I MANOSCRITTI PARLANO ANCORA
Maria Guarini
Una delle ragioni che porta a identificare gli abitanti di Qumran con gli esseni è che le credenze e gli usi di questi, descritti dalle fonti antiche (Giuseppe Flavio, Plinio, Filone e altri), coincidono ampiamente con quelli che si riscontrano nei manoscritti del Mar Morto.
Il contenuto dei testi propri della comunità è molto più affine al modo di pensare e di agire degli esseni1 che non a quanto le fonti dicono le credenze dei farisei e dei sadducei o di altri.
Il testo più importante per questo confronto è la Regola della Comunità, altrimenti detto Manuale di Disciplina, uno dei primi manoscritti ad essere conosciuti e anche uno dei più conservati, essa descrive il processo di iniziazione e il cerimoniale richiesto per l’ammissione dei nuovi membri, alcune concezioni fondamentali dei gruppo di Qumrán, e le regole che disciplinavano la vita quotidiana e le assemblee comunitarie. Essa è senz’altro la fonte più preziosa per l’identificazione del gruppo.
Sulla sponda nord-ovest del Mar Morto, fra il II secolo a.C. e il 68 d.C. (anno della conquista ad opera della decima legione di Vespasiano) sorse e si sviluppò un insediamento monastico abitato da una setta ebraica che seguiva una dottrina di ascetismo e purezza, per molti aspetti simile a quella dei primi cristiani.
Il fondatore (chiamato Maestro di Giustizia) predicò una vita di povertà, lontana dai fasti di Gerusalemme: i suoi seguaci, rifugiatisi nel deserto, dividevano comunitariamente il frutto del loro lavoro e si dedicavano allo studio e alla riflessione sulle sacre scritture.
La riscoperta e lo studio di questa comunità si devono al ritrovamento occasionale nel 1947 di numerosi rotoli manoscritti (si parla di circa ottocento tra rotoli e parti di rotolo) su cui sono riprodotti i testi della Bibbia, contenuti in anfore accuratamente sigillate ed avvolti singolarmente in bende di lino: segno evidente che ci si era preoccupati della loro conservazione.
I sette rotoli più importanti, di cuoio, sono ora conservati presso l’Altare del Libro, a Gerusalemme
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Il materiale rinvenuto in molte grotte, invece, rivelatosi comunque – per quanto frammentario – di indicibile importanza, non era stato trattato con uguale accuratezza. È da presumere a causa del verificarsi di un evento improvviso che costrinse gli Esseni ad abbandonare in tutta fretta la zona, quasi certamente all’epoca della rivolta giudaica del 66 d.C.
Non è da escludere che per molti la fuga improvvisa potesse avere come destinazione la non lontana fortezza di Masada nella quale gli Zeloti organizzarono la resistenza a quella che fu poi la definitiva conquista romana.
I manoscritti sono redatti in antico ebraico, in greco ed in aramaico2 e sono circa 1000 anni più antichi dei più antichi esemplari in lingua ebraica dell’Antico Testamento noti fino al 1947. Essi contengono tutti i testi della Bibbia (tranne il libro di Ester), i libri deuterocanonici, alcuni testi apocrifi dell’Antico Testamento e documenti con le regole e la dottrina della comunità essena.
Il confronto comparativo di questi testi più antichi di molti secoli con il testo masoretico (testo ebraico tradizionale della Bibbia) ha messo in luce versioni praticamente identiche – tranne che per alcuni dettagli mai però riguardanti il senso – e dimostra con tutta evidenza con quanta cura gli scribi ebrei abbiano curato la “tradizione” del testo nel corso del tempo.
Esiste tuttavia una serie di brani che presenta una maggiore concordanza con la traduzione greca detta dei LXX (iniziata a partire dal III secolo a.C.3 per rendere più accessibile la legge di Mosè agli ebrei residenti in tutte le nazioni di cultura ellenistica); il che comprova una ulteriore fedeltà alle fonti, in quanto i traduttori della LXX non hanno inventato le loro varianti, ma hanno tradotto un testo ebraico diverso da quello masoretico
Giuseppe Flavio e altri scrittori antichi ci hanno tramandato quanto pensavano gli esseni su diversi argomenti, parte dei quali si ritrova nei manoscritti qumranici. Due, fra molti, a titolo di esempio.
1. Determinismo 4 – Un punto su cui le descrizioni degli esseni e della Regola della comunità e altri testi qumranici mostrano una sorprendente coincidenza è la dottrina del destino o predeterminismo. Giuseppe scrive che i tre partiti giudaici hanno differenti opinioni su questo punto:
Quanto ai farisei, essi dicono che alcuni eventi sono opera del destino, ma non tutti; per altri eventi, dipende da noi se essi si realizzeranno o meno. La setta degli esseni, però, ritiene che il destino sia il signore di tutte le cose, e che nulla può accadere all’uomo che non sia conforme al suo decreto. I sadducei, invece, non ammettono il destino, ritenendo che esso non esista e che le azioni umane non siano compiute in conformità al suo decreto, ma che tutte le cose sono in nostro potere, per cui noi stessi siamo responsabili del nostro bene, mentre le disgrazie che ci capitano sono frutto della nostra stoltezza (Antichità 13, 171-173).
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Appendice della Regola (110-70 a.C.)
Conservata a Gerusalemme presso “L’Altare del Libro”
La terza e la quarta colonna della Regola della comunità elaborano una complessa teologia della predestinazione applicata alla storia e al comportamento umani, la quale richiama immediatamente alla mente del lettore le parole di Giuseppe:
Dal Dio sapientissimo procede tutto ciò che è e sarà: prima che essi siano egli stabilisce tutto il loro piano, ed allorché esistono compiono le loro azioni in base a quanto è stato per essi determinato conformemente al piano della sua gloria, senza alcun mutamento (III, 15-16)
e, poco oltre:
Dall’angelo della tenebra (derivano) le aberrazioni di tutti i figli della giustizia, tutti i loro peccati, le loro iniquità, la loro colpa e lo loro azioni perverse sono l’effetto del suo impero in conformità ai misteri di Dio (III, 21-23)
Altri manoscritti: il Rotolo degli Inni e la Regola della Guerra, esprimono la stessa concezione, del tutto agli antipodi con la posizione dei sadducei e distante dal modo di pensare dei farisei.
2. L’aldilà – Un secondo tema teologico su cui i manoscritti e le descrizioni antiche degli esseni possono essere messi utilmente a confronto riguarda l’aldilà. Cosa capita ad una persona quando è giunta al termine della sua vita terrena? Su questo punto l’Antico Testamento dice poco. Soltanto verso la fine dell’epoca veterotestamentaria compare qualche accenno alla risurrezione individuale (cf. Dn 12, 2). Anche questo è un punto su cui, al dire di Giuseppe, i tre partiti giudaici differivano. I farisei credevano che i morti sarebbero risorti, mentre i sadducei lo negavano.
Quanto agli esseni:
È salda la credenza che mentre i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui sono composti, invece le anime immortali vivono in eterno e, venendo giù dall’etere più leggero, restano impigliate nei corpi come dentro carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale, ma quando siano sciolte dai vincoli della carne, come liberate da una lunga schiavitù, allora sono felici e volano verso l’alto. Con una concezione simile a quella dei figli dei greci, essi ritengono che alle anime buone è riservato di vivere al di là dell’oceano… (Guerra giudaica 2, 154-155).
In questa descrizione vanno notate alcune caratteristiche particolari, tra cui ad esempio il fatto che gli esseni, altrove rappresentati come contrari agli insegnamenti pagani, sono paragonati ai greci e persino si avvicinano a correnti posteriori che condannavano il corpo, come gli gnostici. Giuseppe, inoltre, altrove attribuisce le stesse concezioni ai farisei che, secondo altri testi, credevano che vi sarebbe stata una risurrezione dei morti.
Le antiche fonti sulla teologia essena non sono dunque concordi nel presentare il destino del corpo dopo la morte. Mentre Giuseppe afferma che essi credevano nell’immortalità dell’anima e nella dissoluzione del corpo, Ippolito di Roma (presbitero e forse vescovo), riguardo alla loro fede nel destino del corpo, scrive:
La dottrina della resurrezione trova anche dei sostenitori presso di loro, in quanto essi affermano che la carne risorgerà e sarà immortale, allo stesso modo in cui l’anima è già incorruttibile (Confutazione di tutte le eresie 9, 27)
Un altro dei testi qumranici, il Libro dei Giubilei così si esprime:
Allora il Signore salverà i suoi servi. Essi risorgeranno e vedranno una grande pace. Egli caccerà i loro nemici. I giusti vedranno e loderanno e saranno beati per sempre. Vedranno tutte le punizioni e le maledizioni sui loro nemici. Le loro ossa riposeranno nella terra e i loro spiriti accresceranno la loro felicità. Essi sapranno che il Signore è colui che esegue il giudizio ma mostra clemenza a centinaia e migliaia e a tutti coloro che lo amano (23, 30-3 1).
L’autore accenna alla risurrezione dei servi di Dio ma anche al fatto che le loro ossa riposano nella terra, mentre i loro spiriti sono felici.
Più di dieci anni fa è stata pubblicata la traduzione francese di una frase sulla risurrezione dei morti, tratta da un testo inedito di Qumran. Quest’ultimo però è stato pubblicato di recente e può confermare che almeno un autore di Qumran credeva che i corpi alla fine sarebbero risuscitati. Il testo (4Q521) parla del messia e poco oltre tratta di ciò che il Signore farà: ” … egli allora sanerà i feriti, e farà vivere i morti” (riga 12). Il verbo “farà vivere” non necessariamente va inteso nel senso di una risurrezione, ma forse questa è l’interpretazione richiesta dal contesto. Sulla base di 4Q521 è allora probabile che Ippolito avesse ragione su questo assioma della teologia essena e che Giuseppe esponga un’interpretazione della loro credenza che è una deduzione, aberrante ma comprensibile, tratta da alcune espressioni dei testi. È anche possibile che il modo di esprimersi di Giuseppe non neghi la fede degli esseni in una risurrezione fisica.
I testi rinvenuti nelle grotte di Qumran hanno accresciuto in modo imprevedibile le nostre conoscenze sull’ebraismo al tempo di Gesù e, particolarmente, all’epoca immediatamente anteriore e posteriore, sulla base di testimonianze originali autentiche che ci erano del tutto sconosciute.
Un accenno particolare a questo riguardo merita il Corpus degli Inni dei Salmi e delle preghiere Infatti Qumran non ci dimostra soltanto l’esistenza di una “Setta”, ma con questi scritti ci offre un panorama dell’ebraismo del tempo, tanto da poterci far concludere che la pietà religiosa giudaica di quel periodo è il fondamento su cui è attecchito il Cristianesimo.
L’eredità più evidente è la concezione della Comunità che loda Dio insieme agli Angeli e agli Arcangeli: basta pensare alla proclamazione del Sanctus: “Santo Santo Santo”, durante la celebrazione eucaristica della liturgia cattolica, da parte della comunità radunata con tutti gli angeli davanti al trono di Dio, raccolta in una lode espressa collettivamente. L’importanza di questi testi è una realtà che non può lasciarci indifferenti perché Gesù e i suoi primi discepoli sono cresciuti in essi; anche dalle lettere di Paolo emana il loro spirito. Quanto ad una diretta concreta conoscenza della comunità essena da parte di Gesù, non esiste nulla di storicamente certo. Di certo c’è l’humus religioso e culturale, meglio conosciuto attraverso gli scritti qumranici, presente nel tempo e nel luogo della vita storica di Gesù.
I testi delle preghiere e dei canti rivelano la prosecuzione vivente della lingua dei Salmi, dimostrando in tal modo che la lingua e il patrimonio spirituale sono stati sviluppati ed erano ancora vivi. Si tratta di preghiere collegate alla nostra storia. Almeno fino alla separazione del cristianesimo dall’ebraismo al termine dl 1° secolo dopo Cristo (e forse ancora molto dopo) la storia dell’ebraismo è anche la nostra storia, una parte della nostra identità.
Quanto questi testi siano vicini al canone, oltre che dal ritrovamento di testi cosiddetti “canonici” in quanto entrati a far parte sia del “canone” ebraico che di quello cristiano5, è dimostrato chiaramente dal fatto che tra essi è stata rinvenuta la versione originale ebraica dei Salmi 151, 154 e 155, che nella Chiesa Siriaca costituiscono gli ultimi cinque Salmi, fino ad ora conosciuti soltanto dal testo siriaco.
La panoramica tracciata è ben lontana dall’esaurire quanto si può dire sulle somiglianze e sulle differenze tra gli abitanti di Qumran ed i cristiani delle origini. Estremamente rimarchevole è riconoscere quanto profonde siano le radici del Cristianesimo primitivo sul suolo che le ha nutrite.
C’è un elemento di distinzione nell’itinerario che conduce all’epoca escatologica, perché i Cristiani hanno riconosciuto nel Gesù storico, figlio di una donna e di un artigiano di Nazaret, il Figlio di Dio, il Messia che ha insegnato, guarito, sofferto, è morto ed è risorto. Asceso al cielo, ha promesso che tornerà nella gloria per risuscitare i vivi e i morti e suo regno non avrà fine
Altre informazioni in:
stella.gif (3367 byte) “Le Scritture e l’epoca di Gesù – 3. Le Attese”
stella.gif (3367 byte) Un papiro rivoluzionario: 7Q5
1 Ci si chiede perché il termine esseno non ricorra mai negli scritti qumranici mentre lo si incontra in numerosi testi greci e latini col duplice significato di “pio” e “guaritore” o lo si riconosce nella forma particolare di una parola che significa “colui che fa/facitore” e sarebbe in tal caso l’abbreviazione del nome più ampio di “colui che fa la Torah”. Se quest’ultima spiegazioone è corretta, allora la parola esseno ricorre più volte nei testi di Qumran e perciò l’incertezza viene a cadere.
2 Come la Chiesa dei nostri giorni ha eliminato il latino dalla liturgia perché solo una minoranza dei fedeli era in grado di capirlo, così negli ultimi secoli avanti Cristo, nel servizio della Sinagoga, i passi della Scrittura letti in ebraico venivano tradotti subito in aramaico, la lingua parlata dalla maggior parte degli ebrei di Palestina. Queste versioni aramaiche venivano messe per iscritto e molte di esse sono sopravvissute. La datazione di queste traduzioni: i targumim (targum = traduzione), tendeva ad essere piuttosto tardiva in base ai manoscritti sopravvissuti, finché a Qumran non si sono riportati alla luce – con una datazione che non supera il primo secolo d.C. – i testi targumici di due libri biblici: Levitico e Giobbe. La scoperta è rilevante, anche perché permette di far risalire l’uso dei targum ad epoca pre-cristiana.
3 Attribuita alla volontà di Tolomeo II Filadelfo (283-246 a.C.), re greco d’Egitto, che richiamò in Egitto a proprie spese 72 ebrei competenti perché eseguissero questa traduzione che rendesse accessibile la Legge di Mosè ai frequentatori della grande Biblioteca di Alessandria.
4 Piuttosto che Determinismo, termine che nella storia del pensiero ha assunto una connotazione filosofica e si colloca anche in un contesto materialista e illuministico, nel critianesimo è più frequentemente usato il termine Predestinazione. Nel cristianesimo cattolico, tranne che per alcune correnti di pensiero evidenziatesi nel corso della storia, non esiste la predestinazione a livello dei singoli individui. Dio, fin dall’inizio dei tempi ha predestinato il suo spirito all’opera della salvezza, non i singoli uomini. È perciò chi accetta lo spirito di Dio e vive quindi in comunione con Cristo che si innesta nel piano di salvezza di Dio. In questo senso si può dunque dire che chi si apre ed accoglie lo spirito di Dio è un “predestinato”, ma è sempre e comunque una libera scelta di adesione al suo piano di salvezza. Di segno opposto, è la visione protestante di matrice calvinista.
5 I “Libri biblici”, seguendo l’ordine delle Bibbie Ebraiche, sono i seguenti: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re, Isaia, Geremia, Ezechiele, 12 Profeti, Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache.
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