VECCHI MURATORI OPERATIVI

Vecchi muratori operativi di Stefano Cappelletti
Queste immagini (che vanno dai primi del ‘900 agli ultimi anni ’60) sono uno sguardo su di un mondo oramai quasi totalmente scomparso.
Per mia fortuna nella mia infanzia e adolescenza ho avuto modo di conoscere alcuni di questi straordinari artigiani. Forse l’ultima generazione che ha vissuto davvero il proprio mestiere come un qualcosa che andava al di là della mera occupazione.
Di loro mi ricordo la dignità con la quale svolgevano le loro mansioni, lo sguardo fiero e burbero del mastro che, secondo un rigido ordine gerarchico, impartiva disposizioni secche e precise, poche parole imperative. Ma sempre rispettose.
Il piglio, sereno e concentrato, mentre erano intenti al loro impegno aveva un qualcosa di “angelico” che trascendeva anche il loro aspetto fisico, c’era nei loro occhi e nei loro atteggiamenti un qualcosa che non è possibile spiegare a parole… amore per il proprio lavoro impastato con la fatica e la polvere.
Nei loro gesti, nelle loro parole, nel loro fare si potevano scorgere i gesti, le parole, il fare dei loro predecessori, dei loro maestri, il sapere antico di tutti i muratori di tutte le epoche. Era come sfogliare un libro di storia, del quale loro detenevano, gelosi, le chiavi nascoste in arcani termini.
E quando il capomastro con uno sguardo controllava la loro opera, si poteva cogliere, sfuggente ma inequivocabile, nei loro occhi un lampo di orgoglio e soddisfazione.
Certo erano uomini semplici, rudi, poco istruiti secondo i nostri parametri, ma ricchi, gentili ed istruiti per quello che era il loro mondo. Rispettosi non solo verso gli altri, ma soprattutto verso la propria attività che sentivano come un qualcosa di fondamentale: per loro mettere un solo mattone fuori posto era impensabile, sarebbe stato un disonore, non solo per sè, ma per tutti i muratori.
Erano tempi in cui essere un muratore era un qualcosa di importante, significava essere rispettato e ammirato per l’ardimento di chi sfidava le altezze e la materia, per il fatto di conoscere i segreti dell’arte di costruire, per la propria capacità creativa che appariva quasi magica agli occhi di chi li osservava.
Alcuni mesi fa in casa di un “vecchio del mestiere” oramai in pensione da anni ho notato una cosa che mi ha commosso: un pannello alla parete. Ebbene su questo erano amorevolmente appesi i suoi attrezzi del mestiere, i suoi fedeli compagni di lavoro… livella, filo a piombo, squadra, martelli… orgogliosamente mostrati come simbolo.
Avrei voluto davvero (e forse avrei dovuto) chiamarlo Fratello e dargli il Triplice Fraterno Abbraccio.
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