IL NOSTRO TEMPO E L’UOMO

IL NOSTRO TEMPO E L’UOMO di U. Rodda – Or, di Torino

L’intendimento di limitare il discorso all’aspetto sociale non può trascurare considerazioni di carattere generale. Il secolo xx è gene riccamente considerato un periodo caratterizzato da superbi progressi tecnici e da crisi del pensiero speculativo.

La distinzione apparentemente semplicista induce a qualche riflessione:

« tecnica » è qualsiasi attività che, sfruttando le conoscenze scientifiche, è diretta all’ideazione e costruzione di mezzi e strumenti atti a raggiungere precisi e concreti risultati;

« pensiero speculativo » è la facoltà di pensare e riflettere propria ed esclusiva degli esseri razionali. Quale sviluppo, inteso come processo storico, ha preceduto le attuali condizioni sopra accennate?

È noto che il cammino dell’umanità ha sempre avuto come riferimenti precisi:

  1. « La Divinità » intesa dapprima come rapporto di subordinazione alla natura, poi come concetto di autorità super-umana, extraumana e di norma etica;
  2. « Il bisogno » come imperativo vincolante per comportamenti ed azioni dirette all’assicurazione della sussistenza, o comunque connesse con l’aspetto materiale della vita.

I due riferimenti interdipendenti sono considerati in un’accezione più vasta del significato letterale dei termini usati.

La timorosa subordinazione primitiva alla natura si è manifestata in forme riverenti e propiziatorie, cerimonie che presero il nome di liturgie, come i modi più atti a contenere od allontanare i fenomeni naturali dannosi ed a favorire quelli vantaggiosi. La necessità d’identificarne esattamente il destinatario, unita alla diffcoltà di configurare soggetti astratti, ha indotto alla sua personalizzazione. Gli aspetti simbolici delle mitologie egiziane, greche, romane, della parallela liturgia ebraica e della successiva cristiana sono sorti in  questo modo e da questi presupposti: l’uomo di fronte alla religione, attraverso la subordinazione — o « negazione » in termini dialettici — ha riconfermato se stesso. Le affermazioni, non nuove né originali, oggetto dapprima di studi storici cattolicamente non sospetti (G. B. Vico), e successivamente dell’analisi critica di L. Feuerbach possono essere tra le premesse indicative dell’avvenuto processo storico.

Il « bisogno » ha pungolato gli uomini alla ricerca continua di nuovi mezzi e possibilità. I due elementi « Divinità » e « Bisogno » configurano altresì le caratteristiche dell’aspirazione trascendentale, dell’esigenza spirituale e dell’intellettualità speculativa da un lato, e dall’altro dell’intellettualità finalizzata o utilitaristica e della materialità proprie di ogni individuo. La distinzione indica i binari sui quali scorrono le vite individuali e sociali: ogni attività in rapporto alla sua trascendenza o immanenza vi si riferisce.

Artisti, letterati, pensatori, scienziati, ecc. potranno rientrare nell’una o nell’altra distinzione in rapporto alla motivazione interiore od all’obiettivo esterno: le forme, i modi e le sostanze sono mutate nel corso dei secoli ma non hanno mai contraddetto la loro destinazone.

Si è ritenuto indispensabile accennare a ciò che, parte integrante della natura umana, costituisce anche il limite dello storicismo. La critica moderna e contemporanea disserta ed assume posizioni diverse sull’estensione del concetto, il cui uso è talora strumentalizzato per giustificare come attendibili aspetti attuali di vita, anche perché storicismo non è sinonimo di verità.

La « storia » è il racconto di una successione di fatti e « filosofia della storia » la ricerca delle motivazioni, che risiedono nelle decisioni dei soggetti « pro tempore » assegnati alla guida dei popoli e degli eserciti, e delle circostanze che hanno influenzato decisioni e comportamenti.

ln genere gli storici ed i filosofi della storia narrano ed analizzano più le vittorie che le sconfitte, considerate in subordine alle prime; e se i rapporti « vittoria-ragione », « sconfitta-torto » sono una costante delle vicende umane, ne consegue che il rapporto « vittoriaverità » è una costante di molti giudizi storici.

Se la verità è dipendente dal trionfo delle armi, dalla strumentalizzazione ideologica e dalla « critica » subordinata all’esito di vicende belliche (il lettore è invitato a riferirsi anche a vicende anteriori, posteriori o dissimili da quelle della 2a guerra mondiale) o dalla forza comunque intesa, che validità possono avere le dissertazioni sull’uso preminente della razionalità, sulla tutela dei diritti della persona e su quanto consideri l’uomo portatore di una dignità illuminante di fede e d’ideali?

La predicazione cristiana, introducendo nella civiltà occidentale il concetto che l’individuo è portatore di uguali diritti e doveri, è un esempio che lo storicismo non è identificabile con il concetto di verità.

Luigi Pareyson in « Verità e Interpretazione » (ed. Mursia) a proposito dell’attuale mentalità storicistica scrive: « Essa ha portato sino alle estreme conseguenze il principio storicistico della veritas filia temporis: una forma storica non ha altro valore che non sia una puntuale corrispondenza col tempo in cui è nata e di cui non è se non un prodotto, e quindi possiede un’attualità soltanto momentanea ed effimera, e subito è confinata in un passato irrevocabile e definitivo ».

La verità, che per l’uomo nasce sempre dalla storia, supera il limite temporale ed assume la dimensione del concetto di « universalità »: quando vive nell’attualità è cosa caduca ed effimera, e non è verità.

Il tempo, se riferito all’analisi socio-antropologica, è il soggetto dei rapporti « uomo-collettività-storicismo », che sono qualificati dalla presenza variabilmente intensa degli elementi « Divinità » e « Bisogno ». Ne consegue che il tempo, definizione concettuale della vita che scorre, come mutamento continuo del « reciprocamente condizionato » in una successione di attualità che via via scompaiono per lasciare il posto ad altre, è dall’uomo diviso in periodi, ciascuno aggettivato da qualche avvenimento posteriormente valorizzato come preminente.

L’attribuzione ad un valore della qualifica di preminente non significa identificazione con il concetto di verità, non riducibile alla transitorietà dei fatti storici.

Se 11 nostro secolo è caratterizzato da una prevalenza d’interessi scientifici e sociologici potrà essere portatore di verità particolari o parziali, che nulla aggiungono all’uomo in se stesso.

L’attuale concezione sociale della cultura occidentale, subordinando la collettività alla decisione emessa dalla maggioranza, se non identifica la decisione maggioritaria con concezioni assolute o con pretese di superiorità qualitativa e applica la norma etica della parità di diritti e doveri fra i cittadini, riconoscendo ad ogni pensiero minoritario le stesse qualità, considera preminente la dignità dell’individuo all’astrazione delle concezioni collettivistiche.

L’antitesi ideologica, che considera l’individuo un mezzo per il raggiungimento di finalità ed interessi collettivistici, non può essere che strettamente storicistica, ed i rapporti sociali, regolati non nella funzione primaria degl’interessi dei soggetti del rapporto ma nella prospettiva storica di una collettività, asservono a quest’ultima le caratteristiche peculiari dell’uomo.

Quanto ha valore individuale vi è subordinato, limitato o soppresso: il concetto di libertà è svuotato e l’associazionismo (di cui si è accennato nel numero precedente), espressione di gruppi d’individui portatori d’interessi afni, perdendo la prerogativa di tutelare interessi privati, diventerà mezzo per raggruppare e controllare persone ed attività.

La dialettica sociale si esaurisce, come inaridisce ogni forma di dialogo: l’imposizione coattiva si estende nella sfera privata ed il « timore » diventa l’abituale compagnia di ciascuno.

I mali sono in atto in diverse società e quella italiana ne palesa i gravi sintomi: insufficienza delle istituzioni di fronte ai problemi con successiva dilatazione dei fenomeni di crisi, fra i quali alcuni si distinguono per la cupa drammaticità delle loro cronache.

Non è attendibile ritenere che le cause, distribuite tra la crisi dell’Occidente e le organizzazioni dirette da centrali straniere, non coinvolgano le responsabilità dell’uomo della strada: se la società è costituita da persone ogni fatto sociale è conseguenza delle loro  azioni ed omissioni.

L’argomento tocca la scuola, la famiglia, i sindacati, i partiti politici, ecc.: l’individuo è la partenza e l’arrivo. Il percorso può transitare attraverso lo storicismo, la sociologia, ecc., ma non fermarsi

ad essi come ad ogni disciplina settoriale o esterna all’uomo come  « identità ».

Si potrebbe aggiungere che l’uomo è in grado di viaggiare nello spazio ma non all’interno di se stesso. Esiste una massima che è molto più di una massima, è tra le primissime rivelazioni di antica profonda e non superata saggezza, che l’apprendista riceve: V.I.T.R.I.O.L.

Quanti la ricordano abitualmente nel significato e nell’insegna-

mento?

È palese che il mondo è carente di equilibrio, moralità, di cultura e civiltà umanistiche.

F, istituzionale che il Massone debba illuminare la società profana con il valore dell’insegnamento recepito nel Tempio. Siamo sicuri di assolvere l’impegno?

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