NOBEL PER LA PACE-ERNESTO MONETA

ERNESTO TEODORO MONETA

NOBELPERLAPACE1907

di Velia Iacovino

Combattente garibaldino, libero muratore, tra i più brillanti giornalisti dell’Otto­cento, Ernesto Teodoro Moneta, nato da un’antica e aristocratica famiglia il 20 settembre1833 a Milano, dove morì il 10 febbraio del 1918, ingiustamente poco celebrato, perché forse malin­teso nelle sue apparenti contraddizioni, è l’unico italiano ad essersi aggiudicato il Nobel per la Pace, il più ambito riconoscimento del mondo. Ri­conoscimento, che gli venne conferito, insieme al giurista francese Louis Renault, il 10 dicembre1907 per il suo appassionato impegno nella pro­mozione “della fraternità delle genti”, come recitala scritta in latino incisa sulla medaglia che gli fu consegnata in quella speciale occasione. Di bel­l’aspetto, affascinante ed empatico, Moneta amava andare a cavallo, recitare in spettacoli teatrali ama­toriali e scrivere recensioni per Il Secolo, il quoti­diano fondato nel 1866 da Edoardo Sonzogno e che dal 1867 fino al 1895 fu lui a dirigere brillantemente. (Nobel Lectures, Peace 1901-1925, Editor Fred­erick W. Haberman, Elsevier Publishing Company,Amsterdam, 1972 – https ://www. nobelprize. org/prizes/peace/1907/ moneta/biographical/ ).

La Massoneria e la famiglia

Nel corso del tempo c’è anche chi ha sollevato dubbi sulla sua iniziazione massonica. Ma a spaz­zarli definitivamente via è oggi la testimonianza diretta della sua pronipote Alessandra Ricci Mo­neta Caglio Monneret de Villard, avvocato pena­lista, che abbiamo intervistato. “Purtroppo – ha spiegato la discendente del premio Nobel- buona parte dei documenti del mio trisnonno sono an­dati perduti… ma in famiglia tutti sapevano della sua appartenenza alla Massoneria, sia per le sue idee sia per i litigi furiosi con la moglie prima e col figlio maggiore poi, entrambi ferventi cattolici. Mi raccontava mia madre che, quando mio nonno, entrò anche lui nella Libera Muratoria, il padre gli rimproverò aspramente di essere ‘eretico’ come Ernesto Teodoro, che era profondamente e frater­namente legato a Giuseppe Garibaldi da un forte rapporto di stima e di amicizia che proseguì anche dopo la campagna dei Mille”. C’è stata una vo­lontà precisa “da parte dei membri più fanatica­mente religiosi della nostra famiglia – sostiene Alessandra Moneta- di cancellarne per sempre  l’identità massonica”. Identità che invece emerge con forza e tutta evidenza dalle sue prese di posi­zione, dai suoi scritti, da quel progetto di pace in­ternazionale, che portò avanti con impareggiabile passione e che aveva radici nella sua  formazione. Un progetto in cui credette fortemente, convito come era della necessità di costituire libere comu­nità nazionali guidate da istituzioni rappresenta­tive che si occupassero di realizzare un’armoniosa e pacifica convivenza tra i popoli. Moneta fu fino in fondo un libero muratore che non temette maidi schierarsi e che seppe dare senza retorica forma concreta ai suoi principi, attirando su di sé una sorta di ingiustificata damnatio memoria e che ha sempre pesato sulla sua figura e che ancor oggi resta difficile da dissipare.

In punta di penna e di sciabola

Le note biografiche, pubblicate sul sito del Premio Nobel, confermano i forti dissapori familiari, cau­sati dal suo strenuo anticlericalismo, che pur ap­pariva in contrasto con la sua profonda religiosità. “Si allontanò dalla moglie e dai suoi due figli du­rante la sua vita – si legge- in gran parte perché la moglie non fu in grado di accettare questa ap­parente incoerenza nell’atteggiamento del marito verso la fede che per lei significava così tanto”. Ebbe a dire di lui Morris Ghezzi, giurista, socio­logo, libero muratore, per molti anni vicepresi­dente della Fondazione Moneta (oggi non più attiva): “Fu un apostolo dell’universalismo e uma­nesimo libero muratorio che gettò le fondamenta della modernità e che come nella Rivoluzione francese e in quella americana anche in Italia di­resse le fila delle guerre e dei movimenti che por­tarono all’Unità d’Italia ed alla nascita della democrazia nel nostro paese. Moneta fu una figura di grandissimo rilievo mondiale, purtroppo quasi censurata nella memoria del nostro paese, e un convintissimo assertore dei principi della Masso­neria Universale alla quale si rifacevano anche Ga­ribaldi e Cavour, che gettò le basi per una nuova visione del diritto internazionale autonomo dalle nazioni. Appartenne a quella composita schiera di intellettuali che con la penna e la sciabola fonda­rono l’Italia moderna, democratica, socialista, at­traverso una rivoluzione compiuta che fu l’Unità del paese. Una figura dalla religiosità laica e teo­sofica vincente, che da guerriero si convertì ai principi kantiani sulla pace universale e ne divenne un apostolo fino al Premio Nobel” (Tabloidn. 7/8 2003 Fabrizio De Marinis  

direttore de Il Secolo meritò nel 1907 il Nobel per la pace. In punta di sciabola”).  In prima linea

Personaggio affatto facile da decodificare, dalle in­comprensibili -per molti- antinomie, visse una vita intensa. Dal 18 al 22 marzo del 1848 – non aveva ancora compiuto 15 anni- prese parte alle Cinque Giornate di Milano per poi cercare di ar­ruolarsi come volontario nell’esercito piemontese senza riuscirvi poiché il Comitato lombardo di emigrazione, al di là del Ticino, ne aveva respinto la richiesta, inviandolo invece alla Scuola militare di Ivrea affinché potesse proseguire gli studi (Ful­vio Conti – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume75 – 2011). Successivamente Moneta, come pro­vano documenti scoperti solo nel 2007 nell’archi­vio storico dell’Università di Pavia, frequentò il prestigioso ateneo pavese – lo stesso nel quale si formò un altro Nobel italiano e massone, il medico istologo Camillo Golgi- seguendo con brillanti ri­sultati nell’anno accademico 1852- 1853 il corso di discipline politico-legali, che influì molto sulla sua futura vocazione pacifista. Ma presto Moneta preferì tornare alle battaglie risorgimentali. Nel1858, “subito dopo l’attentato di Felice Orsini a Parigi, fondò una società segreta di giovani d’azione, della quale egli solo aveva tutti i nomi ele fila” (Appunti autobiografici, in “Giù le armi! Ernesto Teodoro Moneta e il progetto di pace internazionale” Clau­dio Ragaini, Franco Angeli). A Torino l’anno succes­sivo, mettendo da parte i suoi ideali repubblicani, aderì alla Società nazionale italiana, il cui pro­gramma prevedeva l’unificazione sotto la dinastia dei Savoia, collaborando con due giornali che ne propagandavano gli ideali: L’Unità nazionale e Il Pic­colo Corriere d’Italia. Subito dopo si arruolò come volontario nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, co­mandati da Garibaldi.

L’ultima battaglia

Partecipò alla Spedizione dei Mille restando al fianco dell’Eroe dei due mondi anche in seguito, fino alla sfortunata battaglia di Custoza del 1866,durante la quale divenne assistente di campo del generale Giuseppe Sirtori (1813-1874), politico e patriota italiano, ultimo comandante dell’Esercito meridionale, cinque volte deputato, con cui strinse una profonda amicizia destinata a durare tutta la vita, nonostante la forte disillusione che  aveva provato proprio nel corso di quell’ultima campagna militare che segnò la fine della sua car­riera militare e il ritorno alla vita civile e alla sua vera passione: il giornalismo.

Un giornale per costruire l’Italia

Sotto la sua sapiente guida durata 30 anni, Il Secolo divenne tra gli organi di informazione più vivaci e innovativi dell’epoca, punto di riferimento di tutto quel vasto movimento di pensiero democra­tico e socialista fortemente coinvolto nei processi unitari e nelle grandi riforme sociali. Con Moneta il numero dei lettori passò in breve tempo da 30mila a oltre 100 mila grazie anche ad alcune ini­ziative popolari che tra cui la pubblicazione di ro­manzi a puntate firmati da scrittori come Victor Hugo, George Sand, Julius Verne, Alexander Dumas, e la promozione di lotterie e concorsi a premi. Dalle colonne del suo quotidiano il gior­nalista ex garibaldino espresse un’opposizione critica, da radicale moderato, al governo sia della Destra storica che della Sinistra costituzionale, si scagliò contro il clero, che considerava un fattore di forte ostacolo al progresso sociale, e propose l’abolizione della leva obbligatoria da sostituire con periodiche esercitazioni militari da tenersi nei comuni di residenza.

Amico di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, di Lev Tolstoj, Vilfredo Pareto, Emilio De Marchi, Ed­mondo De Amicis, Scipione Borghese, Felice Cavallotti con i quali intratteneva intese corrispondenze, nel 1887 fu tra i promotori della Unione Lombarda per la Pace e l’Arbitrato Internazionale che, grazie a lui crebbe trasformandosi nella Società Internazionale per la Pace, e dopo la sua morte nella Società per la Pace e la Giustizia Internazionale.

L’incontro con il giovane Mussolini

Nel 1902 conobbe Benito Mussolini con cui ri­mase in lungo e costante contatto epistolare. L’in­contro ebbe luogo a Forlimpopoli, dove il futuro duce si era avvicinato al socialismo militante e si era diplomato maestro. L’occasione fu il matri­moni che ebbe luogo il 15 gennaio di quell’anno nella cittadina romagnola del figlio di Moneta Luigi con Augusta Rossetti, nella cui tenuta il nonno di Mussolini lavorava come fattore (intervi­sta con Alessandra Moneta). Il celebre giornalista si intrattenne con il giovane maestro famoso nella contrada per i comizi in difesa dei braccianti che teneva nel forlivese. E chissà se sulla decisione che poi prese, sei mesi più tardi, di emigrare in Svizzera per sfuggire al servizio militare non abbia influito proprio quel colloquio con Moneta.

Nel 1890 fondò l’almanacco a contenuto popolare L’Amico della Pace, nel 1895 divenne il rappresen­tante italiano nella Commissione dell’Internatio­nal Peace Bureau e nel 1898 fondò la rivista La Vita Internazionale, cui collaborarono i più grandi intel­lettuali dell’epoca. In un momento storico in cui il pacifismo non era un’idea radicata, contribuì a  diffondere sentimenti umanitari, a favorire l’affra­tellamento dei popoli e le soluzioni arbitrali nelle vertenze internazionali, battendosi per promuo­vere la trasformazione graduale degli eserciti per­manenti. Nel 1906 programmò e costruì un Padiglione per la pace all’esposizione internazio­nale di Milano e presiedette il 15º Congresso In­ternazionale dedicato a questo tema che la sua città ospitò.

Una nuova idea di pace

La sua idea di pace non aveva nulla di utopico e retorico e per questo venne spesso mal compresa. Moneta non credeva al pacifismo assoluto che ri­fiuta apoditticamente ogni forma di violenza e ri­teneva legittima la difesa nazionale, polemizzando a questo riguardo con l’amico Tolstoj e altri grandi del suo tempo. Era fortemente calato nella realtà e fermamente convinto che la pace fosse la natu­rale conseguenza del compimento di quello spirito di solidarietà tra gli uomini e tra le comunità umane che contribuiscono alla realizzazione del benessere per tutti. E che a tale fine bisognava la­vorare. “Il pacifismo, come lo abbiamo sempre sostenuto(…) non cerca di cancellare i paesi gettandoli nel crogiolo del cosmopolitismo, ma di organizzarli, se già non è così, secondo i dettami della giustizia. In varietate unitas! Più ogni nazione contribuisce alla società mondiale con la ric­chezza delle proprie attitudini, della propria razza e delle proprie tradizioni, maggiore sarà lo sviluppo futuro e la felicità dell’umanità”. Sono le sue parole, parole tratte dal discorso che due anni dopo la cerimonia di premiazione, fu invitato a tenere all’Istituto Nobel per la pace di Oslo nell’agosto del 1909 e nel corso del quale raccontò il momento preciso in cui ragazzino, non ancora quindicenne, durante le Cinque giornate di Milano, vide morire un gio­vane austriaco, un nemico, rendendosi all’improv­viso drammaticamente conto di “tutta la crudeltà e la disumanità della guerra che mette i popoli l’uno contro l’altro a reciproco danno, popoli che dovrebbero avere tutto l’interesse a comprendersi ed essere amici”. (Cfrhttps://www.nobelprize.org/prizes/peace/1907/moneta/lecture/). In quello stesso intervento intitolato La pace e il diritto nella tradizione italiana, Moneta disse anche parlando delle battaglie risorgimentali alle quali aveva par­tecipato: “La nostra rivoluzione non è stata un’improvvisa rivolta contro un regime tirannico; ma il risultato diun lungo periodo di evoluzione intellettuale e morale, por­tato avanti da uomini di grande talento e di rare qualità spirituali, poeti e filosofi, veri educatori del popolo, che ci hanno insegnato che la libertà può essere conquistata ri­schiando la morte, ma è preservata solo dall’adesione ai principi di giustizia e attraverso atti di virtù civica”. E citò come grande esempio Cicerone, “che gettò i primi semi del diritto internazionale (…). Cicerone era con­tro tutte le guerre a meno che non fossero assolutamente inevitabili” e sosteneva che le controversie potes­sero essere risolte in due modi: “con la ragione o con la forza; un modo appartiene all’uomo e l’altro alle bestie; si dovrebbe usare la forza solo quando la ragione si rivela impossibile”.

Il dopo Nobel

Un discorso che non mancò di suscitare polemi­che, che si fecero ancor più roventi nei suoi con­fronti quando nel 1911 si schierò pubblicamente a favore della Guerra di Libia e nel 1915 dell’en­trata dell’Italia nel Primo conflitto mondiale. Ci fu persino chi arrivò a chiedere che gli venisse riti­rato il Nobel, non comprendendo le sue motiva­zioni. Moneta pensava che allargando la propria sfera d’influenza nel Mediterraneo il giovane Regno unitario potesse contribuire al manteni­mento della pace europea in un’ottica di bilancia­mento tra potenze. Il suo era un approccio realista e politico, non certamente utopico, alle relazioni internazionali. Un approccio che il pacifismo scon­tato o l’isolazionismo neutralistico non potevano condividere, ma che si fondava su una visione del mondo, in cui i singoli paesi, ciascuno con la pro­pria identità e cultura potessero armonicamente interagire tra loro, intervenendo in caso di neces­sità in difesa di popoli oppressi, intrecciando re­lazioni commerciali, attraverso utili scambi anche culturali, affidando la soluzione di contenziosi non alle armi ma ad organismi ad ok, super par­tes. Una visione che è alla base della nascita prima della Società delle Nazioni e poi delle Nazioni Unite, del Fmi, dell’Organizzazione mondiale per il commercio e di tribunali arbitrali internazionali. Dal 1901 Moneta soffrì di glaucoma e subì nume­rosi interventi agli occhi cecità. Morì di polmonite nel 1918, all’età di 84 anni. Venne sepolto a Mis­saglia (Lecco), nella tomba di famiglia.

Le opere

Molteplici sono i suoi scritti, tra cui i quattro vo­lumi dell’opera Le guerre, le insurrezioni e la pace nel secolo XIX, usciti nel 1904, 1905, 1906 e 1910, un vero e proprio compendio sulle relazioni internazionali; La morte dell’Imperatore Guglielmo. L’utopia di Mazzini e la Pace, Milano, 1888; Il Governo e la Na­zione, Milano, 1888; Del disarmo e dei modi pratici per conseguirlo per opera dei Governi e dei Parlamenti, Città di Castello, 1889; Irredentismo e gallofobia: un po’ di storia, Milano, 1902; La pace e il diritto nella tradizione  italiana, Milano, 1909; L’opera delle Società della pace dalla loro origine ad oggi, Milano, 1910; Patria e Uma­nità, Milano, 1912; L’ideale della Pace e la Patria, Mi­lano, 1912.

La memoria

Per incuria e per una serie di circostanze è stato fatto purtroppo scempio del suo archivio e della sua memoria e a ricordare questo grande italiano  al quale il nostro paese deve molto, ci restano un busto, inaugurato nel 1924, nascosto in un angolo  dei Giardini Pubblici di Milano in Piazza Cavour, dove un piccolo Pantheon invaso dalle ortiche, ri­corda altri letterati ed eroi garibaldini, e un alto­rilievo in bronzo opera dello scultore bolognese Luigi E. Mattei, che la Presidenza della Repubblica ha inserito nelle proprie collezioni aperte ai visitatori il 29 novembre 2007 in occasione dei100 anni dal Nobel. Per questa importante ricor­renza Missaglia, località dove Moneta è sepolto e dove spesso per lunghi periodi si ritirava, facendola spola tra l’abitazione di Tegnoso della moglie e quella delle sorelle a Contra, di cui fu anche sin­daco, il Comune lo ha omaggiato con una manife­stazione e una mostra itinerante di documenti rievocativi allestita da Pietro Redaelli, fotografo che è stato il primo a trovare e recuperare la cor­rispondenza epistolare tra Moneta ed alcuni scrit­tori e combattenti del tempo, come Ada Negri, Cesare Cantù, Giuseppe Garibaldi ed il generale Giuseppe Sirtori. Anche la Fondazione Anna Ku­liscioff gli ha dedicato una mostra nel marzo 2018 ospitata presso l’Archivio di stato di Milano, che svelava per la prima volta scritti inediti di Mo­neta, nonché pregevoli vignette satiriche sulla guerra e sulla politica. Nel 1983 in occasione dei150 anni dalla nascita, le Poste italiane gli hanno dedicato un francobollo commemorativo

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