LA FIABA DI PINOCCHIO E LA PASSIONE DI GESU’

La fiaba di Pinocchio e la Passione di Gesù

di Sergio Pavone

Le avventure di Pinocchio sono un esempio di fiaba per mezzo della quale negli ultimi cento anni, tutti siamo stati educati e ancora educhiamo i nostri figli, ma con un significato educativo ribaltato rispetto a quello che denuncia la fiaba stessa se interpretata psicologicamente come se fosse un sogno. Le fiabe si presentano con gli stessi contenuti simbolici dei sogni, sono altrettanto fantastiche e irreali e tutte, attraverso varie metafore hanno una “morale”, ossia contengono un insegnamento, sia che siano fiabe a lieto fine per l’eroe della storia, oppure no. Nella storia del pensiero creativo, le fiabe si evolvono nei miti e successivamente nelle religioni, queste forme oggi convivono assieme come prodotto complessivo del pensiero spirituale dell’uomo. La fiaba insegna sempre qualche cosa per cui alla fine ci poniamo la domanda: “la morale di questa storia quale è?”, per cercare di imparare da quel personaggio, da quell’eroe o da quella vicenda, come è meglio comportarsi per vivere bene ed essere in armonia con la natura magica o divina della realtà in cui ci troviamo. Se proviamo ad interpretare una fiaba come un sogno quale essa in effetti è, avremo delle grandi sorprese nello scoprire che la “morale” che vuole comunicare l’inconscio che l’ha prodotta, è molto diversa dall’interpretazione che ne da la coscienza. La fiaba che ho scelto allo scopo è quella di Pinocchio, che comparerò alla passione di Gesù. La cosa può sembrare strana ma non è così, e ciò sarà tanto più evidente se noi teniamo presente una associazione comparativa, tratta dalla storia delle fiabe, dei miti e delle religioni di tutti i tempi, dove stranamente notiamo dei denominatori comuni nella vita degli eroi solari, cioè eroi che per loro meriti diventeranno divinità simboliche da imitare. Primo denominatore comune a quasi tutti gli eroi è quello di avere un padre terreno che di mestiere fa il falegname, e uno divino che feconda (simbolicamente e a volte neanche tanto simbolicamente) la madre. I figli di questi falegnami hanno un’altra evidentissima caratteristica in comune, sono tutti molto disubbidienti ed è grazie a questa disubbidienza che compiono imprese eroiche pagandole talvolta col sacrificio della propria vita, ma subendo un processo di trasformazione nella loro personalità che da materiale diventa spirituale. Questi eroi solari poi hanno coscienza di non essere figli del loro padre naturale, ma di una divinità. Nella storia di Pinocchio e in quella di Gesù, i rispettivi padri oltre al mestiere hanno uguale anche il nome, Geppetto è il diminutivo vezzeggiativo di Giuseppe, come la figura di Pinocchio è un diminutivo vezzeggiativo rispetto alla figura di Gesù. Perché quest’ultima associazione, direte voi? Semplice, il nome Pinocchio deriva dalle due parole pino e occhio che unite sembrano un vezzeggiativo, ma il pino è l’albero di natale di Gesù che rappresenta l’albero della vita di ognuno di noi, e l’occhio è una figura “mandala”, un simbolo unificatore ricorrente nei sogni e riferita alla divinità, l’occhio di Dio dentro il triangolo sacro ecc.

Ma come si può accomunare Pinocchio a Gesù? Eppure qualche tempo fa girava una barzelletta su Gesù che, andando per il paradiso a fare un censimento, riconosce dai dati della scheda che aveva con sé, di essere di fronte proprio a suo padre, che (erroneamente) sembra che anche in realtà abbia visto poco, e nello stupore della scoperta esclama: “Papà!” e quello di rimando, altrettanto stupito: “Pinocchio!”. Ciò a dire che anche la fantasia popolare più semplice, che si esprime con la creatività delle barzellette, ha inconsciamente colto la correlazione tra le due storie e mette in evidenza che si ha un certo ritegno a parlare di Giuseppe come padre di Gesù il che è già sintomatico di una carente educazione simbolica causata da tabù e pregiudizi che sono un’altra forma di ignoranza.

In effetti le storie dei due sono simili, entrambi hanno rapporto stretto con un solo genitore: Gesù conosce senz’altro bene la madre e Pinocchio il padre, ma entrambi questi padri sono falegnami o hanno l’hobby della falegnameria. Entrambi i figli sono molto disubbidienti, il primo alla madre, cui risponde molto spesso in maniera che noi oggi definiremmo maleducata e irrispettosa ai suoi consigli di rientrare nella norma, sono risposte del tipo: occupati dei problemi che competono alla madre, a me è dato di occuparmi dei problemi che competono al “Padre”. Se non fossimo abituati a ritenere che Gesù pensasse sempre al Padre Eterno, questa risposta sarebbe altrettanto giustificabile nei riguardi di quello terreno, meno eterno ma altrettanto poco visibile. Pinocchio è disubbidiente al padre che è anche contemporaneamente sua madre perché lo crea da un pezzo di legno, ma una madre vera, anche solo una compagna di Geppetto, non esiste. Geppetto sembra un “ragazzo padre” come Maria una “ragazza madre”, (“sembra” dico, sia beninteso, perché a pensare così siamo stati indotti dal catechismo e dalla cultura popolare). Entrambi i figli alla fine di un lungo percorso di sofferenza, causata dai pericoli e dalle fatiche di conoscere il mondo, disobbedendo all’ordine convenuto della società e condiviso dai genitori, per migliorare sé stessi (e quindi la società in cui vivono), compiono una trasformazione spirituale, la marionetta si umanizza e l’uomo si divinizza.

A questo punto viene spontaneo chiedersi se non è che queste due storie come tante altre simili non vogliano dirci qualcos’altro che ci sfugge e che è in contraddizione con ciò che invece ci viene insegnato. Basta ragionare: se essere disubbidienti ad un padre falegname è una condizione della trasformazione successiva di un eroe in divinità, allora vuol dire che il problema non si trova nella disubbidienza del figlio, ma nella situazione psicologica di questi padri (e della società che rappresentano), che inducono i loro figli alla disubbidienza salutare.

Già ci dovrebbe fare pensare il fatto che una famiglia irregolare come quella di Geppetto che manca della madre, non è l’ambiente affettivo più adatto alla crescita di un fanciullo, Geppetto si trova nella condizione gravosa di fare da padre e da madre, come potremmo (erroneamente) supporre per la mamma di Gesù. La fantasia popolare ha però da sempre connotato questo tipo di padre col simbolo del falegname, cioè di un lavoratore del “legno”. Se ci informiamo allora su tutto ciò che riguarda il legno nel suo significato di simbolo, non solo in tutte le altre favole, ma anche nei miti dove compare un riferimento al legno, per vedere quale è il significato simbolico o quale tratto psicologico dell’eroe rappresenta nelle varie storie, con stupore scopriremo che il significato è sempre lo stesso anche se detto in tanti modi diversi. Il legno è sempre usato come riferimento all’albero della vita dell’eroe, che poi è l’albero della vita di ognuno di noi, che dobbiamo coltivare con cura per poterne cogliere il frutto spirituale rappresentato sovente da una pietra preziosa, o da una perla o da una mela come era per l’albero della vita di Adamo nel paradiso terrestre, il quale non seppe coltivarlo e per questo fu punito. E’ anche il legno dell’albero filosofico degli alchimisti che produce la pietra dei filosofi, è l’albero dai fiori d’oro dei cinesi, è l’albero come è inteso dagli sciamani della Siberia e da tutti i popoli primitivi. Il legno lavorato di quest’albero è anche il simbolo di Mercurio, divinità Greca e Romana portatrice del volere divino, è il simbolo di Ermete Trismegisto, il padre egiziano dell’alchimia, è il simbolo di Mercurio ermafrodito degli alchimisti che è sempre lo stesso Ermete che ha raggiunto la perfezione attraverso l’unità degli opposti riuscendo a concludere l’Opera e a produrre la “pietra”, il lapis assai piccolo e volgare così tenuto in poco conto dagli sciocchi, è la pietra che usò anche Gesù come “angolare” della Chiesa, e che lui definì la meno considerata ma la più importante. “Pietra” anch’essa frutto di quell’albero della vita di Gesù dal cui legno fu ricavata la stessa croce sulla quale morì per trasformarsi. Il legno è quindi simbolo di trasformazione del molteplice nell’uno e rappresenta l’Androgino, l’unificazione degli opposti, è la sostanza del Mandala in atto. Il bisogno di lavorare il legno è quindi un messaggio che l’inconscio ci manda per invitarci a lavorare sulla pianta della nostra vita in modo da compiere una “trasformazione” della nostra natura materiale in quella spirituale, con un lavoro accurato di falegnameria sul nostro corpo fisico e psichico che comporta esperienza, manualità e amore e il cui risultato porta alle qualità di quegli eroi solari rappresentati dai figli disubbidienti. Il legno dunque è il simbolo della meta spirituale da raggiungere, ed è quindi un simbolo di “trasformazione” e di unità degli opposti.

A questo punto siamo pronti per dare una lettura psicologica, della fiaba intesa come un sogno di Collodi, secondo una lettura Junghiana. I personaggi principale della fiaba, almeno all’inizio, corrispondono allo schema delle quattro personalità psicologiche che convivono in ognuno di noi, tre nella coscienza, dello stesso sesso del sognatore, e una nell’inconscio di sesso opposto. Sono quattro personalità che nel loro insieme concorrono a formarne una sola nei comportamenti coscienti. Jung le ha chiamate le “quattro funzioni della coscienza”, veri e propri strumenti di conoscenza che non sappiamo di possedere e che dobbiamo imparare a conoscere proprio attraverso i sogni per usarli correttamente.

Nei sogni queste quattro personalità del nostro io totale vengono di volta in volta interpretate da persone o anche animali, a seconda della loro “primitività”, (primitività che è causata dai nostri comportamenti primitivi), proprio al fine di farsi conoscere alla nostra coscienza per istruirci attraverso i sogni a correggere i nostri atteggiamenti coscienti scorretti per il cattivo uso delle nostre quattro personalità che non sappiamo neanche di possedere. Alla quarta funzione inconscia la tradizione religiosa ha dato il nome di Anima ed è la più importante delle quattro, perché è effettivamente la mediatrice della volontà divina, è la Sophia che coordina il corso di rieducazione per mezzo delle immagini che sogniamo.

La funzione di pensiero è complementare a quella di sentimento ed è molto sviluppata per aver dovuto ubbidire a sentimenti (volontà) non nostri, per farlo ha dovuto spingere nell’inconscio i nostri veri sentimenti, essa è quindi tutta nella coscienza, la sua complementare è tutta nell’inconscio.

Di conseguenza le altre due funzioni si sono sviluppate male per cui stanno per metà nella coscienza e per metà nell’inconscio, delle due l’intuizione è la più inconscia.

La Fiaba

Il nucleo principale che ruota intorno a Geppetto, all’inizio, è formato da Pinocchio, dal grillo parlante, e dalla fata, una quaternità formata da tre maschi più una femmina, dove Geppetto altri non è che Collodi stesso e rappresenta il suo pensiero, Pinocchio è la sua funzione laterale di sensazione che il non uso ha reso di legno ed è desiderosa di esperienze che tormentano Collodi Geppetto dall’inconscio con la sua disubbidienza, il Grillo è la funzione di intuizione di Collodi, la fata azzurra è la quarta funzione che rappresenta i veri sentimenti di Collodi nelle vesti della sua Anima che vuole aiutarlo cercando di trasformare e umanizzare la sua funzione di sensazione da cui partono tutti i suoi problemi, dandogli le istruzioni sul come fare a realizzare il suo vero Sé. Lucignolo è un quinto personaggio, una figura del lato oscuro di Collodi, rappresenta, l’Ombra di Collodi, il suo lato oscuro, ciò che Collodi non vuole ammettere di sé, cioè tutto ciò che gli è stato vietato da piccolo, le esperienze che avrebbe voluto fare e che l’Inconscio lo esorta a fare, infatti Pinocchio segue Lucignolo contro il volere della coscienza di Collodi.

In Collodi c’è quindi un conflitto tra coscienza e inconscio, la coscienza non vuole accettare la verità dei suoi bisogni inconsci per coprire gli errori di suo padre e non scoprire di essersi fatto ingannare, che cioè avrebbe dovuto disubbidire anche lui, mentre al contrario, l’aver ubbidito a una volontà inadatta alle sue vere esigenze, lo ha privato dei suoi veri sentimenti e delle sue esperienze allontanandolo dalla sua Anima, mentre i suoi sensi si sono fatti di legno e l’intuizione ne è morta. E l’inconscio gli fa scolpire questa marionetta attraverso Geppetto perché se ne renda conto. In realtà sia Collodi che scrive favole, che Geppetto che fa marionette, si accontentano di fare solo giocattoli, simbolo di quello che non hanno avuto a livello affettivo e che li ha fatti diventare sentimentalmente rigidi come il legno. L’inconscio sta esortando Collodi tramite la figura di Pinocchio, che se vuole uscirne deve disubbidirsi come sta già facendo il suo inconscio e a suo danno, perché non ne è cosciente e ciò lo fa star male, solo così potrà rimettere le cose a posto.

Il problema di Pinocchio e di Gesù appare adesso evidente e sostanzialmente simile, mentre si disvela un nuovo insegnamento spirituale, più terreno, che mette in evidenza le fatiche che deve fare un figlio per salvarsi dagli insegnamenti di un particolare tipo di padre attraverso la disubbidienza. Mette inoltre in evidenza che anche il padre ha avuto da bambino lo stesso tipo di educazione che adesso esige da suo figlio, perché si è dimenticato ciò che ha patito, confermando un’altra legge psicologica: il malessere si ripete identico da padre in figlio del tutto inconsciamente lungo una catena interminabile a meno che non se ne spezzi un anello con grandi sofferenze. Ecco anche spiegato il perché nella storia dei miti, il fato, il volere degli dei, condanna il figli innocenti ad espiare le colpe dei padri (vedi Edipo).

Il desiderio di Geppetto Collodi di lavorare il legno è indotto dall’inconscio affinché egli rifletta sul simbolo della trasformazione che deve compiere su di sé per trasformarsi psicologicamente, unendosi alla propria anima, in veste di fata nel sogno, che lo aiuterà a ricordare i suoi veri sentimenti dimenticati e far così nascere attraverso quei ricordi e quelle esperienze negategli il suo “Fanciullo Divino”, la sua vera personalità, il suo vero Sé. Altrimenti potrà essere solo come una marionetta di legno che sembra solo viva mentre il fanciullo dentro di lui si ribellerà sempre nel suo inconscio, disobbedendolo e quindi facendolo diventare ansioso senza che lui riesca a capirne il motivo. Sembra che l’inconscio abbia ispirato questa fiaba a Collodi per metterlo in guardia dal dedicarsi troppo al suo lavoro di giornalista e scrittore di fiabe, utilizzando solo la funzione di pensiero razionale e pensando di poter risolvere solo con quella i suoi problemi spirituali e le sue angosce che gli derivano proprio per aver avuto un padre come lui che lo voleva ligio e obbediente a scapito dei suoi sentimenti e della sua volontà spariti nell’inconscio, o magari per non averlo avuto affatto (su questo punto non sono riuscito ad ottenere informazioni che lascerò alla curiosità del lettore). Le fiabe per Collodi sono l’equivalente del legno di Geppetto, sono lo stratagemma che ha inventato la coscienza di Collodi per far sì che egli vi proietti sopra i suoi problemi inconsci, ma nello stesso tempo è lo stratagemma che usa l’inconscio per inviargli i messaggi che lo invitano a correggere i suoi atteggiamenti coscienti sbagliati attuando un processo di trasformazione del suo “legno”, ossia del suo “albero della vita”, inviandogli attraverso altri simboli, come nel caso di questa fiaba, le informazioni su come fare. Collodi (probabilmente) non conosce i simboli dell’inconscio che sta usando e quindi non può capire il messaggio anche perché lo copre con la sua funzione di pensiero cosciente troppo sviluppata e unilaterale, se avesse smesso veramente anche per poco di scrivere e si fosse messo a viaggiare, come gli consiglia tutto il sogno, avrebbe capito. Infatti arrestando per un po’ la funzione di pensiero, quella di sentimento, complementare a quella di pensiero, avrebbe modo di emergere alla coscienza coi relativi ricordi, ma Collodi non lo sapeva perché non stava abbastanza male per decidere di smettere. La fiaba che scrive serve anche da sedativo sulla sua psiche come tutti i simboli unificatori, mentre il messaggio gli dice, con l’immagine di Pinocchio, che il suo sé è imperfetto, che deve smettere quel lavoro inutile, deve porre fine a quel modo di pensare, deve disubbidire a quelle che crede siano le cose giuste da fare per stare bene e andare a vivere invece quelle esperienze che gli sono state negate dal padre che gli ha reso di legno le sue sensazioni che pure vorrebbero esprimersi. La fiaba – sogno, cerca di fargli capire con questa trasformazione di Pinocchio da marionetta a bambino aiutato dalla fata impietosita, che è proprio la funzione semi cosciente di sensazione rappresentata da Pinocchio, quella che ha più bisogno di fare esperienza, perché la funzione di intuizione, il grillo, funzionava molto bene, ma la funzione di pensiero, sempre riluttante ad ascoltare l’inconscio anche con questa mediatrice, alla fine l’ha uccisa con la sua parte più maldestra, Pinocchio appunto. In questa fiaba infatti c’è persino il viaggio di Pinocchio col padre, nel ventre della balena che in tutti i miti delle divinità solari corrisponde al viaggio che il vecchio Dio Sole compie di notte, calandosi nel mare per raggiungere la madre (l’Inconscio madre di tutte le cose), dove è dapprima smembrato da questa e poi dalla stessa ricostruito rinnovato e riportato infine sulla terra, dopo un viaggio notturno dentro un pesce, nel quale verrà generato un fuoco che ucciderà l’animale, fuoco che simboleggia la sua vita spirituale rinnovata che tornerà a risplendere.

Questo mito che esiste in tantissime versioni, la più nota delle quali è quella di Iside e Osiride, si ripete spesso nei sogni e nelle fantasie di tutti i popoli, dove un uomo si trasforma in eroe e poi in semidio, e non è altro che la rappresentazione simbolica del processo di individuazione della vera personalità, nelle sue tappe principali proiettate sul simbolo solare nel suo ciclo notte e giorno. In questo viaggio anomalo dell’eroe solare Pinocchio, che si porta appresso anche il padre, c’è la chiara indicazione che è il padre che deve fare il viaggio di trasformazione una volta che ha capito che deve occuparsi di far crescere la sua funzione di sensazione, la qual cosa coinciderebbe col lavoro di educazione di suo figlio se ne avesse uno, ed ecco che se capisse questo e se avesse un figlio, il lavoro sul figlio potrebbe redimere il padre, ma occorre che prima recuperi i suoi veri “sentimenti”, cioè i suoi veri desideri dimenticati. Potremmo dire che è esattamente quello che tenta di fare Gesù con suo padre ma senza riuscirci e quindi ne muore. Con Gesù siamo in un’epoca dove vigeva un patriarcato esasperato e dove la legge “divina”, consentiva ai padri, in seno alla famiglia, di avere potere assoluto di vita e di morte sui loro figli. Questo carattere dei padri veniva quindi proiettato anche sulla divinità del Vecchio Testamento che risultava altrettanto terribile, stato di cose cui bisognava ribellarsi. Portato dai “padri” alle estreme conseguenze della disubbidienza, Gesù é costretto quindi a sacrificare la sua vita, vittima del suo stesso legno di trasformazione, che è diventato così la sua croce. La storia della religione dice che il sacrificio di Gesù in nome del Padre è servito a “redimere” il terribile Dio del Vecchio Testamento “facendogli prendere coscienza” che l’uomo in fondo non era così malvagio e riuscendo, con il suo sacrificio, a farlo diventare più misericordioso verso i suoi figli, il che psicologicamente è come dire che Gesù è morto nel tentativo di redimere tutti i padri, mentre i figli se vogliono crescere e trasformarsi devono ancora essere padri di se stessi. Ecco che il messaggio contenuto in Gesù come simbolo è più alla nostra portata umana, ed anche altamente spirituale se comprendendone emotivamente il significato, si recuperano quei sentimenti rimossi nell’inconscio, necessari alla trasformazione che permette l’accesso a quella divinità che sarebbe spontaneamente accessibile dentro ciascuno di noi se avessimo avuto il padre che consiglia la lettura simbolica della fiaba di Pinocchio.

Si può anche dire, senza scomodare la vita di Gesù sulla quale siamo stati solo male informati, che con un padre falegname poco rimosso si può diventare solo umani soffrendo meno di un figlio con padre più rimosso, o addirittura assente, la qual cosa però può portare il figlio ad una spiritualizzazione alienata, tale che potrebbe anche morirne. La rimozione è una brutta bestia ed è il vero Diavolo della situazione

Collodi, a meno che non fosse un grande iniziato, non poteva sapere queste cose perché nel 1880 quando ha pubblicato il suo libro, definito “capolavoro della letteratura per l’infanzia”, le teorie psicanalitiche del trauma erano ancora Archetipi sconosciuti, Freud pubblicò la prima versione della teoria nel 1896, Jung aveva cinque anni e il suo lavoro sui simboli che gli permise di decodificare la simbologia alchemica e religiosa contemporaneamente ai sogni dei suoi pazienti vedrà la luce molti anni dopo. Quindi la fiaba di Pinocchio è un genuino prodotto dell’inconscio di Carlo Lorenzini, il vero nome di Collodi – Geppetto, che probabilmente non seppe comprenderne il messaggio, come non lo compresero chi usò quella fiaba per insegnare l’ubbidienza ai propri figli, invece Carlo Lorenzini ha “coperto simbolicamente” il suo vero nome, cioè quello del “padre”, col nome Collodi, del paese della madre cui era oltremodo legato, evidente proiezione su di lei della sua anima inconscia.

Io non so quando l’idea di Pinocchio sia nata nella mente di Lorenzini,. perché mi piacerebbe sapere quale è il segno zodiacale di Pinocchio, non mi stupirebbe che ciò fosse avvenuto intorno a Marzo, sotto il segno dell’Ariete che è la caratteristica di tutti gli eroi solari.

Bisognerebbe chiedersi allora cosa vuole indicare l’inconscio con questa nuova strana coincidenza, ma la risposta psicologica è facile se si conosce che il segno zodiacale indica da sempre i caratteri delle persone nate sotto quel segno, con le qualità di una figura animale corrispondente, come abbiamo già visto avviene nei sogni. Allora il fatto che gli Eroi solari nascono stranamente tutti sotto il segno dell’Ariete vuol dire che hanno tutti lo stesso carattere o temperamento che occorre possedere per potere diventare gli eroi della propria vita. Cioè occorre la focosità dell’Ariete, la sua cocciutaggine e la sua volontà di non recedere dalle proprie idee difendendole col carattere bellicoso del dio della guerra Marte (Marzo), per dare la forza ad un bambino di disobbedire a coloro cui vuole più bene, perché consapevole della giustezza della propria natura da difendere sino alle estreme conseguenze: Gesù disse: “Colui che non odia suo padre e sua madre come me, non è adatto ad essere mio discepolo. E colui che non ama suo padre e sua madre come me, non può divenire mio discepolo. Poiché mia madre mi diede menzogna, ma la mia vera madre mi diede la vita”. Vangelo di Tommaso logon 101.

Questo non vuol dire che se uno nasce sotto un altro segno è destinato ad obbedire e a soccombere, al  è una informazione in più che l’inconscio collettivo mette a disposizione di tutti con una immagine simbolica che esprime quali delle qualità del nostro vero Sé, che corrisponde all’Inconscio collettivo di tutti, sono necessarie affinare per poter compiere l’Opera della disobbedienza e della trasformazione da uomo materiale ad Eroe spirituale.

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