VINCENZO MONTI

MONTI VINCENZO (Alfonsine, Ravenna, 1754 – Milano 1828)
Vincenzo Monti nacque il 19 febbraio 1754 ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, da una famiglia di origini contadine, ma che aveva raggiunto una posizione economica discreta. Il padre, come proprietario agricolo, avrebbe voluto che il figlio si dedicasse agli di studi legali, e nel 1771 Vincenzo si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università di Ferrara, ma in questo periodo incominciarono i primi contrasti con la famiglia e, abbandonata la facoltà di legge per quella di medicina, cercò appoggi economici per potersi dedicare alla sua grande passione: la poesia. È del suo periodo ferrarese la prima opera, “Visione di Ezechiello”, componimento celebrativo ricco di elementi miracolistici, nel quale però il Monti sperimenta forme più delicate di poesia. Abbandonò anche la facoltà di medicina ed incominciò a leggere i classici latini: Virgilio, Orazio, Tibullo, Catullo, ed italiani: Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso ecc. Nel 1779 si trasferì a Roma, essendo riuscito ad ottenere dai suoi fratelli una pensione mensile per tre anni in cambio della rinuncia alla sua parte di eredità. In questa situazione, il successo divenne una condizione di sopravvivenza ed egli cercò di ottenerlo procurandosi amicizie importanti, assecondando il gusto della moda della cultura romana, facendosi celebratore occasionale di avvenimenti pubblici e privati. Papa Pio VI conduceva una politica di prestigio personale con la quale nascondere le grosse falle dell’amministrazione dello Stato; promuoveva ricerche archeologiche, che davano lustro alla sua persona, incoraggiava una letteratura celebrativa della grandezza passata e presente di Roma. Per questo motivo il Monti, nel 1779, compose l’ode “Prosopopea di Pericle”, nella quale celebrò un avvenimento archeologico, il ritrovamento di un busto di Pericle, ma soprattutto celebrò la grandezza di Pio VI. L’anno successivo scrisse un altro componimento, “La bellezza dell’universo”, in onore del nipote del pontefice, il principe Braschi; questa seconda opera lo collocò improvvisamente tra i migliori poeti del tempo e gli aprì la strada ad una sistemazione come segretario del principe. Nel 1783 pubblicò una raccolta di poesie in due volumi, il primo dedicato al pontefice, il secondo dedicato al principe Chigi, che comprende componimenti prevalentemente amorosi. Fra questi ricordiamo: “Al Chigi”, e “Pensieri d’amore”; nel 1784 scrisse l‟ode “Al signor di Montgolfier”. Nel 1782 compose un altro canto, la “Basvilliana”, che sarà pubblicato solo più tardi e nel quale il Monti si erge in difesa della religione contro gli eccessi della rivoluzione. Nel 1784 incominciò la sua produzione di tragedie “Aristodemo”, “Galeotto Manfredi” e “Caio Gracco”. Nel 1797, mentre i Francesi avanzavano verso la proclamata repubblica romana, il Monti fuggì da Roma per riparare prima a Firenze, poi a Bologna ed infine a Milano, dove succedette al Parini nella cattedra di alta eloquenza del collegio di Brera. Qui cominciò a scrivere il “Prometeo”, un poemetto celebrativo in onore di Napoleone, che riscosse un successo immediato, e con questo componimento riuscì a coprire i suoi precedenti antirivoluzionari e ad ottenere il posto di segretario degli stati esteri della Repubblica Cisalpina. Anche in questo periodo il suo atteggiamento fu sempre moderatamente democratico,
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decisamente consono al suo carattere alieno da ogni pericoloso estremismo. Nel 1798, all’arrivo degli Augusto-Russi in Italia, il Monti fuggì a Parigi, dove celebrò la politica napoleonica con una convinzione che deve essere ricollegata non a motivi ideali, ma alla coincidenza con i propri interessi e con le proprie aspirazioni moderate. Nel 1802, tornato in Italia, occupò la cattedra di eloquenza all’università di Pavia, e nelle sue lezioni non dimenticò di raccomandare allo scrittore di temperare l’entusiasmo con una scelta oculata di pensieri e di immagini. Questi presupposti teorici sono sempre riscontrabili nell’opera dei Monti, dove il gusto per i motivi poetici e sentimentali si affianca sempre ad un controllo rigoroso della forma e delle immagini, controllo che è favorito dalla padronanza assoluta dei mezzi tecnici che caratterizza tutta la sua poesia. Nel 1804 Napoleone fu nominato Imperatore dei Francesi, ed alle tappe del trionfo napoleonico corrisposero le cariche onorifiche che furono concesse al Monti: poeta del governo italiano e storiografo ufficiale del Regno Italico, cariche che lo legarono ad un impegno celebrativo esplicito, ed al quale egli si adeguò con una produzione abbondante e prolissa di componimenti; sono infatti di questo periodo una serie di poemi dedicati alla vita e alle imprese di Napoleone, nonché ai suoi simpatizzanti e ai suoi familiari, come quello scritto in occasione dell’incoronazione di Giuseppe Bonaparte. Nel 1806 s‟impegnò in quello che fu il suo capolavoro: la traduzione dell‟Iliade, fatta sopra una versione latina, perché egli conosceva poco il greco, impegno che lo vide occupato per circa sei anni. Il 1813, con la decadenza ed il crollo dell’impero napoleonico, segnò una battuta d’arresto nell’attività della cultura italiana, e di essa risentì anche i Monti, che, nel 1815, accolse l’invito del governatore austriaco di collaborare alla “Biblioteca Italiana”; ossequioso al nuovo potere politico, compose: “Mistico omaggio”, “Ritorno d’Astrea”, “Invito a Pallade”. La sua maggiore opera in prosa è la “Proposta di alcune correzioni da farsi al vocabolario della Crusca”, nella quale si oppose alle troppo rigide dottrine dei puristi in fatto di lingua, e rifiutò l’autorità della Crusca, che voleva imporsi come infallibile nella questione. Morirà a Milano nel 1828. Anche il suo impegno massonico si modulò sulle “opportunità” dei tempi, e raggiunse solo il grado di compagno nella Loggia “Reale Augusta” all’Oriente di Milano.

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