300 ANNI DI MASSONERIA: QUALE FUTURO?

300 anni di massoneria: quale futuro?

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GIOVANNI  GRECO

Ci ha insegnato ad ampliare ogni giorno lo spazio della nostra immaginazione.

Ci ha insegnato che quando l’allievo è pronto, il maestro appare.

Ci ha insegnato che la nostra ambizione non è tanto quella di seminare, e forse nemmeno di raccogliere, ma quella di smuoverela terra.

Ci ha insegnato che bisogna basarci sulle sottigliezze della mente, e soprattutto sulle intuizioni del cuore.

Ci ha insegnato a sentire l’angustia del tempio quando si rinchiude in se stesso.

Ci ha insegnato a saper riconoscere l’altrui virtù come parte cospicua  della nostra felicità personale.

Ci ha insegnato che basta con l’essere prigionieri di metafore antiche e dell’utilizzo di un linguaggio nobile, che ci fa compiacere e ci illude di essere nobili noi stessi. Meno nobile dialettica e più correttezza intellettuale.

Ci ha insegnato che la vita va usata, e usata bene, sino in fondo e non trattata come un’inutile suppellettile sul comò del niente.

Dall’operato della nostra istituzione, dall’azione di noi tutti, dipende il nostro futuro, se non vogliamo morire di vecchiaia, dobbiamo pensare, come continuamente facciamo, che cosa stiamo costruendo, che cosa stiamo diventando, che cosa vogliamo essere.

Oggi noi siamo aperti agli altri, persino quando gli altri non sono aperti verso di noi. Questo però non vuol dire che la nostra porta debba diventare più stretta, magari inaccessibile e misteriosa, ma basta con massoni svuotati di fede e di stimoli, basta con i massoni a mezzo servizio.

Aleggia sempre la vexata quaestio: è meglio una massoneria elitaria, con pochi fratelli veramente affidabili, oppure una massoneria popolare con non pochi fratelli distratti o indifferenti? E poi vi è la strada che stiamo perseguendo, certo una strada da perfezionare e costantemente in costruzione, quella di una massoneria per tanti sperabilmente affidabili e appassionati. Questo però presuppone una valutazione, un reclutamento piuttosto differente da quello odierno, a volte da taluni praticato, con la necessità di una selezione e di una formazione più accurata e di più alto profilo, per coltivare al meglio l’enorme capitale umano che abbiamo.

Ora a volte certe manifestazioni, certi discorsi, mi fanno tornare alla mente le contorsioni dialettiche di antichi retori sul marzapane, alla stessa stregua di certi ghirigori che mi ricordano i trenini che un tempo si facevano alle feste, che magari erano allegri e spumeggianti, ma che non andavano mai da nessuna parte. Come diceva Einstein la mente è come un paracadute, funziona se si apre.

Attualmente il Goi è per una massoneria inclusiva, ferma e duttile insieme, che conquista i fratelli per attrazione e per persuasione, con la capacità di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili. Credo che mai come oggi vi siano le idee, gli uomini, i mezzi per determinare al meglio una via massonica italiana davanti al consesso internazionale. Arroccarsi su posizioni dogmatiche, come se si avessero tutte le risposte, questo significherebbe rischio di morte, significherebbe rendere immobile la vita intellettuale, significherebbe non lasciare spazio al futuro.

A maggior ragione che abbiamo in dote sempre più giovani apprendisti, e questo è molto importante perché accanto a quello che noi possiamo fare per loro, c’è tutto quello che loro possono fare per noi.

Mai come in questa fase, abbiamo bisogno di comprensione e di amore, fratelli che sappiano cambiare se stessi e contribuire al cambiamento più generale, ponendo sempre al centro di tutto, l’individuo, la persona, cioè un miracolo vivente. Pure per questo non ci possiamo permettere di sbagliare, nelle piccole come nelle grandi cose per realizzare la nostra “grande bellezza”.

Non casualmente Jep Gambardella così conclude “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino:

“Finisce sempre così con la morte,

prima però c’è stata la vita,

nascosta sotto il bla bla bla bla,

è tutto sedimentato,

il silenzio e il sentimento,

l’emozione e la paura,

gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza,

e poi lo squallore disgraziato

e l’uomo miserabile

sotto il chiacchiericcio e il rumore,

tutto sepolto nella coperta

dell’imbarazzo dello stare al mondo”.

Ricordiamoci che è soprattutto quando il giorno è più buio della notte, che ognuno di noi deve saper brillare di più superando le nostre stesse consapevolezze. Perciò siamo massoni perché dobbiamo sempre più avere la capacità di saper connettere i tre tempi, passato, presente e futuro, in una trama unitaria, perché la nostra missione è quella di perfezionareogni giorno il modo di vivere in massoneria per alimentare al meglio la costruzione del nostro spazio comune.

Certo è che la nostra istituzione ha uno zoccolo duro, di persone serie e appassionate, che non si fanno prendere in giro, e noi tutti lavoriamo per questo zoccolo duro per renderlo sempre più grande e acuminato. Si sta costruendo un’alba nuova, intensa e profonda, e questa è la luce che filtra attraverso la frattura delle antiche certezze.

Stiamo attuando una sfida della modernità, perché ne va del nostro futuro, perché dobbiamo saper immaginare ciò che il mondo diventerà, magari con un sorriso sincero sul volto. “Sorridi”, esortava Jim Morrison, “anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un uomo triste, c’è solo la tristezza di non saper sorridere”.

Come ha suggerito di recente Gabriele Duma, ricordiamoci un passo dalla ”Tempesta” di Shakespeare: ”Sii sereno. Il nostro spettacolo è finito. Questi nostri attori si sono dissolti nell’aria sottile. Tutto svanirà senza lasciare traccia. Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni. Perdonate la mia debolezza. La mia vecchia mente è agitata. Ora farò qualche passo in giro per calmare questa testa che batte”.

LA TESTA BATTE SEMPRE DOVE IL MASSONE DUOLE!

Ciclicamente non mancano persone che cercano di ghettizzarci e di perseguitarci, che vorrebbero tenerci con una fascia al braccio e che non vedono l’ora di farci un occhio nero, propense ad una schedatura di massa, persone a cui non si attribuisce l’obbligo di ragionare (quello è facoltativo). Del resto, come diceva Marcello Marchesi, è un classico plurisecolare del parlamento italiano l’assioma “chi non muore si risiede”. Quel che è certo è che ogni giorno ciascuno di noi tesse e disfa la tela della sua dignità e noi dobbiamo essere il cambiamento che desideriamo immaginare.

HIRAM 2/2017

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