FORUM

Stamattina, trovandomi a casa, ho acceso il televisore mentre si svolgeva la trasmissione <Forum>. Penso che molti di voi la conoscano. Due giudici, avvicendandosi, ascoltano le varie ragioni di due, o più persone, in lite giudiziaria, ed emanano il verdetto in tempo reale. Un verdetto che ha la stessa validità legale di quello risultante in un’aula di qualunque tribunale.

Ebbene, amici miei, a distanza di molte ore, provo ancora un’intensa amarezza e malinconia dopo aver assistito ad una di queste cause.

Si trattava di un fratello ed una sorella, non più giovanissimi, che altercavano sul destino di entrambi i genitori anziani e pensionati. Il primo – un artigiano con reddito di 1.200.000 lire mensili – viveva nella casa di loro proprietà, e se ne prendeva cura, da qualche anno; presumibilmente – benché egli lo negasse – avvantaggiandosi anche della duplice pensione di circa due milioni complessivi.

Tuttavia, adesso egli chiedeva al giudice che la sorella lo aiutasse nel compito; magari, venendo a casa dei genitori per due/tre ore al giorno. Egli, asseriva, non poteva più occuparsi degli stessi, in modo pieno, per un aumento progressivo del proprio lavoro.

Ciò che mi ha ferito – e adopero volutamente questo verbo – sono stati gli accaniti dinieghi e l’assoluta mancanza della minima buona volontà, da parte di quella sorella e figlia, a muovere un dito per dare una qualunque assistenza al proprio padre ed alla propria madre.

Adduceva, la donna, delle ragioni legate alle cure della propria famiglia di elezione; al fatto che il fratello fosse single, ed altro ancora.

Ma, non era ciò che colpiva. Era, piuttosto, il suo atteggiamento di base, il suo totale rifiuto, istintivo e protervo, che non solo mostrava la totale inesistenza di un suo benché minimo affetto verso i genitori, ma, addirittura, un fastidio a che i medesimi occupassero un proprio spazio nella vita comune e sociale.

In un crescendo di reciproche accuse, alla donna sfuggì il dettaglio che il fratello fosse stato sempre considerato il <cocco> di casa, mentre lei veniva messa in un cono di luce minore, da parte dei genitori.

Quindi, al rifiuto, alla mancanza di affetto, si aggiungeva anche un rancore di fondo, dal carattere oscuramente psicologico.

Emerse dal pubblico presente in sala, nel dibattito successivo alla prima parte dell’udienza, che, in verità, esistono dei genitori, i quali, sovente, hanno dei torti verso i loro figli; come, pure, venne conclamato che, comunque, il padre e la madre sono sempre il padre e la madre…

Le famose <palline> pro e contro l’uno o l’altro, pesate sulla bilancia, dettero ragione – tuttavia – in modo schiacciante al fratello. Anche se egli profittava dell’alloggio gratuito e, forse, della duplice pensione, è pur vero che assisteva i due genitori.

E la sentenza obbligò la donna a due ore di assistenza quotidiana (per l’articolo penale n°<…>) , diretta oppure indiretta, ai due.

Questi, i fatti nudi e crudi.

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Vorrei, cari amici, parlare un po’ con voi dei nostri genitori. E anche di noi, come tali.

E’ ovvio che nell’analisi di questi valori tradizionali non entreranno quei casi mostruosi e quei delitti di lesa innocenza, nei confronti di numerosi bimbi, che tutti ben conosciamo. No. Ci inoltreremo solo nell’amore <medio e naturale> che ogni padre ed ogni donna vive quotidianamente, pur nella consapevolezza dei propri difetti e delle proprie imperfezioni caratterologiche, a confronto dei suoi figli; e viceversa.

Il sentimento che si annoda, in profondità, nel concetto di <amor filiale, e amor paterno e materno> costituisce sicuramente un patrimonio genetico misterioso in tutti noi. Talmente ampio ed irresistibile che, per rappresentarci le motivazioni prime di quell’Ente Perfetto che chiamiamo Dio, gli riconosciamo la statura di Padre e Madre. La statura di Genitore; anche se con le altre qualità che Gli sono proprie.

Perché?

A mia considerazione, molte valide ragioni giustificano l’amore coinvolgente che proviamo – chi in maniera esplicita, chi implicita – verso i nostri genitori.

Il rapporto con essi inizia indiscutibilmente sul piano divino e spirituale. Per chi accetti la reincarnazione come legge di vita sarà facile immedesimarsi in quello stato spirituale precedente uno dei suoi numerosi ritorni in terra – questa attuale vita; lo stato in cui convergono diversi fattori di pura qualità cosmica. La Legge del Karma, unita a quella del Dharma, fa vivere intensamente all’anima, ancora sciolta dai legami di un corpo fisico, una profonda simpatia ed un irresistibile richiamo verso coloro con i quali ebbe intensi rapporti passati – e che stanno per costituire il suo veicolo unico d’entrata in una nuova <manifestazione> terrena. E non solo: ma stanno anche per offrirle quella possibilità preziosissima di seguire il progetto divino di una imminente classe di esperienze, nella scuola dei cicli planetari.

In ogni figlio e figlia – che lo vogliano, oppure no – la natura divina crea, sin dalla nascita, un legame metafisico che risale a ragioni radicate nel Cielo stesso.

Di fronte a questa Legge non esiste un rapporto sessuale fertile che possa venire considerato <accidentale>; non esiste risultato della più rapida delle <avventure> tra i due sessi che meriti di venire chiamata <casuale>.

I piccini che vedono la luce – siano essi la conseguenza di un cieco e rapido abbraccio tra una coppia che non si incontrerà più, oppure il frutto di un tenero, ulteriore legame sacro tra due dolcissimi amanti, che ispira anche Dio – ebbene, questi piccini costituiranno sempre e comunque la conclusione apparentemente autonoma di un lunghissimo e precedente processo, intessuto dalla Legge.

E l’uomo, di conseguenza, possiede – che egli sia uno spiritualista, oppure materialista – il senso innato di questi significati e di tanto passato, in sé. Non ne è consapevole, magari; non si rende conto che il trasporto che prova verso i suoi genitori è causato dal <mondo spirituale incombente> da cui egli deriva. Ma, già, il fattore di cui parliamo dona una nota di trascendenza al rapporto genitori-figli, dal punto di vista esoterico.

Perdonatemi se, continuando a scrivere, toccherò delle ovvietà esplicite e scontate. Tuttavia, sono convinto che esse continuino a conservare uno smalto vivido di preziose emozioni, che ha il potere di rapire l’animo di ogni individuo ricco di principi e di umanità.

Quante e quante volte la mamma ha cambiato il pannolino al suo cucciolo indifeso, e gli ha lavato con tanto amore il culetto? E quante volte gli ha offerto il seno? E quante volte lo ha vestito, e gli ha dato la pappa…E poi, con il padre, lo ha visto crescere? Ed il padre se lo è tenuto sulle ginocchia, e lo ha abbracciato, con il cuore che gli si scioglieva in petto, e lo ha riempito di baci? E gli ha dato le sagge e pacate soluzioni ai primi problemi della vita?

E, poi, il cucciolo è cresciuto. Ma, sempre, nella sicurezza dei due genitori<guardiani> e<guide>.

Certo, i problemi della vita li hanno sovente resi nervosi; a volte, ingiusti e bruschi, nei riguardi della petulanza dei loro bambini….Ma, suvvia, questi sono peccati veniali, che qualunque buon senso riesce a perdonare!

Il cucciolo diviene adulto; e di una cosa si può stare certi: che egli deve tutta la sua crescita, la sua formazione, la sua autonomia alle cure dei genitori. Nessuno potrà mai dire il contrario.

Per quanto errata, a volte morbosa, l’educazione offerta possa – sovente – dimostrarsi, il peso, prolungato nel tempo, dell’affetto e della protezione donati, d’altro canto si dimostra, alla fine, sempre vincente, da parte di ogni genitore.

Eppure, assistiamo, a questo punto, a battibecchi simili a quelli di Forum, con i quali ho iniziato l’articolo.

Vorrei, di conseguenza, riportare una breve storia. Essa è rivolta a quei figli che dimenticano il rispetto e la gratitudine da portarsi ai propri genitori; un rispetto ed una gratitudine, evidentemente, che non vogliono essere dei muffi atteggiamenti esteriori, né le formalità vuote e prive di caldi contenuti spirituali, che vediamo in molti ambienti.

“..Esisteva una famiglia patriarcale in una masseria antica, al centro di ettari di terra coltivata e di bestiame. Oramai, il fondatore sopravvissuto – il nonno – aveva lasciato, da anni, ogni incombenza al suo unico figlio; anche perché era invecchiato, consunto dalla fatica e dagli inverni gelidi di lavoro.

La famiglia era composta da quattro persone: il nonno, il figlio maggiore, la nuora ed un nipotino di cinque anni.

Quando essa si riuniva per il pranzo e per la cena, nella grande cucina della masseria, un posto, distante dalla tavola, era riservato al nonno. Il vecchio, a cui tremavano le mani e che perdeva, spesso, il cibo dalla bocca, stava sempre semi sdraiato su di un divanetto di canne sdrucite, all’angolo della cucina. E lì mangiava, infilando il cucchiaio tremolante nella medesima ciotola di terracotta.

Un giorno, la ciotola gli cadde dalle mani rugose e stanche, e, finendo a terra, si ruppe in due o tre pezzi.

Allora, rapido come una lucertola, il nipotino di 5 anni si alzò da tavola, e corse a raccogliere quei pezzi di terracotta, ancora umidi di cibo.

<Cosa fai, con quella roba in mano! Dai, lascia stare.. che ti puoi ferire!..> – gridò il padre al bimbo, inginocchiato in terra.

<Non ti preoccupare, papà… Sto raccogliendo questi cocci per incollarli tutti assieme. Così, li conserverò per te, quando sarai vecchio!>

Continua la storia, dicendo che da quel giorno fu dato il posto a capotavola al vecchio nonno, sino alla fine dei suoi giorni…

Sono stato melodrammatico? Francamente, non lo credo. Sono del tutto consapevole che concreti problemi esistenziali, giorno dopo giorno, ostacolano quanto vorremmo donare di noi stessi ai nostri vecchi genitori; oppure, quando siamo più giovani, che il corso <urticante> dei nostri interessi e del carattere che possediamo ostacoli, spesso, dei cenni di affetto e di gentilezza verso chi ci ha fatto nascere; ed anzi ci spinga a riferirci ad essi con nervosismi, con rozzezza e con piccoli, o grandi egoismi.

Basterà, allora, di tanto in tanto, ricordarci <dei cocci della ciotola>……

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