IL TEMPIO DI APOLLO A DELFI

Apollo Temple in Delphi, an archaeological site in Greece, at the Mount Parnassus. Delphi is famous by the oracle at the sanctuary dedicated to Apollo. UNESCO World heritage


Il Tempio di Apollo a Delfi

Delfi non è solo un sito archeologico, è un simbolo: un luogo spirituale al centro della Grecia. Gli Elleni lo consideravano come l’ombelico del mondo, addirittura quindi il centro del globo. Qui sorgeva il Tempio sacro di Apollo, risalente al VII secolo a. C., più volte ricostruito con il celebre oracolo «Conosci te stesso». In questa Tavola cercheremo di evidenziare il valore emblematico del Tempio di Delfi, in particolare per coloro che ritengono che una vita senza ricerca non valga la pena di essere vissuta.

Delfi è una storica città dell’antica Grecia. Situata nella Focide sulle pendici del monte Parnaso, a circa 130 Km a nord-ovest da Atene e a 600 m s.l.m. all’incrocio di antiche vie di comunicazione, è la sede del più importante e venerato oracolo del Dio Apollo. La parte più antica del tempio portata alla luce dagli archeologi risale al VII° secolo a.C., quella più recente (le cui rovine sono appunto visibili a Delfi) risalgono al IV secolo a. C. Esso era costituito da sei colonne doriche sulla facciata e 15 per ogni lato e misurava 21,64 per 58,18 metri. All’entrata del tempio campeggiava la famosa massima «ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ», conosci te stesso. Il santuario risale all’età micenea, mentre le prime testimonianze della sua attribuzione ad Apollo risalgono all’XVIII° secolo a.C. Nel 548 a.C. il tempio venne distrutto da un incendio e ricostruito nel 505 a.C. grazie soprattutto ai finanziamenti dei greci. Nel 373 a.C. venne nuovamente distrutto a causa probabilmente di un terremoto. Per la sua ricostruzione bisognerà attendere fino al 325 a.C. per via della terza guerra sacra.

I persiani nel 480 a.C. e in seguito i Galli nel 279 razziarono la regione del golfo di Corinto ma il santuario fortunatamente subì pochi danni. Il culto di Apollo perdurò a Delfi fino al III secolo.

Genesi del motto

L’esortazione «Conosci te stesso» viene generalmente associata al pensiero di Socrate. Dal momento che costui non lasciò documenti scritti, dobbiamo riferirci alla fonte principale del suo pensiero e cioè a Platone per contestualizzare questo ammonimento che sta alla base della sua filosofia e di una porzione importante della cultura occidentale. In particolare nel dialogo Alcibiade troviamo il seguente passaggio che ci fa capire qual è la ragione della necessità per l’uomo di conoscere sé stesso come indica il motto di Apollo.

«SOCRATE – Con quale arte possiamo prenderci cura di noi stessi?
ALCIBIADE – Non lo so.
SOCRATE – Ma su questo siamo d’accordo: non si tratta dell’arte con cui potremmo migliorare qualsiasi cosa che ci riguardi, bensì di quella con cui rendiamo migliori noi stessi.
SOCRATE – Allora, avremmo potuto sapere quale arte renda migliori le scarpe, senza conoscere queste ultime?
ALCIBIADE – E impossibile.
SOCRATE – E nemmeno quale arte renda migliori gli anelli, senza conoscere questi ultimi.
ALCIBIADE – E vero.
SOCRATE – Ebbene, potremmo mai sapere quale arte renda migliore se stessi, mentre ignoriamo chi siamo noi stessi?
ALCIBIADE – E vero.
SOCRATE – Ma è forse facile conoscere se stessi ed era un buono a nulla colui che ha posto quell’iscrizione sul tempio di Delfi, oppure si tratta di una cosa difficile e non alla portata di tutti?
ALCIBIADE – Molte volte, Socrate, mi è sembrata una cosa alla portata di tutti, molte volte, invece, assai difficile.
SOCRATE – Tuttavia, Alcibiade, che sia facile oppure no, per noi la questione si pone così: conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre, se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere.
ALCIBIADE – È così.»

In altri termini il presupposto fondamentale per migliorare sé stessi è quello di conoscere sé stessi. La conoscenza di sé non è quindi fine a sé stessa ma risulta una tappa indispensabile per potersi migliorare. Ma Socrate non è l’inventore del motto anche se con lui viene ad assumere un significato particolare all’interno della sua filosofia. Porfirio nell’opera Sul «Conosci te stesso» menziona quattro opinioni sulla genesi del motto:

A) Alcuni pensavano che fosse stato creato da Femonoe o da Fenotea, ritenute inventrici dell’esametro (la prima aveva svolto anche il ruolo di Pizia a Delfi).

B) Altri ritenevano invece che ne fosse autore uno dei Sette Sapienti: Biante, oppure Talete, oppure Chilone.

C) Altri ancora sostenevano la tesi che si trattasse di un responso dell’Oracolo di Delfi, dato quindi da Apollo stesso, alla richiesta rivoltagli da Chilone su quale fosse il precetto più importante che l’uomo dovesse apprendere. (Ricordiamo che Chilone, uno dei Sette Sapienti, è il primo importante uomo politico di Sparta di cui è stata conservata memoria, attivo intorno alla metà del VI secolo a.C.).

D) Porfirio ricorda, infine, la tesi sostenuta da Aristotele nello scritto Sulla filosofia (una delle più importanti delle opere pubblicate dallo Stagirita, di cui ci sono pervenuti solo alcuni frammenti), ossia che si tratti del motto scritto sulla facciata del tempio di Delfi ricostruito in pietra, dopo che era stato distrutto.

Dunque il motto «Conosci te stesso» doveva trovasi inciso sulla facciata del tempio in pietra di Apollo al di sopra dell’ingresso, e doveva essere un messaggio legato alla religione apollinea. In effetti per quanto differenti possano essere le quattro opinioni menzionate sulle origini del motto, tutte si connettono ad Apollo come si legano inoltre ad Apollo le famose massime dei sette savi. Per cui è molto probabile che il celebre ammonimento trovi le sue radici proprio a Delfi e al suo culto di Apollo.

Gli Elleni consideravano il tempio di Apollo a Delfi come l’ombelico del mondo

Il significato del monito

Quale significato aveva questo motto? Rivolto a chi entrava nel tempio di Apollo per riceverne l’oracolo, probabilmente era un invito a riconoscere la propria limitatezza di uomo, la propria finitezza dinnanzi al dio, a riconoscersi mortale nei confronti del dio immortale. Questo appello contro la superbia umana appartiene alla cultura arcaica. Ma che significato assume in Socrate? Esso da un lato conferma quell’invito all’uomo a riconoscere il senso del limite, ma, dall’altro, lo invita alla ricerca attraverso il logos.

Il bene maggiore per l’uomo, secondo Socrate, consiste nel ragionare ogni giorno sulla virtù, nel condurre ricerche su sé stesso e sugli altri; egli ritiene che «una vita senza tali ricerche non è degna d’essere vissuta». La vita deve essere una ricerca incessante: la verità non è mai data una volta per tutte, ma esige una tensione continua dell’intelligenza, una vigilanza e una consapevolezza critiche che non possono mai venir meno. Perciò Socrate consiglia ai suoi allievi, prima di morire: «bisogna che facciate questa ricerca da voi medesimi, gli uni con gli altri, perché non credo sarà facile che riusciate a trovar persone capaci di fare ciò meglio di voi».

L’impegno che Socrate individua come prioritario e fondamentale è, dunque, quello dell’esame di sé e degli altri, che egli vuole compiere insieme con gli altri. Un compito non facile, «una cosa difficile e non alla portata di tutti».

Conoscere sé stessi, mettendosi in discussione nella ricerca e nel dialogo con gli altri, significa per Socrate prendersi cura dell’anima. Ma che cos’è l’anima secondo il filosofo?

Ricordiamoci la triade scolpita nei nostri rituali: «uomo conosci te stesso, uomo governa te stesso, uomo migliora te stesso»

Indubbiamente essa è un’entità spirituale, diversa e contrapposta rispetto all’entità materiale del corpo. ln tal senso, Socrate sembra riprendere alcuni motivi tipici dell’Orfismo e del Pitagorismo. Ma – si è osservato – non appare questo il senso più autentico della filosofia socratica, poiché il filosofo sembra avere elaborato una concezione non religiosa dell’anima. Infatti, per lui l’anima è la sede della coscienza e del pensiero, l’asse su cui si muove l’intera vita interiore dell’individuo. Leggiamo, ad esempio, nel dialogo platonico Alcibiade primo: come l’occhio, guardando l’occhio di qualcun altro, vede se stesso riflesso nella pupilla di questi (cioè nella «sua parte migliore», perché è quella con cui questi guarda a sua volta noi), così «l’anima, se vuol conoscere se stessa, dovrà fissare un’altra anima»; e soprattutto dovrà fissare con lo sguardo quella parte dell’anima in cui si trova la sua vera «virtù», cioè la sua funzione essenziale, il pensiero; proprio la conoscenza e il pensiero, infatti, sono quel che v’è di più elevato nell’anima.

Neppure si può dire che questa ricerca avvia gli uomini verso la strada di una interiorità solipsistica, poiché Socrate la considera condizione essenziale per la costruzione di una polis ben fondata e ben ordinata: la conoscenza e la cura dell’anima hanno anche un valore sociale e politico.

La concezione socratica dell’anima mostra così un carattere laico e razionale, coerente con la sua idea del filosofare. ln questo quadro può essere collocato anche il riferimento al daimonion, il demone che Socrate afferma di recare in sé, una specie di divinità la cui voce si fa sentire per dirgli ciò che non deve fare. Questo è un tema orfico: la psyché (l’anima appunto) viene trasformata in un demone semidivino; e l’idea del demone suscita, negli Ateniesi, il sospetto che Socrate voglia introdurre nuovi dei: da qui la relativa accusa al processo.

Ma quell’idea, in realtà, è contestuale a una profonda riforma dell’etica, imperniata sul principio della responsabilità individuale: ciascuno può sentire, in sé, quella ‘voce», spesso identificata dagli interpreti con la coscienza, fonte della valutazione e dell’azione morale, principale guida e aiuto per l’uomo. ln tale interpretazione, l’anima acquista un nuovo significato morale: baricentro della condotta diventa proprio la coscienza del singolo, trasformata in una specie di giudice della condotta stessa.

L’anima perde così i connotati naturalistici o religiosi che aveva avuto fino ad allora, per stringere legami indissolubili con la ricerca e la visione della verità e del bene: un compito, questo, tipicamente umano e razionale.

Come è facile rendersi conto l’interpretazione socratica del conosci te stesso come ricerca laica, razionale di un perfezionamento morale è perfettamente in sintonia con gli insegnamenti massonici. Ricordiamoci la triade scolpita nei nostri rituali: «uomo conosci te stesso, uomo governa te stesso, uomo migliora te stesso» D. B.

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