L’ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE

“L’ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE”  FR. C. S.

…DALLA SUA PATRIA – ITACA –

…ALLA GENTE CHE IGNORA IL MARE,

ALLA SUA “VERA” PATRIA

…DAL MONDO DELLA MATERI.

…AL MONDO SPIRITUALE

… AL REINTEGRO CON IL DIVINO.

Una stupefacente rilettura per la nostra

“Anima da Iniziati”

Credo che uno dei principali effetti della Libera Muratoria sia di agire indirettamente, quasi senza accorgersene, sulla nostra “ ANIMA DA INIZIATI ” e far sì che essa “transiti intuitivamente” – spontaneamente – da un piano “Materiale / Fisico” a uno “Spirituale / Metafisico”  fino al raggiungimento della così detta “coscienza cosmica”. Questa “trasmutazione dell’anima” si ottiene sfruttando l’arma migliore posseduta dall’uomo, cioè la “Volontà “, continuamente “potenziata”, nel nostro caso specifico, dal “Lavoro Massonico”.  E’ grazie a questa “straordinaria forza interiore” che noi possiamo compiere il nostro “ ULTIMO VIAGGIO”.

Il “viandante”, è la rappresentazione allegorica dell’Uomo, del Maestro Libero Muratore che percorre, con un cammino senza fine, la sua “strada iniziatica-spirituale”. Egli pur rimanendo sempre il “medesimo” uomo, in realtà muta continuamente in un “altro”…come quando si osserva un fiume… esso rimane sempre il “medesimo”…sempre lo stesso fiume…”sempre uguale” …che “passa e resta”…ma l’acqua, che scorre nel suo alveo, non è mai la stessa…è “sempre diversa”…sempre un’”altra”. A tal punto che, è impossibile sapere dove si trova la sua anima… nello spazio e nel tempo nella sua marcia perpetua. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges dice che la Sfinge chiedeva a tutti i viandanti: non “quale sia” l’animale che da piccolo cammina a quattro zampe, da grande con due e da vecchio con tre, ma “dove esso sia ” cioè dove fosse la posizione dell’uomo (della sua anima), nello spazio e nel tempo. Questo era il vero “enigma” .

La lettura dell’Odissea di Omero ci stimola a riflettere su questo particolare e affascinante tema: il passaggio dal mondo della materia a quello spirituale, fino al reintegro nel divino, che rappresenta il nostro ultimo e “vero approdo”… la nostra “vera patria”. Mi riferisco in particolare all’episodio, riportato nel libro undicesimo dell’Odissea (Nota 1°), dove è predetto, dall’indovino Tiresia, il così detto “ultimo viaggio di Ulisse”. Tiresia, maestro della verità, indica a Odisseo (Ulisse) la via che dovrà percorrere nello spazio e nel tempo. Gli dice che, ritornerà a Itaca, terra dei suoi padri, ma solamente dopo molte difficoltà dovute all’ira di Poseidone (Nettuno), perché Ulisse aveva accecato suo figlio Polifemo (Nota 2°). Dopo aver punito i Proci (Nobili di Itaca e dei territori vicini che aspiravano al suo trono, contendendosi la mano di Penelope, sua sposa) Ulisse ripartirà per il suo ultimo viaggio, portando un remo. Ulisse “Volgendo le spalle al mare” si dirigerà verso una valle dell’entroterra, fino ad arrivare in un luogo dove le “genti” non conoscono il mare, né le navi con i fianchi purpurei, né i remi e non si nutrono di cibi conditi con il sale. Tiresia gli predice che il “segno” dell’arrivo in quel luogo, sarà quando troverà un viandante che scambierà il remo con un ventilabro. Il viandante, infatti, chiederà a Ulisse se è un “ventìlabro” quello che porta sull’omero. Dopodiché…Ulisse dovrà subito piantarlo in terra e offrire in sacrificio a Poseidone un toro, un ariete ed un verro aggressivo…poi Ulisse ritornerà in patria…dove gli giungerà la morte, consumato da mite vecchiaia.

Qual’ è il significato di questo episodio?

Credo che i punti chiave siano rappresentati dal mare, dal remo, dal paese senza sale e senza mare, e dal ventìlabro. Ulisse rappresenta l’allegoria dell’uomo, dell’anima umana, che passa, grazie a un percorso di purificazione e spogliazione progressiva, da un piano materiale (fisico: mare, remo, navi, colori purpurei, sale) a uno spirituale (metafisico: dove le genti sono inesperte del mare, delle navi e del sale; ignorano il remo a tal punto da scambiarlo con un ventilabro, strumento che conoscono bene e sono capaci di usarlo). Porfirio (Nota 3°) approfondì le interpretazioni allegoriche dell’Odissea scrivendo un’opera dal titolo “La filosofia di Omero”. Egli considerava, infatti, Omero un autentico filosofo; maestro di Platone; un poeta ispirato che sotto la finzione letteraria nascondeva significati trascendenti. I miti omerici, diceva, offrono una visione dei misteri divini e si rivolgono a “anime iniziate” che intendono elevarsi al divino. Anche secondo Plotino (Nota 4°), gli episodi omerici, sono di origine divina, perché emanati proprio dalle divinità; essi agiscono sull’anima elevandola sino al fine supremo dell’unione con il divino. Il pensiero filosofico dominante sia di Plotino sia di Porfirio fu, infatti, la riflessione sul “progresso del pensiero” (dal corporeo all’incorporeo, dal molteplice all’Uno); cioè sul “processo di ascesa al divino” (Nota 5°). Porfirio, considerava “Ulisse” il simbolo dell’anima umana che cerca il divino e il “mare” è il simbolo della materia. Anche nella dottrina platonica dei principi, il mare, rappresenta la “materia” (Nota 6°), che equivale al principio contrapposto all’Uno, cioè al principio della molteplicità, della disuguaglianza, dell’indeterminatezza e del disordine. L’anima umana, dopo essere caduta nella materia (simboleggiata dall’acqua, dal mare, dal remo, dal sale (Nota 7°) desidera tornare alla sua vera patria, all’Assoluto e per fare questo attraversa molte peripezie passando attraverso tutti gli stadi della ri-generazione, fino a ritornare tra coloro che sono “estranei ad ogni flutto ed inesperti del mare”. Ulisse ri-diventa come loro “ inesperto del mare” (anima inesperta) cioè non limitato, non dotato di scopo. Cosi la fine del saggio è quella di ritornare all’inizio: Ulisse è ritornato “apriron amorphian” (“terra dall’infinita mancanza di forma”) cioè  “infinito”. Pertanto la valenza di questa interpretazione allegorica è duplice: da un lato è filosofica (Ulisse simbolo dell’anima, il mare simbolo della materia, la gente inesperta del mare simbolo dello spirito) e dall’altro è etico-religiosa (l’anima deve staccarsi dalla materia per tornare a Dio). (Nota 8°).

Affascinante, in questo episodio omerico, è anche la simbologia del “ventìlabro”. Esso non è altro che una pala di legno assomigliante a un remo, ma si differenzia da questo per la presenza di alzate laterali. Il ventìlabro (significa “lavorare con il vento”) serve per impalare il frumento (pula e seme) e lanciarlo in aria facendoli fare un ampio arco – di solito nelle ore pomeridiane quando Zefiro è più costante- . La “pula”, più leggera, è portata via dal vento, il “seme”, più pesante, cade a terra per poi essere raccolto. Il ventilabro, quindi, è simbolo di “separazione”. Esso grazie al vento (simbolo dell’”anima”, potenziata dal continuo lavoro interiore e dalla forza di volontà) separa… la pula (simbolo della materia… tutto ciò che non è necessario) dal seme (simbolo divino, perché racchiude in sé il “grande mistero della natura”… il ciclo della vita, della morte e della rinascita.) (Nota 9°).

CONSIDERAZIONI  FINALI

Voglio terminare la mia tavola magnificando il significato di “ANIME INIZIATE” – termine che ho utilizzato sia nel titolo sia nell’introduzione – Essere iniziato significa: ricevere le chiavi della porta di questo “magico percorso” per la  “nostra anima”. Significa iniziare a essere stimolati dagli enigmi che avvolgono il nostro misterioso vivere (sempre il mistero è glorioso, sempre sia lodato), noi siamo al mondo non tanto per risolvere gli enigmi ma per amarli. Significa avvicinarsi al mondo della simbologia, del mito, della allegoria, della natura. Significa iniziare a comunicare in modo “intuitivo” con l’universo, con il divino. Significa rendere tutto più sottile, trasparente, chiaro, sintetico, assoluto (significa iniziare a “separare il sottile dallo spesso con maestria”). Significa iniziare un viaggio attraverso un “labirinto” (il nostro percorso iniziatico), cercando di evitare gli ostacoli, di non farsi sbalzare fuori e di arrivare al centro. Significa concentrarsi su noi stessi, perché questo labirinto è dentro di noi e deve portarci verso una sorta di “Tempio Interiore”, dove risiede la parte più misteriosa e spirituale della nostra individualità, del nostro essere. Questo viaggio deve caratterizzarsi da un “progressivo e lento distacco” dall’”Oscuro” alla “Luce”; dal “Materiale” allo “Spirituale”, dal “Perituro” all’”Eterno”, dall’”Istintivo” (irrazionale/passionale) all’”Intelligenza”…alla “Saggezza”. 

Mi piace finire con una frase, ripresa, ancora una volta da Plotino: « L’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio; ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere »

  NOTE

Omero, Odissea: Libro undicesimo: « Ed ecco l’anima apparve del vate Tiresia…del dolce ritorno tu vuoi sapere Ulisse…eppur, benché da sciagure colpiti, ad Itaca giungerai…ritorno farai su nave straniera alla patria e troverai nella casa sventura: superbi uomini che i tuoi beni divorano e insidiano con offerte di nozze la tua sposa divina. Ma di morte tu punirai la protervia…punito i Proci… prendi un remo spianato e migra al più presto di là, fin tanto che a genti tu giunga che ignorano il mare né si nutrono di cibi conditi col sale; che nulla sanno di navi coi fianchi purpurei né di remi lisciati…e un segno ti annunzio ben manifesto: quando un viandante ti chieda incontrandoti se un ventilabro è quello che porti su l’òmero, ficca subito in terra il remo spianato ed offri vittime belle al sovrano Posidone, un toro e un ariete e un verro aggressivo, prolifico…»

2°. Polifemo è un Ciclope, è il simbolo della “materia” (della vita sensibile, della forza primitiva degli impeti passionali e selvaggi del cuore); il cui unico occhio simboleggia il dominio di forze oscure, non controllate dalla razionalità. Polifemo è figlio di Thossa e Poidone – poseidon vuol dire “ materia”, “essenza umida” che si agita come le onde del mare. Il filosofo Omero, impersonificandosi con Ulisse, acceca Polifemo, distaccandosi simbologicamente dalla materia e elevandosi su un piano spirituale, quello della “contemplazione” (Theoria).  Porfirio critica Odisseo per aver ucciso Polifemo violentemente, perché secondo lui è un errore re-scindere in modo improvviso, rapido, il legame con il sensibile – altrimenti le tracce dolorose dello strappo rimangono. Il “distacco” deve essere lento; la migliore separazione è quella ottenuta con il superamento dell’oblio, mediante un progressivo e costante “esercizio intellettuale – spirituale”, simile a una “pratica ascetica” (Ascesi deriva dal greco “askesis”, che vuol dire esercizio, allenamento di un atleta per il superamento di una prova. Per ascetismo si intende una  << regola di vita tesa a raggiungere, attraverso il distacco dalle cose terrene, quella purificazione dell’anima che consente di dedicarsi compiutamente alla vita spirituale  e contemplativa, fino all’unione mistica con la divinità >> . Nel nostro caso ci si riferisce a un “ascetismo terreno” – vicino alla filosofia della Grecia antica – dove non è necessario per praticarlo ritirarsi dal mondo, al contrario dell’”ascetismo extraterreno” , quello praticato dell’”eremita” – che vive isolato o del “monaco” che vive in comunità – monasteri-. Quest’ultimo tipo di ascetismo era ostacolato anche dalla religione ebraico-cristiana alle origini. Infatti, l’ascetismo praticato dagli Apostoli era chiaramente di tipo terreno – perché derivava direttamente dalla filosofia antica – esso non insegnava a estraniarsi dal mondo, anzi a diffondere la “Parola” andando verso il mondo.) Ulisse quando ritorna nella sua patria, dopo il suo primo e tormentato viaggio, a Itaca, si consiglia con Atena, dea della “Saggezza”; egli è infatti alla ricerca della “saggezza”, frutto di ascesi, conoscenza e azione. Azione è spogliarsi delle tuniche per ritornare alla propria, vera “essenza”, al “nous” (Intelletto)… al fine supremo di assimilarsi a Dio (Deus meumque ius). E’ qui, nelle viscere più profonde dell’uomo, che Dio ha la sua sede, ossia in “nous”.   L’unione con il divino, si realizza, pertanto, contemplando il Dio che è in ognuno di noi, in un” incontro da solo a solo”, non dopo la morte ma in questa vita. Questo incontro risulta possibile perché l’intelleggibile ( tutto ciò che può essere capito o conosciuto con l’intelletto) ed il divino fanno parte di noi; entrambi  sono legati ed affini. L’anima umana, quando troverà la luce, riceverà le istruzioni sulla vita eterna, come Ulisse, che ha ricevuto istruzioni da Atena, la “Saggezza Divina”.

   3°. Porfirio : nacque a Tiro in Fenicia nel 233 d.C.; studiò filosofia ad Atene e poi a Roma, diventando allievo di Plotino. Egli compose la prefazione delle “Enneadi”, l’opera più importante di Plotino ; morì in Sicilia intorno al 270 d.C.

4°. Plotino è stato uno dei più importanti filosofi dell’antichità greca-romana, erede di Platone e padre del neoplatonismo. Nacque nel 203 d.C. in Egitto e morì in Italia (Campania) nel 270 d.C. dopo aver trascorso gran parte dei suoi anni a Roma.

5°. “Processo di ascesa al divino” secondo Plotino e Porfirio : questo itinerario dell’anima verso Dio coincide con una tensione verso la propria interiorità più profonda, per cogliere in noi stessi l’”Uno”, fondamento del Tutto. L’anima, intesa come coscienza e riflessione, si rivela a se stessa e si coglie come unità unificante del molteplice. Questa ”unio mystica”, frutto di una disciplina interiore, estranea alla magia, è una “fuga da solo a solo” – per ascoltare e contemplare in sé il divino trascendente. L’antico motto di Socrate “ conosci te stesso”, è interpretato da Plotino e sviluppato da Porfirio nel senso di conoscere l’essenza dell’universo che è l’”anima“, capace di incentrare in sé l’”universo tutto”. Plotino, riferendosi ai misteri, afferma che è possibile vedere l’Uno ed è possibile vedere se stessi colmi di luce intellettuale e anzi divenuti noi stessi quella luce. L’oggetto ultimo della loro filosofia era di prepararsi alla morte.

6°. Mare. L’immagine del mare è il simbolo della materia “hylè”. La materia è inerte, fluida, amorfa, senza forma, priva di vita, priva d’intelligenza, priva di anima, priva di pensiero, senza qualità. Essa sempre diviene e mai permane in uno stato particolare e per questo infinita, illimitata, senza ordine. La materia è identificata anche con il male perché danneggia le anime, come tutto ciò che è corporeo. Plotino la paragona a un fiume impetuoso e instabile – una realtà perennemente fuggevole “indefinita” (aoristos) e illimitata in profondità ed in larghezza. I platonici applicano il concetto di materia anche al “corpo umano” e ai “corpi in genere” (rheustos). Dobbiamo precisare che questa concezione della materia risale in ultima analisi alla mitica cosmogonia del Timeo di Platone. Per Aristotele lo “ spazio o luogo “ (chora) e la “ materia” erano identificati in una sola cosa; nel medio platonismo si individuano due soli principi “Dio” e “ Materia”. La materia è incorporea perché è diversa dai corpi chesono una sintesi tra materia e forma. Il cosmo (Kosmos) deriva da “diakosmesis”(ordinamento). Questo termine sembra sia stato coniato da Pitagora, che designando in tal modo per primo l’universo. Il “cosmo” è il mondo come totalità ordinata “ordos” e armonica rispetto al “chaos” originario. La materia, a differenza del cosmo, è senza ordine “ disordinata” ed è “resistente” alla “ provvidenza divina” che cerca di operare, combattendo contro i demoni ulici – demoni della materia-cercando di portare la materia all’ordine.  La terra…il mondo terrestre…la materia  abitata dai demoni ulici, è “ priva di luce –tenebrosa , oscura”; il mondo celeste – spirituale, abitato da dei, eroi e demoni buoni, è invece “invaso dalla luce .

. Il sale è sacro e oggetto di tabù; appartiene sia alla vita e sia alla morte, conserva e distrugge. Per gli uomini può essere simbolo di ospitalità, amicizia, vita comunitaria; esso è anche un agente di purificazione e un ingrediente di filtri magici.  Il sale è il simbolo del mondo della materia, della generazione, dei sensi, dell’autocoscienza: vi si associano lacrime, amarezza, tristezza. Uscire dal mare, significa liberarsi del sensibile e purificarsi (sale e mare sono quindi anche agenti di purificazione). Plutarco menziona il divieto di non usare sale nei periodi di purificazione e astinenza, perché esso suscita sete, appetito e desiderio sessuale. La liberazione finale di Ulisse è di uscire al mondo della materia, arrivare tra uomini che non ne hanno esperienza: non mangiare cibo mescolato a sale significa “purezza”, non cedere ai piaceri, non nutrirsi di illusioni e seduzioni corporee.

. Questa riflessione “antica” sembra acquisire anche una valenza di tipo socio-politico. Basta, infatti, pensare alla nostra società contemporanea, piatta e folle, dilaniata dal dilemma morale tra desiderio materiale e ricerca spirituale…dove conta solo ciò che appare, dove crediamo… ci illudiamo che sia possibile possedere…ottenere tutto, dove tutto si vende e dove tutto si compra. Comunque mi chiedo che cosa può davvero saziare il desiderio dell’uomo?

9°. Il termine “Ventìlabro” è riportato anche nel Vangelo di Matteo ( Mt., 3,12) dove si parla della predicazione del Battista: << Egli ha in mano il ventìlabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile>>. Crisostomo (dottore della Chiesa Greca, nato ad Antiochia intorno al 348 d.C.) commenta questo versetto dicendo che il Battista ha in mano il ventilabro per incalzare il popolo giudaico che facilmente si rilassava e cadeva nella negligenza, presentandoli il castigo eterno: brucerà la pula con fuoco inestinguibile! Egli ammoniva il suo uditorio esortandolo a non essere pula ma rimanere grano; perché mentre il grano non è intaccato dalla ruota dentata del carro, la pula invece è calpestata da tutti.

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