BALSAMO GIUSPPE-CAGLIOSTRO

BALSAMO Giuseppe –

di Giuseppe Abramo

Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

Avventuriero meglio conosciuto sotto il nome di “Alessandro,

conte di S. Germano”, detto “Cagliostro”.

CAGLIOSTRO Alessandro, conte – Avventuriero, il suo vero nome era “Giuseppe Balsamo” (Palermo 1743 – S. Leo 1795); a 15 anni prese l’abito dei Confratelli della Carità a Caltagirone; ben presto fuggì a Palermo e di là a Roma, ove sposò nel 1768 Lorenza Feliciani.

Dopo avventurose peregrinazioni in varie città d’Italia e d’Europa, fu a Parigi, ove fra l’altro introdusse la Massoneria di Rito Egiziano (da lui inventata). Coinvolto nell’affare della collana della regina, dovette lasciare Parigi, e dopo molte avventure, si fermò a Roma, dove per i suoi tentativi di organizzazione massonica venne arrestato (27/12/1789) e chiuso nella fortezza di San Leo.

1 – Appunti biografici e fonti Le citazioni sopra riportate sono due voci del Dizionario Enciclopedico Treccani, che rispecchiano l’opinione corrente nella cultura profana che vuole vedere Cagliostro come un avventuriero, un impostore, un ciarlatano. Non voglio entrare nel merito del problema, ma una cosa è certa: molte sono le fonti su Cagliostro, ma sono poche quelle in cui l’interpretazione del personaggio non sia partigiana. Tuttavia, almeno due sono le fonti che restano fondamentali nella storia di Cagliostro. Nel 1791 venne                      pubblicato dalla Stamperia della Reverenda Camera Apostolica un “Compendio” della vita di Balsamo il cui titolo esatto è Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato il conte di Cagliostro, che si è estratto dal Processo contro di lui formato in Roma l’anno 1790 e che può servire di scorta per conoscere l’indole della setta de’ Liberi Muratori. Il “Compendio”, purtroppo per la verità e per la storia, è stata la fonte più importante, se non unica, di notizie intorno a Cagliostro; l’opera base, in particolare per tutte le innumerevoli altre che hanno testimoniato all’insegna della più o meno dichiarata faziosità. Il compilatore del Compendio, mons. Marcello Barberi (Procuratore Fiscale generale del Governo          ammesso già d’ordine al giuramento del segreto del S. Uffizio sin dall’11 gennaio 1790) durante il processo a Cagliostro fu assistente dell’Abate Giuseppe Lelli, uno dei sostituti della Cancelleria del Tribunale del S. Uffizio, e provvide agli interrogatori e alla raccolta delle “prove” contro “l’inquisito”.

Quando Cagliostro venne condannato, il Barberi si accinse alla compilazione della sua opera con uno scopo precipuo e dichiarato sin dalla prefazione: Intendiamo parlare della vita di Giuseppe Balsamo, conosciuto al mondo sotto la denominazione di Conte Alessandro di Cagliostro. A dir tutto in due parole: Costui è stato un IMPOSTORE FAMOSO. Queste parole sono sottolineate nel testo, che poi è lo svolgimento del programma denigratorio. D’altra parte nel processo, gli stessi difensori di Cagliostro (Conte Gaetano Bernardini, Avvocato dei Rei della Sacra Inquisizione a cui venne aggiunto mons. Carlo Luigi Costantini, Avvocato dei Poveri per tutti gli altri Tribunali di Roma), per difendere il loro assistito dalla grave accusa di appartenere alla Massoneria e d’averla diffusa anche negli Stati Pontifici, nonché di credenze e pratiche eretiche, magiche e superstizione sostennero, sostanzialmente, la tesi che Cagliostro fosse soltanto un imbroglione.

Nel 1885 lo Stato italiano acquistò per la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele” di Roma, un manoscritto (Ms. Fondo Vittorio Emanuele 245), compilato nel 1790, forse ad uso dello stesso Tribunale del S. Uffizio, che non contiene i veri e propri atti processuali (verbali, interrogatori, ecc.), ma l’essenziale di quanto era emerso dall’istruttoria, nonché le perizie, l’accusa, le difese e molti documenti di grande interesse.

Per quanto ci risulta, il manoscritto non è stato mai pubblicato, e per quanto possa sembrare strano non è stato consultato — o lo è stato molto sommariamente — da storici e biografi, poiché, da sempre, è stata accreditata l’ipotesi che esso sostanzialmente confermi quanto riportato nel Compendio, considerato anche che il Barberi, nel redigere la sua opera, ha sicuramente adoperato le carte contenute nel manoscritto, tanto è vero che nel suo libro si trovano pagine intere del manoscritto stesso. Ma io credo che chiunque avesse confrontato le pagine delle due opere, avrebbe potuto con facilità rilevare che molto era stato taciuto, sviato, falsato, inventato secondo l’opportunità della tesi che si voleva dimostrare.

Infatti — indipendentemente dal Barberi il quale, in fondo, difendeva il suo operato come inquisitore — dal manoscritto risulta con quale preconcetta ostilità e con quale determinato proposito venne condotto il processo. In verità, la sorte dell’inquisito era già decisa prima del processo, nel quale fu trascinato non per ciò che aveva fatto, ma per ciò

che rappresentava.

La Chiesa, infatti, anche per effetto del minaccioso svolgersi della Rivoluzione francese era più che preoccupata per l’azione della Massoneria in generale e della Massoneria Egiziana di Cagliostro in particolare. Occorreva pertanto dare un esempio di rigore inesorabile, non solo condannando uno dei capi della Massoneria, celebrato come un mago famoso da re, principi e imperatori, ma occorreva anche distruggerne il prestigio e l’ascendente.

Poco male se il fine giustificò i mezzi. E che i mezzi non furono sempre corretti risulta anche da una annotazione di pugno di mons. Costantini, uno dei difensori di Cagliostro, riportata dal manoscritto citato (nota 22, pag. 752): Il fisco vuole Cagliostro eretico, anzi eresiarca e poi sostiene (e noi crediamo che dica bene) che egli nulla credesse del suo libro e delle sue imposture. Felice chi sa conciliare il fisco col fisco. Ciò che non si crede non è eresia, perché l’eresia è un ERRORE, una FALSA OPINIONE venuta, creduta e infusa nell’INTELLETTO, benché conosciuta CONTRARIA alla dottrina cattolica.

Senza voler qui rifare il processo o giudicare della sua costituzionalità giuridica o morale, un fatto è certo: i giudici credettero o fecero finta di credere alle cose più assurde come quella che l’inquisito fosse il fomentatore della rivoluzione francese, che volesse abbattere la Chiesa romana ed erigere sulle sue macerie quella Massonica-Egiziana. Inoltre chiaramente, dagli atti si evince che l’unico testimone fu quello a carico (la moglie Lorenza) e che non fu minimamente verificato il fondamento delle sue asserzioni, divenute importanti capi d’accusa e non fu citato

alcun teste che avrebbe potuto migliorare la posizione dell’accusato; né tanto meno si pensò a un confronto con i cosiddetti “parenti” siciliani, al fine di stabilire la verità sull’identità. Infine, come se non bastasse, i giudici si arrogarono competenze a loro estranee, giudicando delitti che — se commessi — erano stati perpetrati fuori dai territori pontifici.

Ciò premesso c’è da osservare che la Chiesa avvertiva in Cagliostro un

pericolo, quindi non si trattava solo di processarlo per un reato di lesa religione, ma agiva soprattutto sotto la spinta di un’ineluttabile necessità politica. In conclusione dunque, lo condannò, lo denigrò, ma agiva perfettamente in linea con il suo punto di vista. Oggi, certamente, non è più possibile conseguire le prove storiche degli avvenimenti e delle circostanze che li determinarono; oggi si può dire che è vero tutto

e il contrario di tutto ciò che si è detto di Cagliostro (guarigioni miracolose, profezie, imbrogli, esorcismi, superstizioni, idolatrie), sicché penso che per una valutazione attendibile della sua vita, del suo operato e del suo pensiero, oggi non resterebbe che consultare i documenti sequestrati dal Sant’Uffizio e gelosamente, troppo gelosamente, custoditi dal Vaticano.

Non per questo però gran parte degli scrittori che si sono occupati di Cagliostro avrebbero dovuto condividere un’opinione artatamente creata, storicamente anche falsa, e che in definitiva poneva, o mirava a

porre, in secondo piano, o in luce negativa o addirittura ignorava, nel personaggio, ogni aspetto esoterico e iniziatico.

 Gli studiosi di questo personaggio possono tranquillamente dividersi in sostenitori e detrattori, comunque tanto gli uni che gli altri concordano nel riconoscere che chiunque fosse l’uomo passato alla storia come il Conte Alessandro Cagliostro di S. Germano, egli aveva possibilità eccezionali che gli consentivano di muoversi in un orizzonte

proibito a gran parte degli esseri umani. Di queste doti Cagliostro darà dimostrazioni sbalorditive.

Come non abbiamo voluto rifare il processo a Cagliostro, così non intendiamo riscrivere la sua vita; ci accontentiamo delle citazioni del Dizionario Treccani innanzi riportate, sottolineando semplicemente che esse danno per certa l’identità di Balsamo e di Cagliostro che nessuno ha mai dimostrato e limitandoci a suggerire agli Autori delle voci del Dizionario di aggiungere qualche notizia in più su un avvenimento decisivo della sua vita: la sua iniziazione massonica. Infatti, il 12 aprile 1777 venne ammesso alla “Loggia della Speranza” numero 289, appartenente all’Obbedienza dell’“Alta Osservanza”. La cerimonia ebbe

luogo alla Taverna Reale, a Gerard Street nel quartiere di Soho a Londra. In virtù di questa dignità, Cagliostro — come è storicamente provato — è entrato a far parte di sodalizi che già vantavano secoli di storia e che esercitavano una certa influenza sulla vita dell’epoca. È stato Cavaliere di Malta, Rosa-Croce, Gran Maestro della Stretta Osservanza Templare, membro di club aristocratici, corrispondente di accademie scientifiche. Con questi biglietti da visita è passato di corte in corte, di palazzo in palazzo, ricevuto con tutti gli onori. È stato ospite del re Federico di Prussia, del re Stanislao di Polonia, di Caterina di Russia, del principe di Brunswick, del conte di Saint-Germain, dei circoli esoterici più famosi di Europa: gli Eletti Cohen, gli Invisibili della Chiesa Sconosciuta, i discepoli di Swedenborg e di Robert Fludd.

A Lipsia, durante un banchetto offerto in suo onore dall’alta nobiltà tedesca, incontra padre Pernety, il famoso benedettino francese che ha dovuto abbandonare il suo forno di alchimista nella Rue Saint- Benoit di Parigi, sotto accusa di stregoneria. Padre Pernety ha istituito un nuovo rito massonico ispirandosi alla tradizione cabalistica, a Tritemius, a Swedenborg, ad Adam Weishaupt (fondatore degli Illuminati e alle cui idee attingerà un po’ tutta la Massoneria a sfondo magico-spiritualista). Padre Pernety consacra i suoi adepti dicendo di iniziarli alla Scienza che è la prima e più antica di tutte le scienze, che emana dalla Natura o meglio che è la stessa Natura, professata nell’arte e fondata sull’esperienza. Cagliostro subisce profondamente il fascino di queste teorie che gli consentono di riunire in una sola filosofia le sue

quietudini teologiche e la sua prepotente vocazione per il mistero: nasce così il suo famoso Rito massonico Egiziano, sul quale mi corre l’obbligo di qualche modesta informazione.

2 – Il sistema della Massoneria Egiziana

Il sistema della Massoneria Egiziana è contenuto nel “Rituale” il cui testo originale, curato da Marc Haven e Daniel Nazir è stato pubblicato a Nizza nel 1948 (Editions des Cahiers Astrologiques). In realtà sembra che il manoscritto originale (donato alla loggia “Saggezza Trionfante”) sia andato perduto e che Haven ne abbia rintracciato alcuni brani trascritti da un lionese, un certo Romand.

Delle due copie storicamente accertate una è andata perduta e un’altra ci è pervenuta, non sappiamo con quali interpolazioni ed errori.

Inoltre fra i numerosi documenti, sequestrati a Cagliostro all’epoca del suo arresto ad opera dell’Inquisizione, vi era anche un “Rituale” (forse originale e in francese) che, insieme al resto fu bruciato coram plaudente populo in Piazza della Minerva, a Roma. Il S. Uffizio ebbe però

cura di farne fare la traduzione italiana — come si rileva dal Ms. 245 — e che forse esiste ancora sigillata negli archivi vaticani, insieme alla documentazione originale del processo. Il Ms. 245 ne contiene numerosi passi e un accurato sommario. Il rito Egiziano — nelle due versioni maschile e femminile — si inserisce in quella visione della iniziazione — peraltro, anche massonica — la cui idea motrice è la realizzazione dei “piccoli misteri”, attraverso i quali, l’uomo, “caduto”,

“degenerato”, ritorna al suo stato “umano”, alla sua natura di Uomo degno di questo nome.

La “realizzazione”, secondo Cagliostro, avveniva in tre tappe (apprendista, compagno e maestro), nelle quali sostanzialmente si perveniva alla conoscenza di sé, alla cognizione  della materia di cui si compone l’universo, nonché alla completa padronanza del proprio spirito e del proprio corpo, con a capacità di dominare le reazioni, le passioni e di controllare i piaceri e i dolori conquistando così la tranquillità interiore e la immobilità esteriore.

Tutti gli adepti erano tenuti all’osservanza di sei comandamenti (amore di Dio, rispetto del sovrano, della religione e della legge, l’amore del prossimo, la fedeltà e la devozione all’Ordine e la totale sottomissione alle regole del rito) nonché all’obbedienza di tre imperativi (la tolleranza, rispettosa dell’universalità di tutte le religioni, della dignità umana e del desiderio del bene sotto tutti i cieli; il segreto, forza della meditazione in silenzio, chiave di ogni azione iniziatica, legge degli antichi misteri; il rispetto della natura, immensa verità degli alchimisti, i  quali sanno che in essa è celato il segreto della creazione di Dio.

A questa fase iniziale, seguiva poi una nuova “realizzazione” che non si effettuava più nella loggia, (essendo necessario un apposito fabbricato)

e che, possiamo dire, portava alla realizzazione dei “grandi misteri” e cioè quelli della rigenerazione spirituale e della rigenerazione fisica (le

due famose quarantene).

La prima quarantena per diventare moralmente perfetto impone al candidato di ritirarsi su una montagna cui darà il nome di Sinai o di Sion, dove deve innalzare un padiglione di tre piani ciascuno con una camera. Vengono quindi date le misure e il tipo di arredo dell’edificio e finalmente 13 maestri si chiudono nel padiglione senza poter più uscire per lo spazio di 40 giorni. Ogni giorno sei ore sono dedicate alla meditazione, tre alla preghiera e alle offerte divine, nove alla consacrazione degli strumenti e alla confezione della cosiddetta carta vergine.

Nelle restanti sei ore si riposa. Al trentesimo giorno il candidato riceve dagli Angeli una speciale parola d’ordine e uno speciale sigillo, contenente il fuoco sacro. La prova volge al termine lasciando il candidato stesso perfettamente saggio. La seconda quarantena per ringiovanire e diventare fisicamente perfetto ha inizio nel plenilunio di maggio. Il candidato si ritira in campagna con un assistente e si sottopone alla dieta prescritta (pane, erba, insalata, lassativi e acqua

piovana). Dopo sedici giorni si fa fare un salasso e ingoia la sera e la mattina un grano di materia prima. Il giorno dopo aumenta la dose di due e così quello successivo, fino al trentaduesimo giorno, quando al tramonto subisce un altro salasso.

L’indomani si corica e ingerisce un grano di materia prima, quella con

cui Dio ha comunicato la vita ad Adamo.

Dopo di che comincia a sudare ed evacuare, quindi spossato sviene. Tornato in sé cambia letto e si rifocilla con un consumato di manzo ed erbe refrigeranti. Il giorno dopo ingoia un altro grano di materia prima sciolta in una tazza di brodo. Ricomincia a sudare ed evacuare. A

questo punto l’assale una gagliarda febbre che gli farà perdere la pelle e cadere i capelli e i denti.

Nel trentacinquesimo giorno, se l’ammalato è in forze fa un bagno tiepido. L’indomani scioglie in un bicchiere di vino vecchio e generoso l’ultimo grano di materia prima e si addormenta, ed è allora che rinasce il pelo e la pelle e cominciano a rigermogliare i denti. Nel trentottesimo

giorno fa un altro bagno in acqua ordinaria inzuppata di Nitro, dopo il quale comincia a vestirsi e a passeggiare per la stanza. Nel trentanovesimo giorno prende dieci gocce del Balsamo del Gran Maestro in due cucchiai di vino rosso e finalmente nel quarantesimo

giorno abbandonerà la casa ringiovanito e ricreato perfettamente.

Non possiamo seguire passo passo quel tanto o quel poco che abbiamo del Rituale delle quarantene, anche perché non siamo proprio sicuri di avere tutte le chiavi per andare di là da una semplice lettura e di un appropriato commento. Lo studio che ci è sembrato più interessante è quello del Righini, che parte dai documenti riportati nel Manoscritto 245, il che gli permette la comparazione con l’interpretazione e i commenti degli Inquisitori.

La chiave di lettura proposta è quella ermetica ed è proprio l’ermetismo che (a proposito dell’alimentazione prescritta nelle quarantene) parla di acqua pluvialis, di rugiada che emana dall’Albero della Vita e resuscita i morti nella tradizione cabalistica.

Ma spesso ci troviamo di fronte a difficoltà interpretative di non poco conto e che poi in fondo sono le stesse che ogni testo ermetico ci propone anche se talora il simbolismo è trasparente ed in linea con

la tradizione. Così, ad esempio la linea è ortodossa di fronte alla scelta temporale delle quarantene. Si ripete quella di Mosè sul Sinai, di Gesù nel deserto, di Lucio nell’Asino d’oro (come preparazione all’iniziazione d’Osiride), del trattato alchimistico De alchimia dialoghi del 1548 (ove nella proposizione n. 74 si parla di una nigredo di 40 giorni per preparare l’apparizione del bianco e del rosso), delle consuetudini cristiane (la Quaresima che precede la Pasqua di resurrezione), del Ramadan, del Corano che al pari dell’Esodo parla del “ritiro” di Mosè.

Il numero 40 è spesso associato alla rigenerazione tanto nella tradizione ebraico-cristiana che in quella pagana ed ermetica. Il periodo della rigenerazione umana richiede 40 giorni come quello della generazione

fisica 40 settimane (10 mesi lunari). Questi 40 giorni naturalmente non vanno intesi alla lettera, ma il simbolismo è particolarmente importante. Ciò detto resta sempre da comprendere e precisare che cosa è la “carta vergine”, la “materia prima”, con la quale ci si alimenta

nelle diete delle quarantene e tante altre situazioni e termini che ricorrono nel processo iniziatico del sistema che, secondo il suo Autore, conduce all’immortalità. Restano comunque le perplessità anche del Gentile che giustamente osserva che “alla lettera la rigenerazione — promessa attraverso il ritiro di quaranta giorni per il rifacimento del corpo ed altrettanti per la sublimazione dello spirito — ha qualche

nota di strano e sotto certi aspetti di macabro” e forse qui sta pensando alla caduta dei capelli, dei denti e ad altri particolari momenti “depurativi e rigenerativi”. Non avendo la possibilità di andare oltre, a conclusione delle riflessioni sul sistema proposto da Cagliostro, è forse utile e opportuno limitarsi a porre le basi di una speculazione che mira a trovare soluzioni a quello che sembra essere il problema più importante da risolvere: come si deve intendere l’immortalità alla quale si riferisce l’Autore del sistema?

È logico che, parlando d’immortalità la prima cosa che si presenta alla nostra mente è la permanenza dell’individualità umana (la coscienza dell’uomo che al più e ne va in Paradiso o nei campi elisi o in dimore olimpiche o valhalliche ad adorare il Signore da cui si sente distinto). È chiaro quindi che quando Cagliostro e il Sant’Uffizio parlavano d’immortalità, usavano un linguaggio diverso.

Ma se l’“immortalità”, di cui parla Cagliostro, fa riferimento a piani e livelli iniziatici, come meglio vedremo in seguito nella lettura del suo Credo, ebbene, il riferimento non è all’immortalità come viene di solito concepita, ma ad una vera immortalità in cui si attua l’identificazione con dio e solo allora, infatti, si potrà dire Ego sum qui sum, cioè solo allora si è pervenuti a quello stato che ci è noto con la parola “indiamento” che è lo stato al quale tende la via iniziatica, che — come già detto — nulla altro è se non “raggiungere durante la nostra permanenza nel mondo fisico la conoscenza diretta, l’esperienza del trascendente”, la cognitio dei esperimentalis di Tommaso d’Aquino, cioè

una conoscenza sperimentale di Dio attraverso una esperienza viva, precisa e fondamentale che pone l’essere in contatto immediato con Dio.

A questo punto forse possiamo concludere che se è esatta l’interpretazione di Cagliostro che abbiamo cercato fin qui e che cercheremo ancora meglio di inseguire nelle parole, nei suggerimenti e nei commenti del Credo, è giusto pensare che Cagliostro — o chiunque abbia scritto quella pagina — non era lontano da quella visione della Massoneria intesa come una scuola illuminativa che attraverso il simbolo, il mito ed il rito, cioè attraverso i “supporti” provenenti dall’insegnamento tradizionale sviluppa quell’intelligenza intuitiva che permette di comprendere e forse anche di immedesimarsi nella vita nascosta della realtà metafisica, nel trascendente che è in noi, come in ogni particella del mondo che ci circonda.

3 – Il “credo” di Cagliostro

Fatte queste premesse vorrei salvaguardare, in ognuno, la piena capacità di trarre le proprie conclusioni, senza sottolineare notizie o ricorrere ad espedienti per amor di tesi. Infatti, al riguardo mi sembra estremamente importante quanto diceva il Fr. Gentile, secondo il quale

l’autentico “mistero” di Cagliostro non è tanto nel personaggio storico

quanto nell’immagine che ciascuno di noi porta dentro. Pertanto, perché questa immagine non sia condizionata, ho,

fin qui, cercato di mantenere la ricerca in termini di razionalità e di informazione, per quanto possibile obiettiva.

Ma poiché Cagliostro è “inafferrabile” e (continuando a citar Gentile) “quando crediamo di averlo afferrato e di poterlo costringere a dirci finalmente chi è e che cos’è, egli ci è già sguizzato via come un’anguilla e ci troviamo a mani vuote”, non mi resta altro che suggerire di utilizzare come strumento di giudizio quanto Cagliostro stesso dice di sé in alcune importanti e magnifiche pagine nelle quali emerge — a giudizio di critici non faziosi — una coscienza e una conoscenza che comprovano l’elevatezza iniziatica di chi le ha scritte e che nessun ciarlatano può simulare senza tradirsi e contraddirsi.

Queste pagine sono contenute in un opuscolo che circolava a Parigi nel 1786, quando Cagliostro venne coinvolto nell’affare della “Collana della Regina” e sono riportate da Marc Haven nella sua opera (Le Maitre Inconnu) ed anche nell’introduzione del Rituale della Massoneria Egiziana. La rivelazione del significato esoterico e massonico del documento deve molto ad un Fratello: Arturo Righini (Ignis – Rivista di studi iniziatici, 1925) che lo tradusse e lo commentò, precisando che i vari passi del contesto appaiono rivolti a dei Liberi Muratori praticanti i gradi “scozzesi”. Non mi resta che riportare il documento, cercando di

riassumere il commento del Righini.

Non sono di alcun epoca, né di alcun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza, e se immergendomi nel mio pensiero risalgo il corso delle età, se distendo il mio spirito verso un modo di esistenza lontano da quello che voi percepite, divengo colui che desidero. Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo l’ambiente che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione, perché sono libero; il mio paese è quello in cui fisso momentaneamente i passi. Datatevi, se lo volete, da ieri, rialzandovi con l’aiuto degli anni vissuti da antenati che vi furono estranei; o da domani, per l’orgoglio illusorio di una grandezza che non sarà mai la vostra.

Sin dall’inizio Cagliostro afferma la sua indipendenza, dal tempo e dallo spazio, per separarsi in modo netto e categorico dal modo d’essere proprio dei mortali e si dichiara cosciente della e nella sua partecipazione all’essere assoluto. Come questi, quindi, è al di fuori del tempo e dello spazio. Perciò i singoli momenti e luoghi sono per lui equivalenti, sono parimenti e dipende da lui divenire colui che desidera in un dato momento e luogo. Cagliostro vive la sua eterna esistenza spirituale ed è libero perché è cosciente di essere colui che è. Ego sum qui sum è l’affermazione che può essere fatta solo da colui che ha realizzato l’immortalità spirituale e fisica (raggiunta attraverso le due quarantene). Questo brano, a mio modo di vedere, è di particolare importanza perché “costringe” ad affrontare il problema del tempo e dello spazio in relazione alla coscienza dell’iniziato.

Ritengo infatti che la chiara visione di questi limiti della condizione e

della coscienza umana sia essenziale ad ogni sviluppo iniziatico.

Sostanzialmente si tratta di capire e di dimostrare che il tempo e lo spazio esistono fin quando non vengono scardinati dalla condizione umana di coscienza o per mezzo della morte fisica o per mezzo di quella iniziatica. Tempo e spazio esistono nella mente umana e non è la coscienza umana che esiste, in uno spazio e in un tempo concepiti ed esistenti come assoluti ed indipendenti dalla vita del singolo.

Capisco che il problema non è facile, ma non è nemmeno “trascendentale”. Per meglio spiegarmi, forse non è superfluo fare qualche esempio, magari andando ad attingere ad esperienze scientifiche, che, spesso, sono di gran lunga inferiori a quelle iniziatiche. Mi riferisco ad un singolare esperimento (che ho citato anche in altre occasioni), e che fu effettuato qualche anno fa, intorno agli anni Settanta: su due jet supersonici si misero alcuni orologi atomici, cioè di massima precisione, più esatti del movimento di un pianeta, e i due jet, lanciati ad eguale velocità furono fatti girare intorno al mondo in senso contrario. Quando tornarono alla base gli orologi che si trovavano su un apparecchio segnavano un orario diverso da quelli che si trovavano sull’altro, eppure erano stati perfettamente sincronizzati in partenza. La spiegazione scientifica l’aveva già data Einstein il quale con la sua teoria della relatività ha infranto determinati confini del normale e del possibile. Infatti fino a lui si era certi che il tempo avesse sempre lo stesso ritmo, anche se gli orologi andavano avanti o indietro. Dopo di lui la misura del tempo è diventata relativa, in quanto secondo la sua teoria il temposi misura a seconda di come ci si muove perché non è un valore assoluto.

Alla scienza l’esperimento citato ha dimostrato la fondatezza della teoria di Einstein, ma a noi che cosa può insegnare?  Se su quegli orologi in movimento il tempo è trascorso in modo diverso, è evidente

che tempo e spazio non sono concetti separati, ma in rapporto fra loro.

Quindi eventi separati nel tempo possono trovare punti di incontro nello spazio, e viceversa (e, in questa sede, oggi, senza aprire un altro capitolo, sommessamente suggerisco di pensare alle profezie, alle visioni, alle trasmissioni medianiche di Cagliostro, e non solo).

Vi è quindi un mondo dove le cose non accadono seguendo una logica del prima o del dopo. Vale a dire che le cose succedono in una sorta di “tempo spaziale continuo”, dove il prima e il dopo, la causa e l’effetto non sono fra loro separati, ma fanno parte dello stesso quadro, dello stesso insieme. Questo mondo è quello che vive concretamente e realmente nella mente dell’iniziato, che non è di alcun epoca né di alcun luogo e il cui essere spirituale vive la sua eterna esistenza fuori del tempo e dello spazio. Torniamo, ora, allo scritto di Cagliostro.

Non ho che un padre: varie circostanze della mia vita mi hanno fatto supporre a questo proposito delle grandi commoventi verità; ma i misteri di questa origine e i rapporti che mi uniscono a questo padre incognito sono e restano i miei segreti; che coloro che saranno chiamati a divinarli, a intravederli, come io ho fatto mi comprendano e mi approvino. Quanto

al luogo, all’ora, dove il mio corpo materiale, circa quaranta anni fa, si è formato sopra questa terra; quanto alla famiglia che ho scelto per questo, voglio ignorarli; non voglio ricordarmi del passato per non aumentare le responsabilità già pesanti di coloro che mi hanno conosciuto perché è

scritto: “tu non farai cadere il cieco”. Io non sono nato dalla carne né dalla volontà dell’uomo: io sono nato dallo spirito. Il mio nome, quello che mi appartiene e che da me proviene, quello che ho scelto per comparire in mezzo a voi, ecco quello che io reclamo. Quello con cui mi si chiamò alla mia nascita, quello che mi è stato dato nella mia giovinezza, quelli sotto i quali in altri tempi e luoghi, fui conosciuto, li ho lasciati, come avrei lasciato dei vestiti non più di moda e ormai inutili. In questo passo non particolarmente complesso, Cagliostro allude — come commenta il Reghini — ad un genitore che evidentemente non è il padre del suo corpo. Si potrebbe pensare che si riferisca ad un padre che lo aveva spiritualmente formato, e su questo torneremo in seguito ma, al momento, in mancanza di ulteriori elementi è meglio non formulare altre supposizioni. Tuttavia Reghini ritiene che Cagliostro, con questo padre incognito alluda addirittura all’essere assoluto o ad un “capo della gerarchia spirituale della terra”. Il Gentile a riguardo opportunamente osserva che: Siamo nell’ambito di quell’atmosfera penetrata dai veri e presunti messaggi ed ordini dei Superiori Incogniti, pro-pria dell’epoca di Cagliostro ed anche vicini al concetto del Re del Mondo. In conclusione questo passo nel suo complesso sembra riferirsi alla rigenerazione spirituale delle “quarantene” più che semplicemente

alla nascita iniziatica o come vorrebbe il Reghini ad una scelta di incarnazione quando pensa ad una nascita fisica intesa come “incorporazione” avvenuta in modo diverso dal solito, poiché, non è per un caso né per una legge che egli è nato dove è nato; egli ha scelto la sua famiglia. Un’ultima, breve osservazione va fatta sul punto dove l’Autore parla del nome con il quale vuole essere chiamato o dove mi sembra abbastanza evidente il riferimento a un nome non anagrafico, ma iniziatico. Eccomi: sono nobile e viaggiatore; io parlo e la vostra anima freme riconoscendo antiche parole; una voce, che era in voi, e che si era taciuta da bel lungo tempo, risponde all’appello della mia; io agisco e la pace torna nei vostri cuori, la salute nei vostri corpi, la speranza e il

coraggio nelle vostre anime. Tutti gli uomini sono miei fratelli; tutti i paesi mi sono cari; li percorro perché dappertutto lo Spirito possa discendere e trovare un cammino verso di voi. Ai re, di cui rispetto la potenza, non chiedo che l’ospitalità sopra le loro terre e quando mi è accordata, passo, facendo intorno a me il maggior bene possibile; ma non faccio che passare.

Non sono un nobile viaggiatore? Non credo che ci si debba particolarmente applicare nella interpretazione di quanto precede, che, a mio avviso, non è altro che una chiara ed esplicita dichiarazione di “fede” massonica, di parole rivolte da un Fratello a Fratelli.

Come il vento del Sud, come la rifulgente luce del Mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, io vengo verso il Nord, verso la bruma e il freddo, abbandonando dappertutto sul mio passaggio alcune particelle di me stesso, prodigandomi, diminuendomi ad ogni stazione, ma lasciandovi un po’ di chiarezza, un po’ di calore, un poco di forza, sino a che in fine io sia arrestato e fissato definitivamente al termine della mia carriera, all’ora in cui la rosa fiorirà sulla mia croce. Io sono Cagliostro.

L’Autore sembra tornare con insistenza sul simbolismo massonico: e infatti è a mezzogiorno che in Loggia siedono i Maestri ed è a mezzogiorno che il sole, simbolo della divinità, risplende con il massimo

fulgore. Tutto il suo peregrinare dal nord al sud, con dispendio di energia e distribuzione di forze, giunge al termine quando, in Roma,

fece fiorire la rosa ermetica sopra la croce cristiana.

Per una migliore cognizione del testo, non credo superflua una brevissima lettura del simbolismo proposto. La più importante componente del Rosa-crucianesimo è senza dubbio l’ermetismo, al quale si affiancano elementi del cristianesimo (sia pure come punto di

partenza per una interpretazione esoterica) e la letteratura dei Fedeli d’Amore e delle tradizioni trovadoriche romantiche, dove la rosa aveva assunto una particolare importanza. Inoltre dal punto di vista spirituale “Rosacroce” è un titolo che contraddistingue uno stato di

coscienza o di realizzazione interiore. Infatti, nel simbolismo universale più che cristiano, la croce raffigura l’incontro dell’alto (la verticale) con lo stato terreno (l’orizzontale). Tale incontro in genere e per i più, si risolve nella cosiddetta “caduta” o per dirla con gli gnostici, nella “crocifissione dell’uomo trascendente nella materia”. Per l’iniziato invece significa il pieno possesso delle possibilità della condizione umana, la quale ne risulta trasformata tanto che lo sviluppo può essere concepito come una espansione, un’apertura, un “fiorire” come appunto è indicato dalla rosa che si dischiude esattamente al centro dell’intersezione dell’asse verticale con quello orizzontale, e che pertanto diventa simbolo di completezza, di raggiungimento del fine, e quindi di perfezione. Inoltre la rosa è anche simbolo della transizione o del passaggio necessario alla perfezione: nella Divina Commedia, Dante

giunge al Paradiso attraverso la “Rosa Mistica”; Apuleio fa recuperare le fattezze umane al protagonista dell’Asino d’Oro, facendogli mangiare delle rose e nel Roman de la Rose a questo fiore viene attribuito il significato di veicolo e fine della trascendenza mercè il potere santificante dell’amore. Infatti a tale riguardo va precisato che l’amore

essendo unione, quindi annullamento di dualismo, di separazione, di ritorno all’androgino primordiale è un modo di pervenire al “centro”. Lo stesso atto fisico dell’amore esprime il desiderio di “morire” di “dissolversi” nell’oggetto del desiderio. Simbolo di questo volersi trasferire nel “centro” è ancora la Rosa e nell’Estremo Oriente il fior di loto.

Perché vi occorre qualche cosa di più? Se voi foste degli infanti di Dio, se la vostra anima non fosse così vana e così curiosa, avreste di già compreso! Ma avete bisogno di particolari, di segni e di parabole: ebbene ascoltate! Risaliamo ben lontano nel passato perché lo volete.  Ogni luce viene dall’Oriente; ogni iniziazione dall’Egitto; io ho avuto tre anni come voi, poi sette anni, poi l’età d’uomo e, a partire da questa età, non ho più contato. Tre settenari d’anni fanno ventuno anni e realizzano la pienezza dell’organismo umano.

Anche nel simbolismo massonico la luce viene dall’Oriente, come a questo simbolismo appartiene tutto il discorso delle età rituali. Tre anni dell’Apprendista, sette del Maestro, l’età d’uomo, trentatré del 18° grado (Rosa-Croce), un secolo e più del 30° grado (Cavaliere Kadosch) che dice anche a proposito della sua età non conto più, ed infine, secondo alcuni

rituali, sembra che il triplo di sette sia l’età del Cavaliere Eletto dei IX.

Nella mia prima infanzia sotto la legge di rigore e di giustizia ho sofferto

in esilio, come Israele fra le nazioni straniere. Ma come Israele aveva con sé la presenza di Dio, come un Metraton lo vegliava nelle sue vie, così pure un angelo possente vegliava sopra di me, dirigeva i miei atti, illuminava la mia anima, sviluppando le forze latenti in me. Egli era il mio maestro e la mia guida. La mia ragione si formava e si precisava; mi interrogavo, mi studiavo e prendevo coscienza di tutto quello che mi circondava; ho fatto dei viaggi, parecchi viaggi tanto intorno alla camera

delle mie riflessioni che nei tempi e nelle quattro parti del mondo; ma quando volli penetrare l’origine del mio essere e salire verso Dio in uno slancio dell’anima mia, allora la mia ragione taceva impotente e mi lasciava in balia delle mie congetture. Un amore che mi attirava in una maniera impulsiva verso ogni creatura, un’ambizione irresistibile, un sentimento profondo dei miei diritti ad ogni cosa dalla terra al cielo, mi spingevano e gettavano verso la vita, e l’esperienza progressiva delle mie forze, della loro sfera di azione, del loro giuoco e dei loro limiti, fu la lotta che dovetti sostenere contro le potenze del mondo; fui abbandonato e tentato nel deserto; ho lottato con l’angelo come Giacobbe, con gli uomini e con i demoni, e questi, vinti, mi hanno appreso i segreti che concernono l’impero delle tenebre perché non potessi mai smarrirmi in alcuna delle

vie dalle quali non si torna. Nella condizione attuatasi in virtù della legge “di rigore e di giustizia”, sembra manifestarsi una chiave di lettura.

È noto che “il re di giustizia”, dall’eterno sacerdozio è per la tradizione ebraica Melchisedek, re di Salem (pace) prete di El-Eloim, l’Altissimo, addirittura superiore ad Abramo, che da lui ricevette la benedizione e al cui ordine appartiene anche Gesù del quale appunto si dice “prete secondo l’ordine di Melchisedek”. Ciò premesso, Reghini tende ad identificare in questa figura il padre “unico e incognito” a cui allude Cagliostro e quindi aggiunge: Se Cagliostro afferma qui la sua appartenenza e dipendenza a questo stesso ordine di Melchisedek, egli non fa che affermare la propria regolarità iniziatica e, sono forse questi in parte, i segreti ed i rapporti che lo uniscono al suo padre unico.

Inoltre, la spada e la bilancia (rigore e giustizia) compaiono nelle iconografie cristiane nelle mani dell’Arcangelo Michele.

Cabalisticamente la connessione verbale tra Michael, Maleak (angelo) e Melek (re) conferma il riferimento a Melchisedek. Infine Cagliostro, essendo sottoposto a legge di rigore e di giustizia, è assistito da un angelo, che paragona al Metraton, alla presenza di Dio. Nel Metraton si collegano la Shekinah “la presenza reale della divinità”.

Con questi riferimenti le parole di Cagliostro sembrano acquistare un senso abbastanza preciso, tuttavia, quell’espressione “legge di rigore e

di giustizia” lascia la porta aperta verso ulteriori speculazioni. Infatti, la condizione che si attua in virtù della legge “di rigore e di giustizia”, a

mio modo di vedere indica un preciso percorso per un cammino iniziatico, per un progressivo e dinamico sviluppo verso la legge Universale d’Evoluzione e d’Amore, verso la conoscenza diretta e l’esperienza della Verità. Per raggiungere lo scopo è necessario trasformare il divenire miserevole dell’Uomo in attualità d’esistenza eroica scoprendo innanzi tutto se stessi e costituendosi per compiere “il lavoro”. E qui, per meglio rendere il mio pensiero, mi rifaccio ad un simbolismo che si ricollega ad antichi rituali che dicono che tre Fratelli formano una Loggia semplice, cinque una Loggia giusta e sette una Loggia giusta e perfetta. Analogamente tre Fratelli dirigono una Loggia, cinque la illuminano e sette la rendono giusta e perfetta.

Ciò significa che la Loggia semplice caratterizzata dal TRE è l’uomo pensante costituito da una componente fisica, una animica ed una spirituale. Tale Loggia, o tale uomo, il che è lo stesso, è rappresentabile con un triangolo ed è retta dal Sole, dalla Luna e da Mercurio cioè l’uomo non esiste senza un principio positivo, uno negativo ed uno equilibrante, il che vale come dire senza Fuoco Acqua ed Aria).

L’Uomo e quindi la Loggia prende coscienza di sé quando alle componenti suddette (Sole, Luna, Mercurio) si aggiungono la Forza e la Bellezza. Ciò significa conoscere la legge binaria con tutte le implicazioni e derivazioni. Tale Loggia è rappresentabile con una stella a cinque punte ed è retta anche da Venere e Marte. Infine, l’Uomo, padrone della legge binaria, raggiunto l’equilibrio fra le opposte polarità, acquisisce la Maestria ed è in grado di applicare GIUSTIZIA e RIGORE, esercitando il suo libero arbitrio. Tale Loggia è rappresentabile con una stella a sette punte ed è retta oltre che da Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, anche da Giove (Giustizia) e da Saturno (Rigore). Ebbene tutto il travaglio che Cagliostro ha innanzi illustrato, a me sembra riconducibile allo sforzo di chi lavora alla costituzione di sé ed in sé dell’Essere, per realizzare quella espansione di coscienza

destinata a rendere reali i vari gradi di iniziazione virtuale e in definitiva per raggiungere, durante il tempo della presenza nel mondo fisico, la conoscenza diretta, l’esperienza del trascendente.

Per concludere questa lunga parentesi nella lettura del testo, dobbiamo fare un’ultima osservazione sulla manifesta allusione ai viaggi simbolici delle cerimonie iniziatiche, nonché alle quattro parti del mondo, cioè i quattro punti cardinali che corrispondono ai quattro lati del Tempio. Infine il deserto, al quale allude l’Autore sembra un chiaro richiamo al senso di solitudine spirituale, di squallore e di abbandono che investe e opprime colui che perde la speranza dell’altezza e che è  terrorizzato dall’esaltante ma pericolosa esperienza del VITRIOL. In questo stato di desolata disperazione — concludiamo con il Reghini — non vi è più nessuna ragione né superiore né umana per attenersi aduna condotta piuttosto che ad un’altra. Ma una volta raggiunto lo scopo, l’uomo non può più essere tentato, perché raggiunta la perfezione morale (prima quarantena) conosce il bene e il male e perciò non può più smarrirsi nelle vie da cui non si ritorna che conducono tra “la perduta gente” e nelle “diserte spiagge” dantesche.

Un giorno — dopo quanti viaggi ed anni! — il Cielo esaudì i miei sforzi: si ricordò del suo servitore e, rivestito di abiti nuziali, ebbi la grazia di essere ammesso come Mosè dinanzi all’Eterno. Da allora ricevetti come un nome nuovo, una missione unica. Libero e padrone della vita, non pensai più che ad impiegarla per l’opera di Dio. Sapevo che Egli confermerebbe i miei atti e le mie parole, come io confermerei il suo nome e il suo regno sopra la terra. Vi sono degli esseri che non hanno più angeli custodi: io fui uno di questi. Ecco la mia infanzia, la mia gioventù quale il vostro spirito inquieto e desideroso di parole la reclama; ma che sia durata per più o meno anni, che si sia svolta nel paese dei vostri padri o in altre contrade, che vi importa? Non sono un uomo libero? Giudicate i miei costumi, vale a dire le mie azioni; dite se sono buone, se ne avete viste di più possenti, e, allora, non vi occupate della mia nazionalità, del

mio rango e della mia religione. Se proseguendo il corso felice dei suoi viaggi, qualcuno di voi perviene un giorno a toccare quelle terre d’Oriente che mi hanno veduto nascere, che ei solamente si ricordi di me, che pronunci il mio nome, ed i servitori di mio padre apriranno dinanzi a lui le porte della città santa. Allora egli ritorni a dire ai suoi fratelli se ho abusato tra voi di un prestigio menzognero, se ho preso nelle vostre dimore qualche cosa che non mi apparteneva.

Finalmente dopo tanti viaggi ed anni — del cui simbolismo ormai ci è chiara la trasparenza — gli sforzi fanno raggiungere la meta. Ecco l’abito nuziale, per le “mistiche nozze” del linguaggio ermetico e cabalistico, e secondo il costume iniziatico l’abbandono del nome secolare e, senza più angeli custodi, una nuova nascita glorificata e spiritualizzata dalla Grande Opera.

4 – Il Sigillo del Serpente

A questo punto, lo spazio che ci è stato concesso non ci consentirebbe di andare oltre, ma parlando di Cagliostro come si fa ad ignorare il famoso “Sigillo del Serpente” che molti considerano “la sua firma esoterica”, il simbolo nel quale, insieme al “credo” ha condensato tutta la sua conoscenza. Quindi, quasi come una appendice di chiusura, o di “sigillo” solo qualche annotazione, come dire, “a piè di pagina”.

Il simbolo è costituito da un serpente ritto sulla coda, con una mela in bocca, trafitto da parte a parte da una freccia in modo da sembrare una “S”, mentre la freccia forma una “I”. Dunque il monogramma “SI” che sta per Superieur Inconnu (“superiore sconosciuto”).

In tale sigillo si può vedere innanzitutto il numero 8, ritenuto il simbolo dell’equilibrio cosmico e ancora la perfezione che precede la resurrezione. Senza dire che numericamente l’8 rappresenta l’infinito.

Qualcuno nel Sigillo o nel serpente ha visto un riferimento alla simbologia egizia. Se la tesi è sostenibile, riferendoci a Cagliostro può servire a spiegare la sua professione di guaritore, poiché nell’antico Egitto il Serpente era il dio della guarigione, secondo il principio che il veleno annulla il veleno, ma anche presso i  Greci troviamo due serpenti attorcigliati al caduceo di Esculapio, dio della medicina; un serpente compare ancora sullo scudo di Athena e nel Partendone.

In verità sono molte le interpretazioni date a questo simbolo che riassumono sfaccettature molto correlate di quel mondo particolare del personaggio che lo aveva chiamato a raffigurare forse una o tutte le interpretazioni che seguono: La realizzazione iniziatica: il serpente, forma terrena e involuta, conquista il frutto della conoscenza e quindi muore, rinascendo a nuova vita più evoluta. Il Male, con la fatidica mela di Adamo ed Eva nelle fauci mentre la freccia qui diventa lo sguardo divino che lo trafigge. La corrente astrale, una sorta di rete invisibile presente in tutto l’universo, trafitta da una volontà capace di dominarla.

I quattro elementi, la terra rappresentata da un piccolo lembo di spiaggia, l’acqua dall’onda marina, l’aria del cielo nuvoloso del paesaggio, il fuoco del serpente dalla forma sinuosa, il cui profilo si innalza in mezzo ai flutti.

La materia nella sua faticosa ascesa verso l’integrale purezza, che passa dalla forma compatta e solida (la terra) alla forma liquida (acqua), poi allo stato gassoso (aria) ed allo stato raggiante (fuoco). Simbolo strettamente alchemico. In tal caso il Serpente è l’ideale rappresentazione del principio alchemico primordiale, detto anche “mercurio iniziale”, che è scorrevole come l’acqua e come questa serpeggia. La freccia assume qui il ruolo dell’agente maschio che penetra la materia greve e femmina. Forse, infine, con il serpente e la freccia Cagliostro ha voluto simboleggiare nel suo sigillo niente altro che il maschio e la femmina che insieme all’acqua magica formano i tre grandi protagonisti della Grande Opera alchemica.

TRATTP DA “HIRAM”  2009/1

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