SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE

        SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE

Giordano Bruno

 Epistola esplicatoria              

 Proposto da Giove, effettuato dal Conseglio, revelato da Mercurio, recitato da Sofia, udito da

Saulino, registrato

dal Nolano;

DIVISO IN TRE DIALOGI, SUBDIVISI IN TRE PARTI

CONSECRATO AL MOLTO ILLUSTRE ED ECCELLENTE CAVALLIERO

sig. FILIPPO SIDNEO

STAMPATO IN PARIGI

M.D.LXXXIIIII (1585)

 Epistola

 Dialogo Primo

 Dialogo secondo

 Dialogo terzo

EPISTOLA ESPLICATORIA SCRITTA AL MOLTO ILLUSTRE ED ECCELLENTE CAVALLIERO SIGNOR FILIPPO SIDNEO DAL NOLANO

Cieco chi non vede il sole, stolto chi nol conosce, ingrato chi nol ringrazia; se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il beneficio; per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova; maestro de sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non so qual mi sarei, eccellente Signore, se io non stimasse il vostro ingegno, non onorasse gli vostri costumi, non celebrasse gli vostri meriti; con gli quali vi siete scuoperto a me nel primo principio ch’io giunsi a l’isola Britannica, per quanto v’ha conceduto il tempo; vi manifestate a molti, per quanto l’occasione vi presenta; e remirate a tutti, per quanto vi mostra la vostra natural inclinazione veramente eroica. Lasciando, dunque, il pensier dei tutti ai tutti, ed il dover de’ molti a’ molti, non permetta il fato, che io, per quel tanto che spetta al mio particolare, come tal volta mi son mostrato sensitivo verso le moleste ed importune discortesie d’alcuni; cossì avanti gli occhi de l’eternità vegna a lasciar nota d’ingratitudine, voltando le spalli a la vostra bella, fortunata e cortesissima patria, prima ch’al meno con segno di riconoscenza non vi salutasse, gionto al generosissimo e gentilissimo spirito del signor Folco Grivello. Il quale, come con lacci di stretta e lunga amicizia, con cui siete allevati, nodriti e cresciuti insieme, vi sta congionto: cossì nelle molte e degne, esterne ed interne perfezioni v’assomiglia; ed al mio riguardo fu egli quel secondo, che, appresso gli vostri primi, gli secondi offici mi propose ed offerse: quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati, se tra noi non avesse sparso il suo arsenito de vili, maligni ed ignobili interessati l’invidiosa Erinni.

Sì che, serbando a lui qualch’altra materia, ecco a voi presento questo numero de dialogi, li quali certamente saranno cossì buoni o tristi, preggiati o indegni, eccellenti o vili, dotti o ignoranti, alti o bassi, profittevoli o disutili, fertili o sterili, gravi o dissoluti, religiosi o profani, come di quei, nelle mani de quali potran venire, altri son de l’una, altri de l’altra contraria maniera. E perché il numero de stolti e perversi è incomparabilmente più grande che de sapienti e giusti, aviene che, se voglio remirare alla gloria o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci, tanto manca ch’io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro, che più tosto ho da aspettar materia de discontentezza, e da stimar molto meglior il silenzio ch’il parlare. Ma, se fo conto de l’occhio de l’eterna veritade, a cui le cose son tanto più preciose ed illustri, quanto talvolta non solo son da più pochi conosciute, cercate e possedute, ma, ed oltre, tenute a vile, biasimate, perseguitate; accade ch’io tanto più mi forze a fendere il corso de l’impetuoso torrente, quanto gli veggio maggior vigore aggionto dal turbido, profondo e clivoso varco.

Cossì dunque lasciaremo la moltitudine ridersi, scherzare, burlare e vagheggiarsi su la superficie de mimici, comici ed istrionici Sileni, sotto gli quali sta ricoperto, ascoso e sicuro il tesoro della bontade e veritade, come, per il contrario, si trovano più che molti, che sotto il severo ciglio, volto sommesso, prolissa barba e toga maestrale e grave, studiosamente a danno universale conchiudeno l’ignoranza non men vile che boriosa, e non manco perniciosa che celebrata ribaldaria.

Qua molti, che per sua bontà e dottrina non possono vendersi per dotti e buoni, facilmente potranno farse innanzi, mostrando quanto noi siamo ignoranti e viziosi. Ma sa Dio, conosce la verità infallibile che, come tal sorte d’uomini son stolti, perversi e scelerati, cossì io in miei pensieri, paroli e gesti non so, non ho, non pretendo altro, che sincerità, simplicità, verità. Talmente sarà giudicato dove l’opre ed effetti eroici non saran creduti frutti de nessun valore e vani; dove non è giudicata somma sapienza il credere senza discrezione; dove si distingueno le imposture de gli uomini da gli consegli divini; dove non è giudicato atto di religione e pietà sopraumana il pervertere la legge naturale; dove la studiosa contemplazione non è pazzia; dove ne l’avara possessione non consiste l’onore, in atti di gola la splendidezza, nella moltitudine de servi, qualunque sieno, la riputazione, nel meglio vestire la dignità, nel più avere la grandezza, nelle maraviglie la verità, nella malizia la prudenza, nel tradimento l’accortezza, ne la decepzione la prudenza, nel fengere il saper vivere, nel furore la fortezza, ne la forza la legge, ne la tirannia la giustizia, ne la violenza il giudicio; e cossì si va discorrendo per tutto. Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non dice vergognoso quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ella mostra aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede; ed altre parti, di proprio nome; dice il mangiare, mangiare; il dormire, dormire; il bere, bere; e cossì gli altri atti naturali significa con proprio titolo. Ha gli miracoli per miracoli, le prodezze e maraviglie per prodezze e maraviglie, la verità per verità, la dottrina per dottrina, la bontà e virtù per bontà e virtù, le imposture per imposture, gl’inganni per inganni, il coltello e fuoco per coltello e fuoco, le paroli e sogni per paroli e sogni, la pace per pace, l’amore per amore. Stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti, gli monachi per monachi, li ministri per ministri, li predicanti per predicanti, le sanguisughe per sanguisughe, gli disutili, montainbanco, ciarlatani, bagattellieri, barattoni, istrioni, papagalli per quel che si dicono, mostrano e sono; ha gli operarii, benefici, sapienti ed eroi per questo medesimo. Orsù, orsù! questo, come cittadino e domestico del mondo, figlio del padre Sole e de la Terra madre, perché ama troppo il mondo, veggiamo come debba essere odiato, biasimato, perseguitato e spinto da quello. Ma in questo mentre non stia ocioso, né.mal occupato su l’aspettar de la sua morte, della sua transmigrazione, del suo cangiamento.

Oggi presente al Sidneo gli numerati ed ordinati semi della sua moral filosofia, non perché come cosa nuova le mire, le conosca, le intenda; ma perché le essamine, considere e giudichi; accettando tutto quel che si deve accettare, iscusando tutto quel che si deve iscusare, e defendendo tutto quel che si deve defendere contra le rughe e supercilio d’ipocriti, il dente e naso de scìoli, la lima e sibilo de pedanti; avertendo gli primi, che lo stimino certo di quella religione la quale comincia, cresce e si mantiene con suscitar morti, sanar infermi e donar del suo; e non può essere affetto, dove si rapisce quel d’altro, si stroppiano i sani ed uccidono gli vivi; consegliando a gli secondi, che si convertano a l’intelletto agente e sole intellettuale, pregandolo che porga lume a chi non n’ha; facendo intendere a gli terzi, che a noi non conviene l’essere, quali essi sono, schiavi de certe e determinate voci e paroli; ma, per grazia de dei, ne è lecito, e siamo in libertà di far quelle servire a noi, prendendole ed accomodandole a nostro commodo e piacere. Cossì non ne siano molesti gli primi con la perversa conscienza, gli secondi con il cieco vedere, gli terzi con la mal impiegata sollecitudine, se non vogliono esser arguiti gli primi de stoltizia, invidia e malignitade; ripresi gli secondi d’ignoranza, presunzione e temeritade; notati gli terzi de viltà, leggerezza e vanitade: per non esserse gli primi astenuti dalla rigida censura de nostri giudicii, gli secondi da proterva calunnia de nostri sentimenti, gli terzi dal sciocco crivellar de nostre paroli.

Or, per venire a far intendere, a chiunque vuole e puote, la mia intenzione ne gli presenti discorsi, io protesto e certificó che, per quanto appartiene a me, approvo quello che comunmente da tutti savii e buoni è stimato degno di essere approvato, e riprovo con gli medesimi il contrario. E però priego e scongiuro tutti, che non sia qualcuno di animo tanto enorme e spirito tanto maligno, che voglia definire, donando ad intendere a sé e ad altri, che ciò che sta scritto in questo volume, sia detto da me come assertivamente; né creda (se vuol credere il vero) che io, o per sé o per accidente, voglia in punto alcuno prender mira contra la verità, e balestrar contra l’onesto, utile e naturale, e, per conseguenza, divino; ma tegna per fermo che con tutto il mio sforzo attendo al contrario; e se tal volta aviene ch’egli non possa esser capace di questo, non si determine; ma reste in dubio sin tanto che non vegna risoluto dopo penetrato entro la midolla del senso. Considere appresso che questi son dialogi, dove sono interlocutori gli quali fanno la lor voce e da quali son raportati gli discorsi de molti e molti altri, che parimente abondano nel proprio senso, raggionando con quel fervore e zelo che massime può essere ed è appropriato a essi. Per tanto non sia chi pense altrimente, eccetto che questi tre dialogi son stati messi e distesi sol per materia e suggetto d’un artificio futuro; perché, essendo io in intenzione di trattar la moral filosofia secondo il lume interno che in me ave irradiato ed irradia il divino sole intellettuale, mi par espediente prima di preponere certi preludii a similitudine de musici; imbozzar certi occolti e confusi delineamenti ed ombre, come gli pittori; ordire e distendere certa fila, come le tessetrici; e gittar certi bassi, profondi e ciechi fondamenti, come gli grandi edificatori: il che non mi parea più convenientemente poter effettuarsi, se non con ponere in numero e certo ordine tutte le prime forme de la moralità, che sono le virtudi e vizii capitali, nel modo che vedrete al presente introdutto un repentito Giove, ch’avea colmo di tante bestie, come di tanti vizii, il cielo, secondo la forma di quarant’otto famose imagini; ed ora consultar di bandir quelli dal cielo, da la gloria e luogo d’esaltazione, destinandogli per il più certe regioni in terra, ed in quelle medesime stanze facendo succedere le già tanto tempo bandite e tanto indegnamente disperse virtudi. Or, mentre ciò si mette in esecuzione, se vedete vituperar cose che vi paiono indegne di vitupèro, spreggiate cose degne di stima, inalzate cose meritevoli di biasimo; e per il contrario; abbiate tutto per detto (anco da quei che possono nel suo grado dirlo) indefinitamente, come messo in difficultade, posto in campo, cacciato in teatro, che aspetta di essere essaminato, discusso e messo al paragone, quando si consertarà la musica, si figurarà la imagine, s’intesserà la tela, s’inalzarà il tetto. In questo mentre Sofia presenta Sofia, Saulino fa il Saulino, Giove il Giove; Momo, Giunone, Venere ed altri Greci o Egizii, dissoluti o gravi, quel che essi e qual essi sono, e puote appropriarsi alla condizion e natura che possono presentare. Se vedete seriosi e giocosi propositi, pensate che tutti sono equalmente degni d’essere con non ordinarii occhiali remirati. In conclusione, non abbiate altro per definito che l’ordine ed il numero de soggetti della considerazion morale, insieme con gli fondamenti di tal filosofia, la qual tutta intieramente vedrete figurata in essi. Del resto, in questo mezzo ognuno prenda gli frutti che può, secondo la capacità del proprio vase; perché non è cosa sì ria che non si converta in profitto ed utile de buoni; e non è cosa tanto buona e degna che non possa esser caggione e materia di scandalo a’ ribaldi. Qua, dunque, avendo tutto l’altro (onde non si può raccôrre degno frutto di dottrina) per cosa dubia, suspetta ed impendente, prendasi per final nostro intento l’ordine, l’intavolatura, la disposizione, l’indice del metodo, l’arbore, il teatro e campo de le virtudi e vizii; dove appresso s’ha da discorrere, inquirere, informarsi, addirizzarsi, distendersi, rimenarsi ed accamparsi con altre considerazioni; quando, determinando del tutto secondo il nostro lume e propria intenzione, ne esplicaremo in altri ed altri particulari dialogi, ne li quali l’universal architettura di cotal filosofia verrà pienamente compita, e dove raggionaremo più per modo definitivo.

 Abbiamo, dunque, qua un Giove, non preso per troppo leggitimo e buon vicario o luogotenente del primo principio e causa universale; ma ben tolto qual cosa variabile, suggetta al fato della mutazione. Però, conoscendo egli che in tutto uno infinito ente e sustanza sono le nature particolari infinite ed innumerabili (de quali egli è un individuo), che, come in sustanza, essenza e natura sono uno, cossì per raggion del numero che subintrano, incorreno innumerabili vicissitudini e specie di moto e mutazione; ciascuna, dunque, di esse, e particularmente Giove, si trova esser tale individuo, sotto tal composizione, con tali accidenti e circonstanze, posto in numero per differenze che nascono da le contrarietadi, le quali tutte si riducono ad una originale e prima, che è primo principio de tutte l’altre, che sono efficienti prossimi d’ogni cangiamento e vicissitudine: per cui, come da quel che prima non era Giove, appresso fu fatto Giove, cossì, da quel ch’al presente è Giove, al fine sarà altro che Giove. Conosce che dell’eterna sustanza corporea (la quale non è denichilabile né adnichilabile, ma rarefabile, inspessabile, formabile, ordinabile, figurabile) la composizione si dissolve, si cangia la complessione, si muta la figura, si altera l’essere, si varia la fortuna; rimanendo sempre quel che sono in sustanza gli elementi; e quell’istesso, che fu sempre, perseverando l’uno principio materiale, che è vera sustanza de le cose, eterna, ingenerabile, incorrottibile. Conosce bene, che dell’eterna sustanza incorporea niente si cangia, si forma o si difforma; ma sempre rimane pur quella che non può essere suggetto de dissoluzione, come non è possibil che sia suggetto di composizione; e però né per sé né per accidente alcuno può esser detta morire; perché morte non è altro che divorzio de parti congionte nel composto; dove, rimanendo tutto l’essere sustanziale (il quale non può perdersi) di ciascuna, cessa quell’accidente d’amicizia, d’accordo, di complessione, unione ed ordine. Sa che la sustanza spirituale, bench’abbia familiarità con gli corpi, non si deve stimar che propriamente vegna in composizione o mistione con quelli: perché questo conviene a corpo con corpo, a parte di materia complessionata d’un modo con parte di materia complessionata d’un’altra maniera; ma è una cosa, un principio efficiente ed informativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa la composizione; ed è a punto come il nocchiero a la nave, il padre di fameglia in casa ed uno artefice non esterno, ma che da entro fabrica, contempra e conserva l’edificio; ed in esso è l’efficacia di tener uniti gli contrarii elementi, contemperar insieme, come in certa armonia, le discordante qualitadi, a far e mantenir la composizione d’uno animale. Esso intorce il subbio, ordisce la tela, intesse le fila, modera le tempre, pone gli ordini, digerisce e distribuisce gli spiriti, infibra le carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica gli nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspira gli polmoni, soccorre a tutto, di dentro, con il vital calore ed umido radicale, onde tale ipostasi consista, e tal volto, figura e faccia appaia di fuori. Cossì si forma la stanza in tutte le cose dette animate, dal centro del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando e figurando le membra, e quelle esplicate e figurate conservando. Cossì, necessitato dal principio della dissoluzione, abandonando la sua architettura, caggiona la ruina de l’edificio, dissolvendo li contrarii elementi, rompendo la lega, togliendo la ipostatica composizione, per non posser eternamente con medesimi temperamenti, perpetuando medesime fila, e conservando quegli ordini istessi, annidarsi in uno medesimo composto: però da le parti esterne e membra facendo la ritretta al core, e quasi riaccogliendo gl’insensibili stormenti ed ordegni, mostra apertamente, che per la medesima porta esce, per cui gli convenne una volta entrare. Sa Giove che non è verisimile né possibile che, se la materia corporale, la quale è componibile, divisibile, maneggiabile, contrattabile, formabile, mobile e consistente sotto il domìno, imperio e virtù de l’anima, non è adnichilabile, non è in punto o atomo adnullabile, per il contrario, la natura più eccellente, che impera, governa, presiede, muove, vivifica, invegeta, insensua, mantiene e contiene, sia di condizion peggiore: sia, dico (come vogliono certi stolti sotto nome de filosofi) un atto, che resulta da l’armonia, simmetria, complessione, ed in fine un accidente che per la dissoluzione del composto vada in nulla insieme con la composizione; più tosto che principio e causa intrinseca di armonia, complessione e simmetria che da esso deriva; il quale non meno può sussistere senza il corpo che il corpo —che è da lui mosso, governato, e per sua presenza unito, e per sua absenza disperso — può essere senza lui. Questo principio, dunque, stima Giove esser quella sustanza che è veramente l’uomo, e non accidente che deriva dalla composizione. Questo è il nume, l’eroe, il demonio, il dio particolare, l’intelligenza; in cui, da cui e per cui, come vegnon formate e si formano diverse complessioni e corpi, cossì viene a subintrare diverso essere in specie, diversi nomi, diverse forme. Questo, per esser quello che, quanto a gli atti razionali ed appetiti, secondo la raggione muove e governa il corpo, è superiore a quello, e non può essere da lui necessitato e constretto; aviene per l’alta giustizia che soprasiede alle cose tutte, che per gli disordinati affetti vegna nel medesimo o in altro corpo tormentato ed ignobilito, e non debba aspettar il governo ed administrazione di meglior stanza, quando si sarà mal guidato nel regimento d’un’altra. Per aver, dunque, ivi menata vita, per essempio, cavallina o porcina, verrà (come molti filosofi più eccellenti hanno inteso; ed io stimo, che se non è da esser creduto, è molto da esser considerato) disposto dalla fatal giustizia, che gli sia intessuto in circa un carcere conveniente a tal delitto o crime, organi ed instrumenti convenevoli a tale operario o artefice. E cossì, oltre ed oltre sempre discorrendo per il fato della mutazione, eterno verrà incorrendo altre ed altre peggiori e megliori specie di vita e di fortuna, secondo che s’è maneggiato megliore— o peggiormente nella prossima precedente condizione e sorte. Come veggiamo che l’uomo, mutando ingegno e cangiando affetto, da buono dovien rio, da temprato stemprato; e per il contrario, da quel che sembrava una bestia, viene a sembrare un’altra peggiore o megliore, in virtù de certi delineamenti e figurazioni, che, derivando da l’interno spirito, appaiono nel corpo; di sorte che non fallaran mai un prudente fisionomista. Però, come nell’umana specie veggiamo de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini, buovini; cossì è da credere che in essi sia un principio vitale, per cui, in potenza di prossima passata o di prossima futura mutazion di corpo, sono stati o sono per esser porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano; se per abito di continenza, de studii, di contemplazione ed altre virtudi o vizii non si cangiano e non si disponeno altrimente. Da questa sentenza (da noi, più che par comporte la raggion del presente loco, non senza gran causa distesa) pende l’atto de la penitenza di Giove, il qual s’introduce come volgarmente è descritto: un dio che ebbe de le virtudi e gentilezze, ed ebbe de le dissoluzioni, leggerezze e fragilitadi umane, e talvolta brutali e bestiali; come è figurato, quando è fama, che si cangiasse in que’ varii suggetti o forme, per significar la mutazion de gli affetti suoi diversi che incorre il Giove, l’anima, l’uomo, trovandosi in questa fluttuante materia. Quel medesimo è messo governatore e motor del cielo, per donar ad intendere, come in ogni uomo, in ciascuno individuo si contempla un mondo, un universo; dove per Giove governatore è significato il lume intellettuale che dispensa e governa in esso, e distribuisce in quel mirabile architetto gli ordini e sedie de virtudi e vizii.

 Questo mondo, tolto secondo l’imaginazion de stolti matematici, ed accettato da non più saggi fisici, tra quali gli Peripatetici son più vani, non senza frutto presente: prima diviso come in tante sfere, e poi distinto in circa quarant’otto imagini (nelle quali intendeno primamente partito un cielo ottavo, stellifero, detto da’ volgari firmamento), viene ad essere principio e suggetto del nostro lavoro. Perché qua Giove (che rapresenta ciascun di noi), come da conceputo nacque, da fanciullo dovenne giovane e robusto, e da tale è dovenuto e dovien sempre più e più vecchio ed infermo: cossì da innocente ed inabile si fa nocivo ed abile, dovien tristo, e talor si fa buono; da ignorante savio, da crapulone sobrio, da incontinente casto, da dissoluto grave, da iniquo giusto; al che tal volta vien inchinato da la forza che gli vien meno, e spinto e spronato dal timor della giustizia fatale, superiore a’ dei, che ne minaccia. Nel giorno dunque, che nel cielo si celebra la festa de la Gigantoteomachia (segno de la guerra continua e senza triegua alcuna, che fa l’anima contra gli vizii e disordinati affetti), vuole effettuar e definir questo padre quello che per qualche spacio di tempo avanti avea proposto e determinato; come un uomo, per mutar proposito di vita e costumi, prima vien invitato da certo lume che siede nella specola, gaggia o poppa de la nostra anima, che da alcuni è detto sinderesi e qua forse è significato quasi sempre per Momo. Propone, dunque, a gli dei, cioè essercita l’atto del raziocinio de l’interno conseglio, e si mette in consultazion circa quel ch’è da fare; e qua convoca i voti, arma le potenze, adatta gl’intenti; non dopo cena, e ne la notte de l’inconsiderazione, e senza sole d’intelligenza e lume di raggione; non a diggiuno stomaco, la mattina, cioè senza fervor di spirito, ed esser bene iscaldato dal superno ardore; ma dopo pranso, cioè dopo aver gustato ambrosia di virtuoso zelo ed esser imbibito del nettare del divino amore; circa il mezogiorno, o nel punto di quello, cioè, quando meno ne oltraggia nemico errore, e più ne favorisce l’amica veritade, in termine di più lucido intervallo. Allora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè a gli vizii che predominano e sogliono conculcar la parte divina; si ripurga l’animo da errori, e viene a farsi ornato de virtudi; e per amor della bellezza che si vede nella bontà e giustizia naturale, e per desio de la voluttà consequente da frutti di quella, e per odio e tema de la contraria difformitade e dispiacere.

 Questo s’intende accettato ed accordato da tutti e in tutti gli dei, quando le virtudi e potenze de l’anima concorreranno a faurir l’opra ed atto di quel tanto che per giusto, buono e vero definisce quello efficiente lume; ch’addirizza il senso, l’intelletto, il discorso, la memoria, l’amore, la concupiscibile, l’irascibile, la sinderesi, l’elezione: facultadi significate per Mercurio, Pallade, Diana, Cupido, Venere, Marte, Momo, Giove ed altri numi.

Dove dunque era l’Orsa, per raggion del luogo, per esser parte più eminente del cielo, si prepone la Verità; la quale è più alta e degna de tutte cose, anzi la prima, ultima e mezza; perché ella empie il campo de l’Entità, Necessità, Bontà, Principio, Mezzo, Fine, Perfezione: si concepe ne gli campi contemplativi metafisico, fisico, morale, logicale. E con l’Orsa descendeno la Difformità, Falsità, Difetto, Impossibilità, Contingenzia, Ipocrisia, Impostura, Fellonia. — La stanza de l’Orsa maggiore, per causa da non dirla in questo luogo, rimane vacante. — Dove s’obliqua ed incurva il Drago, per esser vicina alla Verità, si loca la Prudenza con le sue damigelle, Dialettica e Metafisica, che ha circonstanti da la destra la Callidità, Versuzia, Malizia, da la sinistra la Stupidità, l’Inerzia, l’Imprudenzia. Versa nel campo della Consultazione. Da quel luogo casca la Casualità, l’Improvisione, la Sorte, la Stracuragine, con le sinistre e destre circonstanti. Da là, dove solo scrimisce Cefeo, cade il Sofisma, l’Ignoranza di prava disposizione, la Stolta Fede con le serve, ministre e circonstanti; e la Sofia, per esser compagna de la Prudenza, vi si presenta, e si vedrà versar negli campi divino, naturale, morale, razionale. — Là dove Artofilace osserva il carro, monta la Legge, per farsi vicina alla madre Sofia; e quella vedrassi versare ne li campi divino, naturale, gentile, civile, politico, economico ed etico particolare, per gli quali s’ascende a cose superiori, si descende a cose inferiori, si distende ed allarga a cose uguali e si versa in se stesso. Da là cade la Prevaricazione, Delitto, Eccesso, Exorbitanza con li loro figli, ministri e compagni. Ove luce la Corona boreale, accompagnandola la Spada, s’intende il Giudizio, come prossimo effetto de la legge ed atto di giustizia. Questo sarà veduto versare in cinque campi di Apprensione, Discussione, Determinazione. Imposizione, Execuzione; ed indi, per conseguenza, cade l’Iniquitade con tutta la sua fameglia. Per la corona, che tiene la quieta sinistra, si figura il Premio e Mercede; per la spada, che vibra la negociosa destra, è figurato il Castigo e Vendetta. — Dove con la sua mazza par che si faccia spacio Alcide, dopo il dibatto de la Ricchezza, Povertade, Avarizia e Fortuna, con le lor presentate corti, va a far la sua residenza la Fortezza, la qual vedrete versar negli campi de l’Impugnazione, Ripugnanza, Espugnazione, Mantenimento, Offensione, Defensione; dalla cui destra cascano la Ferinità, la Furia, la Fierezza; e dalla sinistra la Fiacchezza, Debilità, Pusillanimità; e circa la quale si veggono la Temeritade, Audacia, Presunzione, Insolenza, Confidenza, ed a l’incontro la Viltà, Trepidazione, Dubio, Desperazione con le compagne e serve. Versa quasi per tutti gli campi. — Dove si vede la Lira di nove corde, monta la madre Musa con le nove figlie, Aritmetrica, Geometria, Musica, Logica, Poesia, Astrologia, Fisica, Metafisica, Etica; onde, per conseguenza, casca l’Ignoranza, Inerzia e Bestialitade. Le madri han l’universo per campo, e ciascuna de le figlie ha il proprio suggetto. — Dove distende l’ali il Cigno, ascende la Penitenza, Ripurgazione, Palinodia, Riformazione, Lavamento; ed indi, per conseguenza, cade la Filautia, Immondizia, Sordidezza, Impudenzia, Protervia con le loro intiere fameglie. Versano circa e per il campo de l’Errore e Fallo. — Onde è dismessa l’incatedrata Cassiopea con la Boriosità, Alterezza, Arroganza, Iattanza ed altre compagne che si vedeno nel campo de l’Ambizione e Falsitade; monta la regolata Maestà, Gloria, Decoro, Dignità, Onore ed altri compagni con la lor corte, che per ordinario versano ne li campi della Simplicità, Verità ed altri simili per principale elezione; e talvolta per forza di Necessitade in quello de la Dissimulazione ed altri simili, che per accidente possono esser ricetto de virtudi. — Ove il feroce Perseo mostra il gorgonio trofeo, monta la Fatica, Sollecitudine, Studio, Fervore, Vigilanza, Negocio, Essercizio, Occupazione, con gli sproni del zelo e del timore. Ha Perseo gli talari de l’util Pensiero e Dispreggio del ben popolare, con gli ministri Perseveranza, Ingegno, Industria, Arte, Inquisizione e Diligenza; e per figli conosce l’Invenzione ed Acquisizione, de quali ciascuno ha tre vasi pieni di Bene di fortuna, di Ben di corpo, di Bene d’animo. Discorre ne gli campi di Robustezza, Forza, Incolumità; gli fuggono d’avanti il Torpore, l’Accidia, l’Ocio, l’Inerzia, la Desidia, la Poltronaria, con tutte le lor fameglie da un canto; e da l’altro l’Inquietitudine, Occupazion stolta, Vacantaria, Ardelia, Curiositade, Travaglio, Perturbazione, che esceno dal campo de l’Irritamento, Instigazione, Constrettura, Provocazione ed altri ministri che edificano il palaggio del Pentimento. — A la stanza de Triptolemo monta la umanità con la sua fameglia: Conseglio, Aggiuto, Clemenzia, Favore, Suffragio, Soccorso, Scampo, Refrigerio, con altri compagni e fratelli di costoro e suoi ministri e figli, che versano nel campo de la Filantropia proprio, a cui non s’accosta la Misantropia, con la sua corte: Invidia, Malignità, Disdegno, Disfavore ed altri fratelli di questi, che discorreno per il campo de la Discortesia, ed altri viziosi. — A la casa de l’Ofiulco sale la Sagacità, Accortezza, Sottilezza ed altre simili virtudi abitanti nel campo de la Consultazione e Prudenza; onde fugge la Goffaria, Stupidezza, Sciocchezza con le lor turbe, che tutte cespitano nel campo de l’Imprudenza ed Inconsultazione. — In loco de la Saetta si vede la giudiciosa Elezione, Osservanza ed Intento, che si essercitano nel campo de l’ordinato Studio, Attenzione ed Aspirazione; e da là si parteno la Calunnia, la Detrazione, il Repicco ed altri figli d’Odio ed Invidia che si compiaceno ne gli orti de l’Insidia, Ispionia e simili ignobili e vilissimi coltori. — Al spacio, in cui s’inarca il Delfino, si vede la Dilezione, Affabilità, Officio, che insieme con la lor compagnia si trovano nel campo de la Filantropia, Domestichezza; onde fugge la nemica ed oltraggiosa turba, ch’a gli campi della Contenzione, Duello e Vendetta si ritira. — Là d’onde l’Aquila si parte con l’Ambizione, Presunzione, Temeritade, Tirannia, Oppressione ed altre compagne negociose nel campo de l’Usurpazione e Violenza, va ad soggiornare la Magnanimità, Magnificenza, Generosità, Imperio, che versano ne li campi della Dignitade, Potestade, Autoritade. — Dove era il Pegaseo cavallo, ecco il Furor divino, Entusiasmo, Rapto, Vaticinio e Contrazione, che versano nel campo de l’Inspirazione; onde fugge lontano il Furor ferino, la Mania, l’Impeto irrazionale, la Dissoluzione di spirito, la Dispersion del senso interiore, che si trovano nel campo de la stemprata Melancolia, che si fa antro al Genio perverso. — Ove cede Andromeda con l’Ostinazione, Perversitade e stolta Persuasione, che si apprendeno nel campo de la doppia Ignoranza, succede la Facilità, la Speranza, l’Aspettazione, che si mostraranno al campo della buona Disciplina. — Onde si spicca il Triangolo, ivi si fa consistente la Fede, altrimente detta Fideltade, che s’attende nel campo de la Constanza, Amore, Sincerità, Simplicità, Verità ed altri, da quali son molto discosti gli campi de la Frode, Inganno, Instabilità. — A la già regia del Montone ecco messo il Vescovato, Ducato, Exemplarità, Demonstranza, Conseglio, Indicazione, che son felici nel campo de l’Ossequio, Obedienza, Consentimento, virtuosa Emulazione, Imitazione; e da là si parte il mal Essempio, Scandalo, Alienamento, che son cruciati nel campo de la Dispersione, Smarrimento, Apostasia, Scisma, Eresia. — Il Tauro mostra esser stato figura de la Pazienza, Toleranza, Longanimitade, Ira regolata e giusta, che si maneggiano nel campo del Governo, Ministerio, Servitude, Fatica, Lavoro, Ossequio ed altri. Seco si parte l’Ira disordinata, la Stizza, il Dispetto, il Sdegno, Ritrosia, Impazienza, Lamento, Querela, Còlera, che si trovano quasi per gli medesimi campi. — Dove abitavano le Pleiadi, monta la Unione, Civilità, Congregazione, Popolo, Republica, Chiesa, che consisteno nel campo del Convitto, Concordia, Communione; dove presiede il regolato Amore; e con quelle è trabalsato dal cielo il Monopolio, la Turba, la Setta, il Triumvirato, la Fazione, la Partita, l’Addizione, che periclitano ne’ campi de disordinata Affezione, iniquo Dissegno, Sedizione, Congiura, dove presiede il Perverso Conseglio con tutta la sua fameglia. — Onde parteno li Gemegli, sale il figurato Amore, Amicizia, Pace, che si compiaceno ne’ proprii campi; e quelli banditi menan seco la Parzialitade indegna, che ostinata affigge il piede nel campo de l’iniquo e perverso Desio. — Il Granchio mena seco la mala Repressione, l’indegno Regresso, il vil Difetto, il non lodabile Refrenamento, la Dismession de le braccia, la Ritrazion de’ piedi dal ben pensare e fare, il Ritessimento di Penelope ed altri simili consorti e compagni che si rimetteno e serbano nel campo de l’Inconstanza, Pusillanimità, Povertà de spirto, Ignoranza ed altri molti; ed alle stelle ascende la Conversion retta, Ripression dal male, Ritrazion dal falso ed iniquo con gli lor ministri, che si regolano nel campo del Timore onesto, Amor ordinato, retta Intenzione, lodevol Penitenza ed altri sozii contrarii al mal Progresso, al rio Avanzamento, Pertinacia profittevole. — Mena seco il Leone il tirannico Terrore, Spavento e Formidabilità, la perigliosa ed odibile Autoritade e Gloria della presunzione e Piacere di esser temuto più tosto che amato. Versano nel campo del Rigore, Crudeltà, Violenza, Suppressione, che ivi son tormentate da le ombre del Timore e Suspizione; ed al celeste spacio ascende la Magnanimità, Generosità, Splendore, Nobiltà, Prestanza, che administrano nel campo della Giustizia, Misericordia, giusta Debellazione, degna Condonazione, che pretendeno sul studio d’esser più tosto amate che temute; ed ivi si consolano con la Sicurtà, Tranquillitade di spirito e lor fameglia. — Va a giongersi con la Vergine la Continenza, Pudicizia, Castità, Modestia, Verecundia, Onestade, che trionfano nel campo della Puritade ed Onore, spreggiato da l’Impudenza, Incontinenza ed altre madri de nemiche fameglie. — Le Bilancie son state tipo de la aspettata Equità, Giustizia, Grazia, Gratitudine, Rispetto ed altri compagni, administratori e seguaci, che versano nel trino campo della Distribuzione, Commutazione e Retribuzione, dove non mette piè l’Ingiustizia, Disgrazia, Ingratitudine, Arroganza ed altre lor compagne, figlie ed amministratrici.

Dove incurvava l’adunca coda e stendeva le sue branche lo Scorpione, non appare oltre la Frode, l’iniquo Applauso, il finto Amore, l’Inganno, il Tradimento, ma le contrarie virtudi, figlie della Simplicità, Sincerità, Veritade, e che versano ne gli campi de le madri. — Veggiamo ch’il Sagittario era segno della Contemplazione, Studio e buono Appulso con gli lor seguaci e servitori, che hanno per oggetto e suggetto il campo del Vero e del Buono, per formar l’Intelletto e Voluntade, onde è molto absentata l’affettata Ignoranza e Spenseramento vile. — Là dove ancora risiede il Capricorno, vedi l’Eremo, la Solitudine, la Contrazione ed altre madri, compagne ed ancelle, che si ritirano nel campo de l’Absoluzione e Libertà, nel quale non sta sicura la Conversazione, il Contratto, Curia, Convivio ed altri appartinenti a questi figli, compagni ed amministratori. —Nel luogo de l’umido e stemprato Aquario vedi la Temperanza, madre de molte ed innumerabili virtudi, che particolarmente ivi si mostra con le figlie Civilità ed Urbanitade, dalli cui campi fugge l’Intemperanza d’affetti con la Silvestria, Asprezza, Barbaria. — Onde con l’indegno Silenzio, Invidia di sapienza e Defraudazion di dottrina, che versano nel campo de la Misantropia e Viltà d’ingegno, son tolti gli Pesci, vi vien messo il degno Silenzio e Taciturnitade che versano nel campo de la Prudenza, Continenza, Pazienza, Moderanza ed altri, da quali fuggono a’ contrarii ricetti la Loquacità, Moltiloquio, Garrulità, Scurrilità, Boffonaria, Istrionia, Levità di propositi, Vaniloquio, Susurro, Querela, Mormorazione. — Ove era il Ceto in secco, si trova la Tranquillità de l’animo, che sta sicuro nel campo de la Pace e Quiete; onde viene esclusa la Tempesta, Turbulenza, Travaglio, Inquietitudine ed altri socii e frategli. — Da là dove spanta gli numi il divo e miracoloso Orione con l’Impostura, Destrezza, Gentilezza disutile, vano Prodigio, Prestigio, Bagattella e Mariolia, che qual guide, condottieri e portinaii administrano alla Iattanzia, Vanagloria, Usurpazione, Rapina, Falsitade ed altri molti vizii, ne’ campi de quali conversano, ivi viene esaltata la Milizia studiosa contra le inique, visibili ed invisibili potestadi; e che s’affatica nel campo della Magnanimità, Fortezza, Amor publico, Verità ed altre virtudi innumerabili. — Dove ancor rimane la fantasia del fiume Eridano, s’ha da trovar qualche cosa nobile, di cui altre volte parlaremo, perché il suo venerando proposito non cape tra questi altri. — D’onde è tolta la fugace Lepre col vano Timore, Codardiggia, Tremore, Diffidenza, Desperazione, Suspizion falsa ed altri figli e figlie del padre Dappocagine ed Ignoranza madre, si contemple il Timor, figlio della Prudenza e Considerazione, ministro de la Gloria e vero Onore, che riuscir possono da tutti gli virtuosi campi. — Dove in atto di correre appresso la lepre, avea il dorso disteso il Can maggiore, monta la Vigilanza, la Custodia, l’Amor de la republica, la Guardia di cose domestiche, il Tirannicidio, il Zelo, la Predicazion salutifera, che si trovano nel campo de la Prudenza e Giustizia naturale; e con quello viene a basso la Venazione ed altre virtù ferine e bestiali, le quali vuol Giove che siano stimate eroiche, benché verseno nel campo de la Manigoldaria, Bestialità e Beccaria. — Mena seco a basso la Cagnuola, l’Assentazione, Adulazione e vile Ossequio con le lor compagnie; ed ivi in alto monta la Placabilità, Domestichezza, Comità, Amorevolezza, che versano nel campo de la Gratitudine e Fideltade. — Onde la Nave ritorna al mare insieme con la vile Avarizia, buggiarda Mercatura, sordido Guadagno, fluttuante Piratismo ed altri compagni infami, e per il più de le volte vituperosi, va a far residenza la Liberalità, Comunicazione officiosa, Provision tempestiva, utile Contratto, degno Peregrinaggio, munifico Transporto con gli lor fratelli, comiti, temonieri, remigatori, soldati, sentinieri ed altri ministri, che versano nel campo de la Fortuna. — Dove s’allungava e stendeva le spire il Serpe australe, detto l’Idra, si fa veder la provida Cautela, giudiciosa Sagacità, revirescente Virilità; onde cade il senil Torpore, la stupida Rifanciullanza con l’Insidia, Invidia, Discordia, Maldicenza ed altre commensali. — Onde è tolto con il suo atro Nigrore, crocitante Loquacità, turpe e zinganesca Impostura, con l’odioso Affrontamento, cieco Dispreggio, negligente Servitude, tardo Officio e Gola impaziente, il Corvo, succedeno la Magia divina co le sue figlie, la Mantia con gli suoi ministri e fameglia, tra gli quali l’Augurio è principale e capo, che sogliono per buon fine esercitarsi nel campo de l’Arte militare, Legge, Religione e Sacerdozio. — D’onde con la Gola ed Ebrietade è presentata la Tazza con quella moltitudine de ministri, compagni e circonstanti, là si vede l’Abstinenza, ivi è la Sobrietade e Temperanza circa il vitto, con gli lor ordini e condizioni. — Dove persevera ed è confirmato nella sua sacristia il semideo Centauro, si ordina insieme la divina Parabola, il Misterio sacro, Favola morale, il divino e santo Sacerdocio con gli suoi institutori, conservatori e ministri; da là cade ed è bandita la Favola anile e bestiale con la sua stolta Metafora, vana Analogia, caduca Anagogia, sciocca Tropologia e cieca Figuratura, con le lor false corti, conventi porcini, sediciose sette, confusi gradi, ordini disordinati, difformi riforme, immonde puritadi, sporche purificazioni e perniciosissime forfantarie che versano nel campo de l’Avarizia, Arroganza ed Ambizione; ne li quali presiede la torva Malizia, e si maneggia la cieca e crassa Ignoranza.

13 Con l’Altare è la Religione, Pietade e Fede: e dal suo angolo orientale cade la Credulità con tante pazzie e la Superstizione con tante cose, coselle e coselline; e dal canto occidentale l’iniqua Impietade ed insano Ateismo vanno in precipizio. — Dove aspetta la Corona australe, ivi è il Premio, l’Onore e Gloria, che son gli frutti de le virtudi faticose e virtuosi studi, che pendeno dal favore de le dette celesti impressioni. — Onde si prende il Pesce meridionale, là è il Gusto de gli già detti onorati e gloriosi frutti; ivi il Gaudio, il fiume de le Delicie, torrente de la Voluptade, ivi la Cena, ivi l’anima

Pasce la mente de sì nobil cibo,

Ch’ambrosia e nettar non invidia a Giove.

Là è il Termine de gli tempestosi travagli, ivi il Letto, ivi il tranquillo Riposo, ivi la sicura Quiete. Vale

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