore di essere colpiti un pensiero
Agorà gennaio – marzo 1997
Per coloro le cui bocche sono state imbavagliate perché noi si possa parlare liberamente un pensiero
Per coloro la cui dignità giace lacerata sulla pietra del carcere perché noi si cammini a testa alta un pensiero
Per coloro le cui spose vivono nell’angoscia perché le nostre vivano felici un pensiero
Per coloro il cui paese è in catene perché il nostro sia libero un pensiero
E per chi imprigiona e tortura un pensiero, il più triste di tutti, perché essi sono i più degni di compatimento nell ‘aspettaziohe del giorno della Verità.
Salvador de Madariaga
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IL LAMENTO PER IL GIORNO DEI DIRITTI UMANI

IL LAMENTO PER IL GIORNO DEI DIRITTI UMANI

Per coloro che si afferrano alle sbarre della prigione, senza speranza, perché noi si cammini liberi un pensiero
per coloro che marciscono nella tenebra perché noi si possa camminare nel sole un pensiero
Per coloro ‘le cui costole sono state spezzate perché noi si respiri a pieni polmoni un pensiero
Per coloro la cui schiena è stata piegata perché noi si possa stare eretti un pensiero
Per coloro che sono stati schiaffeggiati perché noi si possa andare avanti senza timore di essere colpiti un pensiero
Agorà gennaio – marzo 1997
Per coloro le cui bocche sono state imbavagliate perché noi si possa parlare liberamente un pensiero
Per coloro la cui dignità giace lacerata sulla pietra del carcere perché noi si cammini a testa alta un pensiero
Per coloro le cui spose vivono nell’angoscia perché le nostre vivano felici un pensiero
Per coloro il cui paese è in catene perché il nostro sia libero un pensiero
E per chi imprigiona e tortura un pensiero, il più triste di tutti, perché essi sono i più degni di compatimento nell ‘aspettaziohe del giorno della Verità.
Salvador de Madariaga

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IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA

IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di
Angelo Scrimieri
Far luce sulla religione buddista non è cosa facile ma, è pure vero, una interpretazione personale posso azzardarla con la speranza di non andare oltre i confini della realtà ed inoltrarmi nel mondo della fantasia.
Dunque chi è veramente, e cosa significa Buddha che in sanscrito significa “lo svegliato” ?
Con questo nome la tradizione indiana indica speciali personaggi i quali, conseguita la suprema illuminazione spirituale (bodhi) hanno il compito di impartire all’umanità l’insegnamento salvatore.
L’ultimo di costoro, il Buddha per antonomasia, fu Siddharta, detto Gautama Sakyamuni.
Gli episodi più salienti della vita di Buddha sono tratti da testi pali, che, pur non essendo documenti strettamente storici, rappresentano la tradizione più antica.
Secondo tali documenti Buddha nacque a Lummini nel 557 a.C. La leggenda posteriore fa nascere Buddha dal fianco della madre Maya ed è questo uno degli episodi più cari alla iconografia buddista. Morì nel 477 a.C. Due scoperte archeologiche comprovano sia la data che il luogo della sua nascita che quelli della sua morte. Nel 1896 venne trovata una colonna eretta nel 244 a.C. a Lummini dall’imperatore Asoka per ricordare il luogo dove era nato Buddha. La seconda scoperta venne fatta da Claxton Peppè che dopo 24 secoli ritrovò a Kusinagara il tumulo contenenti le ceneri di Buddha.
Si narra che il padre tentasse di distrarlo dal portentoso destino, profetatogli’ sin dalla nascita, allevandolo fra gli agi e sposandolo all cugina Yasodhara, da cui ebbe un figlio, Rahula. Ma la vocazione ascetica risvegliatasi alla vista dei funerali di un malato e di un asceta vagante, Buddha abbandonò famiglia e beni, per cercare la verità.
Ritiratosi nella foresta a meditare, con la guida di due brahmana, indi seguitoda cinque discepoli che più tardi lo abbandonarono, Buddha, dopo terribili prove, raggiunse l’illuminazione interiore e riconobbe le cosiddette “Quattro Verità “: la realtà del mondo è dolore; l’origine del dolore è il desiderio o attaccamento alla vita; la liberazione dal dolore è possibile mediante l’estinzione del desiderio, il nirvana (condizione estatica corrispondente al puro godimento dello spirito o all’annullamento di ogni concreta realtà).
Nel Buddismo, per meglio intenderci, la felicità consistente nell’assenza di ogni sensazione e quindi del dolore, esiste una via per tale estinzione: la Legge (dharma).
Dopo profonda meditazione e riflessione Buddha decise di rendere partecipe l’umanità, della sua esperienza liberatrice, ed iniziò la predicazione di una dottrina che chiamò Via Mediana, perché distante sia dai piaceri sia dagli eccessi ascetici. Non elaborò una particolare teoria sul mondo: questo è ciò che è, occorre solo liberarsene. A tale fine si deve seguire l’ottuplice Sentiero, consistente in: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta via, retto sforzo, retta consapevolezza, retta meditazione. Quest’ultima rappresenta il precetto principale di Buddha, dato che la personalità umana non è fondata sull’Io, ma sulla consapevolezza individuata dal potere di rappresentazione, legata a sensazioni dipendenti da impulsi prenatali, limitata da forma materiale: i cosiddetti cinque Skandha.
“L’uomo è responsabile del suo destino e lo determina con le sue azioni (Karma) da una vita all’altra
Il ciclo di nascita e morte (Samsara), articolato in dodici momenti che sono causa l’uno dell’altro (ignoranza, predisposizioni innate, forma, facoltà, percezione, sensazione, sete e vincolo della vita, esistenza, nascita, vecchiaia, morte), deriva da una ignoranza innata che solo il Nirvana può sradicare.
Per 40 anni Buddha predicò nell’India settentrionale, con immenso successo, una dottrina fatta di serenità, amorevolezza, stoica sopportazione dei mali, di cui egli fu esempio vivente. Quando egli morì il suo Ordine Monastico (Sangha) era stato già costituito ed era ormai in atto la diffusione del buddismo in tutto il mondo: un sistema filosofico-religioso, un notevole esempio di religione atea in quanto non incentrata nel culto di divinità ma elabora una dottrina per la salvezza dell’uomo, con l’estinguersi del dolore, nel Nirvana.
Il Buddismo è altresì una filosofia tesa alla risoluzione di problemi etici sempre al fine di eliminare il dolore, senza elaborare una particolare teoria del mondo.
Le numerose “sette” e “scuole” del Buddismo, si raggruppano in due grandi correnti dette rispettivamente del “Piccolo Veicolo ” e del “Grande Veicolo”.
Agorà gennaio – marzo 1997 35 Tale dottrina è chiamata “veicolo” perché concepita come “un mezzo che trasporta i seguaci alla santità e alla liberazione dalla rinascita”: Piccolo Veicolo, per portare alla salvezza coloro che praticano rigidamente la vita monastica, Grande Veicolo, perché porta a salvamento tutti fedeli i fedeli.
Ora però occorre fare delle riflessioni attente e mirate; quindi e necessario sapere in che cosa consiste la responsabilità dell’uomo, dato che il Buddismo nega l’esistenza di un Io permanente, pur affermando che dalla libera azione, buona o cattiva dell’uomo viene occultamente foggiato il destino a cui questi va incontro, nella presente vita e nelle successive.
Per quanto riguarda l’uomo, il Grande Veicolo afferma che esso deve realizzare l’essenza cosciente del proprio spirito mediante lo sviluppo di mistica conoscenza attraverso le meditazioni e le pratiche di comprensione, che è il mezzo per eccellenza.
Il caratteristico sviluppo del monachesimo ha dato luogo alle “sette” dei Berretti Rossi e dei riformati Berretti Gialli, dalle quali viene scelto il “DALAI-LAMA”, sovrano temporale del Tibet.
Si può, a questo punto, affermare che questa dottrina etico-filosofica, elaborata dal veggente indiano Gautama Buddha (VI sec. a.C.), si concretizza in religione predicata come mezzo di salvazione.
Tentare una analisi, con l’illusione di approfondire i concetti più fondamentali che l’argomento richiede, è utopistico. Non ci resta altro da fare che tentare una analisi dei concetti più fondamentali, sperando che l’approfondimento sbocchi in una logica più vicina ai nostri tempi.
Ma superate queste considerazioni, è necessario tentare di sintetizzare il “modo” in cui noi ci poniamo dinanzi al grande Tema. Di rende necessario, quindi, che le menti e gli animi dei Fratelli raggiungano la serenità cosciente del ruolo loro affidato dall’aristocrazia dello spirito alla quale appartengono di diritto, per parlare di politica e di religione.
Analizzando il significato del termine “Filosofia”, l’etimologia è chiara, si tratta di un composto: amare, aspirare a sapienza, saggezza , quindi, amore della sapienza, aspirazione al raggiungimento della sapienza. Si pone in evidenza il nesso logico con le “Quattro Nobili Verità” che sono, senzadubbio, alla base di tutto il pensiero buddista e la nostra cultura religiosa.
Si può ritenere che le varie forme, in cui il buddismo è conosciuto e praticato nel mondo, esprimono a tutti gli effetti, questo insegnamento semplice ma di enorme importanza.
Le “Quattro Nobili Verità” sono: la Sofferenza, l’origine della Sofferenza, la fine della Sofferenza, la via che conduce alla fine della sofferenza. La nostra cultura religiosa come reagisce di fronte a tanta saggezza?
Con interesse certamente, ma anche confortandosi con quanto il DALAI-LAMA, Sua Santità Gyawa Tenzin Gyatso XIV, dice con molta disinvoltura: “Invito tutto l’Occidente a non cercare di cambiare la propria cultura tramandata nei secoli. Il Dharma deve essere insegnato e non diffuso, e questo insegnamento deve essere completo ed obiettivo, altrimenti potrebbero nascere settarismi”.
Egli, con la sua saggezza, leader politico di un paese privato dal 1959 della sovranità nazionale, gira il mondo alla ricerca della solidarietà dei popoli.
Platone approfondisce il concetto socratico di filosofia come aspirazione al sapere: essa nasce da quel sapere di non sapere che non è totale ignoranza e nemmeno sapienza, ma perenne atteggiamento di dubbio e di critica che ha in Eros, il Dio dell’amore, figlio di povertà e di abbondanza, la sua splendida personificazione.
La filosofia è in questo senso, vita morale e soprattutto “preparazione alla morte”, desiderio non solo del vero ma anche del bene e del bello. Anche per Aristotele, la filosofia è aspirazione a possedere la “scienza divina”, la conoscenza dell’universale; quindi, per entrambi, contemplazione disinteressata della realtà, non dei suoi aspetti accidentali ma in quelli sostanziali (i principi metafisici e le cause prime). La filosofia, come scienza “dell’ente in quanto ente” , si distingue rigorosamente non solo dalle scienze prati- che e poetiche, ma anche dalle altre scienze teoretiche, quali la fisica e la matematica.

Nella storia della filosofia, la conoscenza è stata intesa come una possibilità garantita a tutti, come qualcosa di impossibile o come qualcosa di possibile in determinate condizioni. La filosofia, quindi, se vuole affrontare le problematiche connesse con la conoscenza, deve poter contribuire con chiarificazioni interne alle metodologie specifiche.
Francamente mi preoccupa porre in corelazione o in parallelismo la filosofia della conoscenza, con il Buddismo, religione che si discosta e non si identifica con la nostra cultura. Religione che vive in un suo ermetismo alquanto particolare e singolare nelle sue regole-leggi. Non fosse altro che per accettare con me stesso la scom- messa di trovare alla fine un nesso logico, valido e significativo tra la nostra cultura le la Civiltà Buddista Permettetemi ancora qualche personale considerazione ricordando a tutti voi l’ ancoraggio massonico ai Libri Sacri dell’Umanità: la Bibbia ed il Vangelo. Fatto salvo questo principio devo necessariamente citare come termine di confronto i Codici Sacri delle Indie e della Persia, la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le massime di Confucio, le dottrine di Pitagora e di Platone. Tutti sono improntati di morale purissima talvolta anche trascendente la possibilità della pratica razionale; ma tutte le credenze dogmatiche hanno il difetto che, quando cessa o diminuisce la fede in Dio punitore, anche la morale, che in quella fede si appunta e si ravviva, necessariamente si scolora e si perde nel nulla. Ecco perché noi “crediamo” senza imposizioni dogmatiche e facciamo il possibile perché la nostra fede non diminuisca: perché non si perda la morale che in essa si incentra e si avviva.
In una conversazione-relazione di Fausto Taiten Guareschi si legge che da qualche tempo si ricomincia a sentir parlare di “Maestri”. Ed insieme al tema dei “maestri”, risorge un dramma che era stato violentemente rimosso negli ultimi decenni: quello dell ‘apprendimento reale, diretto, frutto del rapporto dialettico tra persone vive.
La filosofia buddista che più si avvicina agli occidentali non è molto complessa. Essa essenzialmente dice: “I maestri non scrivono, insegnano, trasmettono, comunicano”. Thomas Mann diceva: “O uno muore giovane, o diventa maestro”.
La vocazione dell’uomo è quella di insegnare, non di scrivere. La parola, quindi, deve essere un evento, perché abbia senso.
Per concludere devo necessariamente dedurre, senza timore alcuno e senza creare pregiudizi, che la nostra religione ci ha permesso di sentirci a posto con la nostra coscienza, di sentirci a nostro agio e con serio raccoglimento spirituale tanto nella Cattedrale quanto nella Moschea, tanto seguendo il rito Ortodosso quanto ascoltando quello Mussulmano e quello Buddista.
Ma al di là di questo, credetemi, non ci si può spingere. •

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MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… …VERSO LA LUCEMEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… …VERSO LA LUCE

MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… …VERSO LA LUCE
Non intendo sprecare il mio tempo commentando i difetti altrui. Se mi scoprirò incline a rallegrarmi nel criticare il mio prossimo, criticherò prima me stesso a voce alta, davanti agli altri.
Non criticherò nessuno se non richiesto dalla persona stessa e, anche allora, solo col desiderio di aiutarla.
Cercherò di rendermi gradito a tutti con atti di bontà e di considerazione verso gli altri, cercando sempre di rimuovere ogni malinteso causato da me, deliberatamente o meno.
Voglio continuare a tenere alta la fiaccola di gentilezza inesauribile, per guidare i cuori di coloro che mi fraintendono.
Mi asciugo le lacrime di amarezza, pensando che tu non ti curi se svolgo una parte piccola o grande, purché la svolga bene.
Cercherò DIO prima di tutto, e solo allora tutti i miei desideri saranno appagati. Vivere in un palazzo oppure in una catapecchia, sarà la stessa cosa.
Userò il denaro che mi sono procurato onestamente, per vivere con semplicità, eliminando ogni lusso.
Sono giunto alla determinazione che nessuno può provocarmi, insultandomi con parole o atti, e che nessuno può influenzarmi con le sue lodi, facendomi credere più grande di quel che sono.
Non mi curerò affatto di un atteggiamento critico, falso e spietato e nemmeno delle ghirlande di elogio.
Il mio unico desiderio e di fare la tua volontà e di piacere a te, Padre mio Celeste.
Voglio dire la verità, ma in ogni caso eviterò sempre di esternare verità spiacevoli o dannose. Non porgerò mai alcuna critica che non sia mossa dalla benevolenza.
Voglio diffondere la luce solare del mio benvolere, ovunque regni il buio ‘dell’incomprensione. Paramahansa Yogananda

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NASCITA BIOLOGICA E NASCITA INIZIATICA


di
Francesco Guida
Il rituale di iniziazione al grado di Apprendista mi ha sollecitato riflessioni e voli di pensiero così arditi da farmi temere di essere andato oltre le intenzioni di far emergere immagini e pensieri inerenti all ‘ argomento. Eppure, trovo forti similitudini tra la nascita biologica e la nascita iniziatica.
Il punto di partenza per queste disgressioni è la Separazione.
Quando nasce un bambino avviene una separazione dolorosa e traumatica con il corpo e con la coscienza della madre. Qui prende origine il complesso di separazione.
Prima era l’ Uno che coincideva con il Tutto, il feto era “tutt’uno” con la madre, pur essendo una individualità, un quid pluris rispetto al corpo della madre, una dipendenza da questa: con la nascita, si spezza traumaticamente questo legame. Si spezza, ma non completamente.
Il ricordo inconscio dello stato fetale, che nel processo di formazione dell’individuo – la gravidanza avanza in maniera serena, diviene “memoria araldica ” o “nostalgia dell’Eden ” o dell’Adamo prima della caduta, non abbandonerà mai l’individuo nella sua vicenda terrena.
L’ Uomo, inseguito dal complesso di separazione, ricorrerà incessantemente, consapevolmente o inconsciamente, la ricongiunzione col Tutto per tornare ad essere Tutt’uno, o per dirla con linguaggio moderno, per raggiungere l’equilibrio tra l’Io ed il Sé.
La religione, velata da simboli, riti ed allegorie, sotto questo. profilo, è stata la più antica ed efficace forma di elaborazione del pensiero umano, per raggiungere questo obbiettivo.
In tal contesto la vecchiaia, se la possibilità dell’evoluzione dell’individuo è stata fruttuosa e non sprecata, diventa il momento di preparazione a questo viaggio di ritorno, alla ricongiunzione; e quando l’evoluzione ha raggiunto i massimi livelli, si manifesta forte in individui, come i mistici o gli iniziati, persino il desiderio libero e cosciente del “passaggio ” per il ricongiungimento, dell ‘ annullamento dell ‘Io, in favore dell ‘ allungamento del Sé, che da personale diviene universale e quindi cosmico.
Il Cosmo.diventa, così, la Grande Madre, veniamo dal Tutto e torniamo al Tutto.
Ma cosa centra la Massoneria con tutto ciò?
Attraverso i suoi simboli, i suoi riti e i miti, la Libera Muratoria offre una possibilità per raggiungere questa meta, in alternativa per alcuni o in integrazione per altri, alle proposte confessionali.
Osservando da vicino il processo della nascita biologica, riscontro delle similitudini con quello della nascita iniziatica.
Il bambino muore nascendo, muore alla vita di feto in quanto la separazione dalla madre per lui è veramente la morte, la fine di un ciclo per iniziarne un altro, ma egli non sa che ne sta iniziando un altro (la dinamica è la stessa per l’uomo anziano che si avvicina alla mone fisica scarsamente evoluto: egli può sperare, più o meno convinto che ci sia qualcosa dopo la morte, ma vive l’ angoscia del dubbio). Si sente espulso dall ‘ ambiente in cui si era abituato e cresciuto, da dove ha trascorso, un tempo, al caldo e al buio, per essere proiettato violentemente, senza comprendere perché, in un altro luogo, in un’ altra dimensione. In quel momento di passaggio non può nemmeno respirare, tutte le funzioni, tranne quelle cerebrali e cardiache, sono bloccate.
Come potrebbe non vivere traumaticamente questo avvenimento?
Ma è proprio questa che impone la Vita.
Studi scientifici sulla prenatalità e sulla psicologia evolutiva hanno infatti dimostrato che proprio per il trauma della nascita l’individuo acquisisce, permanentemente, la spinta della vita, a superare le difficoltà; ed i nati da parto cesareo, che tale sforzo non hanno compiuto, durante il corso dell’esistenza si rivelano più lenti e meno attenti ad affrontare le difficoltà.
Oltre questo, il feto sente il dolore della madre, le sue urla di dolore, aumentandone l’ ansia ed il terrore.
Appena fuori, dall ‘utero, viene afferrato da mani che per lui sono dure, estranee, ostili, anche se lo contengo. no con grande delicatezza. Avverte il freddo, sensazione prima sconosciuta, e la culla, per quanto morbida, non regge il confronto col magma amniotico su cui era adagiato.
Resosi conto della diversità di ambiente, è tabula rasa sulle funzioni cognitive, si trova alle prese con il suo corpo, e non lo conosce, non sa cosa sono le braccia e si produce dolore senza comprendere come e perché.
Dove si riscontra in Massoneria il dramma della nascita?
Una risposta, ma non l’ unica né esaustiva, si può rinvenire nel Rituale di Iniziazione al grado di Apprendista: già precedentemente, il momento della tegolazione – non sembri azzardato – può essere paragonato al gioco della seduzione, all ‘ inseminazione e alla gestazione.
Due sono le ipotesi di contatto tra il profano e l’Istituzione Massonica: o contatta o è contattato.
Tradizionalmente si verificava la seconda situazione in quanto vigeva in modo il segreto dell’ appartenenza , sia degli iscritti che della sede di ritrovo tanto che gli approcci erano discreti e riservatissimi da parte degli adepti. In alcuni periodi storici, non in tutti per la verità, la tegolazione impegnava un lungo periodo dedicato alla osservazione del profano, alla raccolta minuziosa di informazioni per evitare tragici errori (l’errore di affiliare una spia si pagava con anni di prigione).
Attualmente, come è ovvio, quel tipo di rigore si è attenuato ma è ben desto il rigore morale.
Tale fase non può assimilarsi come la manifestazione del desiderio dell ‘uomo verso la donna, il desiderio di donarsi e farla propria? Non vi è in Massoneria il desiderio di allargare la catena dell ‘ unione fraterna tra gli uomini, e l’esigenza di perpetuazione del messaggio iniziatico?
La tegolazione, da sempre sottolineato come un momento delicato ed importantissimo per il futuro dell ‘Istituzione e del profano, impone da parte di che ne è incaricato, un Maestro, doti di particolare capacità, quali la sensibilità, la serenità, la lucidità, la preparazione massonica, l’esperienza . In una parola, la maturità.
Le conseguenze negative le conosciamo ciascuno di noi, con testimonianza del proprio Oriente.
La tegolazione porta ad un ‘inseminazione, non di contenuti, ma di possibilità nuove.
La Massoneria non ha da offrire dogmi ma la possibilità di usufruire e condividere un metodo di ricerca, di perfezionamento di sé stessi: sta al profano accettare la possibilità o meno.
E nasce “il fidanzamento “, periodo di conoscenza reciproca, che, per la natura stessa del rapporto, è limitato ma foriero sia intellettualmente che intuitivamente di positivi futuri sviluppi.
In questa fase, gli informatori registrano le attitudini e la situazione del profano, curando particolarmente che il soggetto “bussi alla porta del Tempio perché chiede la Luce “.
Il tegolatore, intanto, fornisce i primi stimoli per far recepire al profano di che tipo di esperienza si tratti. A “matrimonio avvenuto “, con la votazione positiva preliminare al rito di iniziazione, il profano ormai iniziando, è chiamato a vivere la prima esperienza del V.I.T.R.I.O.L., nel Gabinetto di Riflessione, dico prima esperienza in quanto non può esaurirsi nello spazio di 30-60 minuti, ma si ripresenta ciclicamente, durante la vita massonica.
La fase che merita maggior attenzione in questo momento è quella del Visita Interiora Terrae, ovvero la “discesa agli inferi” o il cammino nella “selva oscura “, la Morte. Significativa oggettivazione di vera e propria morte è il testamento: non può esservi testamento se non seguito dalla morte.
Il Gabinetto di riflessione assume, pertanto, il ruolo della odierna Sala Travaglio degli Ospedali. Dopo tanto tempo di attesa, l’iniziando sente che qualcosa di particolare sta per accadere, non sa, o non dovrebbe sapere, cosa succederà di lì a poco, è assalito da un senso di inquietudine derivantegli sia dall’ambiente insolito: stanza stretta, luce fioca, senza finestre, pareti nere, strani simboli e parole minacciose sulle pareti, e poi…il teschio e quel testamento! Dopo il necessario periodo di solitudine e di privazione delle sue risorse artificiali (i metalli), egli viene accompagnato nella Sala Parto, il Tempio, ove si compirà il mysterium dell’lniziazione ed è invitato a superare le prove.
Il superamento delle prove è un elemento naturale in ogni processo evolutivo.
In natura, affinché ci sia evoluzione, vige la legge del più forte, solo i forti avanzano e per i deboli, se non vi è distruzione, vi è quantomeno soggezione. La cultura invece ci spinge alla solidarietà ed al soccorso del più debole. Così il feto se vuol vivere deve impiegare tutta la forza di cui è dotato, altrimenti è aborto. Nelle prove d’iniziazione massonica tale momento assume valenza puramente simbolica, ma se volgiamo lo sguardo ad un remoto passato tradizionale, nelle sette iniziatiche le prove erano veramente tali, anche a rischio della vita o della integrità, e poteva accadere che il candidato non solo le superasse ma vi soccombesse o ne uscisse menomato.
Le prove, quali spinte uterine, ultimano il passaggio dalla “caverna” alla luce. E luce sia!
Dopo il drammatico travaglio c’è l’initium di una nuova vita. L’iniziato, tolta la benda che lo tratteneva nella primitiva dimensione, si guarda intorno inebetito, cerca di mettere a fuoco le immagini e vede per qualche attimo offuscato, vede, ma non comprende, assapora sensazioni nuove che hanno sopraffatto la sua capacità critica.
Come il neonato, dopo un parto regolare, è abbagliato dalla luce, elemento che prima del passaggio non conosceva, vede confusamente e non comprende, vive solo di emozioni, sente che colei, su cui è stato adagiato, è sua madre, riconosce dai differenti suoni la voce di suo padre, così, dopo l’iniziazione, il neofita viene accompagnato fra le colonne di Mezzogiorno, colonne della luce piena che possono reggere solo i Compagni e i Maestri ma non gli apprendisti, per caricarsi di quell’energia solare, buon viatico per il futuro lavoro.

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AD OCCHI NUDI. . . IN UNA NOTTE CHIARA. . .

AD OCCHI NUDI… IN UNA MOTTE CHIRA..
di
Silvio Nascimben
Il nostro sistema stellare, nello smisurato cosmo, è solo una infinitesima parte di un sistema galattico, immensamente grande, composto da una ventina di galassie che occupano uno spazio… di circa un milione e mezzo di anni luce.
Considerato che un anno luce è pari a 9,46 x 10 12 Km., la dimensione della terra, nella galassia che la ospita, non dovrebbe discostarsi molto da quella di un granello di polvere, posato su di un mobile, grande quanto la terra stessa. Se la nostra attenzione, poi, dovesse soffermarsi sulle molte migliaia di nebulose a spirale, localizzate dai telescopi elettronici, l’inquietudine di dover mettere in discussione molte cose della nostra vita, se non tutto, sarebbe la prima a farsi sentire.
Nel firmamento, che si presenta in una notte chiara, a detta degli astronomi, non più di 3/4000 stelle si possono vedere ad occhio nudo. Certo, è ben poca cosa se si tiene conto che con un moderno telescopio, a riflessione ottica, viene captata la luce di miliardi di stelle, che brillano lassù, nella Via Lattea…
Ecco riproporsi l’ antico affascinate interrogativo: “Esistono nel cosmo esseri viventi, simili all ‘ uomo?”
Questo avvincente quesito, che sollecita tra I ‘ altro inquietanti emozioni, convive con I ‘ uomo da sempre e si ripropone, pressante più che mai, ogni qualvolta si diffondono notizie di avvistamenti, nel cielo, di strani oggetti volanti, non identificati. Se i testimoni, poi, non sono i soliti mitomani, presunti messaggeri in Terra di una “non identificata” religione universale che farebbe capo a “fratellanze cosmiche”, c’è da star certi che il successo è assicurato.
Una sorta di “psichismo collettivo” contribuisce, inoltre, a diffondere una ridda di notizie che, il più delle volte si sovrappongono tanto da rendere imminente lo sbarco sulla Terra, dei “Visitors”.
Premesso che tutti i fenomeni scaturiti dal coinvolgimento di massa allontanino, in verità, l’ attenzione dai veri obbiettivi scientifici di riflessione, pur sempre punti base di approfondimento di ogni indagine, volgendo il capo al cielo, come non chiederci se siamo veramente soli, in questo immenso universo?
E’ l’astronomo Harlow Shapley che ci viene in aiuto con una serie di calcoli e supposizioni, partendo dal numero di stelle che, nel campo visivo di un moderno telescopio, si presentano in ragione di 1020. Supponendo che ad una stella su mille possa essere attribuito un sistema planetario e solo uno di essi su mille, presenti le condizioni indispensabili alla vita, il calcolo che ne deriva ci propone un risultato astronomico, pari a 10 14
Shapley, a questo punto si chiede, continuando a formulare supposizioni, che se un solo pianeta di ciascuna galassia disponga di una sua atmosfera e le condizioni indispensabili alla vita, potrebbero esservi ben oltre 100 milioni di pianeti su cui potrebbe esservi la presenza di altri esseri viventi, e 100.000 circa di essi, con civiltà di gran lunga più progredite della nostra.
Le rocce seleniche, portate sulla Terra dall’ Apollo I l e analizzate in 150 laboratori di tutto il mondo, hanno dimostrato che il carbonio, materia prima nella formazione di una molecola vivente, è presente anche nello spazio. Le “condriti carbonacee”, ovvero agglomerati di sostanze a struttura arborescente contenenti carbonio, sono meteoriti caduti sulla luna. Sulla terra esse giungono però bruciate o disintegrate a causa dell’impatto con l’ atmosfera mentre sulla luna, che ne è priva, esse arrivano intatte, frantumandosi al suolo. Per la mancanza, però, delle altre condizioni ambientali indispensabili per la vita, non vi è stato alcun seguito al prosieguo del processo vitale.
Non da meno è I ‘ interessante scoperta, emersa dall’esame del materiale lunare, riguardante le “tectiti”. Queste pietruzze che si rinvengono sul fondo marino, non certo di origine terrestre, si è sempre ritenuto fossero particelle seleniche, sfuggite alla gravità del nostro satellite a seguito dell ‘impatto violento di meteoriti sul suolo lunare. Una analisi più approfondita delle “tectiti”, a seguito dello sbarco sulla luna, ha rivelato però che la loro composizione chimica è decisamente diversa da quella dei reperti portati sulla terra dagli astronauti dell ‘”Apollo I I “: non vi può essere, a questo punto, altra conclusione che materiale organico vivente proviene, di continuo, dallo spazio..
Che dire poi delle infondate opinioni diffuse che la vita possa attecchire solo in presenza di condizioni ambientali simili a quelle sulla terra, ed in particolar modo in presenza di ossigeno e di acqua? Ciò è dimostrabile con la presenza di esseri viventi, i batteri anaerobici, che non hanno bisogno di ossigeno che, addirittura, agisce come veleno.
Non potrebbero esistere esseri viventi superiori, in grado di vivere senza aver necessità di ossigeno?
E’ noto che sulla terra esistano circa due milioni di specie viventi e solo la metà di esse, conosciute dalla scienza. Ve ne sono alcune svariate migliaia, però, che per le concezioni scientifiche oggigiorno accreditate, non dovrebbero poter vivere. Si riteneva, ad esempio, che l’acqua radioattiva fosse sterile, fino a quando si è scoperto che alcune specie di batteri si erano adattati a vivere nell’acqua in cui vengono immersi i reattori nucleari.
Notevole interesse suscitò l’esperimento compiuto dal dr. Siegel che in laboratorio ricreò le condizioni vitali dell ‘atmosfera del pianeta Giove. In quella atmosfera, concordemente ritenuta da tutti “non adatta” alla vita, composta di ammoniaca, metano e idrogeno, egli allevò acari e batteri.
L’era spaziale è da poco iniziata!
Fino ad oggi, la nostra attenzione si è limitata ad osservare e studiare quanto sul nostro pianeta era ed è a portata di mano; a farci apprezzare le mutazioni delle stagioni, l’abbondanza di acqua potabile e le illimitate scorte di ossigeno tanto da ritenerlo, di conseguenza, ineguagliabile ed unico nell’universo. Ma l’universo è finito o infinito?
Questa medesima domanda venne posta ad Archita di Taranto, filosofo e musicista, discepolo di Pitagora e amico di Platone. “Immaginando che l’universo abbia un limite, e che sia finito, sarebbe possibile, quindi, camminare da un capo estremo all’ altro, dell’universo, portandosi dietro una lancia , rispose Archita. “Arri vati al punto limite dell ‘ universo, oltre il quale c’è il vuoto, se scagliassimo la lancia il più distante possibile, non vi sarebbe nulla a fermarla ed essa cadrebbe, in un punto distante, più lontano. Se giunti in quel punto rilanciassimo la lancia, essa cadrebbe ancora più lontano, in un punto raggiungibile, dove poter effettuare un altro lancio. Quindi – concluse Archita – l’universo non può avere un limite e di conseguenza è infinito”.
La Bibbia, il libro dei libri, ciò nonostante, è ricco di contraddizioni e di misteri tanto che la Genesi inizia con la “creazione della terra”. A questo punto, ci si chiede, come facesse il redattore di quel tempo a sapere che geologicamente i minerali avevano preceduto i vegetali, e gli animali?
Nessuno è riuscito ad interpretare il passo della Genesi: “E gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della Terra, e furono nate delle figlie. Avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte…” (6, 1-2) . Chi erano i figli di Dio?
Ecco, ancora una volta, ricomparire i “figli di Dio” che, mescolandosi agli uomini, ci ripropongono I ‘ antico triplice, affascinante e misterioso interrogativo: “Da dove proveniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” Ma… eccomi immerso, nell ‘immensità del buio che mi circonda, a chiedermi, scrutando affascinato, l’immenso e meraviglioso cielo stellato, da quale stella lontana sia giunta, qui sulla terra, l’uomo e con egli, la vita…
Mi chiedo poi, assalito da un’ inquietudine sempre più crescente, a seguito di rapidi calcoli atti a stabilire il tempo che impiega la luce, ad arrivare fino a noi, nonostante l’incommensurabile sfarfallio di stelle nel firmamento, quante di esse, purtroppo, non sono, oramai, più in vita…
E se la stella madre, quella da cui la vita terrestre ha avuto origine un giorno lontano, la nostra patria, fosse… già morta…?.

“Nel mezzo di tutte le cose sta il sole… e così come seduto su un trono reale, il sole regge la famiglia dei pianeti che gli ruotano intorno.’ •

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GUGLIEMO TELL

Le notizie di questo personaggio sono in realtà leggendarie, non supportate da documenti storici. La “saga” si colloca tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300. Il personaggio sarebbe nato ai piedi del San Gottardo, in un paese chiamato Bürglen (Canton Uri). Il territorio svizzero era a quel tempo occupato dagli Asburgo, che governavano tramite i balivi. Tell doveva essere un tipo fumantino, l’incarnazione del “rivoluzionario” che combatte per la libertà del suo popolo. Abilissimo nell’uso dell’arco e della balestra, mal sopportava i soprusi di un governo straniero sul territorio elvetico. Un giorno di novembre 1307 Tell si trovò a viaggiare nel capoluogo regionale, ad Altdorf dove, nella piazza pubblica, era stato issato su un’asta il cappello imperiale, simbolo dell’autorità asburgica, che doveva essere riverito da chiunque passasse, pena la confisca dei beni o la morte! Guglielmo Tell però ignorò tale disposizione e il giorno seguente venne citato in piazza, dove doveva esporre le proprie giustificazioni. In cambio della vita, Tell fu costretto a colpire una mela posta sul capo del figlioletto (episodio passato alla storia) ma nel caso avesse colpito il bambino e non il frutto, una seconda freccia era già pronta per uccidere il balivo Gessler. Per tale motivo, Guglielmo venne incatenato, portato via e issato su un barca che doveva condurlo nella prigione di Küssnacht, ma durante la traversata si scatenò una tempesta sul lago. Conoscendo l’abilità di Tell come timoniere, i marinai lo liberarono sperando che egli avrebbe messo in sicurezza l’imbarcazione ma l’intrepido giovane aveva altre mire:con un gran balzo saltò dalla nave verso la riva e spinse al largo il natante. Questo episodio sarebbe accaduto a Ingenbohl (odierno comune in cui si trova la frazione di Brunnen) nel luogo dove sorse, in seguito, una Cappella dedicata all’eroe (Tellsplatte).Direttosi comunque segretamente nei pressi di di Küssnacht, dove si trovava il castello del balivo Gessler, attese il passaggio obbligato del tiranno lungo la Via Cava. Il balivo fu ucciso in un agguato tesogli da Tell il 1 agosto 1308. Guglielmo divenne così l’eroe popolare della liberazione della Svizzera originaria. Da quell’episodio il popolo prese il coraggio di ribellarsi contro la tirannide, cacciando via i balivi dalle loro terre, assediando i castelli e liberando i Cantoni. Guglielmo Tell avrebbe dato manforte nella battaglia di Morgarten, a fianco dei Confederati (Uri, Svitto, Untervaldo) che si concluse con la vittoria di questi contro l’esercito imperiale (1315). Guglielmo Tell visse il resto della propria vita nel rispetto e nella stima di tutti, e sarebbe morto nel 1354, nel tentativo di salvare un bimbo dalla piena del torrente Schàchen.
Fonti scritte
Si deve attendere il 1470 perché la prima fonte scritta parli di lui, ne “Il libro bianco di Sarnen” (redatto dal cavaliere Hans Schriber); che raccoglieva cronache e dati storici della Confederazione elvetica (recentemente il testo è stato digitalizzato). Nel 1545 venne pubblicata la Canzone della fondazione della Confederazione elvetica (autore anonimo), nella quale Guglielmo Tell muore annegato dal tiranno Gessler nel lago di Lucerna. Senza dubbio è però nel “Chronicon Helveticum” (1550, autore Aegidius Tschudi) che si ha la trasmissione della storia più completa di Tell, in cui si riferisce della morte eroica nel fiume Schàchen per salvare la vita a un bambino. Tale episodio fu rappresentato in un affresco del 1582 della Cappella di Bürglen. Esistono leggende simili nei paesi nordici (come nelle Gesta Danorum e la storia norvegese di Eindridi).
Nell’arte, Guglielmo Tell è stato molto rappresentato e ciò ha consentito alla sua figura di giungere fino a noi in tutto il suo fascino. Il drammaturgo tedesco F. Schiller ne scrisse nel suo Wilhelm Tell, 1804), che si radicò fortemente nell’animo svizzero e dal quale G. Rossini trasse l’idea per la celebre opera lirica Guglielmo Tell, nel 1829. Film per il cinema e la tv sono stati prodotti nel corso del tempo, a partire dal 1911, nonché brani musicali, fumetti e testi scolastici. Artisti come Salvador Dalì hanno rappresentato il personaggio in una chiave complessa ed ermetica. In ogni tempo, la figura di Tell fu usata per rappresentare l’unità, l’indipendenza e la libertà della Svizzera, ad esempio nella Guerra dei contadini del 1653 o nel 1798, dopo l’occupazione dell’armata rivoluzionaria francese e dopo la creazione dello Stato Federale del 1948 in cerca di unità e identità. Ancora oggi l’effigie di Tell compare su francobolli e banconote, e come sigillo di qualità su molti oggetti di uso quotidiano.
*Sulle tracce di Tell…
Il primo luogo che siamo andati a visitare, trovandoci in visita a Brunnen, è stata la Tellsplatte (Cappella di Tell). Isolata e prospiciente le acque del lago di Uri (Quattro Cantoni), è una deliziosa costruzione raggiungibile in traghetto o a piedi (dal parcheggio dell’Hotel Tellsplatte (Axenstrasse). La Chiesetta fu realizzata nel punto dove, secondo la tradizione leggendaria, Guglielmo Tell sarebbe balzato giù dalla barca che doveva condurlo nella prigione di Küssnacht, per aver oltraggiato Gessler. Nello stesso luogo si era pensato di erigere una statua colossale dell’eroe, per desiderio del re Ludovico II di Baviera; l’opera doveva ergersi direttamente dall’acqua e doveva essere talmente monumentale che i battelli a vapore vi potessero transitare in mezzo alle gambe! Non se ne fece nulla. In compenso, nel 2001, venne posizionato sopra la Cappella il più grande carillon svizzero che esegue melodie diverse allo scoccare di ogni ora. L’attuale Cappella data al 1879-1880; al suo interno si ammirano quattro bellissimi affreschi dell’artista basilese Ernst Stückelberg che illustrano quattro momenti salienti delle gesta di Guglielmo Tell: “Il giuramento del Grütli”, “Il tiro alla mela”, “Il salto di Tell”, “La morte di Gessler nella Via Cava”.
Portatici, in un altro dei nostri sopralluoghi, a Küssnach am Rigi, ai piedi del Monte Rigi, ci siamo diretti verso l’esplorazione di altri luoghi legati alle gesta di Guglielmo Tell. Il paese è un delizioso borgo adagiato sul Lago dei Quattro Cantoni, a soli 8 km da Lucerna; noto oggi soprattutto come meta turistica ma è stato molto importante per la storia svizzera, per la presenza della “Via Cava” e delle rovine del Castello di Gessler, ancora oggi visitabili. Lo scrittore tedesco J. W. Goethe ebbe modo di fermarsi a Küssnach durante il suo viaggio attraverso la Svizzera, e ne restò incantato.
La Via Cava. (Hohle Gasse) storicamente fu un tratto dell’importante via commerciale tra il Lago di Zugo e quello dei Quattro Cantoni (collega Immensee a Küssnach). Sulle vie d’acqua, sempre meno difficoltose di quelle dei sentieri primitivi, viaggiavano nel Medioevo, verso sud o verso nord, tonnellate di merci come stoffe preziose, spezie, frumento, vino, formaggio e animali produttivi.
La Via Cava divenne nota soprattutto per la leggenda di Guglielmo Tell, dove sarebbe morto il suo nemico giurato, il balivo Gessler (assassinato da Tell stesso). Fu l’opera di Schiller a renderla un luogo commemorativo per la storia nazionale elvetica, ma questo luogo storico venne pesantemente trasformato negli anni tra il 1822-’23 e il 1882 a causa di un ampliamento per facilitare l’accesso dalla stazione di Immensee in seguito all’apertura del Gottardo.
Nel 1930 si fece sempre più forte la richiesta di trasformare il sentiero in una strada interurbana e fu allora che gli animi si ridestarono: si decise di mantenere la Via Cava nella sua forma originale. Gli scolari svizzeri fecero una colletta (potevano acquistare una cartolina illustrata della Via Cava per pochi franchi) e in tal modo si accumulò un notevole patrimonio con cui si finanziarono i lavori. La Fondazione Svizzera per il mantenimento della Via Cava venne istituita nel 1935 e la stessa Via Cava venne riportata nel suo stato di antico sentiero in un anno. Per il traffico motorizzato venne realizzata una strada parallela nel 1937.
La Via Cava è un percorso pedonale breve ma di intensa suggestione! Ai bordi si ergono massi di varia dimensione (non dimentichiamo che era inizialmente un sentiero incassato tra pareti rocciose), ciottoli della pavimentazione fanno ripiombare nel Medioevo e le fronde degli alberi, ripiegate sul sentiero, lo rendono cupo e oscuro, creando un’atmosfera di perfetto misticismo.
All’estremità superiore della Via Cava si erge la Cappella di Tell (Tellkapelle), che commemora – secondo l’opera di Aegidius Tschudi (1530) – il luogo dove Guglielmo Tell avrebbe ucciso il balivo Gessler. La chiesetta venne restaurata completamente una prima volta nel 1638. la dedicazione fu dapprima a Santa Margherita e poi ai Quattordici Santi Ausiliatori. All’esterno si trova un affresco del 1905 che ritrae la scena della morte di Gessler mentre internamente è conservato il dipinto della morte di Tell a Schächenbach. La Cappella è stata restaurata nel 1987; nel 2005 la Via Cava è stata interamente sistemata e riaperta al pubblico, è infatti stata prolungata di 80 m con un sentiero laterale accessibile anche da persone su sedia a rotelle. All’inizio del sentiero si trova una innovativa postazione o padiglione espositivo che offre gratuitamente informazioni premendo un pulsante (parlato anche in italiano!).

Dipinto che illustra idealmente l’annegamento di Guglielmo Tell, dopo aver salvato un bambino (interno della Tellkapelle al termine della Via Cava a Kussnacht)
Il Castello di Gessler (Gesslerburg) si raggiunge a piedi attraverso la Via Cava. Nei pressi, prima di salire il sentiero che porta alle vestigia del maniero, si incontra il pittoresco Knochenstampfe, un mulino ad acqua realizzato nel 1877. Paesaggio fiabesco, che ci fa indugiare parecchio ai bordi di un piccolo laghetto alimentato da una sorgente. Il tempo sembra essersi fermato in quel luogo!
Ci decidiamo ad allontanarci e imbocchiamo il sentiero (Via Cava) per salire all’antica fortezza di Küssnacht, chiamata anche Castello di Gessler. Ne restano soltanto dei ruderi ma assai suggestivi. Le origini del maniero non sono chiare; si sa che esisteva già nel IX secolo perché è citato in un atto di donazione al convento di San Leodegar di Lucerna da parte di un nobile chiamato Recho. Rodolfo I d’Asburgo lo acquistò nel 1291 e da allora passò di mano in mano di famiglie gentilizie. Chi abitava il castello prendeva il titolo di “nobili di Küssnacht”. Nel 1491 sappiamo che la fortezza era di proprietà della casata von Silenen, tra cui ricordiamo Kaspar (1467-1517) , che fu il primo comandante della Guardia Svizzera pontificia (fondata da papa Giulio II a Roma). Kaspar compì però un grave errore: arruolare mercenari in Svizzera, pratica vietata, così venne condannato a morte in contumacia dai Confederati e subì pure la confisca dei beni, tra i quali proprio il Castello di Küssnacht.
Purtroppo quest’ultimo divenne cava di pietre per materiale da costruzione (con esse si realizzò, ad esempio, la parrocchiale della cittadina, XVIII secolo). L’arresto della depredazione avvenne nel 1908, quando la Confederazione elvetica lo acquistò per conservarne la memoria storica nazionale. Tra il 1908 e il 1916 le rovine vennero scavate e riportate in luce e in tal modo si scoprirono importanti reperti di un lungo periodo, datato tra il XIII e il XVII secolo, che consentirono di dedurre che il patrimonio dei castellani dovesse essere cospicuo. Nello stesso periodo vennero eseguiti restauri conservativi e ricostruzioni parziali; tra il 2003-2004 sono stati condotti risanamenti edilizi ed oggi il maniero è accessibile gratuitamente dal pubblico. Fin qui la storia, ma chi ci dice che il castello appartenne anche al balivo Gessler? La prima fonte a parlarne risale al 1512-’13 (“Urner Tellenspiel”), nella quale è scritto che vi aveva abitato il tiranno, cosa che rimarcò anche il già citato storico e statista Tschudi nella sua opera Chronicon Helveticum, aggiungendo che la fortezza funse anche come prigione (dove, secondo la leggenda, doveva essere condotto Guglielmo Tell). Nel 1804 fu Schiller, nel dramma “Wihlelm Tell”, a romanzare la scena in cui l’eroe è sicuro che il balivo passi per la Via Cava, uscendo dal castello, essendo quella l’unica strada percorribile. Così, attendendo il despota che effettivamente passò a cavallo con i suoi sgherri, Tell potè scoccare la freccia mortale, che decretò l’inizio della ribellione della popolazione e l’indipendenza della Svizzera.
Non siamo riusciti a chiarire il mistero della verità storica di Guglielmo Tell e forse è giusto che sia così, ma certamente siamo tornati da questi sopralluoghi con l’entusiastica gioia di aver compiuto l’ennesima avventurosa ricerca di luoghi che spesso sfuggono al turismo di massa o ai visitatori troppo frettolosi. Il nostro suggerimento è di riservare una giornata o più a questo itinerario, se state programmando un soggiorno un po’insolito sul favoloso Lago dei Quattro Cantoni.
Per chi desiderasse approfondire, è disponibile in lingua italiana la guida “Il Castello di Gessler con la Via Cava e la Cappella di Tell”, di M. Bamert, V. Kessler, K. Michel, I Zemp, Società di Storia dell’Arte in Svizzera SSAS, serie 79, n. 790, Berna 2006. Può essere acquistata presso Hohlgässland Tourismus Küssnacht, 6403 Küssnacht am Rigi.

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Di tutto il sistema Lurianico ( Rabbi Luria -Ari il Leone 1534 – 1572 ) è diffusamente noto soltanto lo schema chiamato
“L’Albero della Vita”. Egli esamina invece molti concetti del pensiero mistico giudaico con la tecnicmaieutica del porre domande pertinenti, ma provocatorie. Inoltre da una spiegazione ben specifica del modo di agire delle forze spirituali, in un suo senso del tutto particolare. Cercheremo di esaminare pi profondamente qualche concetto della Cabala. Non si pensi di apire con questo l’ultima Porta della Conoscenza, e di accedere cosi alla Verità. Nella Cabala si parla sempre soltanto di proposte e di ipotesi,che sono da verificare innanzitutto alla luce della conoscenza in generale e poi nella propria coscienza.
L’approccio a tale comprensione consiste necessariamente in un continuum di esperienze fìsiche , intellettuali e spirituali , ricavate da fonti diverse in un lungo periodo di tempo, oltre che di illuminazioni vere e proprie. Il desiderio dell’uomo di comprendere la sua posizione nel mondo e la sua relazione con il Creatore é universale, sebbene si manifesti nella vita pratica in modi diversi, la via della Cabala é una via specificamente adatta alle mentalità scientifiche e mistiche contemporaneamente. Storicamente la Cabala è un Corpus di opere che può ben essere considerato come l’esoterismo giudaico.MTratta dell’ intersezione delle forze cosmiche spirituali e la loro relazione con l’uomo, del concetto di Creazione e delle su conseguenze nella vita. La parola stessa, Cabalà, esprime un’idea di ricezione attraverso la tradizione (infatti il verbo ebraico Le-Kabel signifìca Ricevere), tramandata da generazione in generazione, e ricevuta dagli ebrei come parte della rivelazione del Sinai. L’opera principe della Cabala è lo ZOHAR, un lungo trattato scritto in aramaico, che si presenta come un commentario ai cinque libri di Mosè. La Cabala o Albero
della Vita è la struttura e il diagramma più noto e importante nella dottrina cabalistica, che non può essere considerata come una branca qualunque delle scienze umane, ma è la ” Scienza della Vita e della Morte”. Studiandola l’uomo Mcomincia a comprendere le leggi sacre che governano l’Universo, il suo ruolo, la sua missione nella Vita L’Albero della Vita descrive,la via che unisce ilNCreatore al creato, l’InfinitoNcon il finito, il PerfettoNcon l’imperfetto, l’Eterno Mcon l’ impermanente .NÈ una fonte costante d’ispirazione per chiunque ricerchi la verità interiore, ed è il cuore della tradizione misterica occidentale. Seguendo tale Mvia potremo espandere la consapevolezza al di la dei confini che tutt’ora la restringono e la angustiano. L’Albero Sephirotico è l’insieme degli insegnamenti rivolti a farci conquistare e mostrarci il dono più importante, l’eternità della vita, della consapevolezza. La rappresentazione dell’Albero della Vita è un disegno schematico costituito da dieci entità, chiamate Sephiroth, disposte lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistra, tre a destra e quattro al centro. Il pilastro; centrale si estende al di sopra e al disotto degli altri due. Le Sephiroth non rappresentano solamente importanti concetti metafisici, ma anche situazioni pratiche Med emotive che ognuno di noi attraversa nella vita di ogni giorno: sono infatti dieci stazioni che unificano la complessità della vita umana. Il loro studio esprime la tecnica, i procedimenti operatori, con cui l’Assoluto o Verbo Creatore condiscende alla Sua creatura per innalzarla a sé.
Secondo gli insegnamenti dei Maestri, l’Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi, è il piano usato da Dio per rivelare la Sua infinita potenza creatrice, è il cammino di discesa lungo il quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita lungo il quale l’intero creato può ritornare al traguardo a cui tutto anela: l’unità perfetta presente all’interno del grembo del Creatore” secondo una famosa espressione cabalistica.
L’Albero della Vita è la scala di Giacobbe, la cui base è appoggiata sulla terra e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli salgono e scendono in continuazione, insieme alla consapevolezza degli esseri umani. Suo tramite scende il nutrimento energetico che ha origine nei campi di Luce Infinita che circondano la creazione, restringendosi e suddividendosi fino a raggiungere gli esseri che ne hanno bisogno per sostenersi in vita. Lungo di esso salgono le preghiere e le forme di coscienza di coloro che cercano Dio,
per esplorare reami sempre più vasti e perfetti dell’Essere. Secondo lo ZOHAR (Libro dello Splendore), la
grande novità che l’Albero della Vita ha rivelato nei mondi è la presenza di tre pilastri o vie, grazie alle
quali il mondo viene unito alla MATKALA, la Bilancia superna, sede di tuttol’equilibrio e l’armonia.
Senza tale connessione il mondo non può raggiungere l’eternità, ma deve subire ciclicamente delle
distruzioni catastrofiche. Lo Zohar parla di due creazioni: la prima è chiamata “stare in piedi su di una
gamba sola” e si riferisce ad una situazione nella quale le dieci potenze cosmiche, le Sephiroth, si trovano disposte’lungo una sola linea, ciò è simbolo di instabilità e provvisorietà, cosi come un essere umano non può stare a lungo in piedi appoggiandosi su di un’unica gamba, anche la prima creazione era temporanea e impermanente. Viceversa, esiste una seconda creazione, modellata secondo l’Albero della Vita e la Bilancia superna. I suoi pilastri le conferiscono stabilità, durata e solidità. La sua continuità si estende all’infinito, e permette al mondo di vincere la legge dell’entropia, che nell’essere umano significa la morte.1 tre pilastri dell’Albero della Vita corrispondono alle tre vie iniziatiche: Facile (destra) Difficile (sinistra), Regale (centro). mediana ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Tuttavia anche le altre due vie sono ugualmente portanti e sante, e nessuna creatura può fare a meno di muoversi lungo tutte e tre. Se privato del pilastro centrale l’Albero diventa quello della conoscenza del bene e del male, dal quale proveniva il frutto che portò la morte in Adamo e nel genere umano. L’insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell’Albero della vita rimane quello che, data una qualsiasi coppia di opposti, è sempre possibile trovare un terzo fattore equilibrante, che li integri in un insieme coerente.
Il discorso vale soprattutto per le componenti maschilee femminile della coscienza umana, ma anche per ogni qualsiasi coppia di opposti, sia dal mondo fisico che in quello psicologico come pure in quello spirituale. Spiegano i cabalisti che il motivo principale per cui Adamo ed Eva si lasciarono ingannare dal serpente va rintracciato nel fatto che il loro rapporto non era ancora perfetto. Il peccato di Adamo consiste nell’aver dedicato la sua attenzione e interesse alla dualità e alla separazione, senza prima aver portato tale unità all’interno della sua relazione con Eva. in altre parole Adamo avrebbe dovuto prima di tutto cibarsi dell’Albero della Vita, e solo in seguito di quello della conoscenza. cosi avesse fatto, il primo frutto l’avrebbe irrobustito a sufficienza da far sì che il secondo sarebbe stato innocuo.
Dopo aver perso lo stato paradisiaco del Giardino dell’Eden, l’umanità non ha più accesso diretto all’Albero della Vita, l’unica vera risposta ai bisogni di infinità, di gioia e di eternità che ci portiamo dentro.
Nella nostra esperienza quotidiana, le due polarità fondamentali dell’esistenza, interagendo continuamente
tra di loro, danno luogo ad una moltitudine di espressioni via via sempre più complesse. L’Albero della Vita esemplifica tale mutevole realtà in dieci componenti principali, chiamate SEPHIROT.
Esse sono l’origine di interi settori del creato, sia nel mondo fisico, che in quello psicologico, che in quello
spirituale. Il primo esempio di divisione in dieci ci viene dalla stessa Scrittura, che nel Sefer Bereshit (Libro dalla Genesi) nomina dieci volte la frase: “va- yomeElohim” (E Dio disse,,,). Ad ognuna di queste espressioni seguì la creazione di dieci diversi gruppi di entità ciascuna corrispondente ad una particolare Sephirah dell’Albero della Vita.
Osservando l’universo fisico, un primo esempio di come L’Albero della Vita sia il piano secondo il quale
la creazione è avvenuta, ci viene dalla struttura stessa del sistema solare. Al suo centro c’è il Sole, che rappresenta la Sephirah chiamata KETER o CORONA, la più alta dell’Albero, dalla quale proviene la luce che
riempie e vitalizza tutte le altre. I nove pianeti chegirano intorno al Sole rappresentano le altre nove
Sephiroth.
Nello studiare le caratteristiche di ciascuna di esseè possibile vedere emergere una spiccata similitudine
con le caratterstiche astronomiche e astrologiche possedute dal pianeta corrispondente. Si noti come
la struttura dell’Albero già conteneva il posto per i trepianeti più lontani dal Sole, scoperti solo di recente.
Nel caso in cui la scienza rivelasse l’esistenza di un altro pianeta, esso si collocherà al posto dell’undicesima
Sephirah, chiamata DA’AT o CONOSCENZA, una misteriosa Sephirah che pur avendo un ruolo importantissimo nell’Albero non è tuttavia contata insieme alle altre. Nell’ambito umano le dieci Sephiroth
sono dieci stadi della consapevolezza individuale, o le “dieci potenze dell’anima”.
Al primo posto in alto troviamo la condizione per altro raramente sperimentata, di totale trasfigurazione di sé stessi nel trascendente (Keter – Corona). Vi sono poi due forme diverse di conoscenza intellettuale (Chokhmà e Bina, Sapienza e Intelligenza), corrispondenti ai due modi diversi di percepire la realtà, tipici dei due emisferi cerebrali: il primo più artistico e intuitivo, il secondo più logico e razionale. Dopo ciò, vi sono dall’opposizione fondamentale tra CHESED o AMORE e GHEVURAH o FORZA. Queste due Sephiroth corrispondono alla forza dell’attrazione e a quella della repulsione, all’amore e al suo opposto. Infine l’ultima Sephirah (Malkhut – Regno) corrisponde ad uno stato psicologico molto vicino alle contingenze del mondo fisico e delle, sue necessità.
Cercheremo di capire meglio di cosa si parli quando si nomina la parola “Sephiroth”. È questo uno deconcetti più importanti della Cabala, il più popolare e noto tra tutti i concetti di questa disciplina così complessa. La prima delle dieci Sephiroth, contando dal basso, è Introduzione alla Cabala
Malkhut, il Regno. È la stazione di partenza nel cammino di risalita lungo la via dell’Albero della Vita,
per ritornare al luogo ove il potere della morte cessa completamente. Agli inizi Malkhut è solamente una
sensazione di mancanza, di vuoto, di dipendenza e di passività, è la stazione finale della discesa del flusso
luminoso, è il luogo dove il processo deve capovolgersi, e dove le creature devono imparare a trasformare il
desiderio di ricevere in desiderio di dare. Malkhut è per eccellenza la Sephirah “femminile”, il
culmine di ogni processo di ricezione, pur essendo la più bassa e “povera” delle Sephiroth ha un ruolo fondamentale e insostituibile, in quanto raccoglie in sé il significato profondo di tutto l’Albero della Vita.
Pur essendo YESOD al di sopra di MALKHUTH, esso è chiamato “il fondamento”, poiché Mlkhuth
da sola non potrebbe sostenersi. Yesod è il canale nel quale confluiscono tutte le diverse energie e le luci
provenienti dalle varie Sephiroth dell’Albero della Vita, è che le unifica e le concentra, prima di farle
scendere dentro i recipienti inferiori.
Yesod è la prima (dal basso) di un gruppo di sei Sephiroth che costituiscono tutt’insieme il mondo dell’emotività, nelle sue varie tonalità e componenti. Esse sono: Chesed (amore), Ghevurà (forza), Tifereth
(bellezza), Netzach (vittoria), Hod (splendore), Yesod (fondamento). La Cabala dice che esse esemplificano
tutta la possibile gamma delle emozioni umane.
Continuando a percorrere la via della crescita spirituale, il cammino di risalita dal luogo della morte e dell’oscurità a quello della vita e della Luce infìnita, arriviamo alla Sephirah HOD. In Hod siamo animati dal desiderio di trovare la comunità a cui apparteniamo, qui i discepoli si riuniscono intorno al Giusto che genera un tipo particolare di energia. Ciò avviene soltanto se l’amore e l’amicizia controbilanciano le spinte centrifughe che inevitabilmente si creano tra i vari membri di un gruppo. Inoltre, Hod è quel tipo di luce e di energia particolare che esce dalle mani del Gran Sacerdote, tese a benedire il suo popolo, o del maestro mentre sta dando l’ordinazione o l’iniziazione al discepolo. L’Albero della Vita contiene una serie quanto mai vasta di dinamiche interattive tra le varie Sephiroth, sia se considerate nel loro insieme, sia se suddivise in coppie o in triadi.
NETZACH e HOD sono una di tali coppie fondamentali, in quanto si trovano sullo stesso livello e sono posti
l’uno a destra e l’altro a sinistra. Ciò significa che esse posseggono qualità polari e mutuamente integrative.
NETZACH significa ETERNITA’, e consiste nella capacità dell’anima di dare continuità nel tempo alle emozioni positive, la prima delle quali è l’amore. L’altro significato del nome Netzach è: VITTORIA,
possiede infatti sia il senso di ETERNO che di VINCERE. La Vittoria è il premio della perseveranza, della
fedeltà ai propri impegni morali e spirituali, e la vittoria contro la morte stessa.
Dopo HOD e NETZACH, continuando la nostra ascesa lungo l’Albero della Vita, arriviamo alla Sephirah più
centrale, al suo stesso cuore: TIFERETH. la bellezza. Essa è posta a metà del cammino: è il giusto mezzo,
a metà strada tra alto e basso, tra destra e sinistra, è la constatazione e la rivelazione della profonda bellezza Insita nella creazione e quindi nel suo Autore.
Le sette Sephiroth inferiori sono emozioni dell’anima, Tifereth è il sentimento-emozione che il cuore prova
nel l’osservare, nell’ammirare e nel vivere la bellezza.
La Sephira immediatamente al di sotto di Tifareth è Yesod, il Fondamento e la Verità. Dunque Tifereth è la
Bellezza fondata sulla Verità. Le prossime due Sephiroth che esamineremo, GHEVURAH (Forza) e CHESED (Amore) costituiscono una coppia altamente complementare, una essendo il braccio sinistro e l’altra il braccio destro dell’Albero della Vita. Forza e Amore sono le due emozioni basilari
dell’anima. L’importanza del loro interagire si può dedurre dalla metafora che afferma che queste due Sephiroth,sono le due ali dell’essere umano, ciò che lo rende simile agli angeli. Ghevurà è una prova iniziatica molto severa e difficile, è l’accorgersi di essere saliti in alto, è la paura di compiere uno sbaglio che ci faccia cadere rovinosamente, poiché nel cammino spirituale più si cresce e più aumentano le responsabilità. Ghevurà è tutto ciò che pone un limite all’espansione e alla crescita indiscriminata.
nasconde e oscura, nega, giudica e punisce, nulla viene dato gradualmente ma ogni cosa va guadagnata
con fatica e sforzo. Con CHESED raggiungiamo la sesta delle emozioni dell’anima, l’ultima partendo da Yesòd. L’Amore è la forza d’attrazione che tende ad avvicinare e ad unificare a dispetto delle differenze e delle divisioni, è l’elemento fondamentale dell’esistenza, il donare gratuitamente se stessi, è il principio su cui il cosmo intero è basato e trae l’esistenza.
Dopo Chesed, lungo il cammino di risalita dell’Albero della Vita, entriamo in un regno completamente diverso: quello della Triade superiore. BINA è il senso discriminante e indagatore, che permette la percezione dell’intelligenza operativa che anima la realtà naturale, è l’intelligenza di pianificare e di effettuare un processo mirante non solo alla liberazione dell’anima del corpo e dei desideri fisici, ma a trasformare la materia intera in una dimora per il divino “costruendola” in un modo
ben specifico, secondo le istruzioni Divine. La felicità è la caratteristica costante dell’operare di Bina. Essa è madre, è il pensiero che controlla le emozioni, non reprimendole, ma generandole e dirigendole, come una
madre che dà la vita ai suoi figli, li nutre e li educa. Bina è la decisione consapevole di amare ciò che è
bene e di respingere ciò che è male. CHOKMà è la Sephira che si trova all’origine del lato destro dell’Albero della Vita. Bina rappresenta uno stato al di sopra della percezione diretta, Chokhman sottolinea tale trascendenza, inaccessibile al comune intelletto umano, per questo motivo la sapienza è il più raro e prezioso dei doni. Chokhmà è la rivelazione improvvisa e brevissima di una luce, di un’idea troppo potente se essa colpisce direttamente il cervello. È un attimo di visione della verità superiore, Chokhmà é infatti la velocità.
Con DA’AT arriviamo ad una stazione molto misteriosa della nostra ascesa lungo l’Albero della Vita. Pur essendo chiamata “conoscenza” Da’at e ben lungi dall’identificarsi con ciò che i vari tipi di culture umane, intendono con questo concetto. Da’at è una sephira molto paradossale, poiché pur facendo parte dell’Albero della Vita non viene contata con le altre. Dice il Libro della Formazione “dieci e non nove, dieci e non undici”. La presenza di Da’at contraddice la dichiarazione del Libro della Formazione. Com’è possibile che pur avendo detto che le sephirot sono solo e soltanto dieci ne
salti fuori un’undicesima? La risposta alla domanda va trovata nel fatto che Da’atnon è una sephira vera e propria ma soltanto d’unione di tutte le altre. Ogni sephira è costituita da un recipiente che ospita un tipo di luce particolare. Da’at non ha un recipiente suo proprio, ma utilizza quello di Bina. Per questo che “conoscenza” (Da’at) e “intelligenza” (Bina) sono sinonimi. Quando Da’at non funziona in modo sufficiente, la conoscenza cessa di essere unificatrice. Dell’Albero della Vita si dice che era “nel mezzo del giardino”, e dopo di esso si fa menzione dell’Albero della Conoscenza . La differenza tra i due non è così grande. Essi sono vicini: l’Albero della Vita ha la sephira
Da’at rettificata, e funziona su tre pilastri. Il pilastro centrale offre la mediazione continua tra ogni tipo di
opposti , permettendo il riciclaggio dell’energia e il suo Introduzione alla Cabala periodico rinnovamento. L’Albero della Conoscenza del Bene e del Male invece ha solo due colonne, destra e sinistra, la conoscenza è separatrice, il giudizio è la forza dominante. Gli opposti non possono integrarsi e le sephirot restano isolate le una dalle altre. Se Da’at ha dei difetti abbandona il pilastro centrale e si ritira a sinistra nella sephira Bina. Privata della sua radice più importante, la colonna centrale cessa di funzionare.
Keter è troppo in alto per poter far sentire i suoi effetti sul resto dell’Albero, se non tramite Da’at. Il peccato di Adamo-Eva consiste nell’aver preposto la conoscenza separatrice a quella unificatrice.
Siamo così arrivati al culmine del percorso di risalita dell’Albero della Vita, più alta e più perfetta.
Alla radice superiore dell Albero ogni altra sephira è un misto di luce e oscurità, KETER è pura luce.
Keter é il serbatoio di luce infinita che alimenta tutto il creato, la totalità dell’essere, la somma di tutta
l’esistenza e di tutta la non-esistenza. Keter è nel Super-cosciente, onniveggente ed onnicomprensiva,
è il Divino in noi, fiume di energia positiva prodotto dalle buone azioni, dalle lodi e dalle preghiere che
gli esseri umani rivolgono a Dìo, è la sorgente della Luce Diretta che rinnova e mantiene l’intera creazione
istante per istante, e gioisce delle buone azioni e delle preghiere di quelli che sono coscientemente
sulla via del Ritorno e si sono caricati del giogo del Regno dei Cieli.
In Keter non c’è alcuna forma, né movimento, ma soltanto pura Esistenza, Coscienza e Beatitudine.
La mente umana non conoscendo alcun modo di esistere che prescinda dalla forma e dall’attività,
non può formulare nessun concetto adeguato ad uno stato di completa passività, senza forma e tuttavia ben distinto dal Non-Essere.
Questo sforzo va fatto, se non vogliamo rimanere confinati in una perpetua dualità dove Bene e Male si trovano in eterno conflitto. Dobbiamo raggiungere Keter e completare la Grande Opera.
Le buone intenzioni hanno scarso peso nella bilancia della Giustizia Cosmica, saremo riconosciuti e potremo
entrare nel Palazzo del Re soltanto quando sarà completa la Grande Opera. Non esiste Grazia nella Giustizia Perfetta, tranne quella che ci dà il permesso di provare sempre di nuovo.
Gli Apocrifi di Tommaso Se c’è un testo, tra quelli scoperti nella biblioteca

(Barcelona) The Golden Bough – Joseph Mallord William Turner – Tate Britain

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LA MASSONERIA E LE DONNE

 

 

Alla fine del secondo articolo che riguarda i Landmark, ci siamo riservati di analizzare la questione dell’ammissione delle donne in Massoneria.
Perché una donna non dovrebbe poter intraprendere un cammino iniziatico? Perché la soluzione deve essere quella di percorsi collaterali, stimolanti ed importanti quanto si vuole, come quelli delle Stelle d’Oriente, o essere relegate in Logge esclusivamente femminili, e non poter far direttamente Massoneria?

Lo stesso Mackey a commento del diciottesimo Landmark scrive:

Fin dalla nostra entrata nell’Ordine abbiamo trovato certi decreti che stabiliscono che potessero entrarvi solo uomini capaci di affrontare fatiche o di adempire al dovere dei massoni speculativi. Noi abbiamo preso l’impegno solenne di non alterare questi regolamenti che non potrebbero esser cambiati senza una completa disorganizzazione del sistema intero della Massoneria speculativa.

Ovvero, la spiegazione è solo rimandata ad una consuetudine, né ad una tradizione tantomeno vengono addotte delle spiegazioni di natura esoterica.

Sul sito della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, quella che cioè si erge ad arbitro della regolarità, forse solo per aver codificato per prima delle regole, nella pagina delle FAQ, ovvero delle Frequently Asked Questions, si legge:

Are there women Freemasons?
Yes. Whilst UGLE, following the example of medieval stonemasons, is, and has always been, restricted to men, women Freemasons have two separate Grand Lodges, which are restricted to women.

Che tradotto in italiano suona:

Ci sono donne Massoni?
Sì, mentre la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, seguendo l’esempio dei tagliapietre medioevali è, e sarà sempre, ristretta agli uomini, le donne Massoni hanno due Gran Logge separate che sono ristrette alle donne.

Adesso, ci sono almeno due buoni motivi per contestare questa giustificazione.
Il primo è di natura storico. Ci sono diverse testimonianze dell’accettazione di donne nelle corporazioni medioevali di muratori. Alcuni esempi sono molto citati tra coloro che perorano la possibilità di accettare anche le donne.

Già nel 1268 in Francia il ‘Livre des Métiers’ di Etienne Boileau ammetteva le donne anche al grado di Maestro nelle varie corporazioni artigiane, anche quelle legate a mestieri all’apparenza esclusivamente maschili.

La Gilda dei Carpentieri di Norwich negli Statuti del 1375 faceva riferimento a Fratelli e Sorelle.

Lo Statuto della Loggia di York del 1693 recitava:

Colui o Colei che deve esser fatto Massone pone le mani sul Libro ed allora le istruzioni sono date.

Questi gli esempi più citati, ma ve ne sono tantissimi altri. Il motivo di questa tradizione ha una spiegazione molto semplice. I Maestri che non avevano figli maschi potevano assicurarsi il controllo del patrimonio di famiglia ammettendo le proprie mogli o figlie, che nel caso di morte prematura del Maestro, potevano così assumere il controllo della Loggia. Si tratta di un’ammissione non operativa, nella maggior parte dei casi, ma la nostra Massoneria, non è operativa, è solo speculativa.

Questo ci porta al secondo motivo secondo il quale il richiamo alle consuetudini delle corporazioni medioevali di muratori non è assolutamente sufficiente a giustificare il rifiuto di ammettere le donne. I criteri che erano indicati per la Massoneria Operativa sono improponibili nella Massoneria Speculativa. Il passaggio che vieta l’ingresso a chi è “mutilato” è scomparso abbastanza presto, senza che nessuno sia stato accusato di eresia o di irregolarità.

Inoltre, voler ancorare la tradizione Massonica alle sole corporazioni medioevali, risulta senza dubbio riduttivo. Del resto, la posizione critica nei confronti dei Landmark da parte di autori come lo stesso Guénon sono note.

 

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QUESTO LIBRO

 

 

di  Biancamaria Puma

 

 

Questo libro di Biancamaria Puma è un contributo molto importante alla storia culturale e politica del nostro Paese. Esso può avere sugli studiosi il medesimo effetto che ebbe, nell’ultimo anno del secolo scorso, la pubblicazione degli inediti gramsciani. Penso alle celebri Lettere dal carcere di Antonio Gramsci che furono pubblicate, come Lettere 1926-1935 includendo le risposte della cognata Tatiana Schucht, solo nel 1999. Questo libro costituisce un passaggio importante per chi voglia praticare una nuova via di consulenza tra antropologia culturale e religiosa, biomedicina e psicoanalisi. Tale percorso è reso piu agile dal fatto che la psicoanalisi in questione a sua volta mette in atto una propria peculiare forma di ricerca sul campo, se non una vera e propria etnografia autonoma, manifestandosi come una scienza attenta alle persone nella pratica. Quei mondi disciplinari, seppure diversi, condivisero una comune sensibilità conoscitiva nel cogliere l’indole delle pratiche magico-religiose nella dimensione umana, esistenziale, culturale, talora nei rapporti di forza tra istituzioni visibili ed esperienze invisibili, tra materialità e spirito, tra istituzione e persona. E anche grazie a loro che le psico-antropologie odierne possono offrirsi come strumenti utili per comprendere le attuali forme di (ir)razionalismo e di (neo) oscurità, nonché i complessi magismi delle istituzioni e le stregonerie degli Stati nazionali contemporanei. In un percorso di studio e di ricerca di sicuro valore, destinato a sollevare nuovi interessi filologici e storici sulla vicenda peculiare della ricerca psico-antropologica dedicata agli aspetti magico-religiosi del Sud d’Italia, Puma ci mette a disposizione un materiale di grande importanza e lo fa con toni di incisività e chiarezza, con parole di amorevolezza e fiera rivendicazione del ruolo del Maestro. Sentimenti che traspaiono da una scrittura attenta alla documentazione e nondimeno appassionata e partecipe, che possono essere valorizzati alla lettura e che ci consentono di ricostruire, con maggiore dovizia documentale, una fase strategicamente importante della storia politico-culturale del nostro Paese.” (dalla Prefazione di G. Pizza)

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