IL “FRATELLO” COLLODI

IL “FRATELLO” COLLODI:

FRA INDIZI E PROVE CONTROVERSE DELLA SUA AFFILIAZIONE

L’appartenenza di Carlo Collodi, ovvero Carlo Lorenzini all’anagrafe, è stata a lungo dibattuta ed ancor oggi assistendo ad alcuni convegni non si fa alcun riferimento alla sua, probabilissima e ragionevole, affiliazione all’Istituzione Massonica, per questo motivo ho deciso di scrivere, nella nostra prestigiosa rivista di studi storici, questa breve nota riguardo alle fonti storiche che possano, se non estinguere ogni tipo dubbio, almeno compendiare e mettere ordine su questa dibattuta questione. Gettare un po’ di luce su una figura di così primaria importanza per la nostra cultura nazionale è doveroso per chi si occupa, come me, di far conoscere il peso della tra[1]dizione libero muratoria sullo sviluppo della migliore cultura occidentale. Collodi, attraverso la sua opera più nota, è stato di fatto per lungo tempo la guida nella crescita infantile di numerose generazioni: il percorso educativo scolastico italiano partendo da Pinocchio, per poi passare a De Amicis con il libro per ragazzi Cuore, a Manzoni ed infine al capolavoro dantesco, istruiva i giovani e li conduceva a formare quella stabile base valoriale utile a costruirsi un’esistenza solida, istruzione peraltro apprezzata in ogni angolo del globo. Quindi, sebbene il significato simbolico della favola del burattino sia universalmente riconosciuto e più volte accostato proprio alla tradizione massonica che sembra essere addirittura ricalcata nelle vicende e nei personaggi della fiaba, ritengo fondamentale almeno insinuare che tale risultato sia stato ottenuto proprio in virtù della personale esperienza massonica dell’autore che altrimenti, con molta probabilità, non avrebbe potuto trasporre, così fedelmente, nella sua opera il metodo iniziatico della tradizione libero muratoria. Metodo che tramite tappe successive di conoscenza, consapevolezza e comprensione di sé conduce a livelli di perfezionamento via via crescenti. Proprio come accade al burattino che attraverso le numerose esperienze vissute (al pari dei viaggi iniziatici rituali) riesce a realizzare il suo sogno di divenire un bambino in carne ed ossa, quindi a passare idealmente ad una condizione superiore, quella umana… Basti per questo citare l’episodio al Gambero Rosso (cap.19, pag.79 dell’edizione del 1883) quando Pinocchio: “si trovò svegliato all’improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di camera. Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era sonata.” Venendo adesso alle fonti storiche che, a mio modesto parere, possono in qualche modo ragionevolmente far propendere verso un’affiliazione massonica del Collodi, vorrei cominciare riportando quanto affermato da Paolo Lorenzini, conosciuto come Collodi Nipote ed autore del notissimo Sussi e Biribissi. Storia di un viaggio al centro della terra, nel suo libro Collodi e Pinocchio (Firenze, Salani, 1954) che “riporta un dialogo tra lo zio e la madre di lui, a cui era giunta notizia che il figlio era massone e miscredente” e Collodi allora dichiarò alla madre di sentirsi sempre legato alla sua fede cristiana, pur ammettendo: «In quanto a religione, la penso un po’ a modo mio, ma non sono un miscredente come forse mi avrà giudicato qualcuno» (in Giovanni Gasparini, La corsa di Pinocchio, Vita e Pensiero, 1997, pag.104). Necessaria poi la citazione dell’intervista del 2002” di Gianmichele Galassi  Carlo Collodidi Silvia Ronchey a Elémire Zolla intitolata «Il burattino framassone». Zolla: la storia di un´iniziazione ispirata a Apuleio, dove uno degli intellettuali italiani più esperti dei segreti di Pinocchio affermerà perentoriamente: «… Il che significa semplicemente che provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva. Vede, una loggia di Firenze, al tempo di Collodi, non era luogo di modesta cultura. Certe letture erano comuni, elementari addirittura. La massoneria ferveva di una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi in Arturo Reghini, grande scrittore e matematico in lite con Mussolini e con Evola», e poi più avanti rispondendo alla domanda “Il che varrebbe a dire che la grande letteratura italiana è essenzialmente massonica?”: «Varrebbe a dire che spesso noi italiani ci lamentiamo di non avere una letteratura all’altezza, ad esempio, di quella inglese o tedesca. Ma il fatto è che la nostra migliore letteratura, quella laica, è sotterranea e segreta, perché a differenza degli inglesi e dei tedeschi ha dovuto sottrarsi alla censura dell’ala meno illuminata e elitaria della cultura cattolica». Dell’appartenenza libero muratoria del Collodi sono poi convinti sostenitori molti autori, quali il sociologo Nicola Coco e lo specialista di dottrine ermetiche Alfredo Zambrano che ricostruiscono i rapporti fra Collodi e Ferdinando Martini, giornalista-editore fiorentino, al quale Carducci scrisse una lettera da massone a fratello e che fu collaboratore del Gran Maestro Lemmi (Cesare Medail, Pinocchio? Un fratellino della loggia di Firenze), lo scrittore e saggista Fernando Tempesti, peraltro consigliere del comitato scientifico della Fondazione nazionale Collodi, e studiosi accademici quali Cecilia Gatto Trocchi, docente di antropologia culturale presso le Università di Cagliari, Chieti, Perugia ed, infine, a La Sapienza e Roma Tre. Abbiamo poi la pubblicazione di Pinocchio Oggi, ovverosia degli Atti del Convegno della Fondazione nazionale Collodi, tenutosi nel 1978, in cui la Maria Jole Minicucci, direttrice della Biblioteca Riccardiana di Firenze, pubblica e commenta una lettera del Nostro indirizzata al massone Piero Barbera, figlio del noto Gasparo, datata 4 Marzo 1884, con cui Collodi comunicò le sue condizioni alla richiesta del primo di scrivere un libro di biografie di carattere storico. In tale lettera -a mio avviso- ci sono due parti importanti, non solo la chiusa che la Minicucci interpreta come “In ogni modo mi creda sempre / il fratello Collodi” (Minicucci, in Pinocchio oggi, pag.231) e quindi di cruciale importanza per definire la sua affiliazione, ma anche la frase di Collodi “se ci troviamo d’accordo, tanto meglio: caso che no mi auguro che ci troveremo d’accordo un’altra volta, rimanendo intanto buonissimi e leali amici, come siamo stati finora” (Minicucci, in Pinocchio oggi, pag.230) che sta ad indicare un rapporto tutt’altro che distaccato ed esclusivamente lavorativo con l’iniziato Piero Barbéra. Di parere diverso, la studiosa Marcheschi che afferma che lo scrittore concludeva la lettera autografa, conservata alla Biblioteca nazionale di Firenze, affermando: “In ogni modo mi creda sempre il suo affo Collodi”. Le caratteristiche calligrafiche della dicitura suo affo (nella lettera originale i due termini sono attaccati) erano state lette come fratello anziché come una contrazione di affezionato e tanto era bastato per far nascere l’ipotesi di una affiliazione a una delle tante logge toscane (fonte: Archivio Adnkronos AdnAgenzia 1995/10/05). Due anni più tardi sempre Adnkronos (Archivio AdnAgenzia 1997/08/05) riporta: «… la Marcheschi, preparando una nuova biografia di Collodi di prossima pubblicazione, ha voluto chiarire il motivo per il quale il fratello Paolo Lorenzini decise di bruciare una gran quantità delle lettere private dello scrittore toscano, subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1890.[…] I parenti erano “anche preoccupati -ha spiegato Daniela Marcheschi- che trapellassero notizie sulla vita intima dello scrittore, forse molto libertina, che aveva contatti con gli ambienti scapigliati fiorentini e milanesi. Pensavano che potesse destare scandalo sapere che un autore di un celebre racconto per ragazzi avesse intrattenuto amori plurimi”.» La Mareschi –come da lei stessa dichiarato- continuava infatti il lavoro della filologa Ornella Castellani Pollidori sulla chiusa della lettera (Collodi e la Massoneria, pag. 118): «Per concludere: che il padre di Pinocchio sia stato massone sarà anche vero (se, a quanto pare, indizi esterni non ne mancano); e per parte mia non avrei difficoltà a crederlo. Purché però non si pretenda di dimostrarlo una volta per tutte con un “fratello” che non è mai esistito.» Se, infine, anche volessimo abbracciare la tesi Marcheschi-Pollidori e quindi rifiutare la validità della prova evidente contenuta nella lettera autografa del 1884, rimarrebbe comunque una lunga serie di indizi che, facendo un parallelismo giuridico, potrebbero -essi stessi- essere sufficienti a costituire la prova della sua affiliazione, come probabilmente accadrebbe in un qualunque processo indiziario ove il fatto da provare si ricavi attraverso una relazione costituita o da leggi scientifiche o da una massima di esperienza che nel nostro caso è indiscutibilmente rappresentata dall’affinità quasi totale della sua opera più conosciuta con l’iniziazione massonica. In più, considerando l’episodio del colloquio con la madre, potrebbe benissimo essersi affiliato alla Massoneria all’epoca della repubblica romana, per poi porsi in sonno per non arrecare un dispiacere profondo alla genitrice: del resto, sebbene raramente, avviene anche oggi che alcuni rinuncino a proseguire nella loro appartenenza all’Istituzione per pressioni familiari, bisogna valutare che al tempo di Collodi la Chiesa romana provava un odio viscerale per la Libera Muratoria e le idee che essa propugnava. Concludo con questa citazione: “Il caso Lorenzini e il caso Mistral sono dunque perfettamente analoghi. Poco c’importa di sapere se i due fossero formalmente affiliati alla «setta»: tanto l’ambiente fiorentino di Collodi quanto la cerchia dei félibres annoverano una folta rappresentanza massonica, com’era d’altronde prevedibile, visto che siamo nel periodo flamboyant della libera muratoria; e per loro parlano le opere.” (Lucia Lazzerini dell’Università di Firenze in Due schede per Pinocchio, pag.212).

DALLA RIVISTA “MASSONICAMENTE”    6/2016

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