GIASONE ALLA CONQUISTA DEL VELLO D’ORO

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Giasone alla conquista del Vello d’Oro

Questa immagine rappresenta Medea e Giasone nell’impresa del Vello d’Oro [rilievo della basilica pitagorica di Porta Maggiore in Roma (fot. Richter)]. Il mito di Giasone è parte integrante della conoscenza iniziatica della massoneria.

L’oracolo aveva predetto a Pelia – usurpatore del trono di Iolco – che doveva guardarsi da un uomo che calzasse un solo sandalo.

Venne il giorno che Pelia notò un giovanotto, vestito di cuoio e pelle di leopardo, che aveva un solo sandalo. Questi aveva perso l’altro sandalo attraversando il fiume Anauro, mentre aiutava una vecchia (la dea Era, travestita) a passare il fiume.

Quel giovane era Giasone, il cui vero nome era Diomede, figlio di Esone, legittimo pretendente al trono di Iolco. Giasone era stato allevato ed istruito da Chirone, il centauro destinato all’educazione di molti personaggi dell’antichità, da Asclepio ad Achille a Enea e molti altri.

Giasone, interrogato da Pelia, gli rivelò chi fosse e gli chiese indietro il trono. Pelia, sapendo che Giasone era protetto da forti alleati, non gli negò il diritto, ma gli impose di riportare a Iolco il Vello d’Oro. Tale vello era custodito nella Colchide, appeso a un albero in un boschetto sacro ad Ares, ed era sorvegliato da un tremendo drago che non dormiva mai. La Colchide era una regione all’estremità orientale del mar Nero, già colonizzata dagli Egiziani.

Giasone accettò. Mandò messi per tutta la Grecia perché cercassero volontari per la spedizione. Si fece costruire da Argo di Tespi una nave che lo conducesse a destinazione. Atena stessa, la dea della sapienza, mise sulla prua della nave Argo un’immagine di buon auspicio. Molti furono gli Argonauti, tra essi lo stesso Argo che costruì la nave, Castore, il semidio Eracle, Eurialo, il sacro cantore Orfeo, il mirmidone Peleo. Eracle, richiesto di comandare l’Argo, preferì stare sotto il comando di Giasone, che aveva organizzato la spedizione.

La prima tappa fu Lemno, dove gli unici abitanti rimasti erano le donne, che intrattennero a lungo gli Argonauti, generando con loro molti figli. Fu Eracle a stimolare la compagnia alla ripartenza. Nel viaggio, giunsero alla penisola Arto, nel mar di Marmara, ove furono accolti dal re Cizico, che li ospitò. Nel corso della notte furono attaccati da alcuni giganti con sei braccia, figli della Terra, ma li sconfissero. Quindi ripartirono verso il Bosforo. Dopo alcune peripezie in mare, furono costretti da una tempesta a sbarcare su una spiaggia della Misia. Eracle e Polifemo, attardandosi nella foresta alla ricerca di Ila, già amante di Eracle, furono lasciati a terra da Giasone, che aveva ordinato di riprendere il mare, pur tra le proteste degli altri Argonauti. Approdarono poi all’isola di Bebrico, quindi a Salmidesso, nella Tracia orientale. Qui liberarono il re Fineo dalle Arpie che lo tormentavano. E costui li ringraziò indicando ad essi la navigazione da prendere sul Bosforo, e invitandoli a raccomandarsi ad Afrodite, non appena giunti in Colchide. Proseguendo nel viaggio sorpassarono le pericolose rocce Simplegadi, che fracassavano le navi che passavano in mezzo a loro. L’aiuto di Atena e il suono della lira di Orfeo non furono di poco aiuto. Entrati nel mar Nero, approdarono nella piccola isola di Tinia. E lì Apollo apparve loro. Orfeo elevò un tempio al dio. Nel tempio gli Argonauti giurarono di non abbandonarsi mai nel pericolo.

Molte furono le peripezie che dovettero superare gli Argonauti. Furono a Mariandine, nei pressi dell’orrido da cui emersero Eracle e Cerbero dall’Ade. Giunsero a Sinope in Paflagonia. Oltrepassarono il paese delle Amazzoni e quello dei Calibi, che vivevano unicamente del loro lavoro di fabbri. Furono attaccati da uccelli bronzei, presso l’isoletta di Ares. Doppiarono l’isola di Filira, dove Crono giacque con Filira, da cui nacque il saggio centauro Chirone. Quindi giunsero in vista del Caucaso e sbarcarono nella terra della Colchide.

Era (Giunone per i Romani), Atena e Afrodite, le dee più potenti dell’Olimpo, aiutarono Giasone nell’impresa, in particolare Afrodite che, tramite il figlio Eros, fece innamorare dell’eroe greco Medea – la maga, figlia di Eete re di Ea. Il consiglio di guerra, indetto da Giasone tra gli Argonauti, decise che occorreva chiedere ad Eete il Vello d’Oro e, solo se questi avesse rifiutato, che se ne sarebbero impadroniti con la forza.

Eete, dopo un primo rifiuto, pose a Giasone e ai suoi alcune tremende condizioni: aggiogare due tori, creature di Efesto (il dio Vulcano dei Romani); questi animali erano temibili, avevano zoccoli di bronzo ed emettevano fuoco dalle narici; infine dovevano tracciare quattro solchi sul Campo di Marte e seminarvi alcuni denti di serpente, i denti superstiti tra quelli seminati da Cadmo a Tebe.

Medea promise a Giasone di aiutarlo, purché la sposasse e la portasse con sé in Grecia. Giasone accettò, e Medea gli fornì un preparato che lo avrebbe reso immune dalle fiamme dei tori. Il farmaco era stato preparato con il croco caucasico, sbocciato dal sangue colato dalle ferite di Prometeo. Così protetto dal succo del fiore magico, Giasone aggiogò i tori all’aratro e li costrinse ad arare il campo. Al termine di una giornata intera di aratura, Giasone seminò i denti di serpente. Immediatamente balzarono dai solchi alcuni uomini armati. L’eroe greco gettò tra essi un sasso, come aveva fatto Cadmo nella stessa situazione, e questi guerrieri nati dalla terra presero a combattersi tra di loro. Gli ultimi superstiti, ormai feriti, furono sconfitti ed eliminati da Giasone.

Eete rinnegò il patto e minacciò gli Argonauti. Con l’aiuto di Medea, Giasone ed alcuni dei suoi riuscirono a penetrare nel recinto sacro di Ares, dove era custodito dal terribile drago il Vello d’Oro. Medea placò il drago con la magia e subito il drago si addormentò. Giasone prese il Vello dai rami della quercia a cui era appeso e quindi corse verso la nave Argo, che salpò velocemente inseguita dalle imbarcazioni di Eete.

Giunti dopo numerose peripezie in Grecia, Giasone sposò Medea e giacque con lei sul Vello d’Oro. Imbarcati di nuovo all’indirizzo di Iolco, gli Argonauti vissero una lunga odissea, costellata di avventure al limite dell’umano, ma sempre aiutati dagli dei, prima fra tutti la triplice dea della Libia – che alcuni credono sia Atena o la stessa madre Iside -, poi Tritone, Apollo. E a nulla avrebbero approdato se non fosse stato per la magia della lira di Orfeo, per gli incantesimi di Medea, e per la sorgente che Eracle aveva fatto sgorgare dal terreno, in pieno deserto, qualche tempo prima, quando era diretto al giardino delle Esperidi.

Giunti a Iolco, Medea, con l’aiuto delle sua arti magiche fece uccidere Pelia, che si era macchiato di crimini orrendi. Giasone peraltro rinunciò al trono a favore di Acasto. Giasone  appese allora il Vello d’Oro nel tempio di Zeus Lafistio, a Orcomeno in Beozia. Quindi accettò il trono di Corinto, che per diritto di discendenza spettava a Medea, ultima figlia di Eete.

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