Passaggio di millennio 1999-2000
Ogni giorno che più ci avvicina alla fine di questo millennio, sembra accrescerci la frenesia di elencare tutte le cose che non riusciamo più a sopportare e le richieste di cambiamenti radicali su molti aspetti della nostra vita.
Non è certamente nostra intenzione metterci a passare in rassegna questi problemi, molti dei quali, in verità, non sono davvero nuovi, essendo stati sempre lungamente rinviati per la loro difficoltà intrinseca. Infatti la maggior parte di essi, e particolarmente quelli che richiedono un maggior senso di responsabilità, sono a carattere “universale” e per essi occorrerebbe un soggetto; quel soggetto che, nonostante il trascorrere dei millenni, non è riuscito ancora a prendere coscienza di sé: cioè l’umanità.
Siamo troppo impreparati non solo per affrontarli a breve scadenza, ma anche per renderci conto delle loro priorità e consistenza. Inevitabilmente dovremo lasciare questo duro compito alle generazioni del nuovo millennio. Infatti il processo evolutivo della conoscenza antropologica, che pure c’è stato, è stato largamente sorpassato da quello sulla conoscenza delle cose per cui questo tempo che sta tra l’ieri e l’oggi, tra un millennio e l’altro, tra ciò che può essere già considerato tenebra e la possibile luce, tempo dell’equilibrio instabile tra la stagnazione nella necessità e la morte generatrice di una nuova vita nella libertà, è sempre più in perfetta analogia con la lenta ciclicità di ogni anno solare e con i suoi significati sapienziali piuttosto che con la ricorrenza dell’Evento sacro che ha dato il via all’attuale calendario gregoriano.
Di conseguenza il fine millennio viene a coincidere in modo singolare con questo solstizio d’inverno che stiamo vivendo in questi giorni, per cui, una volta tanto, ci sembra che queste ricorrenze, tradizionalmente festive, abbiano quest’anno il sapore di una cruda presa di coscienza dell’uomo più che di una festività natalizia. E la stessa apertura giubilare delle porte di S. Pietro non è parsa mai così decifrabile, come dovrebbe essere, in un più sincero abbattimento simbolico delle colonne del Tempio; come dire: Uomo, distruggi il tempio di ingiustizie che hai costruito sinora! Inizia una nuova vita! Intraprendi un nuovo cammino! Dopo duemila anni tocca a te agire! Da solo!
Data questa singolare analogia, non è forse inopportuno ricordare come da sempre, nei nostri Templi massonici durante la celebrazione del solstizio invernale si è soliti citare il nostro Fratello Goethe e le sua esortazione idealista “muori e divieni !” come formula la più pura di una tradizione che non manca mai di ricollegare l’uomo al passato ed all’avvenire nello sfondo della natura e del suo regno dai fini inesorabili. “Essa [la tradizione] è la catena di cui ogni uomo è un anello; catena di cui i liberi muratori devono rendere gli anelli più solidi”
Ed in effetti, mentre i manuali per i giovani manager gridano il loro modello-manifesto- capitalista(1) per la creazione ed il commercio di sempre nuovi prodotti e servizi:
“Crea come Dio!, Comanda come un re! Lavora come uno schiavo!”,
abbiamo osservato con piacere che le opere dell’altro nostro grande Fratello G.B.Fichte ed in generale di tutto l’Idealismo europeo di fine ‘700, compaiono con sempre maggior frequenza negli scaffali delle librerie, manifestando una crescente presa di coscienza dell’eterno ritorno di Nietzsche.
Inoltre, nell’occasione, il più famoso quotidiano economico d’Europa, Il Sole-24ORE, dedica un numero intero dei suoi famosi inserti culturali al tema: “Duemila- Dio tra fede e ragione” e la Chiesa di Roma sembra seriamente impegnata in un’opera di revisione storica dei testi evangelici. Come dire che l’attenzione dell’uomo sembra spostarsi sempre più sul dialogo diretto tra sé stesso e quel Dio che è unico per tutte le religioni, mentre i dogmatismi che gravano sulle interpretazioni storiche delle singole rivelazioni stanno perdendo la loro capacità di attrazione fideistica. Il bisogno di Dio sembra permanere, ma è un bisogno che si stacca sempre più dai riflessi delle cose per risolversi nella propria identità. Magari con l’aiuto delle varie liturgie che vivificano la preziosa molteplicità delle tradizioni culturali.
L’antropologia dell’uomo va maturando (ma sarebbe più giusto dire riacquistando) il suo significato originale: quando Fichte, con la sua “Dottrina della Scienza” pose le fondamenta della scienza moderna affermando(2):
“Osserva te stesso – distogli lo sguardo da tutto quanto ti circonda e rivolgilo nel tuo intimo: questa è la prima cosa che la filosofia esige da chi prende a coltivarla. Non è di qualcosa che sia fuori di te che si tratta, ma unicamente di te stesso“
non intendeva certamente fare un’affermazione solipsista di un uomo padrone assoluto dell’universo, che può volgere a suo vantaggio esclusivo i valori che sono insiti nelle “cose”, ma piuttosto mettere ordine sia nelle rappresentazioni che gli pervenivano dall’esterno distinguendole tra dogmi e razionalità costruita sulla sensibilità del reale, come nel rivendicare la necessaria autonomia del processo critico della intelligenza che sforzandosi di cogliere, piuttosto che il semplice ed immediato reale, i motivi della sua essenza, alimenta il processo sintetico di costruzione del proprio pensiero, ovverosia del proprio sistema ideale che determinerà il suo agire.
Quindi l’uomo solipsista, è l’uomo che vive delle cose, vede solo le cose, è padrone delle cose e migliorerà la sua vita solo se migliora le cose. L’alternativa fichtiana, che è poi parallela al modello massonico, è l’uomo integrale con tutta la complessità ideale connessa con le sue relazioni con l’Altro, con la Natura e con il suo possibile Creatore. Sono tutti problemi che egli vive dentro di sé, nella propria interiorità, nella propria coscienza, dove risiede anche tutto il patrimonio ancestrale, autentico ed originale della propria natura.
Solo se il suo intelletto conserverà laicamente l’unità di questo molteplice egli potrà continuare a far parte della Natura secondo le funzioni che gli sono naturalmente proprie. Ed in essa l’uomo sarà libero e la Giustizia avrà un fondamento.
Se così non fosse, cioè se gli accadrà di rompere il legame originale con il mondo della Natura, sono convinto che l’uomo, come tale, sarà perduto. Sarà un’altra cosa. Diventerà forse un’automa….
E’ questa ovviamente, una visione personale, ermeneuticamente massonica e quindi pregiudizionalmente da rifiutare per il mondo profano. Ma purtroppo nemmeno la stessa pura scienza, nonostante le attuali illusioni, può rassicurarci sul contrario, come non può né affermare l’esistenza di un purché minimo sistema filosofico che ci conforti per un immediato futuro, né dirci nulla sull’interpretazione dei fini di quella libertà che tutti invocano inutilmente, ma che poi rifiutano di riconoscere in ciò che è già insito nella nostra natura di uomini alle soglie del duemila.
A.Castelli
Solstizio d’inverno 1999 E.V.