CENTRALITÀ DELL’UOMO: STUDIO ANTROPOLOGICO

CENTRALITÀ DELL’UOMO: STUDIO ANTROPOLOGICO

Pietro F. Bayeli

Origine dell’uomo

Quanto cammino ha fatto l’uomo!

Secondo l’ipotesi evoluzionistica di Charles Darwin: dalla scimmia all’homo erectus, su di un percorso mutazionale di varianti genetiche ed ambientali. Addirittura, secondo la teoria darwiniana dell’ “Origine Comune delle Specie”, l’uomo quale essere organico proviene da elementi organici primitivi cellulari nati (come, quando e perché?) e vissuti millenni fa nella profondità delle acque dalle cui moltiplicazioni e mutazioni genetico-ambientali sono derivati tutti gli esseri viventi, tra questi gli animali e tra questi l’essere umano. Questo essere organico subisce modifiche nella mente e nel corpo, nella psiche e nel soma, sia congenite che acquisite, sia genetiche che ambientali. Eredità genetica, selezione ambientale creano piccoli cambiamenti strutturali che lentamente lievitano e si evolvono nel tempo, si confermano e si perpetuano nella prole. L’ipotesi dell’origine e dell’evoluzione dalla scimmia trova una sua indiretta conferma proprio nella curiosità dell’uomo che, al pari delle scimmie, tutto vuole conoscere, ma al di sopra delle scimmie tutto vuole sapere, comprendere, capire, elaborare.

Le componenti umane della persona

Bene, questo uomo non può, in primis, che occuparsi di se stesso e quand’anche rivolga la propria attenzione alla terra, al mare, al cielo, alle stelle, all’universo intero, lo fa in ragione della propria persona, della propria centralità. È un egocentrismo innegabile, naturale, spontaneo: sia in una visione centripeta di attrazione, di richiamo al proprio IO, di incombenza dell’Ambiente, del Mondo, del Creato, visti come scenari che ci circondano, che esistono perché noi esistiamo; sia in una visione centrifuga di astrazione, di identificazione del proprio IO, dispiegato nella Natura, nella trascendenza di un Universo Infinito. Secondo uno schema antropo-filosofico e di semplificazione didattica l’Uomo è un animale, un individuo, una persona e come tale ha istinto (natura), sentimento (umanità) e razionalità (cultura). Queste categorie si esprimono in bisogni fisiologici, nell’istinto dell’autoconservazione, negli affetti, nei sentimenti, nei pensieri e nelle idee, tutte fra loro strettamente concatenate nel medesimo soggetto. L’uomo nella sua centralità è costituito dalla sua mente, dalla sua spiritualità, dalle sue sensazioni. Tutto ciò è rapportabile al suo cervello, al suo cuore ed ai recettori sensoriali interni ed esterni del suo corpo. Questa combinazione di componenti mentali, spirituali, vegetativi, porta l’uomo ad un continuo, costante, inarrestabile confronto con se stesso, con i propri simili, con la natura, col mondo intero, con il cosmo. La parte razionale e laica è quella empirica delle scoperte, delle invenzioni, delle evoluzioni sociali e politiche, è quella che ad oggi ha fatto percorrere all’umanità il sentiero dalla pietra all’elettronica, dalle caverne ai grattacieli, dalla mortalità precoce alla longevità, dalla legge della clava e del più forte alle attuali imperfette leggi democratiche.

Anche spiritualità, sentimenti e fede virtualmente locati nel cuore, hanno avuto un parziale percorso evolutivo: alla istintiva reazione ferina di odio-amore prevale oggi, purtroppo non sempre, una pacata riflessione, un logico e anche cinico freno, una pragmatica attenuazione del comportamento passionale, d’istinto. Invariate nel tempo le sensazioni di benessere e di salute che risultano essere sempr simili e comuni nella soddisfazione dei sensi, dei desideri e dei

bisogni corporei e viscerali, dei rapporti sessuali. Queste tre parti antropocentriche sono inscindibili, proprie di ciascun essere umano. Interattive, intercambiabili nel senso di una prevalenza ora della mente, ora dei sentimenti, ora della visceralità. Nel novero delle prime due, razionalità e fede, logica e passione, l’uomo ha sviluppato nel tempo costruzioni pragmatiche, empiriche, confrontabili e verificabili, ma anche ideologie metafisiche, trascendentali, di cui ha ugualmente

necessità e bisogno, seppure mai verificabili e tanto meno scientificamente riproducibili.

Sentimenti e razionalità: fede e ragione

Un dato storico del mondo anglosassone esemplifica molto bene le differenze e gli intrecci tra razionalità e passione, tra mente e spirito.

In Inghilterra fino al 1600 le passioni ideologico-religiose avevano funestato il paese con lotte fanatiche e ferali rivoluzioni. I pragmatici inglesi, resisi conto degli effetti sanguinosi e dell’inconcludenza di tali contrasti, decisero di passare dal fondamentalismo ideologico e passionale al raziocinio, alla ragionevolezza.

Emerse così l’utilitarismo,

il tornaconto economico, il calcolo di massimizzare il vantaggio (i benefici) riducendo ai minimi termini il danno (i costi). Il lato sentimentale, amoroso, fideistico esiste comunque in ogni uomo e quindi anche negli inglesi i quali pur avendo e mantenendo sentimenti e passioni, quando vi riflettono sopra culturalmente lo fanno in termini freddi, forse cinici, certo razionali, danno cioè prevalenza alla ragione sul sentimento, al calcolo, egoistico ma del tutto naturale, dei costi e dei benefici. Questo è il metro di vita che filosoficamente viene assunto e privilegiato. Su questi principi utilitaristici vengono considerati e modulati ad esempio sia l’amicizia che il matrimonio: l’una intesa quale reciproco vantaggio di aiuto e di conforto, l’altro propedeutico alla costruzione di un nucleo, di una famiglia, nel ristretto ma comune interesse di un futuro. I latini prediligono invece l’aspetto sentimentale, passionale sia dell’amicizia che del matrimonio: l’amicizia nata e contemplata per una reciproca simpatia, il matrimonio a conclusione di una passione amorosa. Il latino è individuale, soggettivo, singolo, si amalgama difficilmente con altri, tiene molto alla propria esclusività, tutto ciò è geneticamente inverso nell’anglosassone dove lo spirito di comunità, giustamente opportunistico, prevale nettamente. Naturalmente, come tutto in Natura, esistono numerose sfumature sino al paradosso di un inglese sentimentale, soggettivo e di un latino raziocinante, socializzante. Ma gli stereotipi sopra indicati rappresentano tuttavia la maggioranza, il luogo comune. Vi sono dei limiti alla razionalità umana, la quale per conoscere e sapere ha sempre bisogno di porre in relazione ciò che è noto con ciò che è ignoto, ciò che è finito con ciò che è infinito. È così che si entra nel mistero della conoscenza dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande. Quando poi la ragione risulta inadeguata a placare le angosce metafisiche come ad esempio il terrore dell’ignoto, il mistero dell’infinito temporo-spaziale, ci rivolgiamo ai trascendentali sentimenti di fede religiosa che ci riparano dalle nostre paure, dalle sensazioni di vuoto, di incompletezza, di timore, che ci pongono in una bolla protettiva, quasi un ventre materno. Quindi poiché è impossibile appurare per via empirica se l’universo è finito oppure infinito, sia come spazio che come tempo, allora subentra l’anima, il sentimento, la spiritualità. Allora al finito, logico, reale, matematicamente misurabile, filosoficamente concepibile, cosmologicamente conoscibile, si contrappone con meccanismi mentali astratti, con intima richiesta di trascendentale fede, un infinito, eterno, assoluto, perfetto, che per lo più si identifica con l’essenza religiosa. È una esigenza connaturata all’uomo indagare razionalmente le ragioni dell’essere, dell’infinito e rimanerne immancabilmente insoddisfatto. Da qui la necessità di costruire teologicamente una figura possente e paterna, infinita e luminosa, splendente  nella sua perfezione di amore, di giustizia, di bontà, quale faro di fede, speranza e carità (le tre virtù teologali). Dio esprime tutto quello che l’uomo vorrebbe essere, ma non è. Semplicistico, ingenuo, incompleto e rozzo è lo studio sulla complessità dell’uomo fatto di carne e di spirito, cioè del suo intimo corporeo, vegetativo, della sua spiritualità sentimentale, della sua lucida razionalità. Questa grossolana suddivisione con i suoi intrecci complessi e complicati si manifesta durante la vita dell’uomo con mille e più sfumature, molte delle quali sfuggenti, addirittura ignote. Gli aspetti corporali, apparentemente più semplici perché concreti e materializzabili, si manifestano negli organi di senso (tatto, udito, gusto, olfatto, vista), nelle funzioni della veglia, del sonno, dell’autoconservazione, della procreazione, nelle manifestazioni viscerali della fame, dell’alimentazione, della digestione, dell’assorbimento dei nutrienti, della evacuazione delle scorie. Tutte funzioni inavvertite, dimenticate in condizioni di normalità fisiologica; percepite in carenza, in alterazione o in assenza come grave danno patologico in corso di malattia.

L’intreccio delle componenti umane

Se questa è una fugace visione della complessità delle funzioni vegetative dell’uomo, si può immaginare quale ulteriore e più sofisticato intreccio può esservi in campo sentimentale e razionale. Le funzioni corporali non solo sono interdipendenti tra loro, ma influenzano significativamente sia la sfera sentimentale che psichica. Viceversa la sfera psichica ha gioco sulla fisiopatologia del nostro corpo come sulla sfera del sentimento, dell’anima. Quest’ultima, con la sua passione, esercita la propria influenza sia sulla ragione che sul corpo. La letteratura medico-scientifica ha coniato l’anglofono “Brain-Gut-Axis” evoluzione attuale del classico latinismo “Area Psico-Somatica o Somato-Psichica” indicante un collegamento morfologico e funzionale tra le varie parti del corpo umano tramite nervi afferenti sensibili, efferenti motori, collegati da neurotrasmettitori sinaptici come adrenalina, acetilcolina, dopamina e molti altri ancora meno noti ed ignoti che contribuiscono a formare una complessa rete di collegamento: una vera e propria ragnatela. Ogni uomo ha sufficientemente chiaro il principio della propria identità, un misto di consapevolezza razionale, sentimentale e fisica, che si estrinseca nella considerazione della propria persona, ma che progressivamente si espande alla famiglia, agli amici, al paese, alla città, alla provincia, alla regione, allo stato, al continente, al complesso di una cultura occidentale od orientale.

Il prevalere nel tempo delle diverse componenti umane

Anche i tratti dell’arco vitale dell’uomo esaltano ora gli aspetti psichici, ora sentimentali, ora le funzioni corporee. Così nell’età giovanile prevalgono i sentimenti, le passioni, l’irruenza dell’amore o dell’odio, la vita viene vissuta in bianco o nero, senza sfumature, il grigio è inesistente, gli angoli sono acuti, netti, non certo arrotondati né tantomeno sfumati. In età matura di solito prevale la ragione, la responsabilità, la logica, la sensibilità. Tutto ciò condito dalle caratteristiche biologiche (genetiche) personali di bontà o cattiveria, di altruismo o egoismo, di socialità o di intimismo con sfumature le più varie, le più impensabili. L’età avanzata (senectute) evidenzia invece la fase corporea della vita: l’uomo è attento alle proprie funzioni corporali dalle quali trae il maggior senso di benessere. Come ciò sia vero e rappresenti un quadro importante di questa parte declinante e terminale della vita è dato anche dal prevalere proprio degli anziani nel contesto della popolazione sanitaria. Quanto siano importanti le funzioni del cuore o del tubo digerente, o altro organo o apparato sul benessere dell’anziano, altrettanto risultano trascurabili, salvo casi patologici, nell’età giovanile, dove dominano sentimenti e passioni, oppure in età matura quando, senza interferenze negative, mente, anima e corpo raggiungono, forse, il migliore equilibrio possibile.

Equilibrio, parola essenziale, sostanziale nella vita dell’uomo che riprenderemo in un saggio socio-politico della centralità dell’uomo

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