EBREI MASSONI – UNA GRANDE RISORSA PER L’ISTITUZIONE

EBREI MASSONI:

UNA GRANDE RISORSA PER L’ISTITUZIONE

di Giovanni Greco

Sinogoga di Roma

L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere una storia pressoché

ininterrotta di presenza degli ebrei nelle nostre terre. Non casualmente la comunità ebraica di Roma e la sua Sinagoga

sono più remote del Papato e delle sue chiese – nel 70 d.C. gli ebrei a Roma erano 40.000 su 800.000 abitanti – e di antichissima

origine anche le comunità di Siracusa e di Venosa, nell’area potentina. Permettetemi intanto per principiare di ricordare la straordinaria figura di Shabattai Donnolo, medico, farmacologo, astronomo di Orìa in Puglia, vissuto dal 913 al 982, autore, fra l’altro, del famoso “Libro dei rimedi”, con oltre cento medicamenti, profondamente connesso alla storia della Scuola medica salernitana, più antica di 200 anni rispetto alla scuola bolognese, e le opere di Donnolo, da cui questo e altro si evince, opere che sono certificate dal grande maestro ebreo, quasi novantenne, Shlomo Simonsohn, come ho ascoltato di persona poco tempo fa anche su questo punto a Ravenna, in occasione di una sua lectio magistralis. Nel dodicesimo secolo Beniamino da Tudela, rabbino di Navarra, nei suoi viaggi

per catalogare le comunità ebraiche con accurate descrizioni della vita quotidiana, si fermò a visitare anche i nuclei ebraici di Lucca e di Pisa. Ci vorranno però altri quattrocento anni prima di vedere “I viaggi di Beniamino” pubblicati in ebraico.

Dopo la cacciata dalla Spagna nel 1492, gli ebrei vennero espulsi anche dal sud d’Italia e dalla Sicilia, possedimenti spagnoli, e la maggioranza dei 120.000 ebrei italiani dell’epoca si posizionarono a Roma e nelle zone vicine, come nella zona di Pitigliano, “La piccola Gerusalemme”, terra della libertà e dell’accoglienza.

Nel quindicesimo secolo vorrei almeno ricordare alcuni grandi medici ebrei fra cui Elia di Sabbato da Fermo, archiatra del pontefice, Yuda Messer Leon, rabbino eruditissimo, Guglielmo Portaleone, Davide e

Salamone Azeni, dell’aristocrazia ebraica di  Palermo fino a Mordechai Modena, nonno del più noto Leone Modena, a cui il titolodi dottore venne conferito a Bologna nel 1530, fino a Giacobbe Mantino, pensatore e traduttore di Aristotele, forse fra i primi ebrei a ricevere un incarico didattico presso le università. Invece le prime cattedre di

ebraico, la prima a Bologna nel 1464, vennero affidate a convertiti come Vincenzo di Francia, o Benedetto, di origine spagnola, o un tedesco, Paolo Ricio, medico e filosofo. Dal 1500 cominciò l’era dei ghetti e da allora, da oltre 100.000 ebrei si passa pian piano sino ad oggi, con forse meno di 40.000 persone, con comunità anche a Livorno e a Pisa, dove nel 1944 venne massacrato il presidente della comunità ebraica Giuseppe Pardo Roques, e la cui giurisdizione

territoriale comprende anche Lucca e Viareggio oltre a piccolissimi nuclei: a Pitigliano ci sono ormai solo quattro persone di origine ebraica.

Nei tempi moderni, quanti ebrei hanno onorato il nostro paese con le loro arti, con la sapienza, con le loro capacità imprenditoriali e politiche! Ricordo Sidney Sonnino, convertitosi al protestantesimo, il

senatore Leopoldo Franchetti, i generali Giuseppe Ottolenghi, Roberto Segre ed Emanuele Pugliese, il filosofo Bruno Mondolfo e Gino Bolaffi. Ricordiamoci che fra i dodici professori universitari che rifiutarono

di giurare fedeltà al regime, tre erano ebrei: il chimico Giorgio Errera, il matematico Vito Volterra e l’orientalista Giorgio Levi della Vida senza dimenticare che i professori ebrei, sopravvissuti dopo il 1945, non poterono ritornare alle loro cattedre legittimamente vinte e, di norma, non furono ricollocati. E fra i partigiani italiani Eugenio Calò, medaglia d’oro al valore militare, non era forse un ebreo toscano, e il

più giovane dei partigiani italiani deceduto non era un ebreo mantovano residente a Bologna, nome di battaglia, Balilla, ucciso

a tredici anni: Franco Cesana? La massoneria e l’ebraismo hanno molte affinità, numerosi sono i punti che uniscono i massoni agli ebrei.

Per esempio le affinità in materia di rituali, l’importanza legata ai numeri, specifica caratteristica della Cabala, i nomi e la collocazione

delle due colonne all’ingresso del nostro tempio, a memoria del tempio di Salomone, la stessa ricostruzione del tempio, e nei tempi passati la necessità per la massoneria e per l’ebraismo di strutturarsi in modo segreto, lo stesso peso nel dare alle persone, agli esseri umani, un valore assoluto, quasi “divino”. Non casualmente quella splendida figura dell’ebraismo italiano che fu il rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1823-1900), nella sua “La verité israélite”, scriveva: “Lo spirito della massoneria è lo spirito del giudaismo nelle sue

credenze più fondamentali: sono le sue idee, è il suo linguaggio, è quasi la sua organizzazione”.

E aggiungerei anche il suo straordinario internazionalismo: non casualmente la massoneria all’interno della Gran Loggia di Israele è davvero cosmopolita, le lingue ufficiali sono naturalmente l’ebraico e l’arabo, si lavora anche in inglese, francese, spagnolo, tedesco, rumeno, turco e ogni loggia ha contemporaneamente aperti, uno vicino all’altro, i tre volumi della legge, la Bibbia ebraica, la

Bibbia cristiana e il Corano, e tutto induce a pensare e a lavorare con un respiro mondiale.

Numerosi gli ebrei massoni che si batterono per l’unità d’Italia, Italia che per gli ebrei è stata interpretata come “I tal yah” ossia “Isola della rugiada del Signore”,(secondo il dotto parere di Benjamin Richler),

come la famiglia Todros a Torino, come Angelo Usiglio che col fratello Enrico, collaborarono con Ciro Menotti, tant’è che anche a Modena il movimento risorgimentale era finanziato dagli ebrei. Altri ebrei massoni modenesi furono Israel Latis, Benedetto Sanguinetti e Fortunato Urbini, mentre a Livorno la setta de “I veri italiani”, annoverava fra le sue fila ebrei come Moses Montefiore. Del resto proprio a Livorno un consistente gruppo di massoni, in maggioranza ebrei, aveva creato nel 1809 un Grande Oriente dal quale derivò una sezione dei carbonari. Da allora un nugolo di ebrei massoni fra cui Paolo Bonfil, che contribuì a radicare la massoneria nel nostro

paese, Elia Rossi Bey (1814-1891) G.M. del Rito di Menfis nel latomismo “egiziano”; Luigi Luzzatti (1841-1927), deputato, senatore,

professore di diritto costituzionale all’Università di Padova, riuscì a consolidare il valore della lira a livello internazionale,

fu un grande promotore di cooperative e di banche popolari, ispirando

numerose riforme doganali; Ernesto Nathan (1845-1921) da Sara Levi e Mayer Moses Nathan, influenzato politicamente da Mazzini, sindaco di Roma, ben noto a tutti noi, iniziato nella loggia palermitana de “I Rigeneratori”, G.M. del GOI per diverso tempo. In quegli anni nasceva a Trieste (1861-1915) Giacomo Venezian,

laureatosi poi a Bologna, dove successivamente avrà la cattedra di diritto civile, e che morì al comando del suo reparto sul Carso nel 1915, mentre era all’assalto di truppe austriache. Esattamente come il padre di Alceste De Seta, Giona, che pure aveva combattuto contro i nemici del nostro paese, nella terza guerra d’indipendenza, mentre il figlio, Alceste, socialista, fu cancellato nel 1939 dall’albo degli avvocati, per le leggi razziali. Cesare Goldmann, noto finanziere e politico, M.V. della loggia “Pietro Micca” di Torino; Salvatore Barzilai,

giornalista, Mario Cassin, liberale; il giurista Ludovico Mortara; il giornalista Teodoro Mayer; l’avvocato Dario Cassato; i legionari fiumani Giacomo Treves e Raffaele Cantoni; Eucardio Momigliano; Ferruccio Valobra, come ricorda il nostro mirabile Nedo Fiano. Gino Olivetti, poi direttore della Confindustria e deputato, subentrò nella fabbrica del padre Camillo, opponendosi al fascismo e portando l’Olivetti al vertice della vendita dei prodotti per ufficio e Roberto Ascarelli, esponente di rilievo della comunità ebraica romana,

antifascista, iniziato nella Rienzi di Rom nel 1923, M.V. della Pisacane di Ponza e presidente del Rito Simbolico italiano nel 1970. Numerosi e di assoluto valore gli ebrei massoni connessi col movimento di

Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, come Leone Ginzburg, famiglia ebraica di origine russa, che fu talmente precoce che a sei anni scrisse i “Ricordi di un giornalista in erba” e a tredici faceva le pulci al

Corriere della Sera, e come Mario Jacchia, figlio di Eugenio, bastonato dai fascisti.

Quando nel 1924 i fascisti assalirono la casa massonica bolognese, poi collocarono i simboli massonici in una cassa da morto presso l’abitazione degli Jacchia a via D’Azeglio 58 a Bologna.

Consentite un particolare riferimento ad Angelo Fortunato Formaggini, di una famiglia ebraica di gioiellieri, noto per le sue performance letterarie ed editoriali, e la sua ben nota “Ficozza”, che si gettò nel ’38, disperato per le leggi razziali, dalla Ghirlandina

di Modena, dopo una minuziosa preparazione, dopo aver delimitato anche il punto della caduta, il “tovagliolo di Formaggino”, “al tuajol ed Furmajin”. Ai giornali

venne imposto il silenzio e, successivamente, allora Achille Storace, ebbe a dire: è morto come un ebreo, buttandosi dalla torre per risparmiare un colpo di pistola (ogni commento è superfluo!).

Nel 1938 il censimento parla di quasi seimila ebrei in Toscana, di cui 4658 fra Firenze e Livorno. Tantissimi di loro furono

avviati ai campi di sterminio tedeschi, dopo essere stati raccolti nei campi di Bagni di Lucca, Bagno di Ripoli, Villa Oliveto, Roccatederigi, e tanti altri, con persone che vanno dalla a del livornese Elia Giuseppe Abenaim alla z di Susanna Ziegler, che viveva a Firenze.

Tante storie, tanti nomi, tante eccellenze, ma “non basta l’accumulazione indefinita di reliquie, la celebrazione bulimica dei

grandi e dei piccoli maestri. La moderna ossessione commemorativa ha dei limiti quale coagulante di rimpiazzo” e spesso “nasconde la fascinazione gaudente del nulla”, perché ciò che conta veramente è il valore di chi non abbiamo nominato, di chi è meno noto, e degli ebrei massoni di oggi che preparano con noi il nostro futuro.

In omaggio agli ebrei, ai tanti fratelli di estrazione ebraica, ricordo la festa del Sukkoth, la festa delle capanne che dura una settimana, la grande festa del raccolto, esattamente come per noi, un raccolto piccolo, infinitesimale finché volete, ma che ci riscalda l’anima e ci riappacifica con noi stessi.

Quel che è certo è che agli 8566 ebrei italiani deportati nei campi di sterminio, dei quali 7557 vennero uccisi, va il nostro deferente

pensiero e il nostro amore: quando il rabbino canta, cantano tutti con lui, quando il rabbino piange, piange da solo.

Dopo l’entrata dello Shabbat, gli ebrei usano cantare una canzone di antichi cabbalisti: “Andate in pace, angeli di pace, angelidell’Altissimo”. Shalom aleichem: la pace sia su di voi.

TRATTO DALLA REVISTA “MASSONICAmente” 3014/1

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