GARIBALDI MASSONE

di GUSTAVO RAFFI Gran Maestro del G.O.I.

-Il 13 marzo 1848, all’atto di abbandonare quell’America Latina che lo aveva visto per quindici anni protagonista delle lotte per la libertà, l’ultimo saluto di Garibaldi fu per i Fratelli della Loggia “Les Amis de la Patrie” di Montevideo.

Mio caro fratello — scrisse ad Adolphe Vaillant — poiché i miei impegni m’impediscono di soddisfare il desiderio di andarmi a congedare di persona dai miei carissimi fratelli della loggia, vi prego di voler avere la bontà di presentare voi stesso al loro rispettabile consesso i miei addii, i miei auguri per la loro felicità e la mia speranza di conservarmi, in qualunque parte del mondo io mi trovi, loro devoto fratello e sempre pronto a dedicarmi al sacro rito, al quale ho l’onore di appartenere.

Mai parole potevano essere più rivelatrici e profetiche; poiché l’adesione alla Massoneria fu per Garibaldi non certo un episodio casuale ed effimero ma una scelta meditata e vincolante, che egli maturò a metà della sua esistenza e mantenne in modo consapevole fino alla morte. Sfrondata di taluni orpelli esoterici e rituali, che egli mostrò di non tenere in grande considerazione, la Massoneria fu per Garibaldi, specie dopo il 1860, un luogo di aggregazione e uno strumento organizzativo del quale cercò a più riprese di avvalersi per realizzare i propri progetti politici è culturali.

L’organizzazione massonica — ha scritto Mola -fu dunque pensata da Garibaldi quale rete atta a ricondurre all’unità le altrimenti disperse forze del rinnovamento italiano: all’interno, con la formazione di una dirigenza nuova, capace di guarda – re agli sconfinati orizzonti aperti dallo sviluppo delle scienze (medicina, chimica, fisica, antropologia, etc.), invece di rimpicciolirsi nelle meschine gare per il potere; verso l’esterno, con l’inserimento di quella dirigenza in un circuito intellettuale le cui colonne d’Ercole, unificata l’Italia, erano la federazione d’Europa, la formazione dei grandi sistemi etnico-linguistici (slavi, anglosassoni, latinità affratellata da un empito costruttivo.

E la Massoneria a sua volta — vale la pena sottolinearlo — utilizzò Garibaldi, sia prima che dopo la sua morte, come straordinario testimonial e come veicolo di propaganda dei propri ideali. Garibaldi — come ricorda Fulvio Conti in un articolo apparso su Hiram nel 2002, in occasione del centoventesimo anniversario della morte — venne iniziato alla Massoneria nel 1844, all’età di trentasette anni, nella Loggia “L’Asil de la Vertud” di Montevideo, una Loggia irregolare; emanazione della Massoneria brasiliana, non riconosciuta dalle principali Obbedienze massoniche internazionali, quali erano la Gran Loggia d’Inghilterra e il Grande Oriente di Francia. Sempre nel corso del 1844 egli regolarizzò tuttavia la sua posizione presso la Loggia “Les Amis de la Patrie” di Montevideo posta all’obbedienza del Grande Oriente di Parigi. Anch’egli entrò quindi in Massoneria durante l’esperienza dell’esilio, profittando dell’asilo che trovarono nelle Logge tutti quei rifugiati politici dei paesi europei governati da regimi dispotici e ostili a ogni apertura in direzione democratica e nazionalistica. Garibaldi frequentò poi le Logge massoniche di New York nel 1850 e quelle di Londra intorno al 1853-’54, dove entrò in contatto con alcuni esponenti dell’internazionalismo democratico aperti ai contributi del pensiero socialista e inclini a collocare la Massoneria su posizioni fortemente antipapiste. Soltanto nel giugno 1860; nella Palermo appena conquistata, Garibaldi venne elevato al grado di Maestro Massone e sempre a Palermo, nel 1862, il Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato, luogo di raccolta di Massoni italiani di fede repubblicana e radicale, gli affidò il titolo di Gran Maestro. Il Grande Oriente Italiano, ricostituito a Torino nel 1859 e inizialmente dominato da esponenti vicini a Cavour, affidò invece la carica di Gran Maestro a Costantino Nigra e conferì a Garibaldi soltanto il titolo onorifico di “primo Libero Muratore italiano”. Accettando il titolo di Gran Maestro dell’obbedienza siciliana Garibaldi scrisse:

Assumo di gran cuore il supremo ufficio di capo della Massoneria Italiana costituita secondo il Rito Scozzese Riformato ed Accettato. Lo assumo perché mi viene conferito dal libero voto di uomini liberi, a cui devo la mia gratitudine non solamente per l’espressione della loro fiducia in me nello avermi elevato a così altissimo posto, quanto per l’appoggio che essi mi diedero da Marsala al Volturno, nella grande opera dello affrancamento delle province meridionali. Codesta nomina a Gran Maestro è la più solenne interpretazione delle tendenze dell’animo mio, de’ miei voti; dello scopo cui ho mirato in tutta la mia vita. Ed io vi do sicurtà che mercé vostra e col – la cooperazione di tutti i nostri fratelli, la bandiera d’1talia, ch’è quella dell’umanità, sarà il faro da cui partirà per tutto il mondo la luce del Vero progresso.

Si stava preparando, in quello scorcio del 1862, la spedizione per la liberazione di Roma che sarebbe stata interrotta il 29 agosto dalle fucilate di Aspromonte. Garibaldi, accettando la carica offertagli dall’obbedienza scozzesista siciliana, dimostrò che in quella fase egli identificava la Massoneria con il programma nazionale e intendeva avvalersi di essa quale strumento organizzativo e di raccordo fra le varie correnti democratiche. Non a caso, appena giunto in Sicilia, presenziò all’iniziazione del figlio Menotti (il 1 luglio) e firmò egli stesso (il 3 luglio) la proposta di affiliazione dell’intero suo stato maggiore (Pietro Ripari, Giacinto Bruzzesi, Francesco Nullo, Giuseppe Guerzoni, Enrico Guastalla e gli altri). In prospettiva, una volta completata la lotta per l’indipendenza nazionale, il progetto politico della Massoneria doveva però identificarsi con un disegno più ampio e più ambizioso, quello del riscatto e dell’emancipazione dell’intera umanità

Fu il fallimento dell’impresa dell’agosto 1862 — ha osservato Aldo Alessandro Mola — a spingere Garibaldi su posizioni di anticlericalisimo intransigente. In effetti, da quel momento in poi il generale manifestò una sempre più convinta adesione alle posizioni della Massoneria, che fu la principale sostenitrice nella penisola di un laicismo inflessibile e di una guerra a oltranza contro la Chiesa cattolica. L’obiettivo politico della liberazione di Roma dal dominio pontificio ben si coniugava evidentemente con l’obiettivo di dar vita a uno Stato laico e democratico, ove il potere temporale dei papi e fosse soltanto un ricordo. D’altro canto — come scrive Fulvio Conti —

 anche dentro il Grande Oriente d’Italia la componente democratica di provenienza garibaldina cominciava a consolidare la propria presenza è a imporre le proprie scelte politiche e ideologiche. Non stupisce perciò che la prima vera Costituente massonica italiana, quella che si tenne a Firenze nel maggio 1864 con la partecipazione di 72 delegati, riuscisse finalmente a eleggere Garibaldi, a larghissima maggioranza, come nuovo gran maestro.

 Come è noto, egli detenne questa carica solo per pochi mesi, Troppo vivaci erano gli scontri in atto proprio in quel periodo fra i vari gruppi della sinistra italiana perché questi potessero riconoscersi nella leadership unificante di Garibaldi, come era accaduto nel recente passato. Il futuro Gran Maestro Lodovico Frapolli vide nella nomina di Garibaldi un passo indietro rispetto al progetto di depoliticizzazione della Massoneria che tanto gli stava a cuore, un progetto che mirava a impiantare anche in Italia una Massoneria di modello anglosassone, estranea alle beghe di partito.

È già una fatalità — scrisse Frapolli a Mordini, commentando l’elezione di Garibaldi — chele circostanze ci abbiano forzati a scegliere per l’Italia, a gran maestro, un uomo politico. Inconveniente che non può essere tollerato, se non ammettendo la funzione che Garibaldi sia la bandiera del popolo, il mito incarnato dell’umanitarismo, mentre d’altronde, se quel nome è da tutti accettato, egli è perché ognuno presume che il generale si contenti di questo ròle eccezionale e non se He mescoli altrimenti.

In realtà Garibaldi, come si è già detto, non pensava affatto che la Massoneria dovesse estraniarsi dalle vicende politiche nazionali, almeno fino a quando Roma fosse rimasta sotto la dominazione dei papi. Così nel maggio 1867, alla vigilia della . Costituente Massonica di Napoli, egli lanciò un celebre appello a tutti i “fratelli” della penisola:

Come non abbiamo ancora patria per – ché non abbiamo Roma, così non abbiamo Massoneria perché divisi, […] Io sono di parere che l’unità massonica trarrà a sé l’unità politica d’Italia. Facciasi in masso – neria quel fascio Roma – no che ad onta di tanti sforzi non si è potuto ancora ottenere in politica. lo reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano. Essi pongano da parte le passioni profane e con la coscienza dell’alta missione che dalla nobile istituzione mas – sonica gli è affidata, creino l’unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l’unità morale; che la massoneria faccia questa, e quella l’unità della nazione sarà subito fatta. […] L’astensione è inerzia, è morte, Urge l’intendersi, e nell’unità degli intendimenti avremo l’unità di azione.

La Costituente napoletana del 1867 elesse Garibaldi Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’Italia, obbedienza ormai conquistata dagli esponenti della sinistra di orientamento democratico. Il legame con l’istituzione liberomuratoria divenne quindi saldissimo,e altrettanto profonda fu l’identificazione con gli ideali e 1 valori culturali di cui essa si faceva portavoce. È non incrinarono questo rapporto neppure i dissapori manifestatisi in occasione dell’Anticoncilio di Napoli del 1869, a cui egli aderì con grande entusiasmo e dal quale la Massoneria, per volere di Frapolli, rimase invece sostanzialmente estranea. Nel 1872 Garibaldi rilanciò con estrema chiarezza quello che sarebbe divenuto il principale progetto politico dei suoi ultimi anni di vita e Sa il avrebbe italiana testamento lasciato post-risorgimentale: ideale alla che sinistra egli n l’idea cioè — rileva ancora Conti — di riunire in un fascio comune tutte le correnti della democrazia, tutte le forze impegnate nella diffusione dei valori della cultura laica, della libertà, del progresso, di un riformismo che accettava di muoversi all’interno del quadro istituzionale vigente pur non rinunciando alla prospettiva di cambiamenti più radicali in un lontano futuro. La Massoneria doveva farsi promotrice di questo progetto e fornire il collante ideologico e organizzativo di cui esso necessitava per essere coronato dal successo.

Perché tutte le associazioni italiane tendenti al bene — si domandava nel 1873 — non si affratellano e non si pongono per amore d’indispensabile disciplina sotto il vessillo democratico del Patto di Roma? […] La più antica e la più veneranda delle società democratiche, la Massoneria; non darà essa l’esempio di aggregazione al fascio italiano? Le società operaie, internazionali, artigiane, etc. non portano esse Hel loro emblema la fratellanza universale, quanto la Massoneria? Formate il fascio, adunque, repubblicani ringhiosi; stringetevi intorno al Patto di Roma.

Nell’ultimo scorcio della vita la coincidenza fra le sue posizioni e quelle della Massoneria fu pressoché totale. Basterà ricordare il suo impegno nelle file del movimento pacifista e la battaglia, che vide ovunque i Massoni in prima fila, per promuovere la costituzione di aganismi di arbitrato a livello internazionale che scongiurassero il ricorso alle guerre. Oppure le sue battaglie per il suffragio universale, per l’emancipazione femminile, per la diffusione dell’istruzione obbligatoria, laica e gratuita: tutti temi che costituivano il patrimonio comune della sinistra democratica italiana di matrice risorgimentale e che la Massoneria inserì nel proprio programma e decise di sostenere con le modalità più diverse. Quanto alla questione dell’emancipazione della donna, egli dimostrò di darne un’interpretazione molto concreta e spregiudicata anche all’interno del mondo massonico: nell’archivio storico del Grande Oriente d’Italia si conservano documenti del 1867 con i quali egli conferiva i gradi massonici anche alle donne. Un tema, allora come oggi, oggetto di accesi dibattiti e di contrastanti visioni all’interno delle varie obbedienze liberomuratorie. Ma si pensi, per avere una conferma della forte consonanza di vedute che vi fu anche sul versante del razionalismo positivistico e della militanza anticlericale, all’adesione che Garibaldi dette al movimento per diffondere in Italia l’idea e la pratica della cremazione: movimento che fu direttamente promosso dalle Logge massoniche e che ebbe fra i suoi maggiori dirigenti molte figure di primo piano della Massoneria. È molto fece discutere in Italia, dopo la morte di Garibaldi, il mancato rispetto delle sue ultime volontà, che erano quelle appunto di vedere il suo corpo ritornare cenere. Quando Garibaldi morì la Massoneria fu tra le forze politiche e sociali italiane quella che più di altre si incaricò di conservarne la memoria e di alimentarne il mito. Specialmente negli anni di Crispi, intorno alla figura di Garibaldi si cercò di costruire una religione civile imperniata sul mito laico del Risorgimento, e la Massoneria, all’epoca sotto la guida di Adriano Lemmi, ebbe un ruolo notevolissimo nel favorire la riuscita dell’operazione. “Garibaldi” fu il nome di gran lunga più diffuso fra quelli dati alle Logge della penisola o alle Logge italiane d’oltremare (in America Latina, in Africa del Nord, etc.); altre denominazioni, come “Caprera”, “Luce di Caprera”, “Leone di Caprera”, erano ispirate dalla medesima volontà di rendere omaggio all’eroe nizzardo. La Massoneria promosse inoltre innumerevoli cerimonie, commemorazioni, inaugurazioni di lapidi e monumenti alla memoria di Garibaldi. La più importante di queste iniziative fu l’inaugurazione a Roma del monumento sul Gianicolo, che si tenne emblematicamente il 20 settembre 1895, nel venticinquesimo anniversario di Porta Pia, quando quella data memorabile venne per la prima volta celebrata come festa civile della nazione italiana. Una ricorrenza che solo il patto scellerato fra fascismo e Chiesa cattolica del 1929 avrebbe cancellato dal calendario delle festività nazionali, simbolo di una patria finalmente costruita nel segno della democrazia e della laicità, alla quale sia Garibaldi che la Massoneria avevano dato 1n contributo determinante.

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