HIRAM, RE DI TIRO

HIRAM, RE DI TIRO

Nell’Antico Testamento, il nome Hiram compare tre volte ed indica: 1) Hiram, figlio di Bela e nipote di Beniamino (I Cron. 8; Num. 26, 38), noto solo per essere il capostipite dei Chiramiti; 2) Hiram re diTiro (II Sam. 5; I Re 5, 9 e 10; I Cron. 14; II Cron. 2, 8 e 9) e da ultimo 3) Hiram Abbi o Abbif (I Re 7; II Cron. 2 e 4),chiamato Abi o Abif, proprio per distinguerlo dal re di     Tiro. Hiram re di Tiro e HiramAbif con Salomone sono effigiati nel quadro di Loggia in grado di Apprendista. Nell’ebraico, come in tutte le altre lingue semitiche, ogni parola ha una radice, formata in genere da tre consonanti, la quale conserva in tutti i derivati un proprio senso fondamentale e immutabile. La radice in questione è Hrm ed è di origine fenicia, da accostare alla radice ebraica Alefheth-yod-resh-mem. Chi era Hiram re di Tiro? Anzitutto, è colui che organizza e progetta la costruzione del palazzo di Davide. Dopo la consacrazione e l’insediamento a Gerusalemme del re Davide, Hiram manda al nuovo re di Israele abili tagliapietre per edificare la reggia. Non è Davide a rivolgersi ad Hiram, ma lo stesso Hiram ad inviare a Davide materiali e personale. L’invio della manodopera qualificata è direttamente collegato alla predilezione divina per il nuovo re e alla conferma dell’amore e dell’alleanza di Dio con Israele. Già questa indicazione è densa di implicazioni esoteriche. Non solo il palazzo regale è opera degli scalpellini inviati dal re di Tiro, ma questa costruzione, edificata con il ricorso a mani così esperte, è interpretata come segno di benevolenza e di approvazione del Signore sia verso il re Davide che verso il popolo d’Israele. La costruzione della reggia davidica è sintesi tra regalità divina e scienza sacra, ossia è il punto di incontro tra sapienza esoterica e predilezione divina: per questo, Hiram di Tiro si è attivato e ciò dice già molto sulla conoscenza del mestiere (e delle sue implicazioni esoteriche) da parte dello stesso e, in senso opposto, sulla relativa ignoranza davidica. Nella cabbalà, il significato di un nome è interamente in rapporto alla natura di chi lo porta: la storia di un nome riepiloga la storia di un essere, il quale riceve un nome conforme alla sua anima e che deve corrispondere al compito che gli è stato assegnato nel mondo. Hiram di Tiro è maestro venerabile, ossia nobilitato per la sua conoscenza del mestiere. In arabo, la radice Hrm ha un senso ambivalente, perché significa cosa sacra, luogo sacro e inviolabile, ma anche ciò che è proibito e illecito: con l’appellativo di Haram si designa lo spazio sacro della Mecca, vietato ai non musulmani. Tra le parole derivate da questa radice troviamo anche i termini rispettabile e venerabile. Sacralità, inviolabilità, venerabilato: uno spazio circoscritto, il cui accesso è regolato e comunque non aperto al profano come tale, destinato solo a stare fuori dal tempio. Quando Salomone diventa re, la tradizione prosegue. Salomone si rivolge ad Hiram di Tiro per avere tutto il materiale necessario alla costruzione del Tempio; chiede, altresì, di mandargli un artigiano esperto capace di dirigere i lavori, abile nella lavorazione dei metalli, della pietra, del legno, nella tintura dei tessuti e nell’intaglio. E’ costui Hiram Abif, per metà fenicio e per metà israelita, chiamato Abi (o Abif/ff) per distinguerlo dal re di Tiro. Il termine Abi, dalla radice Ab, nella maggior parte delle lingue semitiche indica rapporto di possesso; alla prima persona singolare, Abi significa “mio padre”. La parola si impiega per indicare rispetto o onore accordato ad un personaggio importante per la sua posizione, le funzioni, le conoscenze o per la sua saggezza. Abif è il padre nobile, colui che possiede il segreto del mestiere, è dunque padre della massoneria operativa. Dunque, Hiram di Tiro conosce l’Arte Reale e le sue implicazioni esoteriche, altrimenti non avrebbe potuto designare HiramAbif quale sovrintendente alla costruzione del tempio di Salomone, cioè di uno spazio consacrato, sul quale solo l’esercizio di un’arte reale perché sacra può dispiegarsi. Rispetto all’esperienza davidica, la differenza è evidente: là si edifica il palazzo regale e dunque un simbolo politico, anche se segnato dal crisma della predilezione divina, qui si tratta della costruzione del tempio, cioè non della dimora di un re umano, ma della casa del Re dei re. E dunque, solo l’Arte Reale e la saggezza salomonica, ossia il timor Dei, possono essere impiegate. Stavolta è Salomone a chiedere l’intervento di Hiram di Tiro: la sapienza salomonica implica una superiore sensibilità, rispetto a Davide, sulla tecnica costruttiva e sul significato simbolico ed esoterico ad essa collegato. La lettera ebraica Resh, che compone la radice da cui deriva Hiram, viene da Ar/Or, che indica la luce. Le stesse quattro lettere, variamente ricombinate tra loro, danno luogo alle parole ebraiche che significano via, verità e vita. Luce, via, verità e vita: quattro lettere e quattro parole. Quattro lettere: il quattro è anche valore geometrico di Hiram ed allude agli elementi della creazione, agli stati della materia, alle stagioni ed ai punti cardinali; 4 sono le basi del Dna e le madri di Israele; quattro le lettere che compongono il tetragramma divino, cioè il nome di Jahvé; nella cabbalà, 4 è il numero minimo di fasi di discesa nell’attività della creazione. Il quattro è presente nella tetraktys pitagorica: i pitagorici giurano anche sul quadrato di 4, la cui somma teosofica dà 10, per cui il 4 contiene al suo interno l’intera decina, costituendo lo sviluppo dell’Unità in tutte le sue Rappresentazioni (la somma teosofica di 10 è 1); nel Tao-te Ching, nella cabbalà e nell’esoterismo islamico, indica la manifestazione universale. La natura manifestata si esprime, anche nella dimensione ciclica e rinnovata, attraverso il quaternario. Nei tarocchi, gli arcani minori gravitano sulla simbologia del 4. Quattro sono i viaggi dell’apprendista durante il passaggio a compagno d’arte nel rituale emulation. Il quaternario costituisce la base completa dello sviluppo integrale della manifestazione creatrice, dove cosmologia e ontologia si toccano. Il valore aritmetico di Hiram, in termini cabalistici, è 7: la loggia è perfetta quando sono presenti sette maestri regolarmente costituiti, come insegnano le lezioni di Preston. Il 7 allude alla completezza del sapere umano, esemplata nelle 7 arti liberali (le 3 del trivio, grammatica, retorica e logica; le 4 del quadrivio, geometria, musica, astronomia e matematica), alle quali Dante associa i 7 pianeti principali del sistema solare. La conoscenza muratoria legata alla maestranza è, in conclusione, potenza destinata alla moltiplicazione dell’esistenza attraverso il movimento ed ha come fine la completezza e la perfezione: cosa altro sono le cattedrali gotiche? Quindi anche il libero muratore speculativo è veramente maestro, cioè degno della tradizione operativa, quando trasforma creativamente la propria dimensione esistenziale come i due Hiram hanno fatto col tempio di Salomone e come i muratori operativi hanno fatto con le cattedrali; quando, cioè, mette la potenza dell’Arte Reale al servizio della vita, generando, così, moltiplicazione e movimento, cioè irradiando altra vita e luce, altre possibilità e altre vie per sé e gli altri. Nelle lezioni di Preston, si legge che una loggia è sorretta da 3 grandi colonne, saggezza, forza e bellezza, la prima per progettare, la seconda per sostenere, la terza per adornare. Se le decliniamo in chiave morale, continua Preston, la saggezza serve per guidarci in tutte le nostre imprese, la forza per sostenerci in tutte le nostre difficoltà, la bellezza per adornare l’uomo interiore. Sempre secondo Preston, queste 3 grandi colonne, che sostengono una loggia di liberi muratori, sono emblematiche di 3 attributi divini: infinita la saggezza di Dio, onnipossente la sua forza, mentre la bellezza splende nell’intera creazione con ordine e simmetria. Dunque, saggezza, forza e bellezza rivelano e annunciano l’armonia della legge divina.

Infine, queste 3 qualità morali rappresentano Salomone, Hiram re di Tiro e Hiram Abif. Salomone, per la saggezza nel costruire, completare e dedicare il Tempio al servizio di Dio; il re di Tiro per la forza nel sostenerlo con uomini e materiali, Hiram Abif per la singolare e magistrale abilità nell’abbellirlo e adornarlo. Con i due Hiram, siamo in presenza di una coppia, che caratterizza tipicamente i miti fondativi di tutte le culture, ancora più significativa perché segnata dall’omonimia. Romolo e Remo,Ascanio e Silvio,Amulio e Numitore, Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, Isacco e Ismaele, i due Dioscuri, Seth e Osiride sono solo degli esempi di fenomeni e meccanismi culturali che si ritrovano identici in ogni cultura umana. La nostra coppia di Hiram, però, mi pare un caso quasi unico. Infatti, l’unica eccezione, almeno parziale, relativamente ai miti fondativi della cultura mediterranea e mediorientale, è rappresentata dall’epopea di Gilgmesh: la lotta con Enkidu è ritualizzata e termina con un vincitore, Gilgamesh, che si allea immediatamente e stringe amicizia fraterna con Enkidu. Il mito di Gilgamesh meriterebbe un’analisi esoterica a sé: nel prologo si legge che Gilgamesh vide misteri, conobbe cose segrete, lasciò un racconto dei giorni precedenti il Diluvio, fece un lungo viaggio che lo lasciò esausto dalla fatica e, quando ritornò, incise la storia su pietra. L’epopea prosegue narrando le imprese architettoniche di Gilgamesh nella costruzione del palazzo di Uruk… e così via. Nel caso dei due Hiram non vi è competizione o rivalità, non usurpazione o assassinio, non inganno o frode, non una contrapposizione da superare con uno strappo o una rottura, ma una scelta responsabile, un passaggio di testimone, una designazione, basata sul merito, fondata sulla competenza e la fiducia, che non innesca alcuna gelosia, ma che, anzi, rafforza il perseguimento dell’obiettivo finale: la costruzione del Tempio. È questa la genesi della catena o trasmissione iniziatica. L’elevazione, la nobiltà, l’Arte Reale, la padronanza del mestiere, la maestranza si possono solo meritare, non carpire né usurpare; la maestranza, al di là della formale investitura, si può meritoriamente acquisire solo se si è designati, responsabilmente scelti con una fiducia amorevole che va meritata e rinnovata, da chi è stato elevato precedentemente in base agli stessi criteri. Se ne trova conferma nell’origine meticcia di Hiram Abif; in un mondo, quello semitico in generale, ossessionato dalla discendenza di sangue e quindi dalla purezza dell’albero genealogico, il re di Tiro non sceglie un parente, ma un estraneo, per di più di sangue misto. Ciò dice molto sul legame tra le origini della libera muratoria operativa e gli speculativi moderni e giustifica pienamente la raffigurazione dei due Hiram e di Salomone nel quadro di loggia in grado di apprendista. La libera muratoria nasce, fin dalla lontana matrice operativa, nel segno dell’apertura, della tolleranza, della scelta individuale su base esclusivamente meritocratica: una rivoluzione sconvolgente per il mondo antico segnato dal privilegio del sangue, del patrimonio e della casta. Nelle logge di rito scozzese talvolta il venerabile legge il noto brano del VLS: in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. La moderna interpretazione cabalistica traduce il noto passo così: in principio era l’Amore, in principio era il desiderio come attributo qualificativo dell’essenza, dell’esistenza, dell’attività e del nome di Dio. La genesi della creazione coincide con la radice della libera muratoria, intesa come amore e desiderio per la trasmissione delle conoscenze iniziatiche ed esoteriche a chi effettivamente le meriti e sappia raccogliere il testimone con umiltà, fedeltà, riconoscenza e capacità di manifestare amore per la misteriosa complessità di tutta la creazione. La costruzione del Tempio di Salomone, delle cattedrali gotiche e del tempio interiore degli speculativi riassume, in chiave alchemica, lo sforzo individuale e collettivo volto a dare un senso a se  stessi e a tutto ciò che ci circonda, per accedere intuitivamente agli stati superiori dell’esistenza: gli edifici così realizzati sono monumenti elevati sotto il segno di un’ordinazione spirituale che parla all’uomo della sua origine, dei privilegi e misteri che ad essa si ricollegano. Il lavoro in loggia rinvia ed allude alla creazione e deve tendere a quella stessa armonia e perfezione realizzata dal GADU. Dunque, ciò che facciamo in tornata si collega direttamente al mistero, alla complessità della creazione e ne ripercorre ogni volta le tappe, la genesi e lo sviluppo. Ogni singolo fratello e ciascuna loggia, durante la tornata, ripercorre, attualizza e ricapitola la creazione siccome misteriosa, armonica, perfetta e completa. In piena e totale libertà e responsabilità individuale e collettiva. Questo è il campo da gioco del libero muratore odierno, questo il gioco con le sue regole. E questo gioco non è uno scherzo. Il mistero dell’esistente e la dimensione sacrale della realtà sono perennemente attuali e continuano a interrogarci: la presunta degenerazione della libera muratoria speculativa rispetto a quella operativa è un’operazione nostalgica che in realtà maschera la nostra difficoltà attuale di procedere efficacemente lungo il cammino iniziatico. Tornando al quadro di loggia in grado di apprendista, dopo quanto detto, è evidente l’importanza, il valore e la centralità della collaborazione del MV e dei suoi due sorveglianti, che rivestono il ruolo di Salomone e dei due Hiram. Costruire significa riunire ciò che è sparso, ossia ritrovare la parola perduta, la quale altro non è se non il vero nome del GADU

tavola scolpita dal fr.’. MARCO MIGLIORINI

DALLA RIVISTA “HIRAM” 1/2017

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