PINOCCHIO, UN VIAGGIO PER RITROVARE L’UOMO

PINOCCHIO, UN VIAGGIO PER RITROVARE L’UOMO

 GUSTAVO RAFFI  GRAN MAESTRO



C’era una volta un pezzo di legno . Non era un legno di lusso ma un semplice  pezzo da catasta , di quelli. che d’inverno si mettono nei cantinetti per accendere il fuoco.

Inizia così una storia senza tempo, archetipale perché fondante di un percorso di liberazione.1) Il raccontodi una iniziaazione parte da un ligno che parla, prende carne e scopre il mondo, lasciandosi salle spalle il fanciullo  bighellone esoterico già nel nome,2) per diventare un uomo. In latino pinocolus significa pezzetto di pino, e per un pagano è l’albero sempreverde che sfida la morte invernale e il tramonto del cuore. Pinocchio è da sempre una cifra simbolica di continui passaggi, di maturazioni sofferte e prove da superare. Una letteratura iniziatica, questa, che a ogni pagina racchiude una carica di simboli e allegorie. Tanto che al suo interno sembra scorrere una struttura rituale, evocativa di altri percorsi, tanto che “ogni mattone interiore del libro e della pagine include numerose pagine e libri infiniti”.3) Come scriveva Cesare Pavese, “la ricchezza di una favola sta nella capacità ch’essa possiede di simboleggiare il maggiore numero di esperienze”. La’storia di Pinocchio, nel suo farsi Uomo, è paradigma di una trasformazione. Il filo che cuce il libro di Carlo Collodi, alias Carlo Lorenzini (1826-1890), è una bellezza che va divulgata. Non ci sono prove dell’appartenenza di Collodi alla Libera Muratoria, ma è anche verò che non basta una tessera a fare un iniziato. Ci sono tanti iscritti alla Massoneria che non saranno mai massoni e tanti uomini liberi che invece sono massoni nell’animo, perché con la loro laicità e pensiero profondo, hanno fatto strada al dialogo. Più che tirato per la giacca delle appartenenze, di Collodi va perciò raccolta la pagina che sa insegnare umanità e vita. Cogliere l’avventura di una ricerca che sa farsi parola in ogni età e sotto qualsiasi cielo. Il senso della storia di Pinocchio si scopre solo nelle pagine finali, contro ogni zeppa moralistica, ed è il passaggio dalla fanciullezza all’età delle responsabilità. È la libertà che si incanala per costruire altre storie, oltre il legno storto di ogni esperienza. Il “miracolo” è laico più che magico: da un ciocco buono solo per il fuoco, esce un Uomo. Geppetto, ovvero la vita, è il mezzo per liberarlo dalla materia. Appena terminato il burattino, “Geppetto sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso”: è il racconto del neofita che prende su di sé gli errori e vuole dialogare con l’illuminazione. Lo studio della sapienza è presentato sotto l’aspetto di un abbecedario. Per acquistarlo, Geppetto “dové vendere l’unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rammendi, era tutta una piaga”. Mazziniano convinto, l’autore di Pinocchio scriveva per l’affermazione di una pedagogia laica, capace di “dirozzare le menti delle classi meno agiate, sottraendole all’ignoranza e alla speculatrice superstizione, nell’intendimento di togliere i fanciulli alle ugne dei preti”4). Non è neanche un caso che Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, di Collodi furono pubblicate a puntate sul Giornale dei bambini diretto dal massone Ferdinando Martini, ministro della Pubblica Istruzione durante il primo ministero Giolitti e amico di Giosuè Carducci. Ma oltre la storia del buffo burattino dal naso lungo, del fanciullo dissacratore5) ,c’è un’ermeneutica che rimanda ad altro. Insidiato dall’inganno del gatto e dalla malizia della volpe, il bambino di legno è cifra del desiderio di trovare un ordine, alla fine di un lungo e difficile viaggio. Un percorso di scoperta della verità, che si può fare solo lungo la strada. Un’esperienza di umanità ai bivi delle scelte, fatte di incontri e di segreti, Di parole da decodificare e interiorizzare. Il burattino è la materia grezza ma piena di vita che viene plasmata da un demiurgo-architetto, mentre la Fata appare quale Iside-Grande Madre, signora delle trasformazioni e degli animali. “Oh, fatina fatina, sapessi che mi è successo…”, Anche la metamorfosi in ciuchino è segno dell’istintualità bruta, da cui ci si libera solo con la consapevolezza di voler essere diversi e migliori. Tanto è vero che, tornato burattino e poi uomo, Pinocchio “andò a guardarsi allo specchio e gli parve di essere un altro”.6) Non solo. In questa fiaba alchemica, il burattino affronta la morte 7 volte (numero esoterico per eccellenza, segno del Maestro) e in ogni prova iniziatica ci sono i quattro elementi: Mangiafuoco lo vuole bruciare, il pescatore verde sta per friggerlo, è gettato in mare come asino, inghiottito da un pescecane, salvato dall’annegamento da un tonno,il Gatto e la Volpe lo impiccano e i conigli becchini gli promettono una fine ancora peggiore.7) E quando il burattino viene incatenato come un cane (le trasformazioni simboliche avvengono anche in pesce e colombo), sospira nella notte: “Oh se potessi rinascere un’altra volta ..!”. Nel ventre del pescecane, ovvero la caverna iniziatica dove brilla il lume della conoscenza, Pinocchio ritrova la radice vera e la parola perduta: Geppetto, cioè la tradizione. Senza dimenticare il valore e l’importanza della Fatina dai capelli turchini, che per alcuni è metafora del maestro iniziatore e per altri una sorta di genio funebre.8) E ancora un altro passaggio narrativo-iniziatico: nell’osteria del Gambero Rosso, Pinocchio è svegliato a mezzanotte in punto da tre colpi battuti alla porta. Un riferimento chiaro alla simbologia in grado di apprendista della Libera Muratoria senza tempo.9) Alla ricerca del “papà” Geppetto, dopo tante peripezie, anche Pinocchio – capace di pentirsi e ricominciare ogni volta – finisce nella gola del pescecane. Ritrova il falegname vecchio e vinto. Lo abbraccia e racconta all’uomo ciò che gli è accaduto, confidando come sempre nel perdono di quel vecchietto con gli occhiali che ha fatto mille sacrifici per dargli una conoscenza e una storia. Ma Geppetto non è più come una volta. Ha potuto campare due anni nella pancia del pescecane per le provviste di cui era carico il battello che il bestione del mare aveva inghiottito in un solo boccone. Ora però è agli sgoccioli: la candela accesa è l’ultima, dopo “rimarremo tutti e due al buio”, dice il testo. È il momento delle scelte vere. Ed è a questo punto, come nota Luigi Volpicelli,10) che comincia un’altra storia, assai diversa, “e Pinocchio assume lui stesso l’iniziativa. Geppetto è vecchio e stanco, ormai ha ceduto. Pinocchio, no. È giovane, deciso a vincere e a sopravvivere”. Dice deciso che “non c’è tempo da perdere” e porterà il suo vecchio sulle spalle, fino alla spiaggia. “Venite dietro di me, e non abbiate paura”, ripete il bambino a Geppetto. Ha preso ormai il suo posto tra le colonne della vita, può dare energie per costruire un Tempio fatto di impegno e coscienza. Appena il vecchio si mette sulle spalle del figliolo, Pinocchio – ormai maturo e sicuro del suo posto nel mondo dopo aver trovato la sua luce – si getta in acqua e comincia a nuotare. La spiaggia è lontana e Geppetto diventa sempre più inquieto ma Pinocchio sdrammatizza e fa finta di essere di buon umore. sopraggiunge l’aiuto del tonno, e finisce che i due si salvano nella capanna del “mio caro Grillino”. Da quel giorno in poi, “continuò più di cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell’alba, per andare a girare il bindolo”, ovvero l’ordigno di legno che serve a tirare su acqua dalla cisterna per annaffiare gli ortaggi. Era dell’ortolano Giangio, che infatti gli insegna a usarlo. Prima di lui, al bindolo aveva lavorato il vecchio ciuchino Lucignolo, l’amico che muore di stanchezza sulla paglia quando Pinocchio va a visitarlo nella stalla, riconoscendolo. È così che l’ex burattino di legno, con il lavoro delle sue mani, porta a casa il bicchiere di latte per il babbo. Impara a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco, e con i soldini che ne ricava, provvede “con moltissimo giudizio” a tutte le spese giornaliere. Ma Pinocchio fa anche di più: quando incontra la lumaca, le consegna i quaranta soldi con i quali voleva comprarsi il vestito nuovo, perché li porti alla Fatina, che è malata in ospedale. Chi ha incontrato il perdono e ha visto la possibilità di una nuova vita, non maledice il passato ma fa strada alla speranza. Dice il testo:

Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte sonata: e invece di far otto canestri di giunco, ne fece sedici,

 È il miglior premio, di maturità umana, anche per Geppetto e per chi, prima dell’intagliatore-demiurgo, aveva scoperto le potenzialità di quel legno: “Ecco come andò che Maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno che piangeva e rideva come un bambino […]”. Pinocchio si è alzato dal suo vecchio modo di guardare il mondo. “Addio mascherine”, risponde il burattino quando, alla fine del racconto, incontra ancora il Gatto e la Volpe, “Mi avete ingannato una volta, e ora non mi ripigliate più”, La lezione esoterica di questa fiaba che invita all’impegno attivo, è tratta da Geppetto, nelle parole finali del libro. A Pinocchio che gli chiede:

 Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso?

In casa, il vecchio intagliatore che nel frattempo ha ripreso i suoi attrezzi disegnando una bella cornice (perché il compito del Maestro è sempre costruire), replica:

È merito tuo. Perché quando i ragazzi da cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie.

La parola perduta ora corre sulle gambe di un figlio del proprio tempo, pronta a essere consegnata a ogni passaggio di vita ad altri che saranno disposti a mettersi in gioco e correre lo stesso viaggio senza guardarsi indietro. Il paese dei balocchi è nulla a confronto della piccola luce di casa che illumina le notti di Geppetto e Pinocchio. Il vecchio burattino di legno è ormai da una parte, appoggiato a una seggiola. È il passato:

Ora sono contento si essere diventato un ragazzino perbene.

TRATTO DA  “HIRAM”  n° 1/2014

1 “Pinocchio è la storia di una iniziazione. Come le Metamorfosi di Apuleio. Ha presente le pagine finali? Il latino del grande retore diventa una lingua infantile quando narra l’epifania di Iside, la madre universale, colei che compare nei sognise si sogna rettamente … Che poi in Collodi è la fata dai capelli turchini”, ovvero “la prefigurazione della capra sullo scoglio nel mare in tempesta, che compare nel libro molto più tardi, e che pure ha il pelo azzurri”. (Cfr, Silvia Ronchey, Il burattino framassone. Zolla: storia di un’iniziazione ispirata a Apuleio. Intervista a Elémire Zolla, La Stampa, 27 febbraio 2002. Dirà lo stesso Zolla: “La nostra migliore letteratura, quella laica, è sotterranea e segreta, perché a differenza degli inglesi e dei tedeschi, ha dovuto sottrarsi alla censura dell’ala meno illuminata ed’elitaria della cultura cattolica”.

 2 “Da dove ha origine il nome Pinocchio? Lo strano patronimico non è altro che una corruzione dialettale di pinolo, un seme dolce, appetibile, nutriente, dal quale ha origine un grande albero. La polpa del legno è racchiusa in uno scrigno duro, legnoso, difficile da aprire e a loro volta i pinoli fanno parte di un solo frutto; ricordano di conseguenza i cicchi della melagrana, simbolo di primaria importanza negli antichi misteri, nell’ebraismo, nel cristianesimo, nella massoneria” (L. Pruneti, Il sentiero del bosco incantato. Appunti sull’esoterico nella letteratura, La Gaia Scienza editrice, Bari 2009, p. 254).

3 Cfr. G. Manganelli, Pinocchio, un libro parallelo, Milano, 2002, p. 19.

4 La frase fu pubblicata nella Rivista della Massoneria Italiana del 1873.”

5 Giovanni Spadolini lesse ad esempio dietro la storia la morale mazziniana dei doveri dell’uomo, mentre altri vi scoprirono un’allegoria massonica (Cfr. N. Coco-A. Zambiano, Pinocchio e simboli della ‘Grande Opera’, Roma, 1984). Non caso Elémire Zolla scrive che “il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile”.

6 C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Firenze 1883, pp.229.

7 Cfr. L. Pruneti, Il sentiero del bosco incantato, cit., p. 255.

8 Cfr. C. Gatto Trocchi, Il Risorgimento esoterico, Milano 1996, p. 50. Nel paese delle api industriose, la Fatina per festeggiare Pinocchio fa preparare ad esempio duecento tazze di caffè e latte e quattrocento panini imburrati di sopra e di sotto, possibile segno del bianco e del nero, del quadrilungo massonico.

9 Non è casuale forse neanche l’accoglienza che Pinocchio riceve al teatro dei burattini. Le marionette appena lo vedono, esclamano: “È il nostro fratello Pinocchio”. E Arlecchino grida: “Vieni a gettarti tra le braccia dei tuoi fratelli di legno”.

10 L. Volpicelli, introduzione a carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, illustrato con 309 xilografie di Sigfrido Bartolini, Mauro Pagliai editore, Firenze 2007, p. 14.

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