IL SIMBOLISMO DELLA CROCE

Il Simbolismo della Croce

Il termine “simbolo”, nella sua accezione più generale, può essere applicato a qualsiasi espressione formale di una dottrina, sia essa verbale o figurata. Ogni simbolo, dovendo servire come supporto di una concezione intellettuale, ha pure una propria reale efficacia. La confusione nella quale risiede la causa di ogni idolatria è dovuta all’abitudine di guardare il simbolo in se stesso per ciò che rappresenta, per incapacità di sollevarsi al suo significato intellettuale. Quando dei simboli non si vede più che la sua forma esteriore, la sua ragion d’essere e la sua efficacia attuali scompaiono; il simbolo non è più che un idolo e la sua conservazione non è più che pura superstizione. Il simbolo non ha senso che in quanto è d’ordine inferiore a ciò che viene simboleggiato; esso può presentare una molteplicità di significati a seconda dei lato o del livello al quale è considerato. E’ del tutto legittimo contemplare di esso due aspetti contrari e la considerazione di uno di questi aspetti non esclude affatto quella dell’altro, essendo suscettibile di molteplici interpretazioni, in nessun modo contraddittorie, ma complementari le une colle altre e tutte parimenti vere, pur procedendo da differenti punti di vista. Ogni simbolo produce, in colui che lo medita con le attitudini e le disposizioni richieste, effetti rigorosamente paragonabili a quelli dei riti; è sufficiente che i simboli siano mantenuti intatti perché siano sempre suscettibili di svegliare, in colui che ne è capace, tutte le concezioni di cui figurano la sintesi. Quando si tratta di simboli veramente tradizionali, la loro origine è di carattere trascendentale ed essi rappresentano il solo linguaggio realmente conveniente all’espressione delle verità di ordine iniziatico. I simboli sono essenzialmente un mezzo di insegnamento, dovendo soprattutto servire da “appoggio” alla meditazione, che è almeno il principio di un lavoro interiore; ma questi simboli, in quanto elementi dei riti ed in ragione del loro carattere trascendentale, sono pure ” appoggi ” della stessa influenza spirituale. Essi, in virtù del loro lato metafisico, portano in sé stessi un’influenza la cui azione è suscettibile di risvegliare direttamente la facoltà intuitiva in coloro che li meditano nel modo voluto. La Rivelazione primordiale, opera del verbo come la Creazione, s’incorpora, per così dire, anch’essa nei simboli che si sono trasmessi di epoca in epoca a partire dalle origini dell’umanità; tale processo è analogo, nel suo ordine, a quello della creazione stessa. Vi sono simboli comuni alle forme tradizionali più diverse e più remote le une dalle altre, tutti comunque appartenenti alla Tradizione Primordiale, da cui queste forme sono tutte derivate in modo diretto o indiretto. Ogni simbolo porta in sé i suoi molteplici significati e questo fin dall’origine, poiché esso è costituito come tale non in virtù di una convenzione umana ma in virtù della ” legge di corrispondenza ” che lega tutti i mondi tra di loro. Il simbolismo altro non è che l’uso di forme o immagini assunte come segni per idee sovrasensibili e del quale il linguaggio è solo un semplice caso particolare. Il simbolo, così come esso è inteso più generalmente nella nostra epoca, è d’uso ben più costante nell’espressione del pensiero orientale, che in quella del pensiero occidentale. Il simbolo è la lingua metafisica per eccellenza. Il simbolo è essenzialmente inerente a tutto ciò che presenta un carattere tradizionale ed è, in pari tempo, uno dei tratti per cui le dottrine tradizionali si distinguono dal pensiero profano. Il simbolo propriamente detto è essenzialmente sintetico, è essenzialmente intuitivo e, come appoggio all’intuizione trascendente, apre possibilità veramente illimitate; ha per funzione di fare ” assentire ” l’inesprimibile, di fornire l’appoggio che permetterà all’intuizione intellettuale di raggiungerlo effettivamente. Il simbolo ha il suo fondamento nella natura stessa degli esseri e delle cose, ed è la corrispondenza che esiste fra tutti gli ordini di realtà, che collega l’uno o l’altro e che si estende, di conseguenza, dall’ordine naturale, preso nel suo insieme, allo stesso ordine sovrannaturale. Vi è necessariamente nel simbolo qualche cosa la cui origine risale prima e più lungi dell’umanità e si potrebbe dire che questa origine sia nell’opera stessa del Verbo Divino. Il simbolo, inteso nel suo vero significato, fa essenzialmente parte della ” scienza sacra “. Il simbolo è la forma sensibile di ogni insegnamento iniziatico. Il simbolo è il mezzo più adeguato per l’insegnamento delle verità di ordine superiore, religiose e metafisiche, cioè per tutto quello che lo spirito moderno respinge o trascura. La croce è uno dei più antichi simboli mistici usati dall’uomo.

Ma la pretesa di considerare la Croce come segno sacro puramente cristiano è veramente strana e non risponde alla verità. La prova è nel fatto che le vestigia della Croce si trovano nei monumenti più antichi, fino alle inesplorate profondità di epoche arcaiche. I Re assiri, come Assurnasirpal e Saudiraman, le cui statue si conservano nel Museo Britannico, portavano un monile speciale a forma di Croce: e cruciformi sono gli orecchini trovati nelle tombe puniche di Cartagine. Il mistero che avvolge la Croce, anziché diradarsi, si addensa sempre di più allorché la si trova sulle statue gigantesche preistoriche dell’Isola di Pasqua. Senza parlare dell’uso preminente della Croce ansata nell’antico Egitto, della Croce a forma di Tau, di Svastica che si trova scolpita o dipinta sulla roccia, nella Scandinavia precristiana e in tante isole e terre sperdute del nostro globo esplorate solo da qualche decina di anni. In verità, soffermandosi nello studio della filosofia religiosa degli antichi si vede che i popoli primitivi davano al simbolo e alla simbologia un’importanza sovrana. Perché la storia religiosa di tutti popoli è chiusa nelle difficilissime spire del misticismo allegorico: essa non è quasi mai espressa con parole. I geroglifici egizi non sono trovate, ma espressioni profonde ideate dai più dotti dell’antichità. Essi costituiscono la lingua misteriosa con la quale si esprimevano tutte le teologie. I grandi sistemi filosofici arcaici conosciuti sotto il nome di Scienza Sacra possedevano una lingua universale e simbolica non solo agli Iniziati. La cristianità rigetta queste significazioni, classificandole strane, arbitrarie ed oscure e respinge questi studi con la convinzione aprioristica che essi sono contrari alla fede e pericolosi per le coscienze. Vogliamo iniziare questo breve studio sulla Croce affermando che questo simbolo è uno dei più antichi usati dall’uomo. In verità, la prima figura simbolica è stata un semplice cerchio, che significava il Divino Infinito. Ad essa seguì il Cerchio con un punto centrale che indicava la prima differenziazione nelle manifestazioni periodiche della natura insessuale ed eterna. In una terza fase, il punto si trasformò in un diametro del Cerchio e servi a simboleggiare la Madre Natura, divina e universale. Ma quando, dopo questa terza fase, il diametro venne crociato da un altro trasversale, si ebbe la Croce del Mondo, segno che simboleggiò il principio della vita umana. Molto più tardi, presso gli egizi, la Croce si trasformò in emblema di vita. Gli indiani rappresentavano la Croce come contemporanea del Cerchio del Divino Infinito e della prima differenziazione dell’Essenza, dell’Unione, dello Spirito e della Materia. Vi è anche un rapporto tra la Croce e l’allegoria astronomica. Mercurio che, figlio del Cielo e della Luce, mitologicamente è figlio di Giove e di Maya, è il messaggero di suo padre, il Messia del Sole. In greco il suo nome è Ermes e significa, fra l’altro, l’Interprete, la Parola, il Verbo. I simboli di Ermes-Mercurio, che erano posti lungo le strade maestre, nei punti di intersecazione erano cruciformi. Ogni sette giorni i sacerdoti ungevano di olio santo questi Termini e una volta l’anno li ornavano con ghirlande floreali. Mercurio era rappresentato con tre teste e chiamato Triplice, come se formasse un tutt’uno col Sole e con Venere. Ma, Mercurio era anche rappresentato sotto forma cubica, cioè senza braccia, poiché si teneva presente che “la facoltà di parlare può predominare senza l’aiuto delle braccia e dei piedi”. Ed è questa forma cubica che riallaccia direttamente i Termini alla Croce. In alchimia, Mercurio è il principio radicale, umido, l’acqua primitiva elementare che racchiude i semi dell’Universo, fecondati dal fuoco solare. Ora, se l’Ermes cubico si riallaccia alla Croce perché il Cubo sviluppato rende appunto il Tau, esso diviene Croce nella forma egizia, alla quale i Faraoni attaccavano i Cerchi, formando così la croce ansata. Gli egizi conoscevano la Croce da molti secoli, attraverso i loro sacerdoti e i loro Re Iniziati, e sapevano anche molto bene cosa ciò significava: porre un uomo sulla Croce significava far corrispondere con l’idea di una nuova rinascita dell’uomo, ma per una generazione soltanto spirituale, non fisica. I candidati all’Iniziazione venivano attaccati al Tau, o Croce Astronomica, in virtù di un’idea più alta e più nobile di quella della origine della vita umana. Non è dunque sulla Bibbia che dobbiamo fare le nostre ricerche per trovare l’origine della Croce, ma molto prima. Nello spirito degli antichi filosofi qualcosa di divino e di misterioso si è sempre riallacciato alla forma del Cerchio che, come già accennato, rappresenta la prima origine del concetto di Croce. Il mondo antico – in ciò d’accordo con il suo simbolismo e con le sue intuizioni panteistiche – rappresenta la Divinità con un Cerchio. Secondo la filosofia mistica questa divinità, durante le sue notti e i suoi giorni, o cicli di riposo e di attività, costituisce l’eterno movimento perpetuo, l’incessante divenire: così la Croce equivale al giro dell’anno. La Croce ansata non era quindi una semplice figura geometrica, ma esprimeva il concetto profondo della Croce e del cerchio uniti assieme. Il più curioso di questi simboli egizi della croce e del cerchio è il simbolo la cui completa spiegazione è il significato finale derivato dai simboli della stessa Natura. La Croce più sacra dell’Egitto che tenevano nelle mani gli Dei, i Faraoni e i Morti mummificati è l’Ank (croce ansata) segno di vita, il vivente… la sua sommità non è altro che il cerchio geroglifico, messo per diritto sulla croce del Tau. Il Cerchio rappresenta l’ingresso e l’uscita. Ecco perché il Tau era il segno di ogni principio. La versione puranica (il Puranà è il poema della religione induista) degli indiani espone tutta la questione sotto un particolare aspetto. Il nodo dell’Ank non appartiene infatti al solo Egitto. Esiste una corda che Shiva dalle quattro braccia, tiene in una mano sinistra. La corda è tenuta in modo che il primo dito e la mano formano la croce e l’anello. Esso costruisce l’emblema di ingresso ed allude alla porta che condurrà al Regno dei Cieli. E’ ben vero che si tratta di Croce col Cerchio, o Croce Ansata, ma è una Croce sulla quale devono essere crocefissi tutte le passioni umane, prima che lo Spirito possa trovare la porta che porterà l’uomo interiore in un cielo infinito. Questo sacrificio con le umane passioni sulla Croce, costituisce la parte essenziale dell’Iniziazione. Il Cerchio, dal quale ha avuto origine il significato mistico della Croce, ha sempre e dovunque simbolizzato lo Spirito della vita e l’immortalità. Il Serpente che si morde la coda rappresenta il Cerchio della Saggezza nell’infinito, precisamente come la Croce astronomica – Croce inserita in un Cerchio – è il globo alato, che diviene lo scarabeo sacro degli Egizi. Nella filosofia primitiva degli Jerofanti (gran sacerdoti greci incaricati di presiedere ai misteri eleusini) cultori di Cerere e Proserpina e di insegnare agli Iniziati la dottrina segreta, questi cerchi invisibili erano le cause di tutti i globi terrestri che costituiscono le forme e gli involucri visibili, dei quali essi erano le anime. Pitagora prescriveva durante le ore di meditazione una profonda concentrazione e una posizione circolare. Una delle ragioni per le quali il gatto era considerato sommamente sacro in Egitto era che il suo corpo, durante il sonno, si aggomitola in forma di cerchio. L’Uovo d’oro bramanico, dal seno del quale emerse Brahama, Divinità creatrice è il Cerchio con il punto centrale di Pitagora. Nella filosofia mistica, l’Unità nascosta è simbolizzata da un cerchio o dallo zero; mentre il Dio manifestato per le sue opere è rappresentato dal diametro del Cerchio. Il Cristianesimo ha visto nella Croce soltanto lo strumento di tortura usato dai romani per i loro schiavi e sebbene quell’infame patibolo fosse sublimato dal Cristo, non ha avuto il coraggio di esporla per interi secoli. Infatti nelle Catacombe cristiane sino al quinto secolo non è stato trovato alcun segno di Croce cristiana. E nei confini della Croce si trova la chiave maestra che apre sempre la porta di tutte le scienze tanto fisiche che spirituali. La Croce infatti simboleggia la nostra esistenza umana, perché il Cerchio della vita circoscrive le sue quattro punte che rappresentano successivamente la nascita, la vita, la morte e la sopravvivenza. E’ interessante, a questo punto accennare al rituale delle Iniziazioni e delle cerimonie mistiche in uso presso i popoli orientali in epoca molto anteriore alla venuta del Messia, che ha analogie impressionanti con il Mistero della Passione, della Morte e della Resurrezione del Cristo. L’adepto Iniziato che aveva subito tutte le prove, veniva attaccato (non inchiodato ma solo legato) sopra ad un letto in forma di Tau ove rimaneva immerso in sonno profondo. Egli era lasciato in questo stato per tre giorni e per tre notti, periodo durante il quale il suolo Spirituale era considerato come in comunione con la Divinità, come disceso nell’inferno e come operante opere di carità in favore di Esseri invisibili, anime umane e spiriti. Durante questi tre giorni il suo corpo rimaneva nella Cripta d’un Tempio o in una caverna sotterranea. In Egitto il corpo dell’Iniziato veniva legato al Tau e posto nel sarcofago della Camera del Re della Piramide di Cheope; durante la notte precedente al terzo giorno era trasportato nell’ingresso della galleria, ove ad una certa ora i raggi del sole nascente illuminavano la figura del candidato ancora in catalessi e lo facevano risorgere, glorioso e trionfante, dopo la prova subita, per essere iniziato da Osiride e da Thot, il Dio della saggezza. Ciò prova che la figura del Tau rappresenta l’uomo, nonché il fatto che l’Iniziato rinasceva dopo la sua crocifissione sull’albero della vita. Quest’albero essendo stato, indipendentemente da ogni sua significazione mistica, usato dai romani come strumento di tortura, venne in virtù di non conoscenza dei primi cristiani, chiamato l’albero della morte. Va ancora notato che molto tempo prima che la Croce fosse adottata come simbolo del Cristianesimo, il suo segno era usato come riconoscimento fra gli Adepti e i Neofiti pagani, e che anche il segno della croce, che è ora l’alto distintivo cristiano, non è che lo stesso segno usato parecchi millenni prima, dagli adepti del paganesimo. Veniamo ora a parlare della Decade Pitagorica. Questa Decade che rappresenta l’Universo e la sua evoluzione dal seno del Silenzio e degli Abissi sconosciuti dell’Anima del Mondo, si offerse agli studiosi sotto due aspetti. Innanzitutto essa si applicava al Macrocosmo; in un secondo tempo dal Macrocosmo discendeva al Microcosmo, vale a dire sino all’Uomo. Vi era poi la Scienza Intima puramente intellettuale e metafisica e la scienza superficiale che non poteva spiegare insieme all’altra con la Decade, che le conteneva entrambe. In una parola tutte e due queste Scienze potevano essere studiate tanto con il metodo deduttivo di Platone, quanto col metodo induttivo di Aristotele. La prima aveva per punto di partenza una comprensione divina secondo la quale la pluralità procede dall’unità; la seconda si basava sulla percezione dei sensi, per la quale la Decade poteva essere considerata sia come l’Unità che si moltiplica, sia come la materia che si differenzia. Il suo studio era in questo secondo caso, limitato alla superficie piana, alla Croce e al Sette che precede il Dieci, esso pure numero perfetto.

Il numero Uno significa per gli Iniziati di Alessandria, un corpo diritto, un uomo vivente perché esso è il solo animale che gode di tale privilegio. La duade presso i primi pitagorici ero lo studio di imperfezione, nel quale il primo essere manifestato, allorché si stacca dalla Monade. Il ternario è la prima figura geometrica. Il triangolo è la prima figura perfetta. Il numero Tre era quindi, il numero misterioso per eccellenza. Il Quaternario era il primo solido ed il simbolo dell’immortalità. Esso costituisce la piramide, perché la piramide poggi su una base quadrangolare. Il numero Cinque è composto di un Binario e di un Ternario e si allaccia ai concetti sopra esposti. Il numero Sei era considerato dagli Antichi Misteri come un emblema della natura fisica. Perché il Sei è la rappresentazione delle sei direzioni di tutti corpi, le sei direzioni che si estendono verso i quattro punti cardinali e le due direzioni in altezza e in spessore che corrispondono allo Zenit e al Nadir. Ed eccoci al numero Sette, e di conseguenza ritorniamo ai simboli della Croce. La Croce nella sua forma di Tau così esaltata dagli Egizi, dai Greci, e dai Giudei, si riallaccia misteriosamente alla Decade. Il Tau è l’Alfa e l’Omega della Saggezza divina che si simboleggiava con la lettera finale di Thot (Ermes). Thot era l’inventore dell’alfabeto egizio e la lettera Tau chiudeva anche gli alfabeti dei Giudei e dei Samaritani, i quali chiamavano questa caratteristica: termine o perfezione. E’ interessante notare che alcuni fra i primi cristiani, probabilmente Iniziati, avessero una cognizione precisa di questa dottrina pitagorica. Nell’abbracciare la Religione del Nazareno essi recavano nel loro spirito, il simbolismo ermetico dei Tau che esprimevano con l’Alfa e l’Omega della Saggezza. Di conseguenza la Croce da essi venerata nei primi secoli del Cristianesimo non poteva non conservare il misticismo dell’Ermes egizio. Questa asserzione che peraltro conferma la esistenza della Croce nelle religioni precristiane è provata da una scoperta di una Croce gemmata nel cimitero del Ponziano in Roma e dalle prime Croci che ornavano le tuniche dei primi cristiani. Come sono raffigurati in un affresco trovato nel cimitero di Domitilla su una tunica del fossore Diogene, ivi sepolto: “Diogenes Fossor in Pace Depositus”, le sue croci non sono che Svastiche. E provano senza ombra di dubbio, la conoscenza ermetica e pitagorica dei cristiani, mentre la Croce gemmata risale al principio del quinto secolo del Cristianesimo. Forse è questa la prima Croce cristiana ed un fatto inaspettato nella storia della Passione è che si impernia sul mistero della “Passione dei Cristo” che non ha avuto nessuna Croce cristiana nei primi cinquecento anni di vita e di sviluppo. Infatti i più antichi monumenti sui quali si vede Gesù crocefisso, sono della fine del quinto secolo ed occorre attendere il settimo e l’ottavo secolo per trovare la Croce in quasi tutti i monumenti cristiani. Evidentemente questa Croce rappresenta il trait-d’union fra il simbolismo pitagorico e il simbolismo cristiano, fra il culto di Thot (Ermes) e il culto del Nazareno, ed è la prova che il segno della Croce venerato in epoche anteriori alla nostra, non rappresenta solo un disegno ornamentale, ma costituisce un simbolo altamente significativo e profondamente sacro. Il Tau che si simboleggia con la lettera iniziale e finale di Thot, significa per gli gnostici l’Alfa e l’Omega della Saggezza Divina e la croce gemmata del cimitero di Ponziana in Roma esprime questo concetto pagano nella maniera più netta, quasi voglia rendere chiaramente il pensiero originale degli Egizi, perché reca sui due bracci trasversali due catenelle, ad una delle quali è attaccata la lettera Alfa e all’altra la lettera Omega. Ciò che i pitagorici conoscevano attraverso le iniziazioni segrete, il costruttore della Croce del cimitero di Ponziano ha reso manifesto con l’applicazione delle due lettere significative: Alfa e Omega. Ma ritornando alla Decade pitagorica, i popoli più disposti al Simbolismo avevano fatto della Croce il loro simbolo più sacro. La Scuola di Pitagora considerava il numero Sette come un composto dei numeri Tre e Quattro; sul piano del mondo spirituale, il triangolo era la prima concezione della Divinità, mentre il Quadrato, altro numero perfetto, era la Sorgente ideale di tutti i numeri e di tutte le cose sul piano fisico. Occorre precisare che il Quaternario agli occhi degli antichi non costituiva che una perfezione secondaria, poiché non si riferiva che ai piani visibili, mentre solo il Triangolo (il Delta greco) era il “veicolo della divinità invisibile”. I Pitagorici sostenevano inoltre che il numero Sette possiede tutta la Perfezione dell’Unità che è il numero dei numeri. Infatti il numero Sette è paragonabile all’Unità assoluta, che è increata e indivisibile; che non rappresenta alcun numero e che nessun numero può generare. Per dare un esempio dei sistemi pitagorici, basta leggere con la chiave di Pitagora, il numero dei giorni di un anno (365). Così la terra (3), animata (6) dallo spirito della vita (5). Infatti il tre è anche il simbolo della terra, il sei è il simbolo del principio che anima e il cinque è la quintessenza universale che si diffonde in tutte le direzioni e forma quindi tutta la materia. Vi fu un tempo che il simbolo orientale della croce e del cerchio – la svastica – era adottato universalmente. Per i buddisti, i cinesi, i mongoli, la croce e il cerchio o la svastica significavano “diecimila verità”, verità che essi dicevano, rivelano molti misteri dell’universo, della cosmologia primordiale e della teogonia. La Cosmogonia è la dottrina religiosa, filosofica e scientifica che spiega l’origine e la formazione del mondo, mentre la Teogonia è la scienza che tratta della discendenza degli Dei. Ed è per questo che la Svastica, al pari della Croce ansata dell’Egitto, era posta sempre sul petto dei mistici defunti. E’ provato così che le antichissime venerazioni della croce, sia nella forma di Tao sia nella forma di Croce ansata, sia nella forma di Svastica. Per i Simbolisti precristiani essa era, come abbiamo detto, il letto delle parole, durante i misteri dell’iniziazione e la Croce era collocata orizzontalmente. Nella forma di Svastica la Croce ha avuto una venerazione quasi universale. Pochi simboli usati dall’uomo, sono saturi di significazioni simboliche come le Svastiche. Una versione iniziata ai misteri della Svastica poteva rintracciare su di essa, con una precisione matematica, l’evoluzione del Cosmo. La Svastica rappresentò anche il rapporto fra il Visibile e l’invisibile, nonché la prima procreazione dell’uomo e del suo genere. Per lo studioso della saggezza arcaica orientale, la Croce, il Cerchio, l’Albero e il Tau contengono un profondo mistero nel loro passato e su questo mistero egli dirige il suo sguardo. Continuando nella serie dei numeri, abbiamo il numero Otto, simbolo dell’eterno movimento nella spirale dei cieli che dimostra la regolare respirazione del Cosmo. E siamo al Nove, il triplo ternario. Il Nove è il segno della circonferenza, poiché il valore della circonferenza è eguale al 3 + 6 + 0. Il Nove, in talune condizioni è un numero infausto. Il Sei era il simbolo del nostro globo, prossimo ad essere animato da uno Spirito divino, il Nove simboleggiava la nostra Terra animata da uno spirito cattivo e maligno. Il Dieci riporta all’unità di tutte le cifre, conclude la Decade pitagorica e rappresenta il simbolo della Divinità, dell’Universo e dell’Uomo. Ecco la significazione filosofica della “vigorosa stretta della zampa del leone della tribù di Giuda” fra due nani, il cui numero delle dita è appunto Dieci. In questa veloce carrellata sulla Croce, sul Cerchio e sulla Decade pitagorica abbiamo sollevato qualche velo, ma soltanto qualcuno, sul profondo mistero del passato con sufficienti prove che i simboli e il misticismo degli antichi non erano né sciocchezze né follie di esaltati, ma rispondevano ad una profonda filosofia. Abbiamo anche dimostrato che il simbolo della Croce, nella sua forma di Tau, o Ansata o di Svastica, è stato venerato molti millenni prima della Croce cristiana, e ancora alcuni – almeno cinque – dopo l’avvento del Cristianesimo. La croce di Cristo, la sua passione, la sua morte, e la sua resurrezione, non sono che la copia tradizionale del culto e della dottrina dei popoli antichissimi per i quali l’iniziazione misteriosa si compiva precisamente con la crocifissione dei Tau, letto dei sacrifici, con il seppellimento in una cripta, con la discesa spirituale all’inferno e con la resurrezione trionfale alla fine del terzo giorno. Prima di Cristo, migliaia di iniziati sono stati crocifissi sul Tau e sepolti misticamente per tre giorni, alla fine dei quali sono poi risorti a nuova vita, gloriosi e trionfanti, dopo le prove subite. Caso, oppure continuazione di riti antichissimi, la Croce cristiana? Ecco l’interrogativo base, e da questo interrogativo vi sono concatenazioni di altri mille interrogativi, che sarebbe interessante esaminare in seguito con la dovuta attenzione, serenità e competenza. Secondo R.Guenon, la croce rappresenta il modo in cui viene simboleggiata la realizzazione dell’Uomo Universale, mediante la comunione perfetta della totalità degli stati dell’essere, ordinati gerarchicamente in armonia e conformità, nell’espansione integrale secondo i due sensi dell’ ampiezza e dell’esaltazione . La croce, oltre al significato metafisico e principiale, ha diversi altri sensi, più o meno secondari e contingenti, secondo quanto abbiamo detto, in generale, sulla pluralità dei significati inclusi in ogni simbolo, ed è normale che sia così. Un aspetto del simbolismo della croce è quello dell’unione dei complementari. A tal fine, è sufficiente considerare la croce nella sua forma a due dimensioni. Nella linea verticale della croce si può vedere la rappresentazione del principio attivo e nella linea orizzontale della croce quella del principio passivo. L’asse verticale della croce, che lega insieme tutti gli stati dell’essere attraversandoli nei rispettivi centri, è il luogo di manifestazione di quella che la tradizione estremo – orientale chiama Attività dei Cielo. La figura della croce può aiutare a comprendere la differenza esistente fra complementarismo ed opposizione. Se nella tessitura osserviamo un filo dell’ordito ed uno della trama, vediamo subito che la loro intersezione determina la croce, di cui essi costituiscono rispettivamente la linea verticale e quella orizzontale. Ogni punto del tessuto, prodotto dall’incontro di due fili perpendicolari tra di loro, è di conseguenza il centro di tale croce. La croce era nell’antichità, ed in particolare presso i Pitagorici, il simbolo del Quaternario. L’Unità, unita al Ternario, produce il Quaternario, il quale può essere qui rappresentato dal centro e dai tre vertici di un triangolo. Il Quaternario è geometricamente rappresentato dal quadrato, se considerato staticamente, o dalla croce, se considerato allo stato dinamico. Se il Ternario è il numero che rappresenta la prima manifestazione dell’Unità Principale, il Quaternario ne rappresenta l’espansione totale. Il Quaternario è il numero dei Verbo Manifestato, dell’Adam Kadmon, e si può dire che è essenzialmente il numero dell’emanazione, poiché l’emanazione è la manifestazione del Verbo. La Forma Quaternaria è materialmente in rapporto con i quattro punti cardinali.

L’analisi del termine implica la distinzione preliminare del segno aritmetico della moltiplicazione (x) da quello dell’addizione (+). Fatta astrazione da tali funzioni convenzionali, ovviamente estranee al simbolismo alchemico, la croce detta di S.Andrea simboleggia l’incontro di due fattori similari ma opposti nella loro azione, essendo l’uno inclinato a destra e l’altro verso sinistra. Tale simbolo, detto anche “croce decussata” , ha innanzitutto il valore di due triangoli sovrapposti, aperti sia verso l’alto che verso il basso. Questo simbolo indica “congiunzione” ovvero scambio tra due diverse dimensioni. Gli Alchimisti ponevano in questa fase “coniunctio” l’unione ierogamica di un Re e di una Regina, quindi congiunzione e moltiplicazione. Nella tradizione ermetica è comunque di capitale importanza la Croce dritta. Il braccio orizzontale è passivo, come l’uomo dormiente disteso al suolo, e rappresenta la materia, mentre il braccio verticale è attivo, simile all’uomo in piedi, sveglio e cosciente, identificando lo Spirito che collega il basso con l’Alto, l’uomo con Dio. L’attivo che attraversa il passivo suggerisce l’idea di fecondazione, e proprio all’unione dei due sessi si ricollega filosoficamente la croce, beninteso a patto di sublimare ed ampliare la volgare nozione di accoppiamento. L’idea, penetrando nell’intelligenza ricettiva, la feconda. Dio si unisce alla Natura per generare ciò che è. La nostra energia sposa il nostro organismo, perché questo agisca. E’ l’applicazione che dà valore ad ogni forza: questo indica la croce, segno di azione e di lavoro effettivo. Vale la pena di considerare che il simbolo della croce a quattro braccia, caratteristico della cristianità, sia ben diverso dalla Croce del Golgota, notoriamente a tre sole braccia, come una Tau. Esso è invece un antico segno geroglifico egizio, che significa Salvatore. Tale segno veniva tradotto nell’ebraico Giosuè, ovvero nel greco Gesù. Quindi la croce, che per la religione cristiana sarebbe simbolo di Gesù, andrebbe invece considerata come il suo stesso nome. La croce rappresenta il modo in cui viene simboleggiata la realizzazione metafisica dell’Uomo Universale, mediante la perfetta comunione della totalità degli stati dell’essere, ordinati gerarchicamente in armonia e conformità, nell’espansione integrale secondo i due sensi dell “ampiezza” e dell “esaltazione”. Stati dell’essere intesi quale sintesi di tutte le modalità dell’individualità, ove lo stato corporeo è solo una di tali modalità, e la totalizzazione effettiva dell’essere rappresenta l'” Identità Suprema ” e l’individuo la rappresentazione integrale dell’Universo, in analogia al rapporto tra macrocosmo e microcosmo. Questo duplice svilupparsi dell’essere si effettua da un lato orizzontalmente, cioè l’ampiezza, corrispondente a un determinato grado di esistenza, e da un altro lato verticalmente, l’esaltazione, ossia la sovrapposizione gerarchica di tutti i gradi, legati insieme da tale asse che li attraversa nei rispettivi centri. La rappresentazione geometrica dell’essere e dei suoi molteplici stati è dunque sinteticamente contenuta nel segno della croce, che oltre al significato metafisico suddetto, ha diversi altri sensi, più o meno contingenti, determinati dalla pluralità dei significati inclusi in ogni simbolo. Altro aspetto del simbolismo della croce, secondo le considerazioni sviluppate dall’ermetismo, è quello della unione dei complementari, se si considera la croce nella sua forma a due dimensioni, ove nella linea verticale si può vedere la rappresentazione del principio attivo e nella linea orizzontale quella del principio passivo. Il fuoco e l’acqua, visti sotto l’aspetto del complementarismo, sono una delle espressioni dei due principi attivo e passivo nella sfera della manifestazione corporea e sensibile. Il centro della croce è quindi il punto nel quale si conciliano e si risolvono tutte le opposizioni; come nella tessitura osserviamo un filo dell’ordito ed uno della trama, la cui intersezione determina una croce ed ogni punto del tessuto ne rappresenta il centro, in tale punto è situata la sintesi di tutti i termini contrari, dove secondo l’esoterismo islamico è indicata la ” stazione divina”, che è quella che ” riunisce i contrasti e le antinomie” ; che la tradizione estremo orientale denomina ” l’invariabile mezzo” , il luogo cioè del perfetto equilibrio rappresentato quale centro della ruota cosmica, centro che è pure, in pari tempo, il punto in cui si riflette direttamente l’attività del cielo. Anche nelle antiche tradizioni dell’America centrale il simbolo del mondo è sempre costituito dal cerchio con una croce inscritta. Infatti la forma più semplice della ruota è il cerchio diviso in quattro parti uguali dalla croce; oltre alla ruota a quattro raggi, le forme più diffuse nel simbolismo di tutti i popoli sono le ruote a sei e otto raggi, che aggiungono al significato della ruota delle sfumature particolari, quali ad es. il simbolo del loto. Tale punto centrale e primordiale è identico al ” Palazzo Santo” della Qabbalah ebraica. Altro aspetto del simbolismo della croce è quello che le differenti tradizioni denominano con l’espressione “Albero di Mezzo” ,o con qualche altra espressione equivalente, come ad es. l'”Asse del Mondo”. Tale concetto ben si collega a quanto riportato più avanti sulla precessione degli equinozi, a cura del Gran Sacerdote del Capitolo dell’Arco Reale Collegium Fraternitatis n°40 all’Or. di Gallipoli, Compagno Marcello Laviano: la retta verticale della croce, raffigurazione di tale asse, costituisce il tronco dell’albero, mentre la retta orizzontale ne forma i rami. Tale albero s’innalza nel centro del mondo, vale a dire nel centro dell’ambito nel quale si sviluppa uno stato di esistenza come lo stato umano, e rappresenta, secondo il simbolismo biblico, l”Albero della Vita” il quale è situato al centro del “Paradiso Terrestre”; da qui, ovvero dal piede stesso dell’Albero della Vita, partono quattro fiumi che si dirigono verso i quattro punti cardinali, tracciando la croce orizzontale sulla superficie del mondo terrestre, vale a dire nel piano che corrisponde all’ambito dello stato umano. Questi quattro fiumi, -che possono essere riferiti al quaternario degli elementi e che nella Qabbalah sottintendono le quattro lettere della parola PaRDeS, sgorgano da un’unica sorgente che corrisponde all’etere primordiale, alla fontana della giovinezza dei “Fedeli d’Amore” la cui acqua che sgorga è assimilabile alla “bevanda d’immortalità” o alla “rugiada di luce” che secondo la Qabbalah opererà la resurrezione dei morti, dividono in quattro parti la cinta circolare del “Paradiso Terrestre. …L’Albero va trapiantato in un giardino più vicino al Sole, ovvero dall’Equinozio in poi, quando il Sole prevale sulle tenebre e l’Opera dell’Artista deve rivolgersi alla sua componente lunare, che era stata precedentemente trascurata a vantaggio del lavoro svolto per purificare e distillare la parte lunare, e fare in modo che essa completi la maturazione del “Frutto” , ovvero volga dal Bianco al Rosso, all’Oro….. La conquista dell’albero è un grande traguardo; tutti i Grandi Maestri siedono in un giardino, ai piedi del loro albero, che per i Grandi Illuminati diventa l’Albero Cosmico. L’Albero, con il Suo sviluppo dendritico, simile, per fare un paragone, alla ramificazione dei neuroni celebrali, “può portare in ogni luogo” perché è ramificato a tal punto da essere talvolta considerato lui stesso tutto l’Universo. Ecco dunque che l’Albero ci appare come la Via che comprende tutte le Vie, è la grande memoria e al contempo la struttura dell’Universo, esteso in ogni dimensione in ogni tempo e in ogni luogo, consente di muoversi dentro e fuori di esse, per questo gli dei escono simbolicamente da un Albero e ritornano nella loro dimensione sempre attraverso un Albero. Ben sapevano gli antichi, che forse accedevano alle spirali dell’albero molto più facilmente di quanto possa fare il più grande iniziato dei nostri tempi, essere l’Albero una porta, una sorta di rete di comunicazione tra mondi diversi, la cui conoscenza ci permette di spiegare molti di quei fenomeni irrisolti dalla scienza moderna.


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]La croce, come si è visto, è un segno antichissimo: lo si trova 3.500 anni prima di Cristo in India nella forma di croce gammata o uncinata, la svastica (ma i nazisti, significativamente, ne orientarono gli uncini in senso contrario). Per i cristiani era anche l’iniziale greca di Cristo, Christós. Il simbolo cessò di essere tale per diventare emblema il 14 settembre del 335. Quel giorno venne consacrata la basilica che l’imperatore Costantino aveva fatto innalzare sul luogo in cui nel 321 sua madre Elena aveva rinvenuto la vera croce, proprio quella su cui era stato confitto Cristo. Ancora oggi nel calendario cristiano si commemora la festa dell'”Esaltazione della Croce” Per i primi quattro secoli la croce fu rappresentata il più delle volte nella forma gammata e nessun artista cristiano tracciò mai Gesù inchiodato alla croce. Era simbolo di vittoria, non di morte. Le catacombe cristiane sono infatti piene di segni di serenità e speranza; assenti il lutto e la tristezza. Paradossalmente, il primo crocifisso di cui si abbia notizia è blasfemo: un graffito tracciato su una parete della scuola dei paggi nel palazzo imperiale sul colle Palatino a Roma. E’ della metà del III secolo. Rappresenta un uomo in croce, ma con una testa d’asino. Ai suoi piedi c’è una figura adorante. Sotto, la scritta: “Alexamenos adora il suo dio”. Si tratta sicuramente dello scherno di un giovane pagano rivolto a un compagno o a un insegnante cristiano. Solo nel V secolo si cominciò a raffigurare Cristo crocifisso, ma sempre con espressione trionfante, gli occhi aperti, il capo eretto, vestito regalmente. Questo perché le eresie avevano messo di volta in volta in dubbio o l’incarnazione di Dio o la divinità di Cristo, col risultato di considerare la sua morte solo un’apparenza. Il Concilio di Efeso del 431 riaffermò la fede nell’Uomo-Dio, e l’arte si adeguò. Però, l’uomo raffigurato in croce – patibolo al quale non si sopravviveva – non era morto, perché era Dio. I suoi occhi erano aperti, come quelli dei vivi; ma anche come quelli di Dio, che per gli antichi era sempre vigile e onniveggente. Per vedere raffigurato Gesù morto bisogna attendere il XII secolo, epoca in cui compare per la prima volta anche la corona di spine. E’ tutta una teologia che cambia direzione: Cristo è morto al posto nostro; la sua passione diventa il tema centrale. Ma anche qui abbiamo il precedente della lunga lotta iconoclasta, la guerra contro le immagini che dilaniò per secoli Bisanzio e i cui strascichi lambirono l’Occidente. L’età umanistica inaugurò quel divorzio tra fede e arte che non si è mai più composto. Era il tempo in cui nasceva un nuovo modo di studiare la realtà; ora interessava solo quello che si poteva toccare, misurare, sperimentare. Il Rinascimento paganeggiante e Galíleo diedero il colpo di grazia. Nel Medioevo era stato normale attorniare la crocifissione di angeli, santi e personaggi contemporanei. Ma già con Leonardo il cielo si era chiuso e una Madonna non era più distinguibile da una donna qualsiasi. Non era più il significato religioso a guidare l’artista, ma la verosimiglianza. Il tema della sofferenza di Cristo toccava il suo apice con il protestantesimo. Questo, nel suo recupero veterotestamentario, vietava ogni forma di rappresentazione artistica, tranne (ma rara) quella del crocifisso. Con la differenza che in croce adesso non c’era più Gesù ma il suo cadavere. Le raffigurazioni si fecero sempre più raccapriccianti perché, secondo la teologia riformata, l’uomo è completamente dominato dal peccato e solo nella morte dolorosa di Cristo ha l’unica speranza. La croce, dicevamo, è un simbolo vecchio quasi quanto l’umanità. E’ impressionante vedere croci, uguali a quelle cui siamo abituati, su reperti caldaici, assiri, cinesi, cretesi, egizi, aztechi e anche preistorici. A tal proposito giova ricordare che tra i graffiti neolitici di Porto Badisco (Otranto), le croci raffigurate sotto svariate forme rappresentano certamente la religiosità di quei popoli antichi. Ed è singolare come le croci siano sempre state considerate da tutti i popoli un simbolo beneaugurante, un’espressione di vita. Come sappiamo, dai persiani in poi divenne anche uno strumento di morte. Ma come patibolo le sue forme potevano essere differenti. La croce simplex era formata da un semplice palo infisso nel terreno; su di esso il condannato veniva affisso e lasciato lì a morire. Specialmente i turchi usarono appuntire il bastone e impalare l’uomo. La croce a “X” era detta decussata; a “T” era la commissa. I romani preferivano la ímmissa, costituita dallo stipes, il palo verticale, sul quale veniva agganciato il patibulum, che il condannato portava fino al luogo dell’esecuzione. Era la classica pena degli schiavi fuggiaschi, i quali, ripresi, venivano inchiodati sulla trave che chiudeva il portone della casa. Infine, la furca era la croce a forma di <>. La scelta dipendeva dalla necessità. Per esempio, domata la rivolta ebraica del 70 d.C., i romani procedettero a oltre cinquecento esecuzioni quotidiane. Poiché il legno adatto scarseggiava, si ricorse a cruces d’ogni tipo. Da allora, a monito, si ebbe cura di predisporre una congrua scorta di patiboli. E in Giudea abbondavano le querce, il cui legno, specie se stagionato, offriva ottime garanzie di durezza. Il condannato veniva fatto distendere sulla croce e i carnefici segnavano le sue ‘misure’, cioè i punti in cui avrebbero dovuto predisporre i fori per i chiodi. Dopo avere effettuato questi ultimi, lo sventurato veniva ridisteso sulla croce, lo si legava e si piantavano i chiodi. Indi si innalzava il tutto. Il buco nel terreno era anch’esso già predisposto. Il contraccolpo della caduta del palo verticale nel buco provocava ulteriori sofferenze al disgraziato. Questi, com’è noto, moriva per soffocamento: la posizione delle braccia gli impediva l’alternarsi di riempimento-svuotamento dell’aria nei polmoni. Ci voleva moltissimo tempo; per questo Pilato si stupì che Gesù fosse morto dopo sole tre ore. Poiché durante la Pasqua ebraica non si potevano eseguire esecuzioni capitali, dato l’approssimarsi del sabato festivo agli altri due condannati vennero spezzate le gambe, proprio per impedire che, puntandosi sul chiodo che trafiggeva i talloni, costoro potessero alleggerire la sospensione alle braccia e dare un po’ di spazio al torace. Atrocissima fine, con la quale la giustizia romana teneva a bada le potenziali ribellioni. Il segno della croce venne dai cristiani adottato subito, in base alla tradizione apostolica orale. Nel battesimo si segnava così il neofita sulla fronte, ritenuta la parte più alta e nobile del corpo. Con questo segno il battezzato diventava proprietà di Dio perché ne portava il Nome (l’iniziale di Chrístos). Questo segno potente, col quale Cristo “spogliò i principati e le potestà” (Col 2,15) era in tutti i sacramenti e veniva tracciato sulla persona, sugli oggetti, sui vestiti. Veniva ripetuto nelle azioni importanti, soprattutto all’inizio della preghiera e della lettura sacra. Era il sigillo di Ezechiele, il tau dipinto dall’angelo sterminatore sulle case dei giusti. Era il segno degli antichi Esseni in quanto uno dei nomi di Jahvè, il primo e l’ultimo di Isaia (Is 44,6), l’alef e il taw degli ebrei, l’alfa e l’omega dell’Apocalisse. Il Sommo Sacerdote ebraico veniva consacrato ungendolo con questo segno. Una lamina d’argento, risalente al I secolo e trovata a sud di Gerusalemme insieme a quattro lampade, testimonia l’uso del segno di croce nell’unzione degli infermi (le lampade contenevano l’olio santo). E’ scritta in aramaico e reca le iniziali di Cristo tra due croci. Vi è descritto il rito insegnato dalla Lettera di Giacomo a proposito dell’unzione dei malati. Il segno della croce era considerato efficace anche da solo, ma prestissimo lo si accompagnò con la formula insegnata da Cristo (Mt 28,19); “Andate e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il “nome” indicava per gli antichi potere e dignità. Dice san Paolo che Cristo ha ricevuto dal Padre “il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9). Nel mondo romano gli schiavi assumevano il nomen del padrone, così come gli adottati (onore considerato superiore alla stessa figliolanza carnale). I Nomi di Dio (o di Allah) costituiscono ancora oggi una vera ossessione per i cabalisti ebrei (e musulmani). Il segno sulla fronte per alcuni culti indicava appartenenza alla divinità: gli adepti di Díoniso, per esempio, all’ingresso nella setta venivano tatuati a fuoco con sottili aghi. Il Sommo Sacerdote ebraico portava sul copricapo una lamella d’oro su cui era scritto “consacrato a Jahvé”. L’Apocalisse parla di un “sigillo del Dio vivente” (Ap 7,2), tracciato sulla fronte degli eletti, ed è il nome dell’Agnello e del Padre (Ap 14,1).

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