DA QUAL PULPITO

DA QUAL PULPITO

di Claudio Saporetti

Da gran tempo la Chiesa cattolica ha imposto ai suoi “fedeli” la proibizione di tutti i mezzi utilizzati per la limitazione della concezione: dai profilattici alle spirali, alle pillole, al coitus

interruptus. Stranamente, e permesso il metodo (spesso fallace) detto Ogino-Knaus, come se il “peccato” fosse l’uso di mezzi artificiali (ma il coitus interruptus non lo e) e non, appunto, l’impedire la procreazione. Dal che il permesso di utilizzare il metodo Ogino-Knaus si rivela come autentica ipocrisia.

Su cosa si basa questa proibizione? Credo fondamentalmente su quel passo della Bibbia in cui si parla di un certo Onan (da cui il termine “onanismo”) che impediva la nascita di un figlio usando il coitus interruptus. Dato che Onan “spargeva a terra” (evidentemente il proprio seme), “spiacque forte al Signore tale operare, e lo fece morire”.

Detto cosi, come e stato qui riportato, non ci sarebbero dubbi: Dio ha punito Onan perché impediva la procreazione. Dal che, ecco l’accanimento della Chiesa su questo e tutti gli altr isistemi, utilizzati da sempre dall’umanità per non procreare. E non solo: poiché anche la masturbazione si rivela un atto che provoca la fuoruscita del seme senza lo scopo di procreare, ecco gli strali della Chiesa appuntarsi anche contro questa pratica.

Stupisce che la Chiesa abbia ignorato (o abbia finto di ignorare) il vero motivo della punizione di Dio, che la Bibbia stessa rivela senza tanti giri di parole, tant’e vero che molti esegeti lo scrivono espressamente.

La situazione di Onan, infatti, non era semplicemente quella normale e banale di un uomo qualsiasi che nell’ambito del suo matrimonio non voleva avere figli. Si trattava di tutt’altro: cioè di una situazione particolarissima che ha indotto Onan a peccare, si, ma con ben altri peccati.  Per chiarire meglio questa situazione, sono necessarie due

fondamentali premesse.

1. Anche se permane ancora oggi, in tanti di noi, il desiderio di avere figli e l’orgoglio di padri e di madri che li hanno generati, e stata la mentalità antica ad aver enormemente ingrandito, direi espanso, questo sentimento: l’avere figli era, per l’uomo antico (per l’uomo semita antico in particolare) un’autentica ossessione. E per varie ragioni.

– C’era, certamente, il vantaggio di un casalingo proletariato: la famiglia (talvolta più clan che famiglia) aveva bisogno di forza lavoro per mandare avanti la casa, o magari il fazzoletto di terra, quando non era una vera e propria fattoria (anche fortificata, come il dunnu mesopotamico). Si aggiunga la costante necessita di dare figli alla patria, che aveva sempre bisogno di soldati per le sue operazioni di difesa e di offesa

– Specie nel mondo mesopotamico, il figlio era anche una garanzia post-mortem. Dato che la poco piacevole vita nel mondo dell’aldilà poteva essere in qualche modo addolcita grazie all’intervento degli dei, erano necessari dei costanti sacrifici di cibarie che solo i figli potevano compiere in favore del padre. Il loro atto serviva poi come esempio perché, a loro volta, i figli dei figli facessero altrettanto.

– Ma soprattutto il compito dei figli era quello di continuare una ininterrotta “catena di vita”. Il figlio era la continuazione del padre, perché creato con il suo seme. Ed ugualmente i nipoti e i pronipoti continuavano ad esserne l’essenza. In tal modo, se la catena non si interrompeva, l’uomo non solo era il prosecutore della vita degli antenati, ma a sua volta aveva garantita una specie di “eternità”. Per questo in certi luoghi potrebbe capitare, anche oggi, di trovare persone che attestano di avere centinaia d’anni, semplicemente perché assommano ai propri anni quelli dei figli e dei nipoti.

Da ciò derivano tanti episodi sconcertanti che non sempre riusciamo a recepire nel giusto senso. Dato che le donne erano, il più delle volte, delle semplici esecutrici ed il loro dovere era quello di fornire ai mariti queste garanzie di “eternità”, quali erano appunto i figli, ecco la disperazione delle madri che non riuscivano a concepire, a cominciare da Sara, la moglie di Abramo, che per non essere ripudiata (si pensi all’episodio, si può dire quasi dell’altro ieri, di Soraya), ha fatto quello che era uso a quei tempi: ha dato al marito una schiava perché

figliasse in sua vece. Questa dei figli era una vera e propria ossessione: ci sono contratti di matrimonio in cui e prevista, appunto, la cessione di una schiava, oppure un secondo matrimonio, in caso di sterilità della moglie. In letteratura e presente addirittura un bellissimo poemetto su questo problema: la storia di Etana.

Per chi, invece, moriva senza figli era stato escogitato un semplice sistema: il levirato, in uso sia nel mondo mesopotamico, sia in quello ebraico. Si trattava di fare sposare la vedova ad un fratello del defunto. I figli nati dalla moglie “regolare” sarebbero stati, ovviamente, figli a tutti gli effetti del loro padre naturale, ma quelli nati dal rapporto con la vedova del fratello sarebbero stati considerati figli del fratello.

In tal modo anche lui poteva avere la propria “immortalità”.

Persino le leggi assire ne parlano.

Tale era la situazione di Onan, e questa dobbiamo considerare, non altro. Dice infatti la Bibbia: “Disse Giuda [= il pater familias] a (suo figlio) Onan: ‘Entra dalla donna di tuo fratello, e sposala quale cognato per dar prole a tuo fratello’. Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata per lui, quando si univa alla moglie di suo fratello

guastava tutto, spargendo a terra per non dar prole a suo fratello. Spiacque forte al Signore tale operare, e lo fece morire”.

Con queste premesse e la lettura del brano biblico completo, le cose si presentano totalmente diverse da quanto si poteva pensare: il vero peccato di Onan non era tanto il fatto in sé: fatti suoi, non peccati. Il vero peccato era invece quello di avere evitato di dare figli al fratello; cioè, in altre parole, avrebbe negato al fratello l’“eternità”!

2. Ed ora, come sempre (ma la Chiesa non l’ha fatto) le motivazioni, dato che sono appunto le motivazioni il motore principale che ci fa agire in un senso o nell’altro, che giustifica oppure aggrava l’operato.

Perché dunque Onan ha impedito al fratello di avere la sua eternità? Cosa gli ha fatto commettere l’orrendo peccato? Qui bisogna fare un breve excursus sulle leggi dell’eredità, che credo di avere contribuito, a suo tempo, a chiarire definitivamente.

Fino ad un certo periodo quasi recente, si sapeva solo che anticamente spettavano al primogenito due parti del cespite paterno. Dunque, si pensava che il patrimonio fosse suddiviso in tre parti: 2 al primogenito, appunto, e l’altra rimanente a disposizione dei cadetti, indipendentemente dal loro numero.

Invece non era cosi: le leggi assire ed altri testi hanno chiarito quale fosse la procedura. Si contava, anzitutto, quanti fossero tutti i fratelli. Dopo di che si divideva il patrimonio in tante parti quanti fossero gli eredi, più una. Cioè, per fare un esempio: se gli eredi fossero stati cinque, si sarebbe diviso per sei; se fossero stati in tre, si sarebbe diviso per quattro, e così via con questo sistema.

Fatto questo, si davano due parti (ecco in che cosa consistevano

queste due parti!) al primogenito, ed una parte a ciascuno degli altri. Ognuno sceglieva la parte sua.

E’ interessante notare che il turno della scelta era in base all’età:

prima il più anziano, poi via via tutti gli altri. Ma chi faceva le parti? Le faceva il minore d’età perché, essendo l’ultimo a scegliere, era sicuro che a lui sarebbe toccata quella più squallida, ed allora aveva tutto l’interesse a fare le parti il più possibile uguali.

Detto questo, veniamo a Onan, con una premessa: Onan aveva un fratello maggiore (il defunto, Er) ed uno minore (Sela). Cosi la situazione era questa: visto che il primogenito era morto, sarebbe diventato Onan l’erede principale, ed il cespite paterno sarebbe stato suo e di Sela. Quindi sarebbe stato diviso in due parti + una = 3. Ad Onan, “nuovo primogenito”, sarebbero toccate due parti, a Sela una. Dunque, Onan avrebbe preso 2/3 del patrimonio.

Ma ora? Se avesse fatto partorire alla cognata un figlio (nato da lui ma non suo), questo figlio sarebbe risultato come figlio del fratello defunto, e ne avrebbe di conseguenza ereditato i diritti. La situazione sarebbe allora risultata diversa: essendo ora tre gli eredi, il patrimonio sarebbe stato diviso in quattro parti. Di queste, 2 sarebbero toccate al figlio di Onan che pero era considerato figlio del primogenito defunto, una ad Onan e l’altra a Sela. In altri termini, invece di godere di 2/3 delpatrimonio, Onan ne avrebbe usufruito di un solo quarto.

Facile allora capire la motivazione dell’orrendo peccato: come sempre i soldi, la proprietà, i “beni”; ecco, dunque, un altro peccato ancora, la cupidigia, che si aggiungeva al primo.

Mi pare che anche i bambini siano a questo punto in grado di capire che il peccato di Onan non era, mi si perdoni il gioco di parole, l’onanismo. Non era il fatto di non voler concepire, che tra l’altro si sarebbe rivelato, secondo la mentalità di allora, un assurdo ed inconcepibile masochismo; no, era ben altro: era l’aver negato il proseguimento della “vita” ad un fratello, peccato ulteriormente aggravato dalla squallida motivazione. Mi consola il fatto che tanti “fedeli” ignorano questa disposizione della Chiesa. Tuttavia da cattolici, pur ignorandola, non possono certo del tutto dimenticare che stanno violando un preciso precetto con un atteggiamento ed un’azione che poi dovrebbe essere lavata con una confessione, ma cosi forse risulterebbe solo una mera dimostrazione di ipocrisia.

Dunque, questo precetto della Chiesa nasce da un preciso fraintendimento di un passo della Bibbia che voleva dire tutt’altro. Non penso dunque che sia necessario confessare un peccato che non c’è. Credo piuttosto a quelli che sono ligi ai precetti della Chiesa,

e quindi hanno obbedito per anni evitando ogni forma di antifecondativi, oppure oberati e torturati da un rimorso che non avrebbero mai dovuto avere: quello di non aver potuto o voluto impedire la fuoriuscita di uno sperma dietro un impellente bisogno dovuto alla prorompente necessita della natura. In sintesi, e mia opinione quindi che da un pulpito non precisamente immacolato sia venuta per anni una predica fasulla.

DALLA RIVISTA “HIRAM ” DEL 2/2020

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