W.A. MOZART E I CONTENUTI MASSONICI DEL “FLAUTO MAGICO”

W. A. Mozart e i contenuti massonici del « Flauto magico »

di F. Ribotti

 Riascoltare « Die Zabuerflote » di Mozart a un anno di distanza da quando gli si sono dischiuse le porte del Tempio, è per l’iniziato un motivo di meditazione nuova; è, per così dire, vedere con occhi nuovi e udire con ‘nuove orecchie. Ho voluto perciò fissare in alcune brevi note le impressioni e i pensieri che mi sono affiorati alla mente durante l’ascolto, in una recente esecuzione da parte di un complesso salisburghese, dell’ultimo capolavoro di Mozart, un musicista fra quelli da me più amati, e doppiamente caro da quando il suo nome fa da vincolo fra me e i miei fratelli di Loggia. Ho voluto sottolineare quelle frasi di ispirazione massonica e quei momenti rituali che un tempo, per me profano, come per tutti i profani, non acquisivano particolare significato, ma che dopo l’iniziazione si sono rivelati di peso determinante e si sono caricati di pregnante significato. Sono pochi momenti, tra i moltissimi del « Flauto magico », opera simbolica e misterica quant’altre mai nella storia del melodramma. Vorrei ricordare, solo brevemente, alcune note storiche che hanno fatto da sfondo alla nascita del « Flauto magico ». Pare che il libretto di « Die Zauberflote » tragga origine da numerose fonti: forse innanzitutto da un « Oberon » di Carlo Lodovico Gieseke, a sua volta pare già plagiato da un altro omonimo libretto. Gieseke era uno strano tipo di «factotum» di Schikaneder, il poeta-attore-impresario che risulta l’autore ufficiale del libretto. Ma dall’« Oberon » furono solo mutuate alcune idee, come del resto dal « Re Thamos » di Gebler, dallo stesso « Ratto dal Serraglio », dalla «Lulù o il flauto magico » di Martin Wieland, dalla « Zaide» e addirittura dalla « Tempesta » di Shakespeare. Come si vede mille rivoletti, per formare quel grande fiume maestoso. Il meschino ma immodesto Gieseke, anni dopo, si vantò di essere il solo autore del libretto, ma la banalità e mediocrità delle sue composizioni poetiche lo fanno escludere. Chi mise mano al

testo letterario e all’invenzione della trama fu quasi di certo Mozart stesso. Purtroppo il padre era morto da qualche anno e la moglie Costanza, allora lontana da Vienna, non si interessava minimamente alle questioni di lavoro del marito, per cui mancano del tutto quelle preziosissime lettere che sono fonte inesauribile di notizie sulla genesi di tanti altri capolavori mozartiani. Chi ha letto i lavori di Schikaneder li ha giudicati ingenui, popolareschi, gai e un po’ goffi, ma niente più. Coglie quindi nel segno Bernhard Paumgartner quando deduce che l’alto contenuto morale del « Flauto magico » è da attribuirsi a Mozart.-È recentemente in una sua nota sui “Problemi interpretativi del Flauto magico”, Giorgio Strehler dice « Io non ho dubbi nell’affermare che quanto cè di alto, di luminoso, di umano, fatti e concetti, situazioni e avvenimenti, momenti € parole, nel “Flauto magico”, appartengono anche e soprattutto a Mozart ». Mozart si era stabilito a Vienna nel 1781. L’anno precedente, la morte dell’imperatrice Maria Teresa aveva aperto un nuovo € prospero periodo per la Massoneria austriaca. L’imperatrice, negli anni del suo regno, aveva vietato la « setta odiata » convinta, malgrado vi appartenesse anche suo marito Francesco Stefano di Lorena, ch’essa svolgesse un’azione nefasta e disgregatrice per l’umana società. Ciò nonostante suo figlio Giuseppe TI, salito al trono nel 1780 appunto, ne favorì invece l’attività, poiché i suoi ideali umanitari e libertari, si armonizzavano perfettamente con quelli ch’erano stati gli ideali di suo padre, vale a dire gli ideali massonici. Anche Mozart fu attratto alla Massoneria dalla nobiltà degli ideali, dalla professione di umanità e di mutua solidarietà, dagli ideali di giustizia, dalla lotta dichiarata a ogni oscurantismo, a ogni superstizione, ad ogni dogmatismo retrivo. Mozart era, o meglio era stato, un fervente cattolico, ma la sua religiosità e la sua fede mal sopportavano il dogmatismo della religione cattolica, poiché gli pareva l’emanazione dell’arroganza e della gretta autorità dell’arcivescovo Colloredo, il despota del piccolo mondo salisburghese, così soffocante e così opprimente per Pl’insofferente Wolfgang Amadeus. Ma lo portarono alla Massoneria anche il suo carattere gaio e socievole, aperto all’amicizia fraterna

agli ideali umanitari, il suo desiderio di approfondire le argomentazioni esoteriche in un ambiente di intima fraternità, quale si può riscontrare solo in Loggia; inoltre una certa suggestione sul suo animo d’artista doveva esercitarla pure l’austero cerimoniale, le solennità e i riti in Loggia che spesso stimolarono la sua creatività: ne fanno fede le belle musiche massoniche, l’ultima delle quali, una piccola Cantata Massonica K 623 su testo di Schikaneder, fu da lui personalmente diretta in Loggia il 15 novembre 1791, appena venti giorni prima della sua morte. Le Logge principali in Vienna a quel tempo, erano due: quella della « Vera concordia » e quella della « Speranza incoronata ». Mozart fece parte di quest’ultima, anche se la sua iniziazione avvenne nella Loggia « Alla beneficenza » il 14 dicembre 1784. Frequentò poi per un mese quella « Alla vera concordia » e passò subito al grado di compagno. Pare che alla sua iniziazione abbia avuto gran parte il barone von Gemmingen, suo vecchio amico dai tempi di Mannheim. Mozart fu un buon massone che dedicò ai lavori di Loggia tutto il suo entusiasmo giovanile, quell’entusiasmo che fu parte integrante della sua personalità fino all’ultimo giorno della sua vita. La fede massonica lo conquistò pienamente e lo entusiasmò a tal punto che riuscì a convincere il padre, quel suo padre così diffidente nei confronti degli entusiasmi del figlio, ad affiliarsi lui pure alla massoneria. Ma nel 1790, alla morte di Giuseppe II, la Massoneria subì nuovamente gli atteggiamenti repressivi del suo successore che ne vietò le logge e l’attività. Anche l’opinione pubblica, in passato assai favorevole, guardava ora con sospetto i massoni considerandoli elementi sovversivi alla religione, alla monarchia e all’ordine dello stato. Dimenticando che dagli ideali massonici erano venute le spinte alla abolizione della servitù della gleba, della tortura e che da essi avevan tratto origine tutti i progressi della civiltà del secolo illuminato, i massoni erano indicati come i colpevoli e gli istigatori di quella rivoluzione che nel 1789, l’anno precedente, aveva sconvolto la società francese. All’ombra del motto massonico « Libertà, Eguaglianza, Fraternità » erano cresciute le erbe cattive che avevano travisato il vero spirito del motto stesso: ma l’opinione pubblica, si     

sa, fa di ogni erba un fascio. Moltissimi confratelli si misero in sonno, altri si ritirarono prudentemente nell’ombra (questa può anche essere storia dei giorni nostri o di appena un anno’fa). Mozart rimase però fermo e saldo nella sua fede massonica. La nascita del « Flauto magico » avviene proprio in questi momenti bui per la massoneria viennese. Schikaneder era tornato a Vienna da due anni e aveva assunto la gestione del teatro « Auf der Wieden », un piccolo teatro in legno alla periferia della città. Mozart trovò l’antico amico, il nuovo fratello e forse sorse nuovamente in lui il suo vecchio desiderio di dar vita a quell’« opera tedesca » che aveva già tentato con « Il ratto dal serraglio ». « Il Flauto » nacque dapprima come favola fantastica, un po’ sciocca, intessuta di miti, di vuoti simboli, di buffonerie, come erano di solito costruiti gli spettacoli di Schikaneder, abile nell’accattivarsi i favori del pubblico viennese. La trama narra di Tamino che, salvato dalle tre dame di Astrifiammante, la Regina della Notte, si innamora della figlia di lei, vista in un ritratto e decide di sottrarla al potere di un mago malvagio. La Regina, per aiutarlo nell’impresa, gli dona un flauto magico, e gli dà per compagno Papageno e tre genî luminosi. Papageno, l’uccellatore buffonescamente vestito di piume, penetra nella prigione di Pamina e la sottrae alle sozze brame di un negro, Monostato, seguace del mago Sarastro. A questo punto però succede un curiosissimo capovolgimento: Sarastro, il mago cattivo, diventa un personaggio pieno di bontà e di saggezza, il custode della Verità e della Luce, una gigantesca figura a tutto tondo di proporzioni michelangiolesche. La Regina della notte e le tre dame sue ancelle, che in precedenza erano le rappresentanti dei principi benefici, diventano le custodi del tenebroso regno del male. Tamino deve ora, attraverso prove simboliche, salire dalle tenebre al regno della Luce. Cos’era mai avvenuto? Perché d’improvviso viene abbandonata la banalità di una sciocca fiaba, e il lavoro si dilata a dimensioni universali, si carica di significati esoterici, diviene’ il simbolo della eterna lotta frail Bene e il Male, fra le ‘Tenebre e la Luce? Forse le persecuzioni che subiva la Massoneria e il silenzioso linciaggio

morale dei suoi fratelli, indussero Mozart a dar loro, attraverso il «Zauberflote », una carica di speranza e di serena fiducia? Acquista forse il « Flauto magico » il significato di altissimo monito ai fratelli perplessi per continuare a lavorare alla costruzione del Tempio, per continuare a camminare sulla via della Luce? Supposizioni sicuramente allettanti. Komorzynski avanzò una ipotesi pervasa di umana poesia: in quel tempo Ignazio von Born, mineralogista illustre, profondamente stimato sia a Vienna che in tutta Europa, Maestro Venerabile della rispettabile Loggia « Alla vera concordia », era in punto di morte. Al suo capezzale si trovarono spesso i fratelli Mozart e Schikaneder, e fu forse von Born stesso l’ispiratore di questa importante svolta nella genesi dell’opera. I principi etici che pervadono il libretto del « Zauberflote », la ricerca della verità per la felicità degli uomini, la volontà di giungere alla sapienza e alla vera Luce, pervadono anche il trattato di von Born «I misteri degli Egizi ». Anche l’azione del « Flauto magico » viene allora posta in ambiente egizio. Il mago si trasforma nella gigantesca figura del saggio Sarastro (= Zoroastro) su cui Mozart profonde la sua ammirazione e il suo amore per la cristallina e luminosa figura dell’amato Maestro Venerabile von Born. Da qui in poi, dalla fine del primo atto, da questo ‘‘iatus” improvviso, la musica pare ignorare l’esteriorità dello spettacolo, per dare forza e permeare di significati profondi ogni parola: quelle soprattutto che rispecchiano la fede e l’ideale massonico, il simbolismo e i riti della Massoneria. Da qui l’opera prende l’avvio per lievitare fino ad acquisire valore eterno ed universale: cadono la banalità della fiaba, l’incongruenza del frivolo teatro settecentesco, le convenzionalità del melodramma. Da qui in poi l’iniziato, il massone, trova nuovi orizzonti di luce, nuove vie svelate, nuovi misteri illuminati, nuove verità palesate. Respira la stessa aria che respita nel Tempio, riode le parole dei suoi fratelli e dei suoi Maestri: è immerso in una fraterna atmosfera massonica. E il profano? Il profano assorbe inconsciamente, anche il più impreparato degli ascoltatori, gli insegnamenti etici e le regole di un altissimo ordine morale. Per il « Flauto magico », « questa pos

siamo dire con Paumgartner — è la forza della sua immensa semplicità ». ‘ Ed ecco quanto avviene: Tamino, dopo qualche peripezia, incontrerà Pamina, supererà per ottenerla le tre prove iniziatiche e la farà sua sposa con la benedizione di Sarastro, tra i gioiosi canti degli iniziati inneggianti alla Luce che ha sconfitto le Tenebre dell’Errore e dell’Ignoranza. Ecco solo alcuni esempi di contenuti massonici, palesi o nascosti, che si trovano sparsi profusamente nell’opera, € che hanno suscitato in me emozione, dopo che a me pure, come  a ‘Tamino, è stata tolta la benda dagli occhi. Nel lucchetto con cui le tre dame chiudono la bocca a Papageno, nel 1° atto, possiamo ravvisare il silenzio a cui siamo tenuti, il segreto massonico che è uno dei nostri doveri principali, che oltre agli scopi pratici di naturale difesa, ha quello di insegnare la modestia, il silenzio e la prudenza. Ma nel lucchetto di Papageno possiamo anche ravvisare un esercizio di disciplina, un invito a chiudere la bocca alle parole che possono recare danno e ai fratelli e all’umanità.

«Se un simile lucchetto chiudesse

la bocca di tutti, invece di odio,

calunnia e nera bile, vi sarebbero

unione fraterna e amore »

Nella XV scena del I° atto si ergono tre Templi nel mezzo di un boschetto. Sulla porta del Tempio principale si legge “Tempio della Sapienza”, a destra “Tempio della Ragione”, a sinistra “Tempio della Natura”. Tre fanciulli (che con le tre ancelle di Astrifiammante, i tre accordi iniziali dell’opera e tutte le altre triplici citazioni riflettono i simboli della triade massonica) accompagnano Tamino, « eroe » nel senso etico, non nel senso guerriero, « eroe puro » che vuole, attraverso le tenebre, raggiungere la purezza del regno della Luce.

 «Questo sentiero (ammoniscono

i tre fanciulli) ti porta alla

meta, ‘ma devi vincere da uomo.

Sii costante, fedele e silenzioso.»

 ‘Tamino che ha con sé il flauto dotato di magico potere, dono delle tre ancelle, non se ne servirà. Come ogni buon massone, le sue armi di difesa contro le tenebre saranno soltanto la sua sete di giustizia e la sua purezza di sentire. «Le porte e le colonne (dice Tamino) dimostrano che qui dimora l’arte, il lavoro è l’intelletto. Dove il lavoro regna e l’ozio cede, il vizio non avrà facile dominio » Potremmo forse sintetizzare meglio la descrizione del nostro Tempio? ‘Tamino bussa alla porta del Tempio e un sacerdote lo ammonisce a non voler entrare spinto da vendetta e sdegno (Tamino crede ancora Pamina rapita da Sarastro). In Tempio possono condurre solo l’amore e la virtù. Quando comparirà Sarastro e sarà chiarita ogni cosa, Tamino e Papageno, gli stranieri, i profani, saranno condotti nel recinto coperti da un velo, da quella benda sugli occhi che, Mozart allora e noi tutti poi, abbiamo portato nell’entrare la prima volta nel Tempio. Quella benda che nella nostra simbologia rappresenta l’oscurità nella quale fino allora è vissuto il profano, condizionato nelle sue scelte dall’ambiente e dalle parole altrui. Quando la benda cadrà egli sarà illuminato dal sapere massonico e vedrà la Vera Luce a cui deve tendere con tutte le sue forze. La prima scena dell’atto 2° è il rituale d’iniziazione di ‘Tamino, che rispecchia i rituali d’iniziazione celebrati nelle nostre Logge.

« Questo giovane (dice Sarastro) bussa

alla porta del nord e aspira a strappare

da sé il velo della notte per

mirare al santuario della più grande

luce. È nostro dovere vegliare su

di lui e tendergli amichevolmente

la nostra mano »     

Riconosciamo in esse le parole di un Maestro, Venerabile, le parole del Maestro che ha come scopo e dovere quello di conoscere e migliorare, dopo se stesso, gli altri; che ha il dovere di educare massonicamente Dl’iniziato allo studio, alla perseveranza, alla tolleranza. À tutte quelle virtù che lo porteranno ad acquistare la maturità massonica e ad agire nel mondo profano in modo da influenzare, con la sua testimonianza, gli uomini affinché tendano a quei concetti di libertà, di fraternità e di uguaglianza che soli possono migliorare l’umanità. | L’oratore chiede se Tamino ha virtù, se sa tacere, se è caritatevole. La risposta è affermativa. Comincia la triplice prova che Tamino supererà, come fiduciosamente sa Sarastro che rispondendo alle perplessità dell’oratore dirà:

«Oratore: Egli è un principe!

Sarastro: Di più. È un uomo! »

Ed è a questo punto che dalla voce di Sarastro, dalla sua calda voce di basso, ci vengono raccomandate le virtù della fratellanza, della tolleranza, dell’amicizia, della pazienza, dell’amore. Ancora una volta le virtù massoniche ci vengono ricordate e raccomandate dalla bocca di un Maestro Venerabile in una pacata, altissima, nobilissima aria: «In diesen heil’gen Hallen » (In queste sacre soglie non è nota la vendetta). È questo uno dei punti più luminosi e alti del « Flauto magico », che Mozart ha intensamente espresso perché intensamente lo aveva sentito e vissuto, perché era l’espressione della sua fede massonica! E nel finale, per bocca dei tre fanciulli, l’augurio e la speranza in un mondo illuminato dalla Luce dell’Oriente:

« Presto scomparirà la superstizione,

 presto vincerà l’uomo saggio ».

Tamino sarà purificato, come ogni iniziato, dal fuoco, dall’aria e dall’acqua, le tre prove che dovrà affrontare forte delle sue virtù. i «Nessuna morte mi spaventa, nessuna

morte mi impedisce di agite come un uomo »

Il fuoco finale, purificatore e rigeneratore, sarà il trionfo della Virtù sopra le Tenebre dell’ignoranza. Attraverso di esso Tamino e Pamina giungeranno alla Vera Luce, accolti da Sarastro e dai sacerdoti divenuti ora fratelli. Tamino con Pamina, la «coppia nobile », Papageno con Papagena, la coppia comica di amanti, ma che vive anch’essa nell’ordine morale, di una morale « terrestre », avranno vittoria sull’oscurità, trionferanno su Monostato e Astrifiammante, i personaggi del male che saranno precipitati nella notte eterna. Il coro di sacerdott potrà alla fine dell’opera salutare i nuovi iniziati col canto:

«Iniziati salute a voi!

Avete attraversato la notte!

Ha vinto lo spirito forte!

Qui la bellezza e la saggezza

Siano in premio coronate

con una ghirlanda  immortale. »

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