MASSONERIA, MULTICULTURALISMO E INTEGRAZIONE

Massoneria, Multiculturalismo e Integrazione.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. Massimo Corti

Se i due secoli trascorsi sono stati quelli della nascita e dello sviluppo economico sociale del nostro Paese, con alterne vicende e unitamente ad altri paesi europei e agli Stati Uniti d’America,il secolo XXI° che oggi è ai suoi albori ci pone di fronte a fenomeni totalmente nuovi che anche la Massoneria nel suo complesso e il RSAA in particolare non possono non affrontare e approfondire.

I temi della Globalizzazione, del Multiculturalismo e della Integrazione fra i popoli e fra etnie diverse sono al centro del dibattito nazionale e internazionale e richiedono nella loro trattazione l’impegno di menti sagge e colte, come successe nella storia d’Italia durante il Rinascimento del ‘500 e nel Risorgimento ottocentesco.

Il problema del multiculturalismo e dell’integrazione fra i popoli richiede in modo indispensabile una grande opera di educazione e la definizione di valori etici totalmente nuovi e fino a ieri impensabili.

Una nuova generazione di uomini va educata a vivere e convivere in orizzonti nuovi, sgombrando il campo da vecchi orpelli e modelli di pensiero ormai anacronistici. E dobbiamo essere convinti che su questioni così basilari per il presente e per il futuro dell’Umanità intera non possono e non debbono nascere conflitti ideologici o dottrinari: di fronte a problemi enormi per il futuro della nostra società, della nostra libertà, della nostra salute e sicurezza, bisogna trovare dei punti di intesa e delle soluzioni accettabili dalla maggioranza degli uomini che credono nel Bene.

Occorre quantomeno che due culture come quella scientifica e la nostra tradizionale iniziatica si possano confrontare, parlare e possibilmente intendere nel proporre soluzioni ragionevoli a problemi così enormi e attuali.

Nessuno detiene la Verità, ma il punto di vista della maggiore Scuola di Pensiero Laica Internazionale quale è quella rappresentata dalla Massoneria Scozzese potrà essere un utile riferimento per tutti.

Prima di entrare nel vivo della riflessione sul tema, vorrei soffermarmi un momento sul perché ritengo che per la Massoneria in generale e per lo Scozzesismo in particolare la trattazione di simili problematiche sia  prima di tutto un dovere.

E’ un dovere perché la nostra Istituzione, che è presente in oltre 90 Stati del mondo, ha fra i suoi primi obiettivi da cogliere quello del conseguimento del Bene Universale.

E’ un dovere perché i principi di libertà ed uguaglianza sono alla base della Libera Muratoria, ma non sono conseguibili senza la fratellanza universale, la tolleranza e la solidarietà.

E’ un dovere perché soprattutto noi massoni più di altri sappiamo che il diverso per cultura, per religione o per classe sociale non può essere un avversario; anzi per quello che respiriamo nei nostri templi abbiamo imparato in modo diretto e senza intermediari che la diversità è una ricchezza.

Per noi è un dovere perché la Libera Muratoria esprime una visione del mondo incentrata sull’Uomo e propone una società a dimensione umana. E centralità dell’Uomo per noi significa far sì che le nostre azioni debbano mirare al benessere umano al di là di interessi di parte, come quelli politici, economici o strategici di qualsiasi natura.

E’ infine un dovere perché la nostra concezione della Centralità dell’Uomo, intesa come progetto, ci spinge a non considerare mai l’altro come mezzo, bensì come fine cui offrire la nostra azione solidale. Nostro compito precipuo è infatti “Costruire la casa degli uomini” così come titolava l’ottimo Convegno Regionale organizzato dall’Ispettorato Regionale della Toscana Marittima. Costruire una casa degli uomini, non una reggia per pochi privilegiati o un tugurio pieno di crepe con le fondamenta nella sabbia.

La Massoneria non può rimanere silenziosa o neutrale di fronte alle ingiustizie e alle iniquità sociali, storiche, economiche, politiche o religiose.

Lo abbiamo toccato con mano approfondendo l’attualità etica del messaggio delle Grandi Costituzioni di Federico II. E gli stessi padri costituenti della Costituzione Americana, pensata e scritta da tanti nostri fratelli, proposero una visione del mondo e valori etici che superarono divisioni sociali ed economiche degli Stati membri, costituendo il punto di incontro ideale di diversità religiose come quelle emergenti nel variegato mondo protestante costituito da Calvinisti, Quaccheri, Anabattisti, Mormoni.

Oggi è come rivivere quel periodo storico, per certi versi esaltante, se riusciamo a far prevalere il Bene comune e non il “particulare” di singoli Paesi o singole comunità di uomini.

Direi che per la Massoneria in Italia e nel Mondo si aprono in questa ottica nuovi scenari e nuove prospettive che non ammettono per la nostra Istituzione ruoli subalterni o ruoli di semplici attori non protagonisti. Sarebbe il fallimento di un nostro primario dovere.

Il 21 settembre 2001 il Supremo Consiglio del RSAA organizzò nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma un Convegno Nazionale sul tema “Sovrappopolazione,Globalizzazione e Integrazione”.

Eravamo all’alba del 2000 e appena 10 giorni dopo i fatti terroristici di New York e Washington. Un convegno e un confronto fra culture diverse ben riuscito, tempestivo e particolarmente utile.

Nelle Sue conclusioni il Sovrano Gran Commendatore del RSAA, alla fine degli interventi degli illustri relatori, indicò un percorso non facile da battere, ma esaltante, con cui dobbiamo fare i conti e da cui non possiamo allontanarci.

Questa la sua proposta conclusiva: “E’ indispensabile che si formi in tempi ragionevoli un Governo Mondiale, nel quale siano rappresentate le menti migliori della Terra: Governo Mondiale che abbia poteri effettivi di intervento, di guida e di controllo sulle politiche demografiche e socio-economiche degli Stati Nazionali. Io credo che una parte di questo compito debba essere svolta anche dalla Massoneria Internazionale.

A mio avviso nella nostra Istituzione sono presenti molte delle menti migliori e delle coscienze più sane che l’umanità possieda.

Avete ricevuto in omaggio il quaderno che contiene i nomi di molti degli uomini più illustri che l’umanità abbia avuto negli ultimi due secoli.

Una Istituzione come la nostra” – continua il Sovrano – “che raccoglie nel Suo seno uomini di cultura, di spiritualità, di onestà superiori, può forse intimorire qualcuno, ma io credo che oggi la nostra Istituzione debba proporsi come punto di riferimento essenziale a tutte le persone di buona Volontà che credono nel futuro dell’Uomo.

Noi siamo convinti che la Massoneria e il RSAA possano e debbano assumersi anche questo compito.

Perché in fondo, in modo sottile, così è sempre stato e così comunque sempre sarà, per il Bene dell’Umanità ed  ALLA GLORIA DEL  GRANDE  ARCHITETTO  DELL’UNIVERSO”.

Per raggiungere questi obiettivi, indicati dal Sovrano Gran Commendatore, difficili, ma possibili, dobbiamo essere ottimisti e il nostro ottimismo lo dobbiamo far emergere da una concreta e reale fiducia nella volontà dell’Uomo e non da astratte teorie o esercitazioni verbali fine a se stesse.

E’ bene ricordare che un nostro compito fra i più importanti è quello di “costruire la casa degli uomini”, non un iperuranio in cui ritrovarci fra pochi eletti o una torre di avorio avulsa dal contesto in cui viviamo quotidianamente.

Le giovani generazioni sono quelle su cui dobbiamo concentrare la nostra attenzione per forgiarle ed aiutarle ad evidenziare maggiormente ciò che accomuna tutti gli uomini rispetto a ciò che li divide, ad aumentare il loro tasso di fratellanza e di amore verso gli altri. In definitiva a diventare più maturi e più saggi e a mettere in soffitta, anzi a rifiutare con decisione le stupide ragioni del razzismo, dell’odio e delle diversità, che nel ‘900 appena trascorso hanno causato guerre e persecuzioni.

Nel Convegno del RSAA di cui si è parlato, il sacerdote prof. Manzone, nell’esporre  “Il punto di vista della dottrina sociale della Chiesa” riconosceva che … “L’amore al prossimo si esprime, tra l’altro, nella figura del riconoscimento dell’altro che è sia il povero sia lo straniero, il diverso o tutti e due insieme….. Certamente, poiché si tratta di incontro tra gruppi e civiltà, il confronto e dialogo richiede condizioni e strumenti quali la reciprocità, il rispetto delle regole, della convivenza e la parità. E’ allora necessario favorire un ethos in tal senso, soprattutto laddove le civiltà si presentano con caratteristiche estremamente differenti.

Non basta però favorire e volere uno scambio sociale rispettoso.

Poiché si pone sempre il rischio che le differenze diventino intolleranze, occorre una istituzione che regoli e limiti i rapporti tra i gruppi, “imponendo” comportamenti di reciproca tolleranza e rispetto.

 Inoltre ..non accogliere tutti, ma disciplinare i flussi e la mobilità sociale, esigendo inoltre che tutti coloro che sono presenti nella civiltà occidentale siano riconosciuti nelle loro istanze fondamentali e nello stesso tempo contribuiscano nella vita civile del paese che li ha accolti…. La società interculturale, nel momento in cui postula la convivialità delle differenze non può eludere il problema della definizione dei valori su cui tutti si sentono impegnati, dell’adesione cioè ad un nucleo duro di diritti che, nell’attuale temperie culturale, non può che essere quello dei diritti fondamentali dell’uomo…..”

Organizzato dalla mia Loggia all’ Or.’. di Follonica anche questo anno scolastico 2006/2007 si è tenuto il concorso rivolto alle quarte e quinte classi delle scuole superiori di Follonica, Massa Marittima e Grosseto, concorso che tutti i fratelli conoscono e che in questo anno scolastico 2007/2008 celebra ormai il suo decennale. Lungo questo arco di tempo sono stati coinvolti su temi a noi cari come quello della fratellanza, dell’amore, della solidarietà dai 400 ai 500 ragazzi. Questo 9° anno il tema da svolgere aveva come titolo “Integrazione è…” e nella trattazione degli argomenti che ci interessano in questa tornata preferisco affidarmi alle parole di questi giovani concorrenti, non massoni, parole assai ricche di significato, profonde e confortanti per un educatore, come il massone si deve sentire, nel profondo del suo animo.

Scrive Emanuele Giuliano del Liceo Classico di Grosseto, al quale è andato il primo premio:

L’integrazione… “è un’impresa difficile, ma che vale sempre la pena di tentare. E’ qualcosa che si realizza non soltanto attraverso i provvedimenti e le leggi dei governi ma anche nella quotidianità attraverso le azioni dei singoli cittadini e degli immigrati che vogliono diventarlo. E, ad ogni modo, ci vogliono delle premesse affinché questo processo abbia luogo: le due parti, infatti, devono porsi in una condizione di parità ed essere entrambe motivate.

Ognuna delle due (o più) culture che si incontrano hanno dei valori fondamentali e irrinunciabili che sono molto diversi, ma hanno anche dei punti in comune. E proprio dalla valorizzazione di questi bisogna cominciare. Per poi giungere a creare, sulla base delle diverse esperienze e opinioni, un modello comune per una nuova società; sempre nel rispetto delle libertà di ogni singolo individuo che deve poter mantenere i propri costumi e le proprie abitudini, quando non siano di danno per il resto della collettività. A livello quotidiano, poi, bisogna instaurare nuovi legami sociali imparando ogni giorno a conoscere e accettare la pluralità e, inoltre, inserire a pieno titolo e in condizioni di assoluta parità “i nuovi residenti (…) nella vita economica, sociale, civica, culturale e spirituale del paese d’immigrazione” (A. Perotti — 2002).

Tuttavia mi sembra necessario tenere sempre presente che bisogna mantenere una distinzione fra la comunità ospitante e quella ospitata. L’immigrato che vuole integrarsi deve saperlo fare senza sconvolgere gli equilibri della Nazione che lo ospita. Deve essere animato dalla volontà di conoscerla e di farne parte condividendone la storia passata e il destino futuro, deve trasformarla nella sua nuova patria, come ha sostenuto recentemente l’autorevole sociologo piacentino Francesco Alberoni dalle pagine del “Corriere della Sera”.

Per concludere, è sì giunta l’ora di abbattere tutte le barriere sociali, economiche, culturali e anche, a volte, materiali che dividono noi Italiani (e Occidentali in genere) dagli stranieri immigrati e riconoscerli nostri pari, renderli “Fratelli d’Italia”, ma spiegando loro anche le profonde implicazioni di questo passo.

Affidare anche a loro il compito di difendere l’Italia, Patria di entrambi, di tramandarne la cultura, la storia, le tradizioni; esortarli ad impegnarsi a fondo a renderla grande poiché ne fanno parte; far sì che ne comprendano e conoscano i valori e che siano animati dal desiderio di difenderli e diffonderli. Cosicché accanto ai doveri avranno anche i diritti dell’essere italiani.

Potranno professare la loro religione e continuare le loro tradizioni e i loro usi, poiché vivranno in uno Stato dove al cittadino è lasciata la più piena libertà nella sfera privata (la cosiddetta “libertà dei moderni” di Benjamin Constant), consentendo a loro volta agli altri di mantenere i propri; esprimere la loro opinione apertamente e nello stesso tempo ascoltare quelle altrui senza censurarle; partecipare alla vita non solo economica e sociale ma anche politica e culturale, in modo da contribuire a renderla vitale con nuove esperienze e proposte costruttive.

Quindi dico a coloro che sono pronti a intraprendere questo cammino e accettare queste condizioni (neanche, a mio parere, troppo gravose):  benvenuti!

Sempre dal Liceo Classico di Grosseto Michele Tuccio si è cimentato nel concorso con un divertente e divertito monologo a Dio dal titolo “La tinta”.

Maledizione!

 Ora mi sono veramente scocciata di essere diversa! Perché non sono nata bianca?! Perché io devo scontare ogni giorno questa pena che non ho commesso? E’ vero, non posso negarlo, sono nera, o come diceva la mia dolce madre per rincuorarmi da piccola, sono di cioccolata. Ma sono stata io a decidere di dovermi accollare questo peso? Sono stufa di sentirmi diversa: dovunque io vada, persino in chiesa o a lavoro, c’è sempre qualcuno che mi guarda e mi giudica per il colore della mia pellaccia, oppure qualcuno che mi fa gli occhi dolci e mi rivolge la parola, ma sotto sotto sta provando pena per me. Io non voglio la loro compassione, accidenti! Dio, per quale stupido motivo hai creato gli uomini di carnagioni diverse? Credevi forse che sarebbero stati in grado di affrontare la disuguaglianza in modo sereno?

 Avevi la presunzione di aver creato qualcosa di perfetto con l’uomo? Ebbene, se è così sappi che io non sono perfetta. Sono nera. Dimmi solo, mio Signore, se c’è un modo per cambiare me, o meglio ancora gli altri. Devi fare qualcosa, non puoi abbandonarmi ora che ne ho più bisogno! Io non abito in una metropoli, la mia è una piccola cittadina di provincia, in pochi sono abituati a vedere persone di colore.

Pensa solo a cosa provo ogni volta che mi siedo sull’autobus e avverto decine di occhi che mi scrutano diffidenti. Tu dall’alto dei tuoi cieli, nella tua bella reggia, avrai sicuramente visto. Avresti dovuto, se è vero che ami noi uomini. Ma se non l’hai fatto non posso biasimarti. Io non sono più un essere umano. Un mese fa tre uomini italiani mentre camminavo per una viuzza deserta del centro mi hanno deriso, urlandomi che sono un animale, una bestia. Loro sono italiani, io etiope, come avrei potuto difendermi?! Ho pianto. Sono quattro anni, da quando sono stata costretta a trasferirmi in Italia per la guerra civile in Etiopia, che ogni sera piango. Ma non riesco più a sopravvivere, né come donna né come animale. Non ho più un orgoglio, una dignità, non ho più la speranza.

Ma da oggi in poi le cose cambieranno. Adesso gliela farò vedere io agli italiani come riesco a mutarmi. Ah!

Per prima cosa bisogna che cambi il mio modo di vestire. Via questi vestitacci colorati! D’ora in avanti indosserò sempre minigonne nere e canottiere sexy. La volevate l’occidentale sensuale? Eccovela servita!

E adesso mi tingo i capelli di biondo piatino. Ma dove caspita ho messo il flacone della tinta?!

Ah, eccolo qui. Forza, coraggio.

No. Non ce la faccio. Perché voglio cambiare il colore dei miei capelli? Cioè, voglio dire, è inutile! Non si è mai vista un etiope bionda…

Dio, aiutami tu! Lo devo fare o no? Io voglio solo essere accettata dagli italiani, voglio semplicemente riuscire a far parte della loro comunità, ad andare dal macellaio e sentirmi dire ‘buongiorno’ dal commesso come tutte le donne italiane. Sì, ho deciso: lo faccio.

Oh, dannazione! La tinta mi ha fatto irritazione! Mi prude tutta la testa e la cute è rossa peperone. Accidenti, chi diavolo me lo ha fatto fare di tingermi i capelli?! Vai a sapere cosa c’è dentro quel liquido, forse qualche pigmento dannoso per i capelli dei neri. Dio, ti faccio una promessa: se mi cadono tutti i capelli, giuro che mi metto il burqa, tanto non lo so più nemmeno io qual è la mia vera cultura. Etiope non lo sono più da quando mi sono trasferita in Italia, perché sono stata costretta a cambiare tutte le mie abitudini, le mie usanze. Tuttavia di certo non sono neanche italiana, qui sembra che nessuno voglia veramente stabilire un legame sociale con me; il massimo che possono fare è scambiare due parole nascondendo le nostre diversità, ma non è così che mi aiutano ad integrarmi. Non chiedo mica la luna! Io vorrei semplicemente che gli italiani non si ripiegassero su di sé e che instaurassero un rapporto di empatia e di scambio reciproco con me e con tutti gli immigrati.

 Insomma, se riuscissimo a dialogare in una posizione di parità, sono sicura che io avrei da imparare certamente molte cose da loro, ma anche gli italiani apprenderebbero qualcosa. Il confronto equo e la disponibilità sono i mezzi migliori, secondo me, ma evidentemente non secondo loro.

All’inferno questa tinta!

Ma chi voglio ingannare?! Io sono una nera etiope, e in fin dei conti vado fiera delle mie origini. Volermi integrare nella comunità italiana non significa dover perdere la mia identità.

Ho deciso: rimango come sono. E’ meglio. Signore mio, tu cosa mi consigli?

Taci, eh? Hai ragione, sarà opportuno che mi tolga questa minigonna di dosso, non mi si addice proprio. C’è una cosa che non capisco: ma l’hai creata tu, Dio, questa xenofobia? No, perché… non so se mi spiego… secondo me (ohi, è il mio modesto parere, non te l’avere a male…) è una grande stupidaggine! Mica per altro, ma perché la crescita di un uomo avviene tramite il continuo confronto con l’altro, e se tu mi crei questa paura dello straniero, è ovvio che nessuno con me parlerà in una posizione di parità, e quindi non ci sarà crescita morale. Insomma, il conservatorismo culturale non ha mai fatto bene a nessuno, lo dovresti sapere. Vabbè, io non voglio fare il processo a nessuno, e tanto meno a te, comunque io te l’ho detto.

Facciamo un patto: io per prima mi impegnerò con tutte le mie forze ad integrarmi, ad apprendere tutte le caratteristiche dell’Italia, ad apprezzarla veramente, pur mantenendo i miei costumi, e tu da parte tua… Machisenefrega, tu puoi anche non fare nulla: sono sicura che se io mi porrò realmente nell’ottica di voler imparare e di rispettare ogni convinzione, gli altri si apriranno al dialogo di conseguenza. Sì, sono tornata ad essere speranzosa!

Anzi, ora che ci penso bene, c’è una cosa che potresti fare per me in cambio: non è che mi faresti passare l’irritazione alla cute? Quella tinta mi ha devastata! Grazie.

Amen.

Infine Arianna Martelli dell’Istituto Tecnico Commerciale di Follonica affida alle pagine di un diario i drammi esistenziali di una giovane donna costretta a cercare fuori della sua patria le ragioni di un’esistenza dignitosa.

12 Giugno 1995

Ciao,

è proprio così che inizierò questo diario. Non avrai un nome, ti chiamerai semplicemente diario. Non scriverò tutte le sere, ma solo quando ne avrò voglia e tempo. Sarai pieno di emozioni e sensazioni e non di semplici fatti narrati e vissuti, sarai lo specchio della mia anima, il mio unico amico in questo viaggio sconosciuto. Non è un viaggio di piacere, ma devo farlo per la mia famiglia. Lo abbiamo concordato ieri con mio marito, ormai è deciso. Partirò tra due giorni per l’Italia. 

Ah ..dimenticavo, mi chiamo Katia.

14 Giugno1995

Diario,

sono sui vagoni di questo triste treno e, più guardo fuori, più so che mi sto allontanando dalla mia vita, dai miei affetti. Ma devo essere forte, farmi coraggio e non cedere di fronte alle prime difficoltà, anche perché sono sicura che dovrò affrontarne molte.

23 Giugno 1995

è già più di una settimana che sono in Italia. È un Paese bellissimo, pieno di storia e di frenesia. La città in cui mi trovo è Firenze. Tra qualche giorno mi dovrebbe venir rilasciato il permesso di soggiorno, così potrò andare alla ricerca di un lavoro. La sera, dalle sette alle otto, seguo dei corsi per imparare l’italiano. è vero che un po’ lo conosco già, perché a Tirana avevo dei vicini di casa italiani, comunque è sempre meglio conoscerlo di più, così che i datori di lavoro non avranno il modo di prendermi in giro nel momento in cui farò dei colloqui.

                                                                                     30 Giugno 1995

Del permesso di soggiorno non ho visto neanche l’ombra e i soldi che avevo portato sono arrivati al limite. Ho preso una decisione: nonostante avessi voluto trovare un lavoro adatto o quasi al mio titolo di studio (sono laureata in Psicologia), visto che questo non è possibile, lavorerò in nero.

15 Luglio 1995

Diario,

sono già dieci giorni che lavoro per questa anziana signora, Maura, la quale mi offre vitto e alloggio in cambio di un po’ di compagnia, di una persona con cui poter parlare, dato che il suo unico figlio, Andrea, viene a trovarla solo per Natale. È solo un mese che sono fuori casa, ma è come se qualcuno mi strappasse il cuore perché mi manca da impazzire mio marito: lui saprebbe proteggermi. Quando rientro a casa dopo aver fatto la spesa, mi sento strana, fuori luogo e a disagio perché tutte quante le persone che ho incontrato, mi hanno guardata con disprezzo; non appena mi giravo i loro occhi erano spilli che si incastonavano nella mia schiena. Mi sento sola.

28 Agosto 1995

Oggi, verso l’ora di pranzo, la signora Maura si è sentita male. Magari la causa sarà stata il grande caldo, chi lo sa, so solo che non appena mi sono accorta che la signora stava poco bene ho chiamato il 118. Dopo all’incirca venti minuti, in casa vi erano due infermieri e Andrea, il figlio, che ritenevo opportuno che dovesse essere lì, data la situazione. A distanza di poche ore, Maura era a letto che dormiva, le avevano dato dei tranquillanti. Il figlio è rimasto per la cena e ha deciso, per essere più tranquillo, di dormire qui. Adesso sta guardando la televisione.

16 Novembre 1995

Diario,

oramai sono molto simile ad un automa: mi alzo, preparo la colazione, la porto in camera alla signora insieme alle sue pillole, tutti i giorni le stesse cose, sempre la solita routine che si ripete con la solita monotonia. Ieri ho chiamato mio marito, la mia unica luce in questo posto di tenebre, e mi ha detto che ha trovato lavoro. Magari non è il massimo visto che deve spaccarsi la schiena in una miniera, ma è già un piccolo passo avanti verso la nostra riunione.

20 Gennaio 1996

So che è da molto tempo che non ti scrivo, ma non ho niente da raccontare o, per meglio dire, non ho niente di nuovo da raccontare. Nelle mie giornate vi è solo il colore grigio, sono morte, non succede niente di fuori routine, niente che possa farmi spuntare il sorriso….

Sono passati ben due anni da quando sono partita per l’Italia e adesso sono ritornata nel mio Paese natale. Non dico che sono stati due anni infernali, diciamo più semplicemente che non ho vissuto in questo lasso di tempo. Ma per questo non sono dispiaciuta, anzi sono fiera di me stessa perché, con le mie sole forze, sono riuscita a vivere per due anni in casa di una sconosciuta, soprattutto in un Paese straniero. Adesso, con i soldi che sono riuscita a risparmiare, che sono molti, considerando l’alta svalutazione della moneta albanese, io e mio marito stiamo bene economicamente, ma soprattutto stiamo bene perché siamo insieme.

 Rileggendo le pagine di questo diario, mi sono riaffiorate tutte quelle sensazioni così fredde, di paura e sconsolatezza che provavo quando mi trovavo in Italia. Ma una in particolare è rimasta impressa dentro me stessa e lo rimarrà per sempre.

Quel caldo e afoso 28 agosto 1995 non ho finito di scrivere la pagina. Non l’ho fatto perché non volevo accettare quello che era successo, non lo volevo ammettere né tanto meno vederlo per iscritto.

 Adesso, a distanza di due anni, credo di essere pronta per aprirmi e liberarmi anche se solo in parte di questo dolore così grande e troppo pesante. Ritornando alla sera del 28 agosto, il figlio rimase a dormire lì. Ma prima di dormire venne in cucina e con forza e rabbia, tappandomi la bocca con la mano mi violentò. Non sono stata in grado di reagire, ero troppo terrorizzata da quella bestia che mi trovavo davanti. Il mattino seguente Andrea se ne andò con la macchina, tranquillo come se niente fosse accaduto. Lo rividi solo l’anno seguente per Natale. È la prima volta che riesco a raccontare cosa successe quella notte. Non potei andare a fare la denuncia perché i carabinieri avrebbero scoperto che ero sprovvista di permesso di soggiorno, ma soprattutto non ho potuto sfogarmi con nessuno, tanto meno ricevere un abbraccio che mi facesse sentire sicura.

E questo perché? Perché ero un’extracomunitaria e le persone riuscivano a disprezzarmi solo per quello. Non si ponevano domande quali perché fossi in Italia o quale fosse la mia storia. Sapevano solo che non ero italiana, a loro questo bastava per potermi giudicare, e così hanno fatto. Ero sola, in mezzo a persone come me che non riuscivano ad accettarmi, anzi erano proprio indifferenti alla mia presenza o fredde di fronte ad un mio saluto.

Ma alla fine abbiamo tutti i soliti avi, i soliti antenati, magari con il passare degli anni, dei secoli, dei millenni, qualcuno ha mutato la sua forma esteriore: è diventato scuro di pelle o   più chiaro, i suoi capelli sono ricci oppure lisci, i suoi occhi sono diventati scuri come la notte o freddi e chiari come il ghiaccio.

Quello che più importa non è tanto l’aspetto esterno ma quello interiore: tutti gli esseri umani hanno mantenuto le proprie caratteristiche, due polmoni, lo stomaco, un cervello pensante che non smette mai di elaborare dati e, soprattutto un cuore che comincia a battere quando nasciamo e smette quando moriamo. Il cuore è l’inizio della vita, alle volte va più veloce quando proviamo forti emozioni oppure rallenta se siamo rilassati, ma i battiti sono uguali per ogni cuore e voglio ricordare che ogni uomo ha un cuore, il suo cuore che è uguale a quello di tutti gli altri esseri umani, indistintamente dal colore della sua pelle o dal suo naso all’insù.”

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