IL COLORE DELLA FAME

Il colore della fame

di Ileana Martellucci

 

Finché      mamma è vissuta, mio padre a fine pasto, ha sempre diviso con lei una mela. Non avevo mai dato molta importanza a questa consuetudine. Solo molto tempo più tardi ho capito che quello era un autentico gesto d’amore.

A vent’anni ci si può abituare a tutto, al freddo, al caldo, alla fatica, al disagio di un letto scomodo, ma non alla fame.

Quando ti prende non ti concede tregua e ti logora la mente tanto quanto lo stomaco: in principio è un languore sottile ma, man  mano che aumenta, diventa una morsa che ti stringe senza pietà, ti attanaglia le viscere al punto che venderesti I’anima al diavolo pur di liberartene.

La memoria corre, come un cavallo impazzito su un sentiero che conduce il ricordo alla viva sensazione di un momento vissuto tanto,tanto tempo fa…

Quel  giorno al fronte, il rancio non era arrivato,- i muli che lo trasportavano erano stati mitragliati senza pietà lungo l’ultimo tratto del percorso che li avrebbe condotti fino a noi. Per fortuna, pensammo, era almeno riuscito ad arrivare quello che portava la posta.

Noi soldati di leva cosiddetti anziani, ( si fa per dire, avevamo tutti al massimo ventitré o ventiquattro anni) ci consolavamo leggendo e rileggendo le lettere arrivate da casa. Le mie finivano sempre allo stesso modo: “Non ti esporre più del necessario figliolo… sei tanto giovane, la guerra non durerà in eterno! Noi qui a casa ti aspettiamo con fiducia, ci manchi tanto. Mamma”.

Queste parole mi riempivano il cuore di speranza, ma la pancia restava vuota e a rileggere le nostre lettere, non si riempiva davvero.

Colmo dell’ironia, in zona franca, tra la nostra trincea e quella tedesca, un melo carico di frutti invitanti che aspettavano solo di essere colti, ci guardava beffardo.

A lui la guerra e i cecchini tedeschi proprio non facevano nessun effetto. Stava li a sfidare il coraggio degli uni e degli altri, i due grandi eserciti a confronto, con la fame da lupi e il coraggio delle pecore, lo guardavamo. Come fosse stato sempre là, fin dall’inizio dei tempi ci offriva la sua mercanzia gratuitamente, o forse no, sfacciatamente ci chiedeva il prezzo più alto che esista al mondo, la vita.

Comunque presto sarebbe stata sera ed il buio ci avrebbe risparmiato la visione di tanto ben di Dio. E la sera arrivò e così pure il buio, ma insieme a loro anche un inebriante profumo di mele. E’ incredibile come di notte gli odori si accentuino. La fame aumentava, dentro allo stomaco sembrava si fosse aperta una voragine ed insieme alla fame arrivò puntuale anche la nostalgia di casa: sinceramente, a me, semplice ragazzo di campagna quel profumo rammentava il granaio, dove i frutti rimanevano a maturare per tutto l’inverno e la mia cara terra di Maremma mai come in quel momento terribilmente lontana.

Fu in quell’attimo che presi la decisione: costasse quel che costasse sarei andato a cogliere quelle mele!

“Non ti esporre più del necessario figliolo.”

Certo mamma, ma che differenza fa morire di fame o morire ammazzati? La morte è morte e pazienza se ti racconteranno che son morto cercando di ammazzare un’altra persona o cercando di togliermi la fame.

Cercavo in ogni modo di giustificare un’inutile bravata.

Nella notte e sottovoce sussurrai – signor tenente io vado!- Non importava neanche dire dove era chiaro dove sarei andato, a cercare di salvare la vita a me e forse ad un altra decina di soldati.

Mi guadò sorpreso e al contempo- fiero. Aveva fame anche lui. –“Mi meraviglio di lei Martellucci. E mi appello al suo buon senso! Tra due ore ho bisogno di lei vivo e perfettamente lucido,,. Ero comandato insieme ad altri commilitoni ad abbattere filo spinato in territorio nemico. – “signor tenente tra due ore di perfettamente lucido rimarrà solo il mio stomaco”. Mi guardò stranamente e si ritirò nella sua riservetta, ricavata nella trincea. Per la verità mi ero preparato ad una reazione più violenta. D’altra parte anche tra i miei compagni di sventura non vi fu nessuna obbiezione.

A questo punto era diventata una questione di principio: non potevo più tirarmi indietro, dovevo andare!

“Non ti esporre troppo figliolo.” Mamma, cerca di capire, non mi far perdere altro tempo, sarei già dovuto andare, quella nuvola che sta ora coprendo la luna mi avrebbe riparato, ora devo aspettare I’altra!

Calcolai che in sette otto minuti avrei dovuto fare tutto, andare e tornare.

Così quando la luna si coprì di nuovo, non indugiai, in men che non  si dica ero già in cima all’albero (beati vent’anni). Mi fermai un attimo per riprendere fiato; ero stato fortunato, i tedeschi non mi avevano visto. Eppure non ero tranquillo, avevo la sensazione di non essere solo, mi voltai lentamente cercando di non muovere troppo i rami e fu allora che  incontrai due occhi straordinariamente azzurri: quel colore che poi avrei associato per tutta la vita alla fame, quella fame che solo chi I’ha provata può comprendere. Mi resi conto che quella bravata si sarebbe trasformata in assurda tragedia. Simultaneo e istintivo per entrambi lo stesso gesto, mano sull’arma pronti a colpire; ma nessuno dei due lo fece, seguitavamo a guardarci in silenzio; parlare d’altronde sarebbe stato inutile, non parlavamo la stessa lingua, eppure in quel preciso istante ci intendevamo perfettamente!

In quel momento non eravamo due nemici, ma semplicemente due ragazzi di vent’anni che avevano fame… e nessuno dei due colpì.

Cominciammo a raccogliere le mele senza affanno mente la luna si copri e scopri più volte. Ci riempimmo le tasche ed il petto fin all’ impossibile fino a che non ne rimase una solamente; stava li immobile tra me e quei due occhi azzurri.

Anche allora ci scambiammo lo stesso sguardo d’intesa, ripetemmo lo stesso gesto e mettemmo entrambi la mano sull’arma, ma questa volta, non per colpire, ma per spartire.

Non importa quale mano e quale arma tagliarono il frutto, I’importante fu averlo fatto.

Scendemmo dall’albero tranquillamente, senza fretta, mangiando entrambi la nostra mezza mela, prendendo però strade diverse.

Mentre raggiungevo la mia trincea e nei lunghi anni che seguirono dopo la fine della guerra ho sempre pregato Dio  di non farmi incontrare più con quell’azzurro.

Spero tanto di essere stato esaudito.

Mio padre quando ci raccontava questo episodio (uno tra i tanti racconti di guerra) si domandava sempre come avesse fatto quei soldato tedesco a raggiungere l’albero senza essere visto da nessuno degli italiani.

-E’molto semplice babbo; lui aveva preso la prima nuvola, tu invece eri salito “sulla seconda”. Sono certa che il destino non vi ha più messo di fronte; certi incontri, babbo nella vita si fanno una sola volta!-

Fra le tante decorazioni che ti sono state assegnate in quella lunga  guerra, ne manca una e sicuramente la più bella.                                                                                                                   .

Pur non parlando la stessa lingua o senza inutili procedure con quel semplice gesto d’amore voi due avete cominciato a fare I’Europa unita.

Quando un fiume mormora.

 

(Tríncea delle Frasche 03. 1 1 .1915)

 

 

 

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