IL PROBLEMA FONDAMENTALE DELL’UOMO E’ CONOSCRE L’UOMO


IL PROBLEMA FONDAMENTALE DELL’UOMO E’ CONOSCRE L’UOMO di LUIGI FERRARIS

PREMESSA

La Massoneria Universale, come finalità statutaria, “intende” all’elevazione spirituale, materiale e morale dei suoi adepti e l’Art. 1 della Costituzione lo sancisce in modo ben preciso ed inequivocabile.

Leggendo gli articolo che compaiono sulla “Rivista Massonica”, si ha l’impressione che il raggiungimento dell’ambitissima mèta sopra indicata sia possibile percorrendo una “via” ed una soltanto, alla quale si accede con l’adozione di un unico “strumento” valido ed a cui si deve fare costantemente riferimento: la Tradizione, congiunta all’accantonamento della ragione.

Sono rispettosissimo della Tradizione, ma anche della ragione, e sono persuaso che, per assolvere la nostra missione nei confronti dell’Uomo e dell’Umana Famiglia, non si può fare a meno di essere antesignani, anticipatori dei tempi, se possibile, per cercare di ipotizzare e preparare il futuro.

Questo lo si può ottenere solo con la ragione, integrando in un’unica visione lo scibile umano acquisito fino ad oggi, compresa la Tradizione, e non attingendo solamente ed unicamente al remoto passato.

Da questa mia ferma convinzione discende che sono un massone il quale conosce ed apprezza la Tradizione, ma “crede” nella “scienza dell’uomo”.

Il mio discorso, quindi, prenderà l’avvio da queste motivazioni: desidero cercare di diffondere la conoscenza di altre “chiavi” che mi sembrano utili, per giungere all’interpretazione di ciò che si può chiamare il “mistero-uomo”.

Ritengo che sia stimolante far sentire, in questa “Rivista Massonica”, anche altre voci, oltre le solite, con “puntualizzazioni” basate su “presupposti” differenti da quelli normalmente adottati, perché la fecondità, come ben si sa, nasce sempre dall’incontro di “fattori” in opposizione; ed infine, ho sentito il bisogno di “parlare” al di fuori della “strettoie” dello “spirito”, perché sono convinto che a molti Fratelli sia gradita, più di quanto non si creda, una problematica in chiave scientifica, se non altro, come “contrappunto” alle argomentazioni basate su visioni del mondo obsolete.

Spero proprio che questo mio tentativo sia utile, in qualche modo ed a qualcuno, per una più approfondita conoscenza del “sistema-uomo”, al fine anche, di rendere più proficuo, sicuro e costruttivo il Lavoro muratorio.

Bisogna essere cauti ed attenti nel nostro “operare” e non dimenticare che è molto facile fare del male agli uomini, pur nella convinzione di far loro del bene, se non si “conosce” l’uomo; come pure è molto facile “legare”, pur con l’intento di liberare, se non si sa bene cosa si può intendere per “libertà”.

IL CERVELLO DELL’UOMO

Nella nostra società, l’ignoranza e l’inerzia mentale sono le caratteristiche peculiari, a qualsiasi livello della stratificazione culturale. Ognuno “pigramente” vive nella convinzione, presuntuosa, di tutto sapere e tutto capire.

Il narcisismo ha sostituito, in gran parte forse, l’orientamento sado-masochista prevalente nei nati del secolo scorso. Oggi, è indispensabile cercare di risolverlo questo “problema uomo” e forse abbiamo già le cognizioni scientifiche sufficienti per affrontarlo. Però, come per studiare la matematica superiore e necessario conoscere l’aritmetica, così per riuscire a comprendere e “sciogliere” i problemi esistenziali dell’umanità, è indispensabile “conoscere” l’uomo, anche perché, poi, diventa molto più facile “amarlo”.

Non sono più sufficienti le “astrazioni metafisiche” per aiutare l’uomo a comprendere se stesso. Quest’uomo bisogna prenderlo, “scomporlo” per cercare di capire come funziona, per desumere, poi, delle “ipotesi aperte”, semplici, comprensibili ed accettabili.

Prima, però, una raccomandazione indispensabile: il risultato di quanto sopra detto, sarà, in questo scritto, una semplice schematizzazione, con tutti i limiti di riferimento e le imprecisioni di dettaglio inevitabili. Il risultato, quindi, dovrà essere utilizzato solo come “strumento” conoscitivo (come il “dito che indica” buddista) e mai scambiato per la “realtà”.

L’uomo, al fine di risolvere meglio e per semplificare il problema della conoscenza, ha bisogno di ridurre al minimo le operazioni mentali, perciò ricorre a “schemi” o “modelli”, più o meno complessi, cui poter fare riferimento.

Ebbene, per incominciare, quelli che vi prospetterò, molto succintamente, sono alcuni “modelli” con i quali tenterò di portare a più facile comprensibilità quello che può essere considerato il “funzionamento” dell’organo principale del “sistema uomo”: il cervello.

L’uomo, di fatto, è un insieme di organi, completamente differenziati i quali, in collaborazione tra loro, hanno per scopo biologico la sopravvivenza dell’individuo e della specie.

Il “sistema uomo” “conosce” il mondo a lui circostante per mezzo dei sensi, una ventina circa, che hanno la possibilità di captare e “tradurre” solo una piccola parte dei numerosissimi segnali, di varia natura ed intensità, che lo “colpiscono” e che provengono dall’ambiente in cui vive.

I sensi, anche per facilitare il mantenimento di un certo equilibrio al “sistema” cui appartengono, hanno una capacità di percezione assai limitata, sia quantitativamente che qualitativamente; in realtà non sono altro che dei misuratori di energia. La somma e la sintesi dei segnali che passano oltre il filtro dei sensi, danno all’uomo una “visione” della realtà la quale, come si può facilmente comprendere, è parziale e discontinua, proprio a causa dell’approssimativa e limitata ricettività degli “strumenti in dotazione.

Per di più, questi nostri “strumenti”, oltre che darci una “visione” ridotta dell’ambiente in cui siamo immersi, ce la danno anche molto soggettiva perché, in ogni individuo, non sono tutti ugualmente efficienti, cioè tali da segnalare sempre e per ognuno, risultati perfettamente uguali.

Già questo è molto importante e da tener presente per quando ci capiterà di dissertare sulla “realtà” ed il suo ipotetico contrario, cioè il “mondo dello spirito”

Il cervello umano è uno strumento raffinatissimo, da un punto di vista “organizzazione”, che raccoglie ed utilizza tutti gli stimoli “filtrati” dai sensi.

Esso è costituito da circa dieci miliardi di cellule nervose chiamate “neuroni”; da questi si dipartono ramificazioni che s’intersecano fittamente con quelle di altri “neuroni” formando una complessa “rete”, lungi i “fili” della quale corrono, in entrata gli stimoli che provengono dai sensi, cioè dalle cellule nervose periferiche, ed in uscita i comandi che sono trasmessi per attuare l’azione scelta, ritenuta più opportuna.

Durante il suo sviluppo, cioè fin dalla nascita, il cervello immagazzina tutto ciò che, suscitando un livello emotivo sufficientemente alto, “impressiona” le memorie, codificando ogni tipo di esperienza con un sistema binario di classificazione del tipo: piacevole/spiacevole sviluppo del cervello, praticamente, consiste quindi nell’arricchimento della memoria con le “registrazioni” dei dati forniti dall’ambiente e delle esperienze ad essi connesse; l’attività mentale in senso globale, invece, è il processo di confronto e di scelta del materiale a disposizione nella memoria, integrato con i dati istintivi i quali sono ereditari e che, pertanto, sono i soli ad essere già presenti al momento del concepimento.

Il pensiero, quindi, non è altro che la “rielaborazione” di quanto è stato “registrato” nel passato, messo in relazione con ciò che è “percepito” nel presente; ogni nostro pensiero che riteniamo “nuovo” ed originale, in effetti, è l’accostamento e la costruzione, in “sequenze” diversamente disposte, di nozioni già apprese in precedenza.

Come il linguaggio nasce dal “montaggio” dei fonemi, così, pure il pensiero trae origine dalla composizione del “materiale” contenuto nella memoria; ma, di tutto ciò che è immagazzinato, può essere utilizzato solo ciò che riusciamo a ricordare, cioè solo che affiora automaticamente alla “coscienza”.

Il cervello al concepimento, come si è detto, contiene già tutto il bagaglio concernente gli istinti, ma si mette subito a funzionare come un perfetto registratore: non tralascia mai niente, di ogni esperienza registra “tutto”: immagini, suoni, sapori, sensazioni fisiche, ecc.

Queste “registrazioni” sono catalogate e messe insieme, in gruppi di classificazione del tipo “gratificazione/punizione” e rimangono tutte collegate le une alle altre per mezzo delle singole parti primarie componenti la “registrazione”. Per esempio, un suono, oppure un odore, sentiti ora, possono far “ripescare” nella memoria, tutta od in parte l’esperienza in cui per la prima volta sono stati presenti in passato, o possono rievocare tutta una serie di esperienze o loro parti connesse, più o meno direttamente, con quel suono o quell’odore. (Libera associazione di idee). Il meccanismo è, certamente, molto complesso; l’ho semplificato al massimo, ma quello che m’interessa di mettere in evidenza ora, è la totale automaticità del funzionamento.

Questo “ingegnoso” sistema consente, ad ogni individuo, di giudicare e di prendere le “opportune” decisioni, nel presente, facendo “tesoro” dell’esperienza passata. Al fine di rendere più facile e più rapida quest’operazione del giudicare, dello scegliere e dell’agire, ognuno sintetizza tutte le sue esperienze esistenziali e culturali in una specie di “quadro schematico” al quale, poi, fare sempre riferimento ogni qual volta dovrà prendere una decisione.

Questo quadro che, per intenderci, può essere chiamato la “visione del mondo” personale, è come un paradigma nel quale tutto ciò che è noto all’individuo è stato adeguatamente “etichettato”: “buono”/”cattivo”. L’uomo vi si attiene, nelle sue scelte, per similitudine, in modo scrupoloso ed automatico. Sotto quest’aspetto, non v’è alcun dubbio che il comportamento umano risulta, più di quanto si creda, assai determinato.

L’automatismo ora indicato, in genere, non è avvertito per molte ragioni: sia per il numero notevolmente alto dei fattori che intervengono sull’ “effettore”, sia per i complessi “meccanismi” di interazione che s’instaurano, specialmente nell’adulto, fra raziocinio ed istinto e la conseguente “razionalizzazione” anche degli atti “automatici”. Ma principalmente perché questa nozione dell’automatismo mentale, l’uomo occidentale, in genere, si rifiuta di accettarla, dato che nella nostra cultura è considerato un fatto estremamente mortificante per la personalità e l’autodeterminazione dell’individuo.

Pensate al “peso” ed al senso che viene dato alla frase:”è condizionato”. Come se non fosse ormai un fatto acquisito che l’”insegnamento”, per esempio, altro non è che condizionamento.

Questa “visione del mondo” la quale può essere definita meglio, proprio per esprimere la sua funzione ed i suoi contenuti: “schema di riferimento e finalità ideale”, consente all’individuo di avere a disposizione quelle soluzioni che, dopo essere state accettate, perché da lui stesso sperimentate oppure a lui “proposte” da altri, ed integrate con gli istinti di conservazione, gli consentono di risolvere, in qualche modo, le dicotomie esistenziali.

Queste dicotomie nascono, nella nostra mente, ogni qualvolta dobbiamo prendere delle decisioni, proprio per l’incapacità umana di afferrare globalmente l’ “ambiente” e per l’impostazione fisica del cervello che si serve, come si è visto, di un sistema selettivo binario.

Queste dicotomie esistenziali costituiscono il dilemma immanente della vita umana; da taluno, questo stato di fatto è definito: l’ “assurdo” della condizione umana. Le soluzioni che si danno alle dicotomie sono in realtà le “scelte” in base alle quali vengono effettuate le azioni.

La “vita” di un uomo, nel suo insieme, è la somma delle sue azioni fisiche e mentali che, prima di essere tradotte in “atti”, sono precedute da scelte, soggettivamente “precise”, “sicure” e “volontarie”, ma che in realtà sono il risultato dell’elaborazione dei dati a disposizione e “giudicati” automaticamente attraverso lo “schema di riferimento e finalità ideale”. Pertanto, è lo “schema di riferimento e finalità ideale” in effetti, che prescrive il modo di agire, determina le scelte, condiziona la qualità della vita di un individuo.

Operando in tal modo questo “schema” dovrebbe assolvere la sua funzione principale, cioè tendere al mantenimento di un certo equilibrio autonomo, selettivamente sensibile al variare dei fattori esterni e, per questa ragione, lo “schema di riferimento e di finalità ideale” si può identificare con la “finalità” del “sistema uomo”. Naturalmente, proprio come conseguenza della sua genesi, questa finalità non può che risultare diversa da individuo a d individuo.

È interessante conoscere, a conforto di quanto detto fino ad ora, le conclusioni cui è pervenuto il noto scrittore francese di cibernetica Pierre de Latil. Egli, in una sua classificazione degli “effettori”, che passano da un grado a quello superiore acquisendo una libertà in più, pone l’uomo al sesto grado dell’automatismo. A questo grado l’ “effettore uomo” si distingue dai gradi, per complessità, a lui inferiori, perché aggiunge a quelle che già caratterizzano gli altri “effettori”, la libertà rispetto alla finalità del sistema.

Questa ora esposta è una delle “chiavi” più importanti ed indispensabile per incominciare a “comprendere” di quanti preconcetti ed illusioni è sempre stato arricchito il nostro “condizionamento”

L’uomo, in realtà, non ha una sua “finalità” prestabilita.

Nell’ambito delle possibilità umane, gli può essere dato un qualsiasi scopo esistenziale, incominciando dalla nascita, compatibilmente con le eventuali limitazioni ereditarie.

Lo “schema di riferimento e finalità ideale” il quale come abbiamo precisato dà la “finalità” all’ “effettore uomo”, e che è l’estratto essenziale di quanto desunto da tutte le esperienze variamente codificate e dal condizionamento socio-culturale (famiglia, ambiente e scuola), non è innato nell’uomo. Questa “situazione” che, ricordiamolo, nasce dall’acquisizione da parte del “sistema” di una libertà in più, costituisce, anche, la qualità di cui è sommamente dotato l’uomo: l’adattabilità.

Avendo alla nascita solo un bagaglio istintuale o poco più, derivante dall’esperienza maturata durante la gestazione, per esempio, il così detto selvaggio si adatta all’ambiente che trova, ugualmente bene dell’uomo, così detto civile, il quale dovrà affrontare problemi esistenziali completamente diversi. Ambedue, in età adulta, rispecchieranno, in modo difficilmente reversibile, l’ambiente in cui sono vissuti, dal quale saranno stati “modellati” ed al quale si saranno adeguati. Avranno acquisito capacità diverse ma, certo, ugualmente utili per quanto riguarda la sopravvivenza loro e della specie.

La finalità che viene immessa nel “sistema uomo”, come si può comprendere anche dalla sua “formazione”, è soggetta a continue possibili “correzioni”, principalmente per effetto delle giornaliere esperienze esistenziali le quali, però, in genere se non hanno carattere di eccezionalità e di forte e insistente contrapposizione persuasiva a quelle già “registrate”, si limitano a “rafforzare” i “tracciati neuronici preferenziali”, cioè quei tracciati che la reiterazione rende percorribili con più celerità e con maggior efficacia di reazione.

Ma, ad uno stadio di consapevolezza sufficientemente elevato, oppure a livelli di emancipazione più modesti usando però coercizioni di vario tipo, lo “schema di riferimento e di finalità ideale” può essere modificato anche profondamente. Questa modificazione, di non facile realizzazione, ma sicuramente possibile, è la facoltà più preziosa e più pericolosa di cui dispone l’uomo e di cui, in genere, conosciamo, anche dalla storia, una grande quantità di aspetti negativi.

Il comportamento del “sistema uomo”, dunque, è sempre il risultato di un condizionamento che “determina”, quasi del tutto automaticamente, le sue reazioni ma, poiché l’uomo è dotato di adattabilità, il condizionamento è suscettibile di modificazioni e, quindi, influenzabile o sostituibile con altri tipi di condizionamento. In altre parole, ed è meraviglioso poterlo dire ed affermare: il “sistema uomo” ha un “funzionamento” condizionabile, ma anche “liberabile”.

E come si può operare questa “liberazione”? Proviamo a trovare una risposta a questa domanda nodale.

L’uomo, per vivere, deve poter dare una risposta alle dicotomie, cioè agli interrogativi esistenziali che continuamente gli si pongono. La soluzione di questi dilemmi la trova nel suo “schema di riferimento e di finalità ideale”. Agli effetti pratici, per l’individuo non ha molta importanza se la risposta che è fornita dal suo “schema” è la migliore o la peggiore possibile, infatti ciò che conta è che gli consenta di “agire” concretamente, perché vivere è agire, anche sbagliando.

Il fatto che la risposta sia “buona” o “cattiva” assume valore dopo, cioè quando l’individuo si trova di fronte alle conseguenze dell’azione compiuta.

Ebbene, in questo stato di conflittualità, con queste scelte che vengono fatte nel tentativo di risolvere le dicotomie dell’ “essere”, tentativo non risolvibile perché ogni soluzione produce altre dicotomie, l’uomo ha, in realtà, a disposizione due sole possibilità: regredire o progredire che, detto in altre parole, può essere espresso con le seguenti contrapposizioni: legare o liberare; distruggere o produrre; odiare o amare; amare la morte o amare la vita. L’uomo, dunque, è “liberabile” operando sul suo “schema di riferimento e di finalità ideale”, apportandovi mutamenti, orientandolo e rafforzandolo nel senso del “progredire”.

Esclusa una zona intermedia, riguardante la maggior parte dell’umanità, nella quale l’individuo fa le sue scelte tra il “progredire” ed il “regredire”, in modo contraddittorio, motivato solo da fattori contingenti, nei casi in cui lo “schema di riferimento e di finalità ideale”, invece, è nettamente orientato verso il “regredire” oppure verso il “progredire”, si instaura una reiterazione nelle scelte neuroniche preferenziali tale che, inevitabilmente, si arriva ad un punto in cui diventa sempre più difficile avere la possibilità di fare scelte diverse dall’orientamento predominante, ed allora l’individuo procede verso un’inarrestabile “sindrome di decadimento” oppure verso una “sindrome di crescita” della personalità.

A questi due punti estremi ora accennati, troviamo da una parte l’uomo “liberato” cioè pienamente “sviluppato” che non ha più la capacità di scegliere il “male”, e dall’altra abbiamo l’uomo avvinto da legami simbiotici, dal narcisismo, dalla necrofilia il quale non può che desiderare, concepire ed attuare la sottomissione o la sopraffazione, la violenza e la distruttività. Da questi presupposti discende la “paradossale” definizione proposta da Erich Fromm: l’uomo veramente libero non è libero di scegliere il “male”.

Questo dato di fatto fornisce l’occasione, anche, per chiarire cosa si può veramente chiamare “male “ e cosa, invece, si può definire il “bene”.

Dunque, ricapitolando, perché una “schema di riferimento e di finalità ideale” possa essere considerato “liberante” cioè che aiuti veramente l’individuo ad avviarsi verso una “sindrome di crescita” e quindi verso il “bene”, è necessario che risponda, il più possibile, a questi requisiti:

– Lo “schema di riferimento” deve essere ricco di conoscenze culturali con spiccate caratteristiche di universalità, in modo da poter disporre di una base gnosica che integra validamente il presente con il passato, onde poter esaminare le “situazioni” contingenti da vari e diversificati punti di vista e con una spontanea facilità di rapportare le cause agli effetti al fine di sviluppare la necessaria capacità previsionale.

– Lo “schema di finalità ideale” deve essere “aperto”, basato cieè su concetti universali che siano chiaramente ”dalla parte dell’uomo” e della sua emancipazione, trasformato, però, in consapevolezza, cioè in “valori esistenziali” accettati, assimilati e quindi “automaticamente usati nella “realtà” in sostituzione o arricchimento degli istinti. Questi “valori esistenziali”, tutti tendenti al soddisfacimento globale dei bisogni di libertà del “sistema”, in concreto, ne favoriranno lo sviluppo verso un’emancipazione “sana” conseguita, come si è accennato, con la liberazione da vincoli narcisistici, simbiotici o necrofili.

In altre parole, mentre lo “schema di riferimento” contiene la sintesi del “materiale” a disposizione per la rielaborazione dei dati conoscitivi, lo “schema di finalità ideale” è il filtro, cioè la scala dei valori, in base alla quale sono “determinati” il giudizio e l’azione.

La componente risultante, in uscita dallo “schema di riferimento e di finalità ideale” è la decisione che l’individuo prende ed alla quale adegua il suo comportamento.

È facile poter constatare come interagiscono le due parti componenti lo “schema”, basta guardarsi intorno per notare che in alcuni individui un buon “schema di finalità ideale” sufficientemente “aperto” può sopperire in fatto di “equilibrio” e di “comprensione della vita” ad uno “schema di riferimento” abbastanza “povero”; e di contro, in altri individui, uno “schema di riferimento” anche se “ricchissimo”, può essere vanificato o reso inutile, come validità esistenziale, da uno “schema di finalità ideale” molto “chiuso” e dogmatico, a generale scapito di un ragionevole equilibrio di tutto il “sistema”.

A questo punto si può anche tentare di proporre un’enunciazione.

Quanto più lo “schema di riferimento e di finalità ideale”, nel suo complesso, è “limitante” e pone, quindi, le “soluzioni” al di fuori e lontane dall’uomo, tanto più difficile sarà, per l’individuo che lo adotta, vivere in una “realtà” accettabile e mantenere un soddisfacente equilibrio emotivo.

Quanto più lo “schema di riferimento e di finalità ideale” è “liberante” dai “legami” interni ed esterni, tanto più il “sistema” sarà selettivamente indipendente dalla variabilità dei fattori contingenti e tanto più l’ uomo sarà capace di “amare”, di essere “produttivo” e “mentalmente sano”.

La validità di quanto ora asserito può trovare riscontro, per esempio, anche in alcune terapie psichiatriche ed in alcuni trattamenti pscicanalitici i quali ottengono risultati positivi ogniqualvolta riescono a modificare lo “schema di riferimento e di finalità ideale” del paziente, orientandolo verso contenuti “liberanti”.

Per concludere, quindi, ed è ciò che interessa precipuamente: l’uomo ha la possibilità, entro certi limiti, di modificare, in senso evolutivo, la propria personalità, però è bene anche precisare che, per avviare questo processo di sviluppo, è indispensabile che il cambiamento sia fortemente “sentito” dal soggetto come un desiderio-necessità il quale non può che nascere da un maturato esame e dalla comprensione del problema in sé. Solo allora potrà essere ulteriormente aiutato, oppure potrà aiutare se stesso, nell’intento di liberarsi “da” per “nascere” alla libertà “di”, favorendo la formazione ed il rafforzamento di uno “schema di riferimento e di finalità ideale” decisamente “liberante”.

Comprendo come un quadro siffatto dell’uomo, non possa essere accettato da che, invece, considera l’essere umano dotato di un illimitato “libero arbitrio”, oppure di un innato concetto del “bene” e del “male”.

Ma perché poi “disturba” così profondamente una tale concezione dell’uomo? Forse perché si ha l’impressione che la personalità umana ne esca distrutta e che l’uomo sia ridotto a nient’altro che una automa od un semplice “animale superiore”?

A questo punto, allora, sarà bene fare attenzione ed approfondire ulteriormente la situazione.

Nel quadro ora tracciato, la figura dell’uomo è per niente sminuita come importanza e come libera responsabilità, emerge, però, il concetto che l’importanza e la “libertà” se le deve “guadagnare” e se le deve porre come “finalità”. Diventa, perciò, una condizione connessa con la sua “crescita” e, quando avrà raggiunto la consapevolezza del problema, acquisirà anche la facoltà di essere il potenziale “creatore” di se stesso e quindi anche il responsabile fautore del proprio destino sia a livello individuale che a livello collettivo.

Con l’invenzione del linguaggio, infatti, l’uomo ha provocato la rivoluzione più sconvolgente che si sia mai verificata sulla Terra; ha creato un abisso incolmabile fra l’uomo e gli altri esseri viventi, ed ha determinato la nascita di una forza evolutiva nuova: la cultura.

Dapprima quasi timidamente, poi sempre più profondamente, essa ha influenzato ed influenza l’evoluzione biologica. Oggi ci sono molti presupposti dai quali si può desumere che l’evoluzione culturale è la forza principale che “guida” ciò che prima si poteva chiamare l’evoluzione naturale dell’uomo.

Mentre fino alla comparsa dell’ “homo sapiens” l’evoluzione biologica era determinata dall’adattamento degli esseri viventi all’ambiente, per mezzo della selezione naturale, oggi l’uomo, adattando l’ambiente alle sue necessità, limitando con la medicina l’azione della selezione naturale, è diventato, nel bene e nel male, il potenziale padrone del proprio futuro.

Purtroppo molti sono i sintomi dai quali si può diagnosticare che l’uomo, forse, non è ancora abbastanza “maturo” per poter saggiamente “amministrare “ possibilità così potenti, ma è certo che se riuscirà a fare le “scelte” giuste, il futuro potrà, concretamente, essere dell’uomo per l’uomo.

Se continuerà, invece, a prevalere ed a governare l’ “ignoranza” sconsiderata a presuntuosa, ci resterà solamente lo sconsolante “rovescio della medaglia”: l’autodistruzione.

Ecco, dunque, da cosa scaturisce l’esigenza di trattare e diffondere questi argomenti che taluno può definire di scarso valore pratico e talaltro, invece, inutilmente utopistici

Ma è proprio per questa ragione che si impone la necessità di conoscere bene l’uomo, perché solo con l’uso di questa conoscenza si può tentare di liberarlo da “illusioni” e “preconcetti”, per fargli capire quali sono le sue possibilità ed i suoi limiti reali, in questo momento di crisi così determinante per il suo destino.

Bisogna decisamente incominciare ad individuare e controbattere tutto ciò che è chiaramente “limitante” per lo sviluppo e l’emancipazione dell’uomo. Forse, ad un certo punto, potrà anche essere necessaria una pacifica “crociata” mondiale a favore dell’uomo., poiché tutto bisognerà tentare, tutto sarà indispensabile impegnare per salvarci da un possibile avvenire infausto.

Questo mio discorso non vuole essere né offensivo né ironico nei riguardi di chi definisce, per esempio: “la conoscenza metafisica (…) la quale si avvale unicamente dell’ intuizione pura, come l’unica degna di questo nome e la sola che possa essere scritta con la “c” maiuscola”.

Pensando a chi concepisce queste cose, mi sento assalito da un grande sconforto e mi prende lo scoraggiamento: quanti uomini, potenzialmente validi, si trovano ed essere inutili ed anche dannosi, nell’attuale frangente, così cruciale per l’umanità tutta.

Questi, purtroppo, sono i risultati che sbocciano da “schemi di finalità ideale” “chiusi” e “limitanti”.

Ma vediamo un po’ che tipo di discorso può essere impostato per comprendere ed accettare ragionevolmente il “mondo dello spirito”, di cui ancora tanto sembra aver bisogno l’uomo, e dall’accettazione del quale nascono tante ambiguità ed anche tanta sofferenza.

È sufficiente un superficiale esame della storia dell’uomo, per notare la complementarietà iniziale, l’interazione successiva ed infine l’antagonismo sempre più marcato che si sono instaurati fra la “scienza” ed il “mondo dello spirito”. Da un certo momento in poi, da quando, cioè, la “scienza” ha incominciato ad acquisire una propria autonomia, si può affermare che la “certezze” metafisiche sono diventate sempre più proporzionali all’ “ignoranza” della scienza. Di questa povera scienza bistrattata che, conscia delle sue lacune e dei suoi limiti, lentamente, nonostante tutto, ci porta avanti sulla difficile via della “conoscenza”.

A prescindere dal tentativo di ricercare la spiegazione di come nasce la “necessità” per l’uomo, del “mondo dello spirito”, che ci porterebbe ad approfondire un non facile discorso sulle debolezze umane e sull’immaturità, ora vorrei provare ad affrontare l’argomento, rivolgendo l’attenzione esclusivamente a quelle manifestazioni che taluno definisce “paranormali” e altro “de divino”, per formulare delle ipotesi “aperte” che possano, cioè, avere un valore positivo “per l’uomo” senza implicazioni che se sviluppate, poi, impongono “pesanti” limitazioni.

Da sempre, ed in ogno cultura, si ha la “debolezza” di considerare l’uomo contemporaneo ormai all’apice del suo sviluppo evolutivo fisico e mentale oppure, all’opposto, di ritenerlo in progressiva decadenza, dopo un ‘ “epoca d’oro” nella quale ha “conosciuto” la perfezione.

Invece l’uomo, questo evento unico, nato da una serie di casi estremamente improbabili e da una massa ingente di fallimenti riproduttivi, è un “esperimento biologico” tuttora in corso di svolgimento. Questo dato di fatto, bisogna farcelo bene in mente.

È ancora lunga la strada dell’evoluzione che l’uomo deve e può percorrere.

La biologia, pur essendo una scienza giovane, ha già fissato alcuni punti importanti dai quali, tra l’altro, si può dedurre che l’uomo odierno si trova in un’ “età”, rispetto all’arco evolutivo della specie, paragonabile all’infanzia od alla primissima giovinezza.

Accettando questo presupposto, che non mi sembra poi tanto sconcertante, si possono fare ipotesi ben più esaltanti e più “aperte” di quelle che sono, in genere, avanzate da chi fa riferimento, per ogni singolo individuo, ad un “divino” passato e/o ad un “divino” avvenire. Per esempio, si può ipotizzare che il cervello umano sia un organo “emergente” il quale non ha ancora raggiunto il suo pieno sviluppo e quindi la sua massima potenzialità, con tutte le conseguenze connesse con una possibile e futura capacità mentale, oggi incredibile.

Oppure, si può realisticamente pensare che l’evoluzione, anche in conseguenza dei massicci mutamenti da noi per perpetrati nell’ambiente, possa modificare i sensi dell’uomo, per esempio, variando i limiti percettivi esistenti, con lo scopo di aumentare la capacità di sopravvivenza, ma cambiando, in tal modo, completamente la nostra interpretazione della “realtà”, oppure ancora, fornisca l’uomo di nuovi organi sensori impensabili adatti per condizioni di vita impensabili.

Nell’ambito dell’evoluzione, tutto ciò è semplicemente possibile e non presenta alcun aspetto di alta improbabilità, perché cose del genere sono già accadute durante l’evoluzione biologica naturale.

Ebbene, vi prego di pensarci, perché queste ipotetiche modifiche dell’organismo umano potrebbero aumentare talmente le capacità intellettive , od anche modificare così profondamente lo “spettro” di percezione della “realtà”, da trasformare ciò che oggi è indicata, con molto “rumore” semantico, “intuizione pura”, in una percezione conoscitiva “naturale” ed alla portata di tutti gli esseri umani.

È facilmente verificabile, d’altra parte, che nell’infanzia e nella prima giovinezza di ogni individuo, si possono avvertire vaghe sensazioni di capacità fisiche le quali saranno acquisite, completamente, solo nell’età in cui gli organi preposti avranno raggiunto lo sviluppo completo.

Perché non pensare che, similmente, raggiunta la “maturità” della specie, ogni uomo possa essere dotato di quelle capacità che oggi caratterizzano solo un numero limitato di individui?

Ritenete questa ipotesi troppo fantastica?

Credo che lo possa essere, però, non più fantasiosa di quella proposta da chi ipotizza, come scopo e fine ultimo dell’uomo, “il trascendimento della ragione, onde ottenere l’identificazione della mente individuale con l’Intelletto universale, dell’anima con lo Spirito”.

Non si può negare l’esistenza di una indescrivibile e, forse, estesa “realtà” che sfugge attualmente, alla nostra limitata possibilità di percezione, e si è accennato già alla causa di tutto ciò.

È innegabile, anche, l’esistenza di eventi i quali sono definiti, approssimativamente e cumulativamente “paranormali”, cui non possiamo, per ora, dare spiegazioni razionali.

Questi, però, se depurati da tutti quelli che possono essere già attualmente, “casi normali” giustificabili, cioè nel vastissimo ambito delle suggestioni e delle autosuggestioni, si riducono a ben pochi fatti abnormi. Per questi pochi che rimangono, perché si deve ritenere insopportabile e degradante dire, apertamente ed umilmente, che a causa della nostra ignoranza e limitatezza siamo incapaci, momentaneamente, di trovare una definizione accettabile e verificabile?

Se proprio vogliamo cercare di proporre delle spiegazioni, ritengo allora che sia più giusto prospettare, come già detto, delle ipotesi “aperte”, per esempio, come quelle da me poc’anzi avanzate le quali permetterebbero di affrontare ben diversamente questi “eventi”; permetterebbero, cioè, di accertare, considerare ed esaminare queste manifestazioni come l’indicazione di possibilità semplicemente umane, che si evidenziano, per esempio, in taluni “mutanti”, portatori di un “gene” o più “geni” mutati, che possono rimanere latenti sotto un “gene” dominante anche per parecchie generazioni, ed ogni tanto “emergere” in un individuo il quale acquisisce, in tal modo, capacità non comuni.

Estendendo l’ipotesi nel futuro, ne conseguirebbe che queste “emergenze” si potrebbero anche “affermare”, senza tornare più ad essere latenti, ed allora le capacità “non comuni” si diffonderebbero geneticamente, fino a divenire una dotazione ereditaria in tutti gli individui della specie umana.

È molto pericoloso ed ingiustificato, invece, che per dare forzatamente una spiegazione a questi avvenimenti straordinari si debba immettere nei nostri “schemi di riferimento e di finalità ideale”, dei contenuti “limitanti” che spostano le soluzioni dell’uomo al di fuori dell’uomo, ponendo i presupposti di inferenze molto spesso disastrose. Bisogna sentirsi uomini responsabili e fare sempre molta attenzione alle implicazioni che possono scaturire da certe “professioni”, prima di darle per “accettate”. Questo è un salutare esercizio di razionalità, raccomandabile a tutti.

Ma coma sarà mai possibile far comprendere, a chi è così irragionevole da rifiutare la “ragione”, che le spiegazioni derivanti dalla così detta “conoscenza” possono dare, nel migliore dei casi, solamente un aiuto fittizio, mentre invece, certamente legano sempre più questo “povero uomo”, avviandolo verso evasioni dalla realtà, verso situazioni regressive di infantilismo esistenziale ed emotivo?

A questo proposito, si può dire che molto più saggiamente e concretamente hanno impostato il problema ora accennato, alcune delle religioni orientali.

Anch’esse, partendo dal presupposto che l’uomo non ha la possibilità di conoscere completamente la realtà, preso atto che il nostro cervello consente di schematizzare gli eventi solamente in forme contraddittorie (dicotomie), hanno offerto ed offrono, a che chiede, “il dito che indica la strada” per il raggiungimento della “giusta azione”, e per spiegare il “mondo dello spirito”, danno delle ipotesi giustificative piuttosto “liberanti”, per niente dogmatiche le quali tendono, chiaramente, a porre i problemi dell’uomo e la loro soluzione nell’uomo.

Ma anche i concetti di “ragione”, “intelletto”, “raziocinio”, che troviamo nello stesso pensiero religioso orientale, testimonia questa spinta “liberante”, come presupposto ad una più aperta e possibile conoscenza.

Erroneamente, secondo me, è stato interpretato e citato, da alcuni scrittori occidentali, ad esempio, l’atteggiamento anti-intelletto che sembra insito nelle pratiche del Buddismo Zen.

In esse, è vero che il “koan” deve servire a mortificare la “ragione”, cioè a mettere in evidenza l’incapacità dell’intelletto di afferrare e risolvere il problema preso in esame ma, tutto questo, non ha come scopo l’uccisione dell’intelletto: è semplicemente un “allenamento”, una tecnica per domarlo, perché il risultato da raggiungere è solamente quello di liberare l’uomo dalla schiavitù dell’intelletto.

L’uomo deve riuscire a dominarlo ed usarlo consapevolmente (conscio della sua automaticità in relazione ai contenuti dello “schema di riferimento e di finalità ideale”), per sfuggire ad una situazione di dipendenza nella quale si trova passivamente soggiogato.

Molto chiaro, mi sembra, ciò che Alan W. Watts scrive a Pag. 75 del suo interessante libro intitolato: LO ZEN.

“La mente, cioè l’intelletto – dice Watt – è un buon servo ma anche un cattivo padrone e mentre di regola gli uomini diventano schiavi dei loro moduli di pensiero intellettuale, lo Zen mira a controllare e sorpassare l’intelletto”. “Il Koan è semplicemente un mezzo per passare attraverso la barriera, è un mattone che serve per battere alla porta; quando la porta è stata aperta, il mattone si può buttar via: e questa porta è la rigida barriera che l’uomo innalza fra se stesso e la libertà del suo spirito”. Sono concetti sui quali si può essere perfettamente e razionalmente d’accordo, in fatti in una prima chiave interpretativa, si potrebbe dire: bisogna aprire la porta che si interpone fra l’individuo e la sua libertà, cioè bisogna modificare, in modo “liberante”, lo “schema di riferimento e di finalità ideale” perché quando è “limitante” esso si identifica con la porta chiusa, cioè con la “rigida barriera che l’uomo innalza” fra se stesso e la libertà. È necessario fare in modo che l’intelletto, da padrone, diventi un buon servo, cioè che da sostenitore di dogmi, preconcetti ed illusioni, diventi un valido aiuto nella soluzione diuturna delle dicotomie esistenziali, verso una “positiva” “sindrome di crescita” della personalità nella quale l’intuizione svolga la sua innegabilmente valida funzione complementare.

Non è possibile fraintendere le finalità Zen, leggendo ciò che a Pag. 84, dello stesso libro, scrive ancora Watts: “La mente ha il proprio luogo, e da sola può fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo. Dunque la mente è la chiave per comprendere la vita, perché quando è illusa crea confusione, e quando si fa chiara, rivela la Natura=Budda”. Perciò, per lo Zen, come per quasi tutte le religioni orientali, è essenziale acquisire il dominio della mente. “Questo si consegue – scrive Watts – in primo luogo con l’esercizio del Koan”. Ma ci sono anche altri modi per ottenere lo stesso risultato.

Per maggiore chiarezza, e perché questo brano l’ho trovato sempre molto “illuminante”, dalla stessa opera, riporto una “famosa parabola Zen” che si trova a Pag. 83, e che ho già citato in altre occasioni.

“Per coloro i quali non sanno nulla di Zen – dice la parabola – le montagne sono solo montagne, gli alberi soltanto alberi e gli uomini soltanto uomini. Dopo aver studiato lo Zen per qualche tempo, uno giunge a percepire la vanità e la fugacità di tutte le forme, ed allora le montagne non sono più montagne, gli alberi non sono più alberi e gli uomini non sono più uomini, giacché, mentre l’ignorante crede nella realtà oggettiva delle cose, chi è parzialmente illuminato vede già che esse sono soltanto apparenze che non hanno nessuna durevole realtà, e trascorrono via come nuvole in fuga. Ma – conclude la parabola – per colui che ha compreso pienamente lo Zen, le montagne sono di nuovo montagne, gli alberi sono alberi e gli uomini sono uomini”.

È vero, quindi, che l’ “intelletto” deve essere mortificato per poter essere usato come un buon “strumento mentale”, è vero pure che l’uomo deve rendersi conto di come la “realtà oggettiva” è “apparenza” la cui percezione risulta limitata dall’incapacità dei sensi di afferrarla nella sua “totalità”, ma è anche e soprattutto vero che quando l’uomo ha preso coscienza di tutto ciò, vivendo e raggiungendo il suo “equilibrio”, selettivamente stabile al variare dei “fattori” contingenti, ed è “aperto” alla conoscenza, per lui “le montagne sono di nuovo montagne, gli alberi sono alberi e gli uomini sono uomini”.

        Questi , forse anche troppo sommariamente, sono alcuni “semi” che ci sono offerti dalla “scienza dell’uomo”. Già da questi pochi, si sono potuti desumere interessanti ed “aperti” concetti, fondamentali come presupposti di ulteriori “liberazioni”. Sta a noi seminarli e coltivarli nella nostra mente. Solo da “semi” di questo tipo potrà sbocciare il futuro “per l’uomo”, tutto il resto è purtroppo soltanto velleitarismo che può portare ad una involuzione senza avvenire, oppure ad una lentissima ed interminabile ed indeterminata evoluzione “naturale” nella quale ritorna ad essere operante solo e ciecamente il “caso”, venendo a mancare la possibile azione responsabile e consapevole di un “self making man” fautore e creatore del proprio destino.

Ormai da più parti si sono fatti squillare segnali d’allarme: Già oggi, e gli individui più attenti lo sanno benissimo, ci troviamo a dover effettuare delle scelte che saranno determinanti per il nostro futuro, ma è chiaro che, in questo momento drammatico per l’umanità, non sono più sufficienti solo le “vecchie intuizioni” per afferrare la conoscenza con la “c” maiuscola.

Bisogna renderci conto, in tutta umiltà, che per quanto frammentario, insufficiente e modesto possa essere il “sapere scientifico”, è pur sempre l’unico strumento di cui disponiamo e di cui dobbiamo disporre, per avvicinarci alla “conoscenza”, sulla via dell’Evoluzione umana, mentre oggi siamo quasi alla mercè, unicamente, della troppo giovane e forse non abbastanza previdente Evoluzione Culturale. Solo promuovendo decisamente l’emancipazione globale dell’uomo, possiamo sperare che l’esperimento biologico che ci sta tanto a cuore possa continuare.

IL COMPITO DELLA MASSONERIA

Ed ora riprendiamo dall’inizio questo che, ormai, è diventato un lungo discorso, e proviamo a concludere.

Se si è convinti che fra i compiti della Massoneria ci sia anche quello di preparare, nei suoi adepti, il futuro dell’uomo, e penso che su questo non vi possano essere dubbi, ebbene è assolutamente indispensabile essere perfettamente aggiornati su quelle che sono le già citate “scienze dell’uomo”, per attingervi gli elementi utili e necessari sui quali progettare il concepimento e l’attuazione della nostra missione.

Ripetiamolo ancora una volta, al fine di ricordarlo:

PER AIUTARE L’UOMO BISOGNA “CONOSCERE” L’UOMO.

Dobbiamo metterci bene in mente, dunque, e cercare di comprendere, che il futuro non è già stato scoperto secoli fa; non bisogna stare costantemente voltati indietro per cercare di vedere il futuro, perché il futuro sta davanti a noi ed è tutto da inventare.

Non dubito minimamente che sia intenzione comune raggiungere la stessa mèta, che consiste nell’aiutare la nascita dell’ “uomo libero”. Purtroppo, però, non siamo d’accordo sulla via da seguire e, forse, anche su cosa si deve intendere concretamente per “uomo liberato e libero”.

Oppure ci troviamo di fronte a delle elementari discordanza semantiche?

In certi casi, si notano delle espressioni sulle quali non ci può essere consenso quando vengano interpretate alla lettera, ma che, invece, diventano concetti accettabilissimi se letti simbolicamente.

A questo proposito, desidero citare due esempi tratti dalla “Rivista Massonica” n.9 del novembre 1974.

Alla conclusione del “veemente” articolo del Fratelli Giorgio Rocchi, che in effetti è stato lo stimolo provocatore di questo mio scritto, a Pag. 538, si può leggere quanto segue.

“Il sole simboleggia la coscienza degli esseri che, infranti i ceppi della ragione e realizzata l’intuizione intellettuale, hanno potuto liberarsi dalla condizione individuale e conseguire gli strati superiori.”

Ebbene, si può anche essere d’accordo, in questo caso, traducendo i simboli dei simboli dei simboli, con altri simboli, cioè parole, aventi significato un poco diverso: Il sole simboleggia la coscienza degli essere umani che, infranti i ceppi dei legami regressivi e realizzata l’emancipazione, hanno potuto liberare le potenzialità umane e conseguire la libertà “di”.

L’altro brano che indico, è quello posto a conclusione dello stesso articolo, sempre a Pag.538: è una citazione di Guenon, in essa si dice.

“Il passaggio dall’esteriore all’interiore è anche il passaggio dalla molteplicità all’unità, dalla circonferenza al centro, al punto unico dal quale è possibile, per l’essere umano reintegrato nelle prerogative dello stato primordiale, elevarsi agli strati superiori e, mediante la completa realizzazione dalla vera essenza, essere infine affettivamente ed allo sto di atto, ciò che egli è potenzialmente dall’eternità”.

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