GINO CERVI ATTORE NAZIONAL-POPOLARE

GINO  CERVI ATTORE NZIONAL-POPOLARE

di Maurizio Cotti

Gino Cervi (1901-1974) muore il 3 ennaio 1974, a Punta Ala. Cade quest’anno il quarantennale della sua morte. Al suo funerale parteciparono oltre diecimila persone, forse primo esempio di funerale seguito da un’immensa folla1), Vittorio De Sica, attore e temperamento completamente diverso, pur malato da tempo, volle essere presente, nonostante la malattia che lo portò alla morte pochi mesi dopo. Al funerale di Gino Cervi erano presenti anche le insegnedella massoneria. Sì parlò allora di un tributo alla persona eall’attore. Inrealtà Gino Cervi risultava iscritto alla loggia massonica Galvani di Bologna, dopo essere stato iniziato nel 1946 nella loggia Palingenesi di Roma. Oggi le celebrazioni di questo grande attore, per molti versi riservatissimo, appartengono più all’affetto della gente che a cerimonie istituzionali. Eppure per Francesco Guccini, Gino Cervi fu il primo vero attore nazional – popolare d’Italia; secondo Alessandro Bergonzoni, per la fama e l’affetto portatogli da tutti, gli si dovrebbe dedicare un busto in ogni parte d’Italia come per Garibaldi. Tutti ricordano la sua voce pastosa, la sua gestualità ampia, la sua capacità di dare toni contrapposti ai personaggi, donando loro una ambiguità superficialmente rassicurante, ma che riverberava oscurità intorno.

 Gli esordi

 Appassionatissimo di teatro fin dall’infanzia, quando accompagnava il padre Antonio, critico teatrale, agli spettacoli da recensire per il Resto del Carlino, Gino Cervi iniziò a sperimentare, per tutto il periodo degli studi superiori, il suo talento per la recitazione, nelle filodrammatiche bolognesi del faentino Giuseppe Cantagalli, apprezzato scrittore di farse. Dopo un primo debutto nel 1919, forse per attendere agli studi universitari, forse perché aveva trovato nel nascente movimentofascista un pungolo diverso, consono al suo carattere focoso, al punto che si schierò in modo plateale partecipando alla marcia su Roma, si fermò con il teatro per alcuni anni. Solo dopo la morte di suo padre, poco sedotto dalla sua intrapresa teatrale, riprese con la recitazione e debuttò come attore giovane nel ruolo dell’amoroso nel 1924, appena ventitreenne, come a dire che la pausa nongli aveva tolto nulla riguardo a motivazione ed energia. Nel 1925, infatti, diventò primo attore giovane nella compagnia del Teatro d’Arte di Roma, con Marta Abba, chiamato addirittura da Luigi Pirandello. I Sei personaggi in cerca d’autore, in cui interpretava il ruolo del figlio, rappresentarono per lui un esordio di prestigio direttamente nei maggiori teatri d’Europa, a Parigi, Londra, Basilea e Berlino. Consimili inizi, il suo percorso artistico si presentava del tutto luminoso e in effetti la sua carriera si protrasse per quasi 50 anni senza interruzioni, con una versatilità e una capacità di trasformazione in grado di reggere ai colpi della Storia, dell’età e della maturità.

Gino Cervi e Alessandro Blasetti

Di fatto Gino Cervi ha attraversato tutto il Novecento, sviluppandosi artisticamente conle migliori esperienze dell’epoca. Nel 1932 cominciò a lavorare con Alessandro Blasetti, sia nel teatro, sia nel cinema. Si può affermare che crebbe alla bottega di Alessandro Blasetti, di un solo anno più vecchio di lui, uomo di grande capacità ar- tigianale nel mettere in scenatesti e co- pioni teatrali e cinematografici, cui applicava una cura quasi maniacale, per sfuggire alle strettoie della burocrazia fascista, della censura e del conformismo. Non era retorico Alessandro Blasetti nel suo lavoro. Infatti oggi Alessandro Blasetti viene rivalutato e considerato certamente il regista più prolifico e innovativo del ventennio fascista, ma capace di influenzare anche il dopoguerra e oltre, in quanto inventore di nuovi formati2), sia in teatro sia nel cinema, precursore a volte del realismo, ma anche antagonista del realismo stesso, inteso Come filone cinematografico, un maestro di tecniche e di messa in scena per tutti quanti contribuì a formare e quanti vennero dopo di lui. Egli scelse Gino Cervi per interpretare il film Aldebaran (1935), volutamente, apparentemente, un dramma intimista, lontano da ogni connotazione politica e di propaganda, che sviluppa o sembra sviluppare, inizialmente, la storia di una giovane coppia. Ma improvvisamente il film si tra- sforma in un film d’azione, con la tragedia di un affondamento di un sottomarino: il contrasto tra dramma intimistico e finale epico, la struttura complessa, ma svolta in modo asciutto e geometrico e l’interpreta- zione superba di Gino Cervi portarono il film un clamoroso successo. Questo successo consentì a Gino Cervi di mettere il proprio nome in cartellone in- sieme a Tofano e Evi Maltagliati. Ingenerale, che lavorasse o no per lui, comunque Gino Cervi restò sempre nei pressi di Alessandro Blasetti a “giocare” coni testi, a rifinire la gestualità in scena, a cimentarsi conle invenzioni del regista. Una consuetudine e un atteggiamento che contribuirono alla sua anima e alla sua identità di artista. La filmografia finale di Gino Cervi consta di ben 119 titoli3).

Gli anni 30 e 40

 Di Gino Cervi si può proprio affermare che è stato un attore completo, perché in tutta la sua vita, ha saputo incarnare il meglio che l’età gli consentiva: il giovane amoroso (per lungo periodo anche divo), l’attor giovane in compagnie di grandissimo:rilievo, l’attore di teatro comico e l’attore di teatro classico. Recitò con Alda Borelli, Tofano e Evi Maltagliati, Maria Melato, Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli, Ferri e Valenti, Girotti.Nel suo ampio repertorio vi furono Sofocle, Shakespeare, Goldoni, Cechov e Dostoevskij… Come attore shakespeariano ebbe unnotevole successo: fu citata come memorabile la sua interpretazione dell’Otello. Laurence Olivier lo volle come sua “voce”, nel doppiaggio di tutti i suoi film, per la sua voce calda e dalla dizione perfetta. Fu primo attore del teatro Eliseo di Roma dal ‘35 al 42 ininterrottamente, il periodo d’oro della sua vita, e a intervalli fino al 1945. Durante la guerra e l’occupazione tedesca, fu sempre a rischio di deportazione, perché i tedeschi coltivavano il progetto di portare in Germania intere compagnie teatrali e diversi attori italiani, Gli interrogatori al comando tedesco, cui erano chiamati lui e Vittorio De Sica, erano sempre un’avventura pericolosa, non scevra di aneddoti gustosi, soprattutto in merito al diverso stile comunicativo di Gino Cervi e Vittorio De Sica nella negoziazione, più del genere “tengo famiglia e un sacco di parenti a carico” del primo e più galante e sornione quello di Gino Cervi. In una di quelle occasioni Gino Cerviriuscì a leggere il nome di Paolo Stoppa nella lista dei deportati. Paolo Stoppa, dietro soffiata di Gino Cervi, riuscì a nascondersi e a sfuggire alla cattura. Il periodo del teatro Eliseo, che perdurò fino al 1945, con qualche interruzione, rappresentò per Gino Cervi, un periodo decisamente gioioso, in scena tutte le sere, applauditissimo dal pubblico, osannato dalla gente, amato da altri attori e registi, in grado di fare calembour sul palcoscenico, giochi virtuosistici, scherzi e burle ai colleghi, che lo apprezzavano e si divertivano moltissimo nonstante le trappole e le difficoltà. Fu una esperienza molto ricca, di cui si hanno molte narrazioni, condotta come una versione molto particolare di casa e bottega: Gino Cervi infatti con la moglie Angela Rosa (Ninì) Gordini, sposata nel 1928, abitava sopra al teatro stesso, recitava pure con la moglie in teatro e poi concludeva a cena con amici e compagnia.

Caratterista di lusso

 La chiusura dell’esperienza al teatro Eliseo, conil suo rifiuto di continuare a recitare, pur di non subire Visconti, che vi si era insediato e sperimentava il proprio teatro estetizzante, portarono Gino Cervi ad un periodo di fermo. Rifiuto o pausa di riflessione che fosse. Ma egli seppe vivere atti- . vamente la transizione, capace, come riportano tutti ij commentatori, di riplasmarsi, di adattarsi, trasformandosi da primo attore e divo in un “caratterista di lusso”. La sua abilità di rifinire a tutto tondo i personaggi che gli venivano affidati, lavorando di cesello sui toni, sulle espressioni, regalando loro gesti non scontati, aggiungendo azioni di contorno che completavano l’agire del personaggio in scena, lo rese molto richiesto per personaggi di spessore, non protagonisti, ma essenziali alla struttura delle opere. Nel 1946 Gino Cervi vinse il nastro d’argento come miglior attore non protagonista nelfilm di Mario Soldati “Le miserie di Monssù Travet” (1945), da un testo teatrale di Vittorio Bersezio, a sottolineare questo passaggio, questa capacità trasformazione O, forse, capacità di incarnare abilmente un destino. Un secondo nastro d’argento lo vinse nel 1959 per tutta la sua carriera e per l’abilità nel costruire i personaggi. Quando Mario Landi propose a Gino Cervi di interpretare Maigret di Simenon, forse seguì proprio un’intuizione in merito alla sua capacità attoriale di “costruire” i personaggi sul piano del “saper portare”, del porgere ogni personaggio al pubblico: infatti poiché il personaggio di Maigret era già stato interpretato da diversi attori anche al cinema, occorreva una caratterizzazione distintiva. Ebbene Gino Cervi divenne Maigret. Il Maigret per antonomasia. Sotto la regia di Mario Landi fu realizzata una delle prime grandi serie televisive seguite appassionatamente dal grande pubblico, 3 serie, per un totale di 17 film.

Peppone

 Compagno delle elementari di Dozza, primo sindaco di Bologna del dopoguerra, Gino Cervi gli restò sempre amico pur essendolui borghese e democristiano. Aveva costanza nelle amicizie. E anche nel matrimonio, anche quandosi separò dalla moglie, dopo quaranta anni di vita insieme, mantenne il rapporto, restando a metà strada tra l’antica e la nuova compagna. Nel 1970 si presentò in Lazio per il partito liberale. In generale si dichiarava democristiano, come se volesse pagare il dazio per il proprio estremismo giovanile, lucido quindi nel valutare i settarismi, ma anche i compromessi trasversali, e i giochi di ruolo e di potere che aveva visto nel dopoguerra, anche attraverso il filtro della sua grande competenza attoriale. Interpretare Peppone, il personaggio di Guareschi, fu probabilmente catartico tanto per Gino Cervi, quanto per un’intera generazione di italiani, dopo un dopoguerra difficile e una politica bloccata sul doppio fronte delle divisioni internazionali e delle divisioni nazionali, in particolare fra cattolici e comunisti. La coppia Gino Cervi e Fernandel rappresentò anche quell’elemento di sintesi anti intellettuale che serviva al grande pub- blico: un compromesso storico ante litteramfra i due personaggi a rappresentare la barriera fra Grande Storia e quotidianità, dovegli italiani, separati dall’ideologia, si ritrovavano, tra brava gente, magari burbera, a condividere sani principi.

La cifra stilistica di Gino Cervi

 Più che seguire Gino Cervi in tutta la sua carriera dalle mille stupefacenti espressioni e sfaccettature — non basterebbero diversi libri — cerchiamo di individuarne, invece, il filo di continuità. Delresto le due biografie recenti a di Gino Cervi sono piuttosto approfondite e ci aiutano a comprenderne la grandezza. La prima del 2001, centenario della nascita di Gino Cervi, di Derechi e Marco Biggio “Gino Cervi attore protagonista del “900” è una schedatura completa, accompagnata da una analisi approfondita, di tutte le sue interpretazioni. La seconda del 2013 di Giulia Tellini Vita e Arte di Gino Cervi, cì restituisce la grandezza dell’attore durante una car- riera lunga mezzo secolo. In effetti Gino Cervi non si fermò quasi mai, capace come era di passare dal teatro al cinema, dalla televisione al doppiaggio, dalla pubblicità alla registrazione di dischi 0 programmi radiofonici. Solo davanti alla malattia di Fernandel disse che non avrebbe proseguito, che ne avrebbe aspettato il ritorno dopo la malattia. Alla morte di Fernandel, Gino Cervi si ritirò in Toscana, La leggerezza con cui Gino Cervi recitava ha talvolta portato al fraintendimento della Sua capacità introspettiva, di approfondire, di dare spessore psicologico ai suoi personaggi. Questo giudizio invece dovrebbe essere rivisto. Gino Cervi interpretò personaggi che, quando erano benevoli, erano anche maliziosi, cinici, sornioni, e quando erano torvi contenevano elementi di complessità divergente e contrastante che completavano il personaggio anche tramite caratteri ambigui e polarizzati. Col solo gesto Gino Cervi creava l’ossimoro, la

convivenza di opposti aspetti nel medesimo personaggio. Maigret, Peppone, il Commendatore Bellocchio, per esempio, sono personaggi costruiti con una pazienza artigianale a tutto tondo, con una presenza moltofisica e sottolineata da gesti individuati come necessari a rendere fluido il personaggio: accendere la pipa e bere la birra in Maigret, il baciamano del Commendatore Bellocchio, e così via. Ma questo è il grande risultato di una persona, un attore che sa gli effetti che vuole determinare e sa come riuscirci. Molti ne hanno sottolineato alcune caratteristiche, attribuibili all’essere:bolognese ed emiliano di Gino Cervi, ma forse si tratta di un corto circuito troppo semplicistico. Nella rappresentazione dei personaggi Gino Cervi anche quando immette accenti di bonomia, introduce quel tanto di millanteria, o di galanteria velata di insospettabile ipocrisia, nel rappresentare personaggi dotati di coraggio a parole, ma con un dichiarato cauto e dubbioso che si giustifica di ogni possibile deviazione, presentando argomenti utili per un’autoassoluzione preventiva. Molti critici vi hanno riconosciuto l’esperienza delle filodrammatiche, del gioco con le maschere, delle recite in costume. In altre parole Gino Cervi ha lavorato sulla modulazione della farsa, sulle sfumature della ripetizione e riproduzione, sulla finezza delle sfumature, sulla variazione della serialità. Tra l’interpretazione del Cardinal Lambertini, di Otello, di Ettore Fieramosca, ditutti film in costume e l’interpretazione nelle filodrammatiche e poi da caratterista nei film, si riconosce un tratto comune, la grande abilità di Gino Cervi di recitare con una naturalezza espressiva che era come una seconda pelle, essendo egli capace di ricercare minuziosamente e definire anche le caratteristiche più implicite, subliminali, sottotraccia dei personaggi. Sì riconosce insomma la grande sapienza di un’arte praticata da grande artigiano/artista del palcoscenico. La famiglia Cervi in generale è stata ed è una famiglia molto riservata, per quanto tutta dedita al teatro e al cinema, il figlio Tonino, regista cinematografico e la ni pote Valentina Cervi, giovane attrice moderna e apprezzata nel cinema sia in Italia sia al- l’estero hanno mantenuto sempre questo stile. Però sarebbero necessari una nuova ricerca, un rinnovato tributo a questo grande attore che, nellavita, se non racconfava, pure non taceva, capace, come era, di splendide ellissi per non rispondere su temi che considerava delicati. Quando gli chiesero se era vero che aveva ricevuto molte lettere d’amore, ebbe modo di dire che, se ne aveva ricevute continuava a cre- dere che rivestivano un interesse solo per lui. Ma l’intera vita di Gino Cervi attore è pa- trimonio dell’Italia e come tale dovrebbe essere rivisitata e rivalorizzata.

 Note

1)M. Goldoni, Tutto con stile è simpatia, il Resto del Carlino, 4 gennaio 1974 ; €. Laurenzi, Ebbe una platea di milioni di italiani, Il Corriere della Sera, 4 gennaio 1974.

2)Sì dice che la carrellata in Notorius (1946) di Hi- chcock sia stata ispirata dalla carrellata di 300 metri che Blasetti fece in Aldebaran. ’

3)Cfr. Andrea Derchi e Marco Biggio, Gino Cervi attore protagonista del ‘900, Genova, Erga edizioni, 2001; Giulia Tellini, Vita e Arte d Gino Cervi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013.

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