ERCOLE

Ercole

Elemento imprescindibile per la comprensione degli alti misteri dell’alchimia, Eracle (per i Romani Ercole) è una delle tre “luci” delle logge massoniche. Egli è il simbolo della forza dell’iniziato, che affronta il terrore del lato oscuro per trionfare e venire incoronato uomo-re, uomo-dio.

Da “I miti greci”, di Robert Graves, ed. Longanesi &C.
Il mito narra che questo intrepido semidio, figlio di Zeus e della mortale Alcmena,dotato di forze sovrumane, fin nella culla strangolò con le sue mani i due serpenti che Era gli aveva inviato contro per ucciderlo. Giovanetto fu addestrato nelle arti della guerra, ma anche a cantare e a suonare la lira. Era inoltre esperto di scienza augurale. Si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui.

Fatto impazzire dalla matrigna Era, secondo il mito uccise alcuni suoi figli e nipoti. Quando recuperò la ragione, si rivolse alla Pizia di Delfi per un consiglio. Essa lo invitò a porsi al servizio di Euristeo per dodici anni e di compiere tutte le Fatiche che quello stesso gli imponesse di sopportare. Si dice che, quando Ercole iniziò le sue fatiche, Ermete gli donò una spada, Apollo un arco con frecce ben levigate e adorne di piume d’aquila, Efesto una corazza d’oro e Atena un mantello. Una coppia di cavalli fu il dono di Poseidone, quello di Zeus un magnifico e infrangibile scudo. Ma Ercole, per le sue fatiche, si servì della clava, e di arco e frecce. Iolao, nipote di Ercole, partecipò alle sue Fatiche come auriga o come reggitore di scudo.

Naturalmente le Fatiche hanno valore simbolico ed il loro significato non può comprendersi se non penetrando ogni particolare dei racconti mitici che ne parlano. Qui di seguito ne riportiamo solo alcuni brevi stralci.

Le fatiche

La prima fu di uccidere e scuoiare il leone Nemeo, una belva enorme invulnerabile da ferro, bronzo o pietra. Dopo aver provato con le frecce, la spada e la clava, Ercole lo soffocò premendogli il braccio contro la gola. Portò quindi la carcassa del leone a Euristeo che, terrorizzato, gli ordinò di non mettere più piede in città. In futuro avrebbe dovuto deporre i frutti delle sue Fatiche dinanzi alle porte.

La seconda Fatica fu di distruggere l’idra di Lerna, mostro nato da Echidna e da Tifone. Ercole la colpiva tagliandole le teste, mentre Iolao ne cauterizzava le radici con rami infuocati per impedirne che germogliassero di nuovo, e quindi l’uccise tagliandole la testa con una spada o un falcetto aureo, e seppellendola, ancora sibilante, sotto una pesante roccia ai margini della strada che conduceva a Elea. Euristeo dichiarò che quella Fatica non era stata compiuta a dovere, perché Iolao lo aveva aiutato con i rami infuocati.

La terza Fatica fu di catturare la cerva di Cerinea. Ercole, che non voleva né uccidere né ferire la cerva, la inseguì per un anno intero. Quando fu stanca, egli scoccò una freccia che trafisse le gambe anteriori dell’animale, passando fra osso e tendini, senza fare sgorgare sangue. Quindi se la caricò sulle spalle per portarla viva a Micene.

La quarta Fatica fu di catturare vivo il cinghiale Erimanzio. Era questi una belva feroce e enorme che infestava le pendici del monte Erimanto. Ercole lo stanò dal folto di un bosco e lo spinse in una forra colma di neve e gli balzò sulla schiena. Legatolo con catene se lo caricò sulle spalle e lo portò a Micene. Ma quando seppe che gli Argonauti stavano radunandosi per iniziare il viaggio verso la Colchide, abbandonò il cinghiale ai margini della piazza del mercato e partì con Ilo per unirsi alla spedizione.

La quinta Fatica fu di ripulire in un sol giorno le stalle di Augia. Dodici tori bianco-argentei difendevano le mandrie di Augia dalle belve feroci. Ercole, scambiato per un leone, fu attaccato dal capo dei dodici, e fu costretto a stenderlo a terra. Quindi, aiutazto da Ioalo, aprì due brecce nelle mura della stalla e poi deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo (o Menio), in modo che le loro acque invadessero le stalle ripulendole da tutto il sudiciume. Euristeo rifiutò di considerare valida quella Fatica, perché Ercole era stato assoldato da Augia.

La sesta Fatica fu di uccidere gli uccelli Stinfali. Erano questi forniti di becchi, artigli ed ali di bronzo, e mangiavano gli uomini. Sacri ad Ares, avevano occupato la palude Stinfalia. Ercole non poteva ucciderli, perché erano numerosissimi, ed era impossibile colpirli con le frecce, perché dimoravano nel profondo della palude. Così Atena diede ad Ercole delle nacchere di bronzo, costruite da Efesto. Ercole, salito su un rialzo roccioso, cominciò a battere tra loro le nacchere, con tale chiasso che gli Stinfali, spaventati, si alzarono in volo. Ercole li uccise così, mentre volavano.

La settima Fatica fu di catturare il toro cretese. Questo metteva a soqquadro la terra di Creta, sradicando gli alberi e tirando giù le recinzioni dei campi coltivati. Il toro lanciava fiamme dalle narici. Ercole, rifiutando ogni aiuto da Minosse, lo catturò da solo, e lo portò a Micene, dove Euristeo lo rimise in libertà, consacrandola ad Era.

L’ottava Fatica fu di catturare le cavalle di Diomede. Erano queste quattro cavalle selvagge, di proprietà di Diomede, re di Tracia. Tali cavalle erano nutrite con la carne degli ospiti del re. Giunto in Tracia, Ercole sgominò gli stallieri, uccise Diomede dandolo poi in pasto alle cavalle. Così sazie, queste furono domate da Ercole.

La nona Fatica fu di portare ad Admeta, figlia di Euristeo, la cintura di Ippolita. Ippolita era la regina delle Amazzoni, e indossava la cintura di Ares. Ippolita offrì la cintura ad Eracle come pegno d’amore. Ma Era, che tramava sempre contro Eracle, aizzò le Amazzoni contro il semidio, spargendo la voce che si voleva rapire Ippolita. Così le Amazzoni si lanciarono in battaglia contro la nave di Eracle. Questi, sospettando un tradimento, uccise Ippolita e le sfilò la cintura. Mise quindi in rotta l’esercito delle Amazzoni, facendone grande strage. Indi tornò a Micene, dove consegnò la cintura a Euristeo.

La decima Fatica fu di impadronirsi del bestiame di Gerione. Gerione aveva tre teste, sei braccia e tre busti riuniti alla vita. Il suo bestiame era custodito da Eurizione, figlio di Ares, e da Ortro, cane a due teste, nato da Tifone e da Echidna. Nel corso del viaggio Eracle eresse due colonne, l’una di fronte all’altra: una in Europa e l’altra in Africa. Giunto all’isola di Erizia, Eracle uccise per primo Ortro e quindi Eurizione che accorreva in aiuto del cane. Visto da Gerione, fu da lui sfidato a battersi. Eracle uccise Gerione trapassandone i tre busti con una sola freccia. Era, che si precipitava in aiuto di Gerione, fu ferita anch’essa da Ercole, alla mammella destra. Così la dea fuggì ed Eracle prese possesso della mandria.

L’undicesima Fatica fu di prendere i pomi delle Esperidi. Questi erano frutti d’oro che Era aveva ricevuto in regalo dalla Madre Terra, e che la dea aveva piantato nel proprio giardino, alle pendici del monte Atlante. Un giorno Era vide che le Esperidi, figlie di Atlante, coglievano le mele dall’albero sacro, ordinò al drago Ladone di custodirne i frutti. Ladone aveva cento teste e parlava diverse lingue. Girovagando senza riuscire a venire a capo all’impresa, alfine Eracle catturò Nereo e lo costrinse a rivelargli il modo per cogliere i pomi preziosi. Dietro suo consiglio, Eracle chiese ad Atlante di prendere le mele per proprio conto. Uccise con una freccia il drago, prese sulle spalle il globo che Atlante sosteneva e Atlante si occupò di cogliere tre mele dal sacro albero. Con inganno Eracle convinse Atlante a riprendere il globo, quindi prese i frutti misteriosi, portandoli a Euristeo. Questi glieli restituì e lui li diede ad Atena che, a sua volta, li restituì alle Ninfe. Terminata questa Fatica, Eracle aveva sete. Battè a terra il piede e ne fece scaturire un fiume.

La dodicesima Fatica fu quella la cattura di Cerbero. Il cane Cerbero risiedeva nel Tartaro. Aveva tre teste ricoperte di serpenti, e la coda irta di aculei. Eracle, per prepararsi all’impresa, si fece iniziare ai Misteri di Eleusi, cingendosi il capo con la corona di mirto. Ma poiché nessuno poteva essere ammesso ai misteri con le mani macchiate di sangue, prima dovette essere purificato per il massacro che aveva fatto dei Centauri. Solo dopo venne iniziato da Museo, figlio di Orfeo, mentre Teseo gli faceva da padrino. Tuttavia, poiché Eumolpo, il fondatore dei Grandi Misteri, aveva decretato che nessuno straniero poteva esservi iniziato, gli Eleusini stabilirono per Eracle i Piccoli Misteri; altri dicono che Demetra stessa onorò Eracle istituendo i Piccoli Misteri per quell’occasione. A questo punto Eracle era pronto e discese nel Tartaro. Fu guidato nel viaggio da Atena e da Ermete. Caronte, atterrito dall’Eroe, lo fece traghettare lo Stige, senza esitare. Persefone, uscita dal suo palazzo, salutò Eracle come un fratello. Ade, il dio del Tartaro, acconsentì che Eracle prendesse Cerbero, ma solo se lo avesse domato senza l’uso di clava o di frecce. Eracle raggiunse Cerbero presso le porte dell’Acheronte, e l’afferrò subito per la gola da cui sorgevano le tre teste. Alla fine Cerbero, mezzo soffocato, si arrese. Eracle portò quindi Cerbero a Micene e lo consegnò a Euristeo. Questi, che stava celebrando un sacrificio, porse ad Eracle la porzione destinata agli schiavi. Al che Eracle si sdegnò e uccise tre dei figli di Euristeo: Perimede, Euribio ed Euripilo.

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