TU SEI MIO FRATELLO

Il legame fraterno che nasce con l’Iniziazione

Tu sei mio Fratello

                                                di Eduard Perraul

C’è un momento, nella cerimonia della iniziazione di un neofita, particolarmente emozionante, punto di riassunzione rituale e punto di partenza ad un tempo.

Un momento carico di significati e di vincoli che si esalta, si manifesta, si compendia — prendendo senso da essa — in una espressione, in una frase.

È il momento in cui — esaurita la ritualità della iniziazione vera e propria ed avendo già il Maestro Venerabile proclamato il neofita quale Libero Muratore; squarciato il buio del Tempio e tolta la benda (con il suo implicito valore iniziatico) dagli occhi del nuovo ammesso alla Comunione; dopo le attese e, forse, gli smarrimenti e le emozioni di chi ha bussato alla Porta, forte di un desiderio in cui ha ancora molta parte il gusto del nuovo, la curiosità, l’inconscia refluenza di tutta una letteratura (sovente romanzata e distorcente) sulla Massoneria; appena appena incrociati i primi sguardi con quanti sono in piedi e all’ordine, magari sorpreso, il neo ammesso, nel riconoscere chi non pensava potesse incontrare in questa nuova realtà — è il momento, questo, in cui il Maestro Venerabile chiama all’Oriente quell’uomo che, ancora qualche minuto prima, era un profano, cioè un estraneo alla Comunione, e, abbracciandolo, gli dice: “Tu sei mio Fratello!”

Quattro parole. Una frase facile, essenziale, solenne: “Tu sei mio fratello!”.

Tutto il rito verte, manifestando il portato ed il significato centrale, in questa semplice frase più ancora che in quelle della nomina, della proclamazione e della costituzione del profano quale Libero Muratore.

“Tu sei mio Fratello!”

Che significa?

Gli anziani nella militanza massonica, i dignitari di Loggia, i Maestri, i Fratelli di più salda ed antica presenza in Officina, sanno certamente cogliere tutta la valenza di questa espressione pronunciata dalla saggia voce del Maestro Venerabile.

Sanno quanta ricchezza di contenuti, quanti significati, quanto impegno, quanta gioia, quanta non retorica, quanto di scelta di vita e di sottintesa coerenza è insito in quella frase.

Gli Apprendisti ogni volta, ad ogni iniziazione, comprendono con sempre maggiore evidenza il senso di quella espressione, ascoltata con una qual certa inquietudine la prima volta, quando si sono ritrovati emozionati lì, al posto del neofita.

Una frase che fin dal primo momento

— pur con la gioia evidente di chi la pronunciava — portava però fortemente implicito un senso di rigore, di vincolo, il compendio di un messaggio più articolato.

“Tu sei mio Fratello!”

Fratello, come?

Fratello, perché?

Fratello, in che cosa?

E comincia pian piano a dipanarsi questa pienezza di significati, mano a mano che prendi gusto con l’animo ai Lavori dell’Officina, mano a mano che non avverti più di subire il calendario dei Lavori, mano a mano che ti pulsa sempre più insistente il bisogno di questa presenza, mano a mano che avverti, sempre meno inconsciamente, la necessità di questa fratellanza; mano a mano che vai sistemando tutto nella mente, ogni cosa al proprio posto, ogni simbolo, ogni gestualità, ogni espressione rituale, e ti vai accorgendo del senso di una cerimonia, di una riflessione comune, al limite, di come un’Agape non è una banale cena in trattoria o al ristorante.

E cominci ad avvertire il venire toccato da qualche cosa che ti è sempre più connaturale.

Pure nella diversità di ogni singolo carattere o temperamento, di specifiche attività professionali nel mondo profano, di militanza ideologica in altro spazio della loro vita, avverti che c’è veramente qualcosa che unisce tra loro questi Fratelli, qualcosa che ti unisce sempre più ad essi: un modo di essere, uno stile, forme di espressione o di silenzio, disponibilità e – insistente su tutto – rigore morale, comportamenti etici, sforzo di ricerca, di continuo approfondimento, di sistematica verifica.

C’è — la avverti — una ricerca di essenzialità; un approccio ai problemi mai superficiale; un evidente fastidio per le convenienze strumentali o per gli atteggiamenti di facciata; un desiderio di superamento — però nella chiarezza e nel galantomismo — delle contrapposizioni purché scevre da piccole furberie, da vanità, da smania di protagonismo dialettico. C’è — avverti anche questo — il bisogno di una continua presa di distanza dai servilismi, dalle prepotenze, dalle cialtronerie, dalle mascalzonaggini, così tanto caratterizzanti lo spazio in cui si svolge la vita profana.

C’è, evidente, la ricerca di punti fermi, per tutti e per ciascuno, nel rispetto di una libertà e di una componente razionale che è rispetto dell’uomo in quanto tale.

Una ricerca dalla quale è punto di partenza lo stesso stare insieme con intelligenza, con apertura, con disponibilità, con reciproco rispetto.

La stessa battuta scherzosa, lo stesso rilassarsi in una pausa del Lavoro di Officina, hanno pregnanza, assumono toni propri e distintivi che fuori, nel mondo profano, non trovi.

Tutto volterrianamente può essere problematizzato, tutto può essere posto dialetticamente in discussione, tranne un fatto che non è neppure materia per battute: la fratellanza massonica, liberamente accettata, coscientemente voluta.

Questo carattere distintivo, che è la stessa essenzialità della Libera Muratoria, non lo riesci a trovare nel mondo profano. Un mondo dove hai amici, alcuni forti, antichi nel tempo, saldi. Ma amici. Qui hai dei Fratelli.

“Tu sei mio Fratello!”

Pian piano quindi il contenuto emotivo della frase ti si razionalizza. Prende luce. Vai facendo tua una parte essenziale del mondo massonico, una delle sue ragion d’essere fra le più fondamentali, soprattutto se gustata nella dimensione del dare, nella direzione del rendersi pienamente disponibile per il fatto stesso di avere già ricevuto tanto da chi ti si professa Fratello.

Tutto questo pur con i limiti umani evidenti e sussistenti ovunque e, quindi, anche nell’Officina, dove più faticoso, difficile arduo, avverti essere il cammino, lo sgrezzamento, la strada verso la Luce, dove è naturale possa esserci anche un qualcuno che – probabilmente dà a questa fratellanza – non assorbita nella sua essenzialità – (e, peraltro, oggetto di riflessione mai esaustiva) – un significato banale, una ripetitività fonetica, ad essa forse riguardando, con errore evidente, come ad una polizza aggiuntiva, come ad un utile “passe par tout” o come ad una cordata di obbligati alla solidarietà ed all’aiuto.

Da qui la tentazione di risolvere o del volgere a vantaggio della propria professione o attività profana questa solidarietà e questo aiuto.

Questo fatto – ove episodicamente verificabile – se da un lato ti reca fastidio dall’altro, al contrario, ti fa riflettere come di più vasto impegno e di più pertinente spirito è caratterizzata la presenza in Officina dei più; come fragile sia il proclamarsi Fratello senza un grosso e continuo approfondimento sul proprio cammino iniziatico, senza il paziente continuo considerare in ordine al portato etico di tale fratellanza.

Ti fa capire come difficile sia la Strada dell’affinamento massonico; come sotti¬le e tentatrice una concezione strumentale della fratellanza massonica; come pericolosa per tutta la Comunità la passiva tolleranza verso chi tende a strumentalizzare questa fratellanza, volgendola ai fini di concreti e personali vantaggi; come doveroso e necessario il tendere alla appagante interiore concezione e considera-zione del vero significato della fratellanza massonica.

“Tu sei mio Fratello!”

Allora tutto si va chiarendo. Perché Fratello?

Innanzi tutto perché liberamente abbiamo deciso di mettere insieme una parte della nostra esistenza al fine di percorrere insieme la Strada dell’affinamento interiore, Strada difficile ed in salita, Strada non agevolata da alcun fideistico o dogmatico riposo.

Perché abbiamo deciso di percorrerla con eguali modalità di percorso, andando dal metaforico buio di una situazione tormentata, confusa, indistinta, verso la Luce, la Luce interiore, la Luce dello spi¬rito, quella che esalta e tempera la nostra condizione di uomini, e di uomini liberi, responsabili , vivi.

Perché Fratello?

Perché ci è stato dato di conoscerci ed abbiamo il dovere di crescere in questa dimensione di reciproca e rispettosa conoscenza umana. E ci siamo conosciuti in uno spazio del tempo dominato dalle ideologie fagocitanti, in un luogo della vita certamente difficile, caratterizzato dalle intolleranze, dalla violenza, dalla fragilità di valori comuni all’uomo che non conosce steccati, barriere, confini, e ciò per sua propria natura e dignità.

Tempi difficili a viversi nelle nostre città frettolose, incattivite, senza sorriso, in-differenti ed inumane, dove tutto ti spinge a rinchiuderti in difesa, nella sfera del privato; ti costringe quasi ad una forte ed aprioristica diffidenza verso tutti, verso gli stessi affetti.

Tempi difficili per la nostra stessa Istituzione atteso che la nefasta e vergognosa campagna d’opinione, non casuale, che soltanto adesso sembra attenuarsi, non volendo distinguere il loglio dal grano, voleva forzatamente pervenire alla conclusione che tutto nella Massoneria italiana era loglio.

Perché Fratello?

Perché nella Officina non ci ritroviamo né in una Tappa contemplativa né in un Aeropago dissertativo né in un’Accademia di retorico esercizio speculativo né, infine, in uno spazio staccato dal mondo. Perché, invece, nel cammino iniziatico, e fin dal primo giorno, siamo chiamati ad una fratellanza operativa. Operativa, ma non individualista, quale si conviene a Liberi Muratori, cioè ad uomini, naturaliter, impegnati nel fare, nel costruire, nel ricercare soluzioni. Come si addice a sgrezzatori di pietra, a squadratori di quei tanti elementi che, messi insieme, consentono al Tempio una salda e gradevole struttura. Una sgrezzatura, però, non fine a se stessa, non di riduttivo estetico compiacimento, limitato alla Loggia, staccato dalla Comunione e, in quanto tale, poco utile.

E’ per questo che lavoriamo insieme, tra Fratelli, imparando dai Maestri, trasmettendo (se sapremo riuscirci, auspicabilmente senza rendercene conto) nel tempo ad altri nuovi Fratelli la metodologia di questo Lavoro comune che ha un confine ed un arresto — come ogni umana attività nell’evolversi intimo di ogni tecnica di mestiere secondo volontà, sensibilità, capacità di riflettere, estrosità, tutte doti prettamente interiori e quindi personali.

Ecco che il Lavoro è sempre nuovo e sempre più arricchibile.

Fratellanza operativa, quindi, fatta di essenzialità,

di rispetto per i Maestri, di tempi di attesa, di moderazione, senza parlarsi addosso, senza presunzioni, senza impazienze, senza elitarismi.

L’apprendistato dello spirito, l’apprendistato dell’azione, come presupposto iniziatico importantissimo e fondamentale.

La necessità dello stare in Officina, ed in continuazione, ed in certi modi, con piena disponibilità e compostezza, come proiezione della volontà di apprenderla questa tecnica della costruzione del Tempio del nostro spirito.

Perché Fratello?

Perché soltanto chi è Fratello nello spirito può, oltrecché lavorare insieme ad altri nell’Officina, Libero Muratore tra Liberi Muratori, essere Fratello di silenzio, di riflessione, di meditazione nell’Officina che è anche, e prima di tutto, Tempio.

Una meditazione non isolata, non pria di colloquio, che nel Tempio si trasfigura in uno sforzo comune per aiutarci anche l’un l’altro, noi che mai abbiamo portato a dormire la nostra voglia di capire, di misurare il senso, la direzione profonda di un tempo che passa, di una storia individuale che va al di là del giornaliero, al di là del nostro fisicamente delimitato confine personale, verso fini coinvolgenti altri individui e tutto lo spazio umano.

Ho letto, da qualche parte, che “veniamo da molto più lontano della nostra data di nascita”. E’ vero. Ma verso che e verso dove vogliamo andare? Dove condurre questa nostra vita che non va subita come una condanna disperata, canalizzata ad un atto di morte, bensì arricchita giorno per giorno, riscoperta giorno per giorno, dedicata giorno per giorno? Ma a chi dedicata? Ma intanto, ma adesso, ma ora, su questo punto dello spazio ed in questo tempo in cui si svolge la nostra singola storia, verso l’uomo, verso il Fratello.

Non c’è atto che tocchi l’uomo che non ci tocchi, che sia problema a noi estraneo.

“Tu sei mio Fratello!”

Una fratellanza dell’anima, quindi, e del pensiero e dell’azione, non limitata certamente al “Tempio-Officina”, ma da portare fuori nella vita profana, con fermezza quanto con discrezione, da testimoniare con una coerente professione di vita. Una vita limpida, aperta, cristallina, punto di riferimento al giudizio etico degli altri.

Un massone è veramente tale in quanto è, prima ed essenzialmente, un uomo vero.

Se libero e di buoni costumi egli ha bussato alla porta del Tempio, più libero e di intemerati costumi e di integerrimo comportamento vivrà nella Comunione e fuori, nel mondo profano, una volta arricchito dalla portata (diffusiva di valori) della vera fratellanza muratoria.

E così sempre, anche se gli sarà dato vivere senza traguardi raggiunti (ma ne sarà consapevole), anche se ogni giorno dovrà rimettersi in cammino, perché un massone, un uomo vero, non è (non lo è mai) arrivato, non finisce mai di ricercare, non conserva la propria coscienza nel portafoglio.

Se, allora, questo vincolo forte di fratellanza è da noi così inteso esso non può che rimandarci al referente di noi creature, a quel punto di partenza e di arrivo che con grande e sempre emozionato rispetto e con senso timoroso e rifuggente da definizioni che (per ciò stesso) appaiono riduttive noi amiamo chiamare Grande Architetto dell’Universo.

“Tu sei mio Fratello!”

Sei, cioè, come io desidero essere per te, non per annullare la tua personalità ma per arricchire la mia, Fratello, della tua presenza vicina.

Perché insieme, tu ed io, noi due con gli altri, lo sforzo sia meno duro, il peso più lieve, la Strada più agevole, più frequente il sorriso, più saldo il carattere.

Perché insieme, prenda forma supportata da più punti fermi possibile — la nostra stessa speranza.

Perché sempre, al valico di ogni nostra azione, il vento ci porti le voci, gli sguardi, gli slanci che nascono — con meravigliosa lievitazione — da affetti effusi, da parole oneste e vere, da coerenze generose verso chi si è stimato, amato, voluto come Fratello.

Tu sei mio Fratello Libero Muratore perché, nella comune ricerca della Luce, né tu né io ci serviremo mai l’un dell’altro ma perché la tua presenza migliore mi aiuti nell’imparare ad ascriverti come fine della mia azione.

Alludendo alla condizione umana e, quindi, alla necessità esistenziale di una solidarietà di vincoli fra gli uomini, un poeta come è dono dei veri poeti —sintetizza efficacemente quella che può essere raccolta quale conclusione di questa riflessione.

Una riflessione a cuore aperto, non indirizzata ad altri che a me stesso, perché io avverto essere il più bisognoso in Officina della disponibilità dei miei Fratelli.

Scriveva Leonardo Sinisgalli:

“Siamo qui per dividerci un’eredità di stenti.

Non spezziamo quello che è intero: diventa zero.

Ecco, forse è per questo soltanto che vale la pena riconsiderare la necessità di questa fratellanza: per essere uniti, per non azzerare la nostra speranza, la speranza di coloro cui è dato vivere il tempo dell’uomo, che è sempre tempo difficile.

“Io — scriveva Raffaele Carrieri —

A ogni fine di giornata,

Quando il cielo muore

Con la gola tagliata

Come la gallina nera,

Resto solo sul prato

Con gli odori della sera

E il sacco di cenciaiolo

Dove raccolgo la cenere

Delle mie ore terrene.

“Tu sei mio Fratello!”

Aiutami, Fratello, a porre nel sacco la compagnia della tua parola buona. Sarà moltissimo.

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