C’ERA UNA VOLTA

C’era una volta …

La tolleranza. (… Virtù di indulgenza per cui si permette che altri dica o faccia cosa discorde dal nostro sentimento o dalla nostra opinione…) Ma perché proprio “c’era una volta la Tolleranza”? Come mai ritenere tale parola così importante la cui comprensione certamente ci aiuta a levigare la Pietra grezza che giorno dopo giorno.ci ritroviamo tra le mani. Una risposta potrebbe essere perché oggi, nel nostro vivere insicuro, nonostante gli insegnamenti della Libera Muratoria, per ciascuno individuare la propria via di carattere e di personalità è sempre complesso, faticoso, spesso faticoso, quasi sempre interminabile. Un’altra risposta si fa avanti semplicemente dalla considerazione di come, a volte, il significato di Tolleranza sia confuso ed alquanto contraddittorio. Infatti le incomprensioni portano ad interpretare, mi riferisco alla pratica e non alla definizione etimologica, la Tolleranza per difetto scadendo in comportamenti vicini all’intolleranza oppure per eccesso arrivando al lassismo, all’eccessiva liberalità. Erroneamente si ritiene che chi è tollerante sia uno che accetta, più o meno di buon grado, tutto ciò che gli si propina. Se ciò dovesse veramente accadere sarebbe un grave errore, poiché nessuno di noi deve accettare passivamente ciò che gli viene proposto se non è veramente convinto. Se così fosse verrebbe a mancare quel rapporto di dare-avere e verrebbe a mancare il dialogo costruttivo utile a tutti noi. Tolleranza non è quindi silenzio ma rispetto. Se un Fratello sbaglia il nostro preciso dovere è quello di rispettare il suo punto di vista tentando con le “dovute” maniere di fargli capire che forse è nell’errore. Se ciò non avviene il nostro silenzio cambia significato e rischia di diventare appunto, una manifestazione di intolleranza. A questo punto non saremmo molto diversi dal primo uomo profano che passa per la strada. Noi siamo Liberi Muratori e la nostra libertà, perché rimanga tale, ci impone di parlare ed aiutare chi ha avuto un attimo di smarrimento. Fratelli, non vi è mai capitato di chiedervi quanto sia giusto in certe situazioni essere tolleranti o quanto, spingendovi oltre, si possa arrivare a tollerare troppo, al concedere assai di più, con la fastidiosa intima sensazione di star commettendo un errore? In altre parole il concetto di tolleranza si stravolge in quello di sopportazione, di adattamento alla situazione contingente, di qualunquismo o di scarsa fermezza di carattere o di eccessiva liberalità. Sono questi tutti stati d’animo che precludono un costruttivo rapporto dialettico, incrinano equilibri, lasciano strascichi amari quando non inducono fenomeni di disgregazione di collettività che necessitano, al contrario, di molta coesione. Non è certo questa la Tolleranza che un uomo libero e intelligente in costante riflessione su se stesso intende e persegue. Infatti si può considerare uomo tollerante quello che viene impropriamente definito un uomo libero. In effetti, dal momento che la libertà intesa in senso assoluto non esiste, a meno che l’uomo non riesca a liberarsi dalle sue preoccupazioni terrene (il che significa rinunciare a se stesso) si può argomentare che l’uomo (il Massone) spesso non è libero, ma può invece essere tollerante.
Nel nostro Ordine, la Tolleranza spesso significa e si traduce in Fratellanza, quest’ultima ancor più profonda di una amicizia tra uomini diversi, ma per questo ancora più salda. i Tra le Colonne, durante i nostri lavori e, fuori, nella vita comune cerchiamo sempre di ricordare come opinione e comportamento di un Fratello sia anch’essa più o meno vera, operando come uomini giusti ed intelligenti. Lasciamo che alla verbosità si sostituisca la riflessione, all’alterco una più pacata discussione e mutiamo la nostra collera, se proprio diventa inevitabile, in velata e gentile ironia. La Tolleranza così si accompagna alla Temperanza che modera le nostre azioni e cede il passo a quella generosità che ogni Fratello Libero Muratore dovrebbe ospitare nel proprio animo. La vera Tolleranza, inoltre, è, a mio parere, una delle grandi virtù che possiamo possedere, poiché permette a tutti noi di avere il coraggio di esporre pubblicamente (in Tempio) le nostre debolezze senza timore di essere incompresi o derisi dagli altri. Una debolezza palesemente denunciata, automaticamente rende più vero e più forte colui che ha avuto il coraggio di fare una simile ammissione. Il fatto stesso di essere in grado di giudicarsi con serenità d’animo cogliendo tutti i risvolti del proprio carattere, siano essi positivi o negativi, ed in particolare modo se dovessero essere negativi, manifesta, a mio parere, i segni del cambiamento. Se la Tolleranza è ancora “la prima virtù dei Liberi Muratori” cerchiamo di usarla, sia che si parli e si agisca tra le Colonne o nel mondo profano, sia che si scriva di questioni Massoniche, preoccupandoci di salvaguardare e rispettare anche il credo, eventualmente diverso, dei nostri Fratelli. Forse la cosa più ragionevole e tollerante, in questo nostro iter di perfezionamento iniziatico, consiste nel privilegiare la giusta azione esemplare piuttosto che il giusto pensiero ritenuto essenziale e, qualche volta, non rispettato nei fatti.

L’amor fraterno.

La massoneria mira allo sviluppo dell’Amor Fraterno, ed affinché ciò si ottenga una delle prime cose necessarie è che vi sia una fiducia reciproca. Se un Fratello vede che un altro ha diffuso osservazioni spiacevoli su di lui ciò basta a diminuire l’armonia della Loggia e a minare la fiducia reciproca; come Fratelli dobbiamo evitare di fare o dire qualsivoglia cosa possa danneggiare la reputazione o ferire la sensibilità di altri Fratelli. Non è forse una regola d’oro quella di tacere almeno, se non si può parlar bene di altri Fratelli Questa regola ha le sue eccezioni, poche per la verità, come quando, ad esempio, abbiamo il dovere di stigmatizzare condotte non conformi alle solenne promesse fatte ricordando che se possono esserci buone ragioni per riprovare un Fratello a viso aperto non ce n’è alcuna per sparlare di lui. Quando necessario si adotti quell’ottima virtù dell’Arte che è il silenzio. Se ciò si facesse quando necessita molte amarezze e ripicche che possono turbare la vita in comune sparirebbero da sole.
C’È ANCORA …
La pigrizia.

La pigrizia è dei vizi quello più facile da assumere: non occorre agire, basta lasciarsi andare. Il pigro tiene per buono tutto quello già sperimentato da altri senza approfondire nulla. Il pigro crede per sentito dire perché fa comodo. Il suo pensiero è costituito da frasi fatte, si diventa sordi e ciechi a tutto ciò che non viene fornito già preelaborato. Subentra il disinteresse prima per gli altri, poi per noi stessi e si accetta ciò checi viene come premio o castigo con rassegnazione. Quando poi si dovrebbe controllare o fare qualcosa di particolarmente sgradito ogni scusa è buonaperlasciar perdere, per non immischiarci. Uno sforzo di superamento della nostra naturale pigrizia ci viene imposto (per fortuna dico io) dalla natura del lavoro di Loggia. I mattoni del nostro personalissimo Tempio dobbiamo levigarli noi. Possiamo chiedere aiuto o consiglio su come fare ma devono uscire dalla nostra fornace. Al vizio pigrizia si oppone la virtù Forza rappresentata da Ercole. Con le suefatiche egli ci ricorda che per giungere alla meta occorre uno strenuo sforzo. Mettere in atto il trinomio Libertà — Uguaglianza — Fratellanza richiede forza; per levigare la pietra occorre forza. Per approfondire le nostre ricerche, per saperci controllare nei nostri successi, per perseverare nonostante gli insuccessi abbiamo sempre bisogno della Forza che si opponga alla Pigrizia. Ho detto Maestro Venerabile e Fratelli carissimi,
A.’.G.’.D.’.A.’.D.’.U.’.

Fr.’. S.Pnt.


S. Pnt, 13 gennaio 2000 dell’e.’. v.’.
[Consultazioni: Rivista Massonica – Hiram – Gli insegnamenti morali della Massoneria

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