NOI SIAMO SARDI

NOI SIAMO  SARDI Con la Sardegna nel cuore  di Giovanni Greco

La prima volta che mi recai in Sardegna fu nel 1973 perché dopo la prima laurea dovevo assolvere il servizio militare e fare il Car presso la caserma Monfenera di Cagliari, evitando a stento di andare a Macomer. Allora sapevo solo ciò che nel 1841 aveva scritto Carlo Cattaneo nella sua Geografia e storia della Sardegna allorquando diceva: “Abbonda il selvaggiume e il pesce e tutti hanno caro di mettere gran tavola, e ponno dirsi popolo mangiatore. La danza si ama assai nelle campagne e amano la caccia, le armi, i cavalli, le corse perigliose e le lutte a calci. Concordi nel seno delle famiglie, si fanno religione della vendetta”. Accompagnato dalla preoccupazione dei familiari e di amici che dipingevano i sardi come persone difficili, corrusche e scontrose, amanti della solitudine (forse non è un caso che la grande Grazia Deledda, autrice anche del romanzo stella d’Oriente, ora riposa a Nuoro nella chiesa della Solitudine), sin da subito mi resi conto che, ancorché confinato in una caserma, ero stato catapultato in un altro mondo. Penso ai colori straordinari della Sardegna, penso al mare più bello che ho mai visto, penso al vento che ti avvolge, a tramonti intramontabili col sole che plana nel mare, al freddo secco e potente delle montagne (la bellezza a basse temperature è bellezza): ha proprio ragione D.H. Lawrence che la Sardegna è fuori dal tempo e dalla storia. Penso che la splendida città di Cagliari con la Sua spiaggia del Poetto proprio dalla storia èstata dimenticata e bistrattata, al punto che persino quando si ricordano le capitali del nostro paese, vengono menzionate Torino, Firenze, Roma, Brindisi, Salerno e non Cagliari, la prima irripetibile capitale del Regno d’Italia. Penso soprattutto alle persone, ai miei compagni commilitoni, ad un capitano che mi diede modo ogni giorno di star comodo per studiare, penso ad un ristoratore che vedendomi pallido ed emaciato e fuori da ogni contesto, ogni volta che andavo lì, mi donava un pezzotto di formaggio parmigiano, penso ad un giovane tenente medico che prese a volermi bene e a “proteggermi” e che mi invitò sinanco a pranzo una domenica nella sua piccola abitazione, omaggiato con cura e con rispetto da tutta la famiglia che aveva saputo della mia passione per la storia e così mi trattarono come uno … storico, non come un semplice apprendista stregone quale appena appena ero. La mamma del tenente nel congedarmi mi diede dei biscotti sardi e il padre stringendomi forte le mani, con le parole e con gli occhi, mi disse: ce la farete, prussò! Sa domo est pittica su coru est mannu: la casa è piccola, ma il cuore è grande. Non li rividi più perché poi venni mandato a Montorio Veronese, ma quell’incontro ha fatto un nido nel mio cuore.

Una casetta a Liscia di Vacca

 Memore di questa esperienza poi negli anni sono tornato molte volte in Sardegna, ammaliato dalla bellezza dei paesi ricreati dall’Aga Kan, sino ad acquisire in multi proprietà una casetta a Liscia di Vacca nei pressi dei magnifici giardini di Porto Cervo. In quella zona ho apprezzato particolarmente Cala di Volpe, la spiaggia di Capriccioli, l’isola di Mortorio. E così via via ho conosciuto il gestore del complesso residenziale il signor Donato, una deliziosa famiglia di pescivendoli, negozianti, baristi, ristoratori, medici, gente seria, tendenzialmente silenziosa, capace di relazionarsi con assoluta schiettezza, al tempo affidabile più di un familiare tant’è che compresi cosa intendeva il . presidente Cossiga quando sosteneva che tanti abbandonano l’amico in disgrazia, ma non il sardo, neanche se l’amico va in galera perché nutrono affetti che non tramontano dinanzi alle avversità. Il mitico Gigi Riva, il più grande calciatore sardo di tutti i tempi, e non solo, racconta che i sardi gli vogliono ancora talmente bene che lo coccolano come se da lì a poco dovesse scendere in campo per aiutare il suo Cagliari a vincere per l’ennesima volta. Mai sardi che lì ho conosciuto mi parlavano sempre di un’altra Sardegna, di luoghiforti e selvaggi non contaminati dal turismo di massa, di unaterra che abbisognava di autentici viaggiatori e non di turisti usa e getta. E così ho cominciato a recarmi anche in altre realtà capendo allora che, per esempio,il territorio barbaricino non potrà mai diventare un parco di divertimenti, che gli stazzi galluresi sono l’essenza di un’antica Sardegna – domos prò habitare e binza prò mandigare – che i paesi dei pastori sembrano ancora avvolti in un alone magico e lontano, col sapore delle cose giuste e con una freschezza quasi virginale, e come avesse ragione Mazzini quando, parlando della Sicilia e della Sardegna, sosteneva che erano come gemme cadute da un diadema dove “palpito d’anime parlan d’Italia”. E perciò ho preso ad amare il faro di Capo Testa, il villaggio nuragico di Barumini e le dune di Baia di Chia, Arbatax, le grotte del bue marino a Cala Gonone, la giara di Gesturi e il paese di Fonni perla della Barbagia. Non è certo un caso che un uomo straordinario come il poeta Fabrizio De Andrè, sardo ad honorem, sosteneva che la vita in Sardegna fosse la migliore che un uomo si potesse augurare, chilometri a dismisura di campagne, di foreste, “di coste immerse in un mare miracoloso, dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”.

 Il sardo e il massone

Negli anni novanta, entrato in massoneria, poi ho cominciato a capire quante consonanze vi sono fra il sardo e il massone, in fatto di cura e di tutela dell’amico, in fatto di rispetto sincero dell’altrui sensibilità, in fatto della capacità unica di un ascolto paziente e produttivo, ascoltare consizos est de sos sabios, ascoltare i consigli è dei saggi, in fatto di lunghi silenzi operosi carichi di senso. Del resto lo stesso Garibaldi, pur così immerso nel vocio della gente e nelle grida della battaglia, adorava il silenzio che attorniava la sua famosa casa bianca, gustandosi il silenzio mentre ammirava la natura seduto sotto il pino piantato per la nascita della figlia Clelia e che è ancora forte e rigoglioso. In effetti un bravo sardo è una persona per bene, un galantuomo, un buon padre di famiglia, un lavoratore ammirevole, un patriota, e quindi sotto questo profilo in che cosa differisce da un appartenente alla massoneria? Anche di recente ho partecipato ad Olbia alla Conferenza mondiale delle logge Garibaldi, avvinto, come il G.M. Stefano Bisi, dalla generosa ospitalità del presidente Giancarlo Caddeo e di tutti i fratelli sardi, dai racconti dei sardi tornati a casa per l’occasione, dalle tempestose e colorate danze locali che differiscono da paese a paese, mostrate ai partecipanti al convegno, durante una magnifica cena, unitamente ad una superba statua di Garibaldi che ora campeggia su una mia scrivania. Lavorando poi a Maestri per la città, tre volumi sui sindaci massoni italiani, grazie ai buoni uffici dello stimato G. Oratore Michele Pietrangeli, ho conosciuto il più grande esperto della storia della massoneria sarda, il caro amico Gianfranco Murtas che ora sta lavorando alla bella figura di Armando Corona, G.M. del Goi, all’interno del volume in preparazione per Mimesis Gran maestri d’Italia 1805-2020. Il diritto e il rovescio della storia del Goi attraverso isuoi massimi esponenti. Armando Corona di Villaputzu (Cagliari), medico, fu G.M. del Goi dal 1982 al 1990, appartenne prima al partito d’azione e poi al partito repubblicano. Era stato iniziato nel 1969 nella loggia “Giovanni Morin” di Carbonia e poi divenne affiliato alla “Hiram n. 657” di Cagliari. Nel 1987 aveva pubblicato un bel libro Dal bisturi alla squadra, Milano, maturando molti meriti nei periodi più bui.

Lo stato e gli intrecci criminali

Proprio Murtas ribadisce “la storica e geografica marginalità della Sardegna e tanto più la sua debolezza demografica in rapporto al sistema-Italia”. Cento e cento volte dimenticata la Sardegna dallo stato italiano, ma non quando si è trattato di richiedere l’intervento alle centrali del crimine e al banditismo, e non solo al fine di raggiungere la liberazione di qualche ostaggio, come nel 1992 per il piccolo Faruk, quando si incoraggiava la collaborazione del cosiddetto re del Supramonte, del bandito Mesina, il cui ruolo sarebbe risultato es- senziale. Dopo essersene servito, lo stato era poi pronto a minimizzarne o ridicolizzarne gli interventi. Del resto risale a quindici anni prima l’intreccio camorra, stato, terrorismo, nel caso di Ciro Cirillo a Napoli e quarant’anni prima forse che lo stato non si era servito della mafia siciliana per eliminare il bandito Salvatore Giuliano e poi il suo braccio destro Gaspare Pisciotta?

 Antonio Gramsci e Francesco Cossiga

In questa occasione desidero anche ricordare altri due sardi di notevole profilo. Antonio Gramsci che nacque ad Ales in provincia di Oristano il 22 gennaio 1891 e che nel 1921 fu fra i fondatori del Pcd”’I, segretario di quel partito dal 1924 al 1927, deputato del Regno dal 1924 al 1926 allorquando venne ristretto nel carcere di Turi, uno dei più acuti pensatori e uomini politici . della nostra storia. Era il 16 maggio 1925 quando nel suo celebre discorso pronunziato alla camera, con numerosi deputati fascisti che per ascoltare meglio, dato il tono di voce molto contenuto, sì erano collocati nell’emiciclo, diede vita ad una lu- cida denunzia contro la deriva liberticida. Il Gran Maestro Onorario il prof. Santi Fedele assai opportunamente lo ha definito un “gigante del novecento italiano ed europeo” e in quella circostanza Gramsci espresse la sua ben nota con- vinzione che “la massoneria è stata l’unico partito SARDEGNA reale ed efficiente che la classe borghese ha avuto per lungo tempo”. Inoltre prese spunto dalla legge contro la massoneria per ribadire che rappresentava uno strumento letale per colpire qualunque forma di libero pensiero. . Francesco Cossiga nato a Sassari il 26 luglio 1928 (deceduto nel 2010), uno dei politici italiani più longevi e prestigiosi, dopo tanti incarichi di rilievo, fu presidente della repubblica dal 1985 al 1992, cugino di un altro sassarese, Enrico Berlinguer, ben nota figura di altissimo spessore morale, segretario comunista, figlio di Mario, avvocato, politico, antifascista, iniziato nel 1924 nella loggia sassarese Giovanni Maria Angioy che nel 1943 dirigerà cinque numeri del giornale sardista Avanti Sardegna invitando a combattere contro i tedeschi. Francesco Cossiga, nei tanti anni di militanza po- litica nella DC, ha sempre difeso la massoneria italiana, denunciando la caccia alle streghe contro i massoni e manifestando molta stima verso tanti massoni, militari e non,fra cui il ministro Antonio Martino di piazza del Gesù. Non a caso nella sua biblioteca vi era una intera parete di libri dedicata al latomismo anche perché il nonno Antonio Zanfarini era stato M.V. di una loggia sassarese. In una intervista a Concita De Gregorio nel 2010, sette mesi prima della morte, ribadì che “la massoneria fiorisce come da tradizione, dopo l’epurazione operata da Armando Corona: fra le forze armate, soprattutto marina, nella magistratura, al ministero dei lavori pubblici e molto altro”.

 Speciale Sardegna

Per questo complesso di ragioni oggi si è deciso di dedicare a questa terra, a queste persone, uno Speciale Sardegna con particolare riferimento alla massoneria sarda che oltretutto, in rapporto alla popolazione, è una delle realtà più cospicue del Goi con i suoi 1600 appartenenti. Basti solo riferire che secondo Murtas, oltre a cinque figure sarde a livello apicale nella storia della massoneria, già solo i sindaci massoni individuati sono stati ben sessantadue, di cinquanta dei quali sono stati approfonditi i profili e non pochi sono attualmente apprezzatissimi sindaci in carica e massoni militanti. Dobbiamo perciò ripartire anche dalla Sardegna per proseguire per il nostro perfezionamento interiore, per imparare uno stile di vita e “per continuare a fare l’Italia” (Claudio Bonvecchio). Per parafrasare un grande “inquilino involontario del mondo”, Gesualdo Bufalino, migliaia di sardi vivono una struggente isolitudine, il luttuoso lusso di essere sardi.

da MASSONICAmente n° 3 2019

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