MISTICI E INIZIATI

Mistici e Iniziati

Fratelli carissimi,

In questa tavola ho preso spunto da alcune riflessioni sul misticismo. Poi ho finito per divagare, come spesso capita. La tavola esprime convinzioni del tutto personali e, quindi, rischia di suonare presuntuosa. Spero che non vi faccia questo effetto.

L’idea era di soffermarmi su un problema quasi lessicale: cosa vuol dire mistico? È ben noto che nel mondo profano questo termine viene spesso usato come sinonimo di iniziato. Sappiamo che questa identificazione è sbagliata, come lucidamente indicò René Guénon. Tuttavia mi sembra che, se la definizione è sbagliata, anche la distinzione non sia poi così semplice o, per lo meno, non sia sempre di facile applicazione. La grande sufi Rabi ‘a era una iniziata che viveva come asceta e parlava come un mistico. E Meister Eckart era un mistico che parlava come un iniziato e, per questo, fu condannato dalla Chiesa. Lasciò detto “l ‘uomo giusto non serve né Dio, né le creature, perché è libero’ non è questo un linguaggio da iniziato?

Facevo queste riflessioni leggendo un libro che considero straordinario, La nube della non conoscenza dovuto ad un anonimo inglese del 1300 e annoverato tra i testi più importanti del misticismo medievale. E un manuale di preghiera nel quale le tecniche e il gergo sono di tipo yoghico e iniziatico. L’immagine che ricorre è quella della luce. Raggiungere la luce significa conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in sé stessa. Incidentalmente, mi viene sempre da chiedermi se un simile traguardo non è in realtà un castigo, ma questo è un altro discorso.

Chi è un mistico, allora? Un mistico (condivido qui il parere dell ‘anonimo inglese) è sempre un contemplativo, e la sua pratica fondarnentale è una preghiera, per molti versi, indistinguibile da una meditazione; inoltre, è un uomo che normalmente fa vita ascetica. Questa ultima condizione non è necessaria, in teoria strettamente parlando; penso però che lo sia in pratica. Provate ad immaginare il mistico che al mattino viene svegliato dal suo cameriere. “il suo cappuccino, signore; è I ‘ora della preghiera; ecco il cilicio, appena stirato ‘

Una breve digressione. A volte penso che la nostra condizione è quella di una radio che deve captare debolissimi segnali extra stellari. La prima condizione è quella di eliminare i disturbi. Uscendo di metafora, questo è un lavoro che si svolge essenzialmente a livello mentale. E proprio di tutti coloro che praticano un qualche tipo di ricerca interiore. Hanno questo significato la preghiera, come la meditazione, come i riti, come il dhikr (ovvero la ripetizione costante del nome di Dio). Forse anche la creazione artistica. Sentiamo ancora Meister Eckart: “finché permane qualche mutevolezza, sia essa dissimulazione, collera, tristezza, essa ricopre l’intelletto, che allora non può intendere la Parola Ricordiamo per confronto il primo aforisma di Patafijali: “Yoga è I ‘arresto delle modificazioni della mente

Come quella iniziatica, la vita mistica è per pochi, e il suo fascino è quello della porta stretta. La differenza è nell’approccio verso il trascendente. Per il mistico, fondamentale è il requisito della Grazia, che è dono divino. Forse per questo si dice che la via del mistico è una via passiva. Dio è buono con lui, ed egli Lo ama. Al contrario, l’atteggiamento dell’iniziato è del tipo: io so some si fa. Il discorso del mistico è: “Signore, scegli me; sia io a captare, cioè a udire Non è casuale che nell ‘Induismo gli antichi profeti, i padri del Veda, erano coloro che avevano udito la rivelazione. Che poi quella del mistico sia una via passiva, è tutto da discutere, e, secondo me, è un ‘idea dettata dalla nostra presunzione di iniziati. Il mistico combatte ogni giorno una guerra sanguinosissima e mi sembra più simile a guerriero che a sacerdote. Da ognuno dei mistici che ho citato, dalla loro vita come dalle parole che ci hanno tramandato, l’idea che ricavo è quella di un vigore terrificante, al cospetto del quale non so se piangere o ridere delle mie deboli forze.

Penso all’anonimo inglese ed alla citazione che ho fatto poc’anzi. Se ciò che egli perseguc è la Lucc, cgli non ccrca solo la salvezza, ma molto di più, c la sua è una via secca. Egli cerca di trascendere il suo stato per approdare, anzi, riapprodare allo stato edenico perduto. Ciò presume che nell ‘Uomo sia presente una scintilla di natura divina. La fede in questa presenza è comune, non dirò al mistico ed all’iniziato, ma almeno a molti mistici ed a molti iniziati. E una posizione sospetta agli occhi delle ortodossie religiose: non per niente i mistici sono quasi sempre in odore di eresia.

Ma ci sono altre vie. ln particolare, una è quella della teurgia sulla quale mi sono intrattenuto un anno o due fa, una via alla quale è molto vicina la magia naturale di Marsilio Ficino. Cerco di capire la natura, che è la rappresentazione del macrocosmo, e chc è l’unica cosa che posso studiare. Cerco di capire le leggi della simpatia che connettono il nostro mondo sensibile a quello delle potenze angeliche. Questo è il punto di vista dei cosiddetti maghi rinascimentali, cd è anche ciò che spiega la vocazione scientifica che traspare dai documenti dei Rosacroce. Ancora una porta stretta.

E c’è un altro connotato della via mistica , come dicevo, il più misterioso, quello dell’amore. Amore perché? dovremmo chiederci. Si può praticare, ma non si può teorizzare. Non vi è a priori nessuna ragione per amare chicchessia. Dio in particolare. Eppure l’amore c’è, assurdamente, cd è importante, “Colui che comprende è meno di colui che ama diceva Confucio.

Qui vorrei aprire una parentesi. L’amore dei mistici è essenzialmente amore di Dio. Si potrebbe obiettare che amare Dio è facile; difficile è amare gli altri uomini, soprattutto quelli che detestiamo. Il limite è quello del Bodhisattva Amithaba, il quale per amore dell’umanità rinunciò alla Realizzazione. Amare era più importante che comprendere, anche per lui, comc per Confucio; ma vorrei che qualcuno un giorno fosse capace di spiegarmi tutto questo.

L’amore, comunque, è inesplicabile e misterioso: è charis, cioè grazia, cioè dono di Dio. Personalmente, credo che tutto il resto valga solo come supporto di meditazione e che la meditazione sia il nostro strumento più importante. Ma a questo punto non posso che chiedermi: a che cosa approderà la mia meditazione? Se conoscessi i limiti del dominio spirituale e dello psichico, sarei illuminato io stesso. Non dimentichiamo la estrema limitatezza dei nostri meccanismi conoscitivi. Percepiamo oscuramente di essere circondati da una realtà complessa. Questa realtà dividiamo in categorie o domini ai quali diamo dei nomi: psichico, animico, spirituale. Avremmo potuto crearne di più. Non comprendiamo questa realtà più di quanto comprendiamo cosa è la quarta dimensione e il numero immaginario. Anche a questi abbiamo dato un nome, e il nome ha esorcizzato la cosa, nella segreta speranza di trasformare una ricerca impossibile in un esercizio di semantica, e risolverlo.

Col che sono arrivato al problema per noi fondamentale, quello dell’iniziazione: che cosa ci da l’iniziazione, oltre che supporti di meditazionc; quale sia la sua natura; a quale livello si collochi; se operi a livello oggettivo e sopraindividuale, ovvero soggettivo e mentale. Personalmente, penso che l’iniziazione operi a livello sopraindividuale, il che è come dire, credo che i nostri rituali abbiano un valore teurgico, ovvero trascendente. Tuttavia non sono in grado di rispondere a quelle domande con i miei mezzi. Ritengo che il lavoro iniziatico possa produrre certi risultati a livello di conoscenza; al di là non so andare. Rischierei di trovarmi nella situazione del selvaggio che vede scoccare il fulmine e lo considera un miracolo. Il ruolo dell ‘Iniziazione potrebbe situarsi a livello mentale, come quando uno vede meglio perché si è pulito gli occhiali; oppure a livello della magia naturale di Marsilio Ficino: I ‘Iniziato reale accede ad un mondo ancora naturale e condizionato, ma superiore. Diciamo, quello degli Dei. Oppure 11 discorso può completarlo ognuno di noi. Un ‘unica cosa non credo, ed è che qualcosa possa passare dallo stato condizionato all’incondizionato.

Bravo Lino, mi dico a questo punto. Bella frase, densa di pensiero. Ma ha senso?

Corporeo, animico, spirituale, condizionato, incondizionato, dio e il demiurgo… Mi chiedo se, come mi insegnava un Fratello, tutta questa sistematica non sia figlia della nostra ansia di schematizzazione. Se non siamo noi che creiamo una realtà conveniente per i nostri archetipi mentali; trasformiamo la scienza dell ‘Essere in un linguaggio che noi stessi creiamo così da poter trasformare quella scienza in una più accessibile scienza semantica. Forse la nostra ansia di conoscenza ci fa inseguire una Verità (con la V maiuscola) che non esiste. Forse l’unica scienza c l’unica verità sono l’amore, la sensazione, il silenzio, la consapevolezza hic et nunc, momento per momento: quando mangi, mangia e quando cammini, cammina, dice la saggezza yoghica. Una specie di misticismo senza dio.

Chiudo augurando a voi tutti molta speranza.

                 R, Scch,

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