LA MASSONERIA È PROPRIO UNIVERSALE?

LA MASSONERIA È PROPRIO UNIVERSALE?

di

Baldo Conti

Noi tutti abbiamo sempre sostenuto, supportati anche dalla enorme quantità di letteratura esistente in tal senso fin dalle origini, che la nostra Istituzione è “universale” e tutti noi abbiamo sempre accettato questa definizione senza mai pensare di discuterla, quasi fosse un dogma. Forse sarà la “moda” di questi ultimi anni che mette sempre in discussione tutto, forse una punta di polemica, forse il non voler dare mai tutto per ‘scontato”, che ci hanno indotto a fare alcune riflessioni in proposito, nell’intento, anche speculativo, di appurare se la Massoneria sia effettivamente “universale”, in toto, in parte o non lo sia affatto. Il consueto esame di coscienza anche se non richiesto non potrà farci che bene, almeno se abbiamo l’intenzione di prendere coscienza della nostra realtà massonica ed umana. In ogni caso, anche come succede in mare ai naviganti, fare ogni tanto il “punto” è sempre opportuno perché riassume il percorso da noi fatto e ci suggerisce il nuovo da percorrere. Per praticità possiamo dividere l’argomento in tre parti, cioè esaminare separatamente l’universalità dei nostri principi,  quella dei nostri rituali e  l’universalità della nostra funzione e realtà, cioè del nostro “sistema”. Cercheremo d’essere come sempre molto semplici e sintetici anche per non stancare  il lettore con astruse e complicate dissertazioni più o meno filosofiche.

L’universalità dei nostri principi

Potrebbe essere data senz’altro per scontata, ma solo se considerassimo come universale solo il nostro mondo ristretto ed in parte “occidentale”. Ma i nostri aneliti di democrazia, di libertà, di solidarietà, di fratellanza, di miglioramento individuale e quindi collettivo, siamo certi di ritrovarli identici in altre parti del globo dove esistono usi, costumi, morali e quindi religioni ed organizzazioni sociali notevolmente differenti dai nostri? Certo noi sappiamo che oggi tutto tende ad un “livellamento” uniforme e disarmante, in cui l’individuo, nonostante venga considerato privilegiato, è pur sempre una parte anonima del tutto, ma come è possibile conciliare queste differenze e divergenze in un concetto unico e sicuro di universalità? Ci è noto, per esempio, l’uso esquimese di concedere la propria moglie all’ospite anche di passaggio, la mutilazione di parte degli organi anche sessuali in alcune civiltà (che per noi cristiani non sono affatto ritenute “civiltà”) come segno anche di “iniziazione” all’ingresso a pieno titolo nella società alla quale si appartiene, l’uso di droghe utili alla sopravvivenza umana in ambito asiatico e più che altro sudamericano, e così via (l’elenco non avrebbe fine) : in quale maniera riteniamo di poter sostenere l’universalità di una qualsiasi morale, a meno che non si voglia arbitrariamente affermare che solo noi siamo nel giusto e gli altri nell’errore?

È evidente che buona parte dei nostri principi istituzionali sono in grado di collimare con quelli degli “altri”, ma non tutti, e sarebbe solo presunzione, come si è detto, ritenersi noi solo nel giusto: gli “altri” potrebbero a pieno titolo fare altrettanto. Alcuni fondamenti della filosofia massonica, se così si può dire, appartengono al mondo biologico e quindi dovrebbero essere comuni alla specie umana, ma non è proprio così. Per esempio l’uomo continua ad uccidere tranquillamente il  proprio simile, in pace ed in guerra (dove spesso riceve anche la “benedizione di Dio” per le sue azioni), ruba al prossimo e commette tante altre iniquità (sconosciute al mondo animale al quale appartiene) presumibilmente senza la “consapevolezza” di commettere peccato o comunque una cosa riprovevole, perché a certe latitudini la morale cambia, il clima ed il sistema di vita divengono differenti, i cosiddetti “valori” assumono significati divergenti dai nostri. Altri esempi? Sono infiniti. Possiamo quindi ritenere, in tutta coscienza, che i nostri princìpi, ai quali tuttavia noi crediamo, siano effettivamente ‘universali”? Non ci dimentichiamo che versale significa anche qualcosa oltre il legame che ci unisce alla nostra sfera terrestre.

L’universalità dei nostri rituali

E senz’altro una conseguenza dei concetti espressi in precedenza. Questi sono stati creati dal “massone” a proprio uso e consumo, ispirandosi alla propria morale, ai costumi, ad un tipo particolare di tradizione e di simbologia in uso nella propria società, e così via. Le differenze rimangono quindi come al punto precedente. Tutti coloro che hanno avuto l’opportunità di recarsi all’estero hanno potuto vedere come cambino, anche sostanzialmente, parole, gesti, funzioni, personaggi e quant’altro contribuisce a realizzare i nostri riti e le nostre cerimonie. Ma un’altra cosa molto più grave dovrebbe farci riflettere più profondamente. Senza voler essere blasfemi, com’è possibile affermare la nostra universalità quando apriamo i nostri lavori sulla Bibbia al Vangelo di Giovanni? Quale universalità riteniamo di manifestare nei confronti del musulmano, dell’israelita e di qualunque altro Fratello che professi una religione differente dalla cristiana? Non è forse questo un sopruso ed una violenza perpetuata, anche involontariamente, nei confronti del nostro prossimo?

L’universalità della nostra funzione e realtà, cioè del nostro “sistema”

Anche in questo terzo caso dobbiamo per forza fare riferimento a tutto ciò che riguarda i nostri principi, con tutta la nostra morale e filosofia di vita massonica. Le nostre strutture, la nostra realtà di uomini, la realizzazione del nostro “sistema” si confronta per forza con la nostra essenza di cittadini del mondo “occidentale e cristiano” il che, almeno per noi, non desta alcuna preoccupazione: è tutto ovvio, regolare e scontato. Ma ripeto, come possiamo ritenere i nostri esclusivi pensieri, il nostro modo di vedere e di pensare, le “giuste” finalità che noi riteniamo di avere individuato nella vita, conciliabili con il concetto di “universalità” che spazia oltre il nostro mondo piccolo e ristretto? Sarebbe forse più onesto, corretto e meno presuntuoso avere una visione meno “globale” ed “universale” riducendola al nostro ambito più piccolo che in qualche caso è anche più chiuso? E la nostra “polarità” lunare o complementare siamo poi certi di averla collocata in una degna posizione, oppure siamo ancora “schiavi” senza rendercene conto della nostra origine anglosassone densa certo di grande civiltà, anche se non proprio identificabile con la latina e quindi non completamente a noi congeniale, e comunque anch’essa lacunosa di “universalità”?

Conclusioni

Possiamo ritenere che tutte le nostre buone intenzioni tenderebbero verso una effettiva “universalità” anche se, per sbadataggine

, per distrazione, o per assenza di autocritica, possiamo in tutta coscienza ritenerci molto lontani da un pur minimo “sistema” che possa avere una qualche relazione con il concetto di un principio universale. Le vie di uscita, le alternative sono per noi tre, come del resto poi lo sono sempre.

La prima — se vogliamo mantenere la nostra dichiarazione di intenti comprensiva del concetto di universalità — dovrà essere quella di rivedere tutto il nostro ‘sistema”, dalle Costituzioni e Regolamenti, ai Rituali, alle nostre finalità proprio in senso “universale”, modificando, correggendo, migliorando tutto quanto è possibile senza avere alcun timore di rivoluzionare la nostra Istituzione. Certo questa operazione sarebbe profondamente traumatizzante per molti di noi, anzi forse per la maggioranza, ma darebbe sicuramente più dignità a ciò che predichiamo, a tutta la nostra lotta per il “bene” (inteso in senso “nostro’) dell’umanità, a tutte le fatiche che quotidianamente profondiamo per la realizzazione dei nostri principi. Operazione radicale che secondo alcuni non si sa dove potrebbe portarci: saremmo costretti a fare una sorta di “salto nel buio”, termine spesso assunto in ambito politico, con tante incognite e quindi per altri eccitante e denso di stimoli e di novità.

La seconda soluzione, molto più semplice ed elementare, sarebbe quella di eliminare il termine di “universalità” da tutti i nostri scritti, discorsi, principi e quant’altro, “riducendo” il nostro ambito a qualcosa di “regionale’ e locale (inteso, stando anche molto “larghi” in ambito occidentale, ma più che altro “parzialmente europeo”). La cosa, è ovvio, disturberebbe un’altra serie di Fratelli convinti, anche in buona fede, che tutto ciò che ci riguarda, è confortato dalla tradizione e da una vita spesa in tal senso, dalla universalità della Libera Muratoria e dai nostri intenti. Sarebbe anche in questo caso una grande delusione per questi nostri Fratelli, ma sicuramente anche per quelli della prima soluzione che vedrebbero cadere inesorabilmente quella forza e quella consapevolezza che solo chi crede nella universalità delle proprie azioni possiede.

Una terza soluzione, la più triste, forse scontenterebbe una sola persona: l’estensore di questo articolo, o forse qualche altro Fratello isolato, lasciando tutto com’è. Come si sa i cambiamenti e le innovazioni sono sempre uno shock per gli abitudinari e quindi l’immobilismo potrebbe essere apprezzato dalla maggioranza dei nostri Fratelli, o forse no? Vorremmo proprio sbagliarci. In ogni caso chi è arrivato in fondo a queste due pagine, sia che opti per una soluzione sia per un’altra è stato “costretto” a prendere coscienza del problema, a fare un breve esame della nosfra realtà, a considerare, anche se forse non lo condivide, il fatto che ciò che noi pensiamo non può mai essere “universale”, non è assoluto, non vale per tutti; non è vero che noi abbiamo “ragione” e gli alfri torto, perché gli “altri” sono nella identica nostra situazione.

Se vogliamo, lasciamo pure tutto così com’è, ma almeno prendiamo più coscienza di cosa sia il concetto di “tolleranza” per il pensiero altrui, di “diversità” e di “universalità” in ambito umano; lasciamo in disparte la presunzione di essere depositari della verità e cerchiamo di prendere coscienza di ciò che effettivamente siamo senza fare drammi: un granello di sabbia in una spiaggia immensa della quale non ne percepiamo né l’estensione né tanto meno la fine ed i confini. Forse il principio di “relatività” è già stato espresso e definito in maniera più precisa e comprensibile, anche se con qualche formula matematica, da qualcuno più attendibile di noi, ma che sicuramente ha aperto un mondo nuovo e la mente a tanti uomini di buona volontà, aperti al futuro ed alla ricerca interiore, fossero essi massoni o semplici uomini comuni, scienziati o impiegati del catasto, ma solo animati da tanta curiosità e motivati da una grande sete di sapere e di conoscenza.

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