GARIBALDI E L A MASSONERIA

GARIBALDI   E   LA   MASSONERIA

                L’argomento che sono stato invitato a trattare stasera, ossia i rapporti tra Garibaldi e la Massoneria, è un aspetto poco conosciuto della complessa personalità di Giuseppe Garibaldi, uomo dalle mille sfaccettature e sicuramente impossibile da liquidarsi con poche semplici considerazioni, spesso ricalcate su luoghi comuni ormai divenute integranti, anche se fondamentalmente parte della categoria degli stereotipi, dell’immaginario collettivo nazionale.

                Un argomento in generale poco noto agli stessi Fratelli, quello dei rapporti fra l’Eroe dei due mondi e la Massoneria, e per non dire sconosciuto a gran parte del pubblico profano.  Riteniamo tuttavia che almeno intorno alla commemorazione dell’anno del bicentenario sia doveroso inquadrare a 360 gradi tutti gli aspetti della straordinaria personalità di Garibaldi, anche se, quando parliamo oggi di quest’uomo eccezionale che ha influenzato profondamente un periodo fondamentale della storia nazionale, con conseguenze durate decenni sulla vita politica e sociale italiana, occorre anzitutto inquadrarlo entro una cornice più ampia che è quella riguardante l’uso della memoria pubblica e la conseguente utilizzazione, e talora strumentalizzazione, del contenuto pedagogico e politico – sociale della sua azione.

                Alla memoria pubblica di Garibaldi è associato infatti inseparabilmente, come è normale che sia in campo storiografico, anche il concetto di revisione storica proprio di ogni memoria: concetto che non deve essere connotato sempre negativamente come negli ultimi anni è stato fatto, associando impropriamente la categoria della strumentalizzazione politica a quella della ricerca storica, questa sì basata esclusivamente sul ritrovamento (o la nuova interpretazione) di documentazione probante, la sola autorizzata a far rivedere criticamente giudizi storici anche consolidati. Non sarà sfuggito infatti che a molti dei “nuovi” giudizi apparsi su Garibaldi negli ultimi anni, tendenti a delegittimarne la positività dell’azione unificatrice, è sottesa una strumentalizzazione politica neppure tanto occultata: è del tutto evidente come nel momento in cui ampie fasce dell’opinione pubblica italiana premono per una revisione dell’architettura costituzionale in senso federalista, il simbolo per eccellenza dell’unificazione nazionale diventi uno dei primi soggetti da colpire per raggiungere l’obiettivo politico desiderato.

                Per altro, nell’ultimo quindicennio, il campo dell’indagine storica si è sensibilmente orientato dallo studio biografico di personaggi, dei quali si suppone di sapere molto, se non tutto il necessario (salvo eventuali documentate revisioni sempre possibili) a quelli che in gergo tecnico vengono definite forme e luoghi della sociabilità, ossia quelle tendenze all’aggregazione umana tipiche di ogni epoca e di ogni realtà, entro le quali avviene una parte importante dell’elaborazione del nuovo pensiero politico, economico e sociale, ovvero la sua veicolazione e diffusione entro la società circostante.

                Entro queste forme organizzative, che siamo abituati a riconoscere ad esempio come circoli, accademie, partiti, rientra a pieno titolo la Massoneria, che attraverso le Logge ha sempre costituito un elemento importante di questo processo osmotico fondamentale per l’affermazione di nuove idee, sia elaborandone al proprio interno i presupposti fondanti che diffondendole attraverso l’opera diretta o indiretta dei suoi membri, spesso protagonisti nei momenti chiave della storia. Questo riconosciuto merito delle Logge massoniche è valido ad esempio indiscutibilmente per il periodo illuminista, ma lo stesso può fondatamente dirsi per il periodo post – unitario in Italia, dove le stesse Logge svolsero un ruolo importantissimo nel processo di formazione e consolidamento della nuova società italiana nata dal Risorgimento.

                Ora, poiché Garibaldi fu il massone italiano dell’ottocento più noto e famoso, e fino alla fine del 1900 anche il personaggio italiano più conosciuto nel mondo (insieme a Mazzini), dobbiamo chiederci se la sua adesione alla Istituzione massonica sia da porsi alla stregua dell’adesione che egli dette alla miriade di associazioni patriottiche e combattentistiche di cui assunse la Presidenza Onoraria; oppure se fu il risultato di una interna convinzione che lo portò a divenire massone per la reale condivisione degli ideali e dei principi massonici e dei progetti politici, sociali e culturali che tramite la Massoneria egli intendeva propagare e diffondere. Pensiamo di poter affermare che la seconda ipotesi sia quella rispondente alla realtà, non per parzialità, quanto per la semplice constatazione anche del solo esame dei rapporti fra Garibaldi e  l’Istituzione massonica, intercorsi dall’iniziazione alla morte lungo un arco temporale di quasi quarant’anni, che depongono certamente a favore di questa ipotesi.

                Proveniente dall’esperienza mazziniana della Giovine Italia, cui aveva aderito nel 1833, Garibaldi venne iniziato nel 1844 nella Loggia “L’Asil de la Virtud” di Montevideo, filiazione della Gran Loggia brasiliana, allora irregolare in quanto non riconosciuta dalle grandi Massonerie internazionali di Francia e Inghilterra. Regolarizzatosi nel 1844 sempre a Montevideo presso la Loggia di origine francese “Les  Amis de la Patrie”, egli entrò dunque, come molti altri illustri personaggi dell’epoca, nella Massoneria durante il periodo dell’esilio sud – americano, all’età relativamente ancora giovane di 37 anni. Le Logge massoniche costituirono sempre, in virtù dell’universalismo umanitario che le informava, un costante punto di riferimento per i patrioti esuli in terra straniera, soprattutto nel momento in cui gli stati assolutistici europei scatenavano ampie ondate di repressione nei confronti degli oppositori, rispondendo negativamente alle richieste di indirizzo democratico e indipendentistico – nazionalistico che sorgevano da questi nuclei di avanguardie democratiche. L’esperienza massonica di Garibaldi continuò successivamente, durante il secondo esilio, frequentando le Logge nord – americane e soprattutto durante il periodo dell’esilio inglese, durante il quale frequentò la Loggia “Filadelphes” di Londra, entro la quale la presenza di esponenti della democrazia internazionalista sensibile alle nuove istanze socialiste e di tendenze fortemente antipapali segnò certamente in maniera forte quel periodo importante per la formazione culturale e politica di Garibaldi.

         Nel giugno 1860, nella Palermo appena conquistata, Garibaldi venne elevato al grado di Maestro massone. L’impresa dei Mille si stava imponendo all’attenzione della comunità internazionale e certo poteva giovare che egli ribadisse la propria militanza massonica, specie in considerazione della simpatia con cui le organizzazioni liberomuratorie di alcuni paesi, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, guardavano alla lotta per l’indipendenza nazionale italiana. Il ricostituito Grande Oriente Italiano, inizialmente dominato da esponenti vicini a Cavour, affidò però la carica di Gran Maestro a Costantino Nigra e conferì a Garibaldi soltanto il titolo onorifico di «primo libero muratore italiano». Lo spirito apparentemente conciliatorio di questa decisione, con la quale si intendeva rendere omaggio alle due anime del Risorgimento, quella dinastico-cavouriana e quella democratico-popolare, non servì a nascondere i forti dissensi che dividevano i moderati dai democratici e a impedire che essi combattessero una dura lotta per assicurarsi la guida della famiglia massonica. Garibaldi divenne immediatamente il candidato sostenuto dai democratici, ma quando Costantino Nigra rassegnò le dimissioni da Gran Maestro e un’assemblea straordinaria fu chiamata a eleggere il suo successore, il prescelto risultò Filippo Cordova, già ministro di Cavour. Era il 1° marzo 1862.

            Pochi giorni dopo il Supremo Consiglio del Rito Scozzese di Palermo, luogo di raccolta di massoni italiani di fede repubblicana e radicale, decise di sottolineare la propria autonomia rispetto a Torino e conferì a Garibaldi, insignito da Crispi dei Gradi  Scozzesi dal 4° al 33°, il titolo di Gran Maestro.          Si stava preparando, in quello scorcio del 1862, la spedizione per la liberazione di Roma che sarebbe stata interrotta, il 29 agosto, dalle fucilate di Aspromonte. Garibaldi, accettando la carica offertagli dall’obbedienza scozzesista siciliana, dimostrò che in quella fase egli attribuiva evidentemente alla Massoneria una funzione importante quale strumento organizzativo e di raccordo fra le varie correnti democratiche. Non a caso, appena giunto in Sicilia, presenziò all’iniziazione del figlio Menotti (il 1° luglio) e firmò egli stesso (il 3 luglio) la proposta di affiliazione dell’intero suo stato maggiore (Pietro Ripari, Giacinto Bruzzesi, Francesco Nullo, Giuseppe Guerzoni, e gli altri) ponendo l’accento sul contributo sostanziale che egli riteneva potesse venire dal coinvolgimento diretto della Massoneria nella lotta per il completamento dell’unità nazionale. «Fu il fallimento dell’impresa dell’agosto 1862 – ha osservato Aldo Alessandro Mola – a spingere Garibaldi su posizioni di anticlericalismo intransigente». In effetti, da quel momento in poi, il Generale manifestò una sempre più convinta adesione alle posizioni della Massoneria, che fu la principale sostenitrice nella penisola di un laicismo inflessibile e di una guerra a oltranza contro la Chiesa cattolica. L’obiettivo politico della liberazione di Roma dal dominio pontificio ben si coniugava evidentemente con l’obiettivo di dar vita a uno Stato laico e democratico, ove il potere temporale dei papi fosse soltanto un ricordo. D’altro canto, anche dentro il Grande Oriente d’Italia, la componente democratica di provenienza garibaldina cominciava a consolidare la propria presenza e a imporre le proprie scelte politiche e ideologiche. Non stupisce perciò che la prima vera Costituente massonica italiana, quella che si tenne a Firenze nel maggio 1864 con la partecipazione di 72 delegati, riuscisse finalmente a eleggere Garibaldi, a larghissima maggioranza, come nuovo Gran Maestro.

            Come è noto, egli detenne questa carica solo per pochi mesi. Troppo vivaci erano gli scontri in atto proprio in quel periodo fra i vari gruppi della sinistra italiana perché questi potessero riconoscersi nella leadership unificante di Garibaldi. Per fare un solo esempio, Antonio Mordini, che Garibaldi scelse come proprio plenipotenziario massonico, era in quel momento impegnato con Crispi e Bargoni nel tentativo di formazione del cosiddetto «terzo partito», un raggruppamento politico collocato a metà strada fra la sinistra costituzionale e l’estrema repubblicana, che intendeva utilizzare proprio il Generale e l’organizzazione massonica come strumento per propagandare le proprie idee e raccogliere su di esse il consenso dei democratici.

            Vi erano poi coloro, come il futuro Gran Maestro Lodovico Frapolli, che si battevano per impiantare anche in Italia una Massoneria di modello anglosassone, estranea alle lotte di partito.

            In realtà, Garibaldi non aveva nessuna intenzione di dare alla sua carica una valenza meramente formale, né pensava che la Massoneria dovesse estraniarsi dalle vicende politiche nazionali. Lo si vide bene nel maggio 1867, allorché egli lanciò un celebre appello a tutti i «Fratelli» della penisola: “Come non abbiamo ancora patria perché non abbiamo Roma, così non abbiamo Massoneria perché divisi. […] Facciasi in massoneria quel fascio romano che, ad onta di tanti sforzi, non si è potuto ancora ottenere in politica. Io reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano. Essi pongano da parte le passioni profane e con la coscienza dell’alta missione che dalla nobile istituzione massonica gli è affidata, creino l’unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l’unità morale; che la Massoneria faccia questa, e quella [l’unità della nazione] sarà subito fatta. […] L’astensione è inerzia, è morte. Urge l’intendersi, e nell’unità degli intendimenti avremo l’unità di azione”.

            La battaglia per completare l’unificazione nazionale e quella per riunire le varie obbedienze massoniche dovevano dunque andare di pari passo e quasi sovrapporsi. Per Garibaldi la Massoneria, unico organismo che fosse dotato di una pur labile articolazione su base nazionale, doveva rappresentare lo strumento di aggregazione di tutte le forze progressiste italiane, per le quali, in quel momento, l’obiettivo assolutamente prioritario era rappresentato dalla lotta per la liberazione di Roma. Proprio a sancire questo suo intento ecumenico e conciliatorio Garibaldi, nel giugno 1867, pur conservando la carica di Gran  Maestro del Consiglio scozzesista palermitano, accettò la nomina a Gran  Maestro  Onorario  del Grande  Oriente d’Italia che gli venne conferita dalla Costituente massonica di Napoli.Il legame con l’Istituzione liberomuratoria era ormai saldissimo, come pure profonda era l’identificazione con gli ideali e i valori culturali di cui essa si faceva portavoce. Non valsero a incrinare questo rapporto neppure le divergenze manifestatesi in occasione dell’Anticoncilio di Napoli del 1869, a cui egli aderì con grande entusiasmo e dal quale la Massoneria, per volere di Frapolli, rimase invece sostanzialmente estranea, né il tiepido sostegno dato dal Grande Oriente d’Italia alle ultime iniziative per la liberazione di Roma del 1867 e del 1870.

            Già nel 1872 Garibaldi aveva rilanciato, con estrema chiarezza, quello che sarebbe divenuto il principale progetto politico dei suoi ultimi anni di vita e il testamento ideale che egli avrebbe lasciato alla sinistra italiana post-risorgimentale: l’idea cioè di riunire in un fascio comune tutte le correnti della democrazia, tutte le forze impegnate nella diffusione dei valori della cultura laica, della libertà, del progresso, di un riformismo che accettava di muoversi all’interno del quadro istituzionale vigente, pur non rinunciando alla prospettiva di cambiamenti più radicali in un lontano futuro.

            La Massoneria doveva farsi promotrice di questo progetto e fornire il collante ideologico e organizzativo di cui esso necessitava per essere coronato dal successo.

            «Perché tutte le associazioni italiane tendenti al bene – si domandava nel 1873 – non si affratellano e non si pongono per amore d’indispensabile disciplina sotto il vessillo democratico del Patto di Roma? […] La più antica e la più veneranda delle società democratiche, la Massoneria, non darà essa l’esempio di aggregazione al fascio italiano? Le società operaie, internazionali, artigiane, ecc. non portano esse nel loro emblema la fratellanza universale, quanto la Massoneria? Formate il fascio, adunque, repubblicani ringhiosi; stringetevi intorno al Patto di Roma».

            Nell’ultimo scorcio della vita la coincidenza fra le sue posizioni e quelle della Massoneria fu pressoché totale. Basterà ricordare il suo impegno nelle file del movimento pacifista e la battaglia, che vide ovunque i massoni in prima fila, per promuovere la costituzione di organismi di arbitrato a livello internazionale che scongiurassero il ricorso alle guerre. Oppure le sue battaglie per il suffragio universale, per l’emancipazione femminile, per la diffusione dell’istruzione obbligatoria, laica e gratuita: tutti temi che costituivano il patrimonio comune della sinistra democratica italiana di matrice risorgimentale e che la Massoneria inserì nel proprio programma e decise di sostenere con le modalità più diverse.

            Si pensi, per avere una conferma della forte consonanza di vedute che vi fu anche sul versante del razionalismo positivistico e della militanza anticlericale, all’adesione che Garibaldi dette al movimento per diffondere in Italia l’idea e la pratica della cremazione: movimento che fu direttamente promosso dalle Logge massoniche e che ebbe fra i suoi maggiori dirigenti molte figure di primo piano della Massoneria. Si ricordi infine nel 1881 la sua mobilitazione, condivisa da molti democratici e fatta propria dal Grande Oriente d’Italia, anche in virtù delle pressioni da lui esercitate sul Gran Maestro Giuseppe Petroni, per impedire che dopo il colpo di Tunisi si rompessero i rapporti con la Francia repubblicana e il governo fosse sospinto verso l’alleanza con gli Imperi centrali. Dopo la morte di Garibaldi la Massoneria fu tra le forze politiche e sociali italiane quella che più di altre si incaricò di conservarne la memoria e di alimentarne il mito.

            Nel momento in cui le classi dirigenti del paese stavano profondendo le maggiori energie per costruire un paradigma identitario nel quale l’intera nazione potesse riconoscersi, la morte dell’eroe popolare per eccellenza mise a disposizione un riferimento simbolico prezioso, capace di affiancare e rafforzare l’ormai insufficiente e sbiadita immagine dinastica. Specialmente negli anni di Crispi, intorno alla figura di Garibaldi si cercò di costruire una religione civile imperniata sul mito laico del Risorgimento, e la Massoneria, all’epoca sotto la guida di Adriano Lemmi, ebbe un ruolo notevolissimo nel favorire la riuscita dell’operazione. Garibaldi fu il nome di gran lunga più diffuso fra quelli dati alle Logge della penisola o alle Logge italiane d’oltremare (in America Latina, in Africa del Nord, ecc.); altre denominazioni, come Caprera, Luce di Caprera, Leone di Caprera, erano ispirate dalla medesima volontà di rendere omaggio all’eroe nizzardo. La Massoneria promosse  inoltre  innumerevoli cerimonie,  commemorazioni,  inaugurazioni di lapidi e monumenti alla memoria di Garibaldi.

            La più importante di queste iniziative fu l’inaugurazione a Roma del monumento sul Gianicolo, che si tenne emblematicamente il 20 settembre 1895, nel venticinquesimo anniversario di Porta Pia, e vide il massone e capo del  Governo  Francesco  Crispi  enfatizzare  il contributo dato  dalle  forze laiche e popolari al Risorgimento. La Massoneria, grande sostenitrice della necessità di trasformare il 20 settembre in festa civile della nazione, vide in questa occasione coronata la sua richiesta. Al tempo stesso, prima che di lì a un anno difficoltà di varia natura travolgessero i due grandi artefici dell’iniziativa, Francesco Crispi e Adriano Lemmi, essa poté celebrare, nel nome di Garibaldi, la propria consacrazione come struttura associativa laica e democratica depositaria della migliore eredità del Risorgimento e come luogo di coagulo delle energie più vitali e più moderne del paese.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. G. C.

Questa voce è stata pubblicata in Lavori di Loggia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *