GARIBALDI – STORIA DEI MILLE

Storia dei Mille

 Giuseppe Cesare Abba

Marcia notturna   Venne intanto la sera, una sera cupa che minacciava una notte di pioggia. Eppure le Compagnie furono fatte mettere sotto le armi e in marcia, di nuovo come il giorno avanti sulla via per discendere a Pioppo. Dunque Garibaldi si ostinava davvero a tentar Palermo da quella parte e con un attacco notturno? Fosse pure! Gli animi erano ben disposti, perché quello stare con la gran città alle viste e con le spalle mal sicure cominciava a diventar fastidioso. E marciarono. Ma là dove la via chinava, dove sul mezzodì avevano visto i cannoni in batteria, i cannoni non c’erano più, e le Compagnie invece di scendere, si videro fatte girar a destra per entrare in un sentiero che non poteva menare se non sulle creste di certi monti, dei quali nei due giorni passati nel campo di Renda avevano potuto considerare l’asprezza. All’imbocco di quel sentiero, soldato per soldato ricevevano tre pani da alcuni uomini, che agli ordini del capitano Bovi, bolognese, facevano fretta ai passanti che pigliassero e andassero. Quei tre pani volevano dire tre giorni forse di marcia per le montagne. Erano dunque preziosi; onde i più dei soldati non sapendo dove se li mettere, inastate le baionette ve li infilzavano, e tiravano via col fucile in spalla sbilanciato a quel modo, celiando. Ma come fu notte chiusa e il sentiero venne a mutarsi in sterpeto, si fecero alquanto tristi. Sennonché a un certo punto trovarono Garibaldi che tribolava a mandare avanti dei contadini, i quali curvi sotto lunghe stanghe portavano a spalle appesi a quelle i cannoni smontati, dieci o dodici per ciascun pezzo. E li esortava, e li metteva sul gioco di moversi ognuno con tutte le sue forze, li aiutava persino, e per insegnar loro come dovevano stare sotto la stanga ci si metteva egli stesso. In quel mestiere lo secondavano il Castiglia, il Rossi, il Burattini, i marinai del Lombardo e del Piemonte, già sin da Salemi formati in una piccola Compagnia. Con quell’esempio la colonna sfilava, un uomo dietro l’altro oramai, ché per due non c’era più luogo. E cominciò una pioggerella che presto divenne fitta tra quelle tenebre, dando alla gente il senso di camminare nelle nubi. Ah le belle vie di Milano, di Venezia, di Genova, tutte inondate di luce, a quell’ora! I pani, inzuppandosi, cascavano giù dalle baionette, cascava qualche uomo a ogni passo; tuttavia si rideva ancora, ma, per dir così, d’un malinconico riso interiore. Metteva un po’ di sgomento il non veder più nulla, salvo dei gran fuochi indietro nel campo di Renda abbandonato, e un altro gran fuoco solitario avanti, lontano, verso il quale si accorgevano di marciare; mentre dal fondo, sulla sinistra, salivano a intervalli i gridi d’allerta delle sentinelle napolitane. Dalla testa della colonna veniva il nitrito d’un cavallo, insistente, selvaggio. A un tratto s’udirono due colpi di fuoco. Fu un fremito per tutta quella sfilata: forse l’avanguardia s’era imbattuta nel nemico. Ma poi non si udì più nulla. E sempre tirando avanti, passò la voce che quei colpi erano stati scaricati da Bixio nella testa del suo cavallo, per farlo smetter di nitrire; atto proprio da Bixio che aveva voluto far quella marcia del diavolo in sella. Era vero. Andando avanti, i soldati passavano vicino a un cavallo spianato là morto fuori de’ piedi. Quando fu quasi l’alba, le Compagnie si trovarono a calare dalle ultime falde di quei monti su d’una grossa borgata. Pioveva ancora. Credevano d’aver camminato lontano, e invece la Conca d’oro era ancora lì davanti ad essi come quando stavano a Renda, solo che adesso la vedevano da oriente. Mirabile marcia! Garibaldi che per natura si ricordava così poco delle cose fatte, ebbe ragione quando, riparlandone dopo molti anni, disse che neppure in America si era trovato a farne fare una a’ suoi, somigliante a quella del Parco. E non un uomo si era perduto; qualche ritardatario aveva saputo serrarsi presto alla colonna; anche i cannoni erano venuti per quelle balze. Ma in quale stato, povera gente! Il borgo di Parco sia lodato sempre pel modo come la accolse. Non ci fu casa che non si aprisse a ristorare qualcuno, a rasciugare i panni, a rifornirne che non poteva più tener indosso i propri, ridotti in cenci, a rincalzare chi non aveva più scarpe in piede. Ma ancora più da lodarsi quel borgo, perché si prese in seno tutta quella gente, e se la tenne celata tutto quel giorno e la notte appresso, senza che nulla ne trapelasse ai borbonici, campeggianti nella Conca d’oro.    
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