CONCORSO LETTERARIO R. LOGGIA “N. GUERRAZZI” 2001 DIALOGO TRA LE CIVILTA’


LICEO CLASSICO DI GROSSETO

1° PREMIO

Riccardo  Capecchi

Motivazione:

L’incontro impossibile,  di pura fantasia, fra Ulisse e Sindbad, così diversi eppure così paradossalmente simili nella loro essenza, diviene lo strumento per  la realizzazione di un incontro sempre più necessario fra le diverse culture, che hanno fatto e stanno facendo, con le loro peculiarità spirituali e le loro ricchezze intellettuali, la Storia dell’Umanità.

Ne risulta un esame profondo ed approfondito delle tematiche legate al dialogo tra le civiltà, con riferimenti storici, filosofici e letterari pertinenti e appropriati; una personale,  razionale e lucida, ricerca di soluzioni possibili per una integrazione effettiva dei popoli, attraverso “lo scambio, la comprensione, la tolleranza”.

L’incontro

           Nel chiaro albeggiare di un nuovo giorno due sagome antiche di navi si stagliano lungo l’orizzonte di un mare, sospese al di fuori del tempo. Su una delle due, una solida trireme greca, un uomo dai capelli già canuti osserva, silenzioso e attento, la strana forma della nave che sta venendo incontro alla sua, mentre l’aletta vermiglia del pileo, mossa da vento leggero, gli palpita sulla guancia. Su l’altra nave, un dhow, veloce imbarcazione araba, un uomo dai tratti islamici scruta in silenzio le sagome sempre più vicine degli uomini sulla nave di fronte a lui, quella nave così diversa dalle solite dhows che aveva visto solcare le acque del Mar Rosso. L’equipaggio della nave araba è inquieto, ma nessuno osa comunicare al loro nakhoda, al comandante, i propri timori. Anche i marinai della trireme greca sono nervosi, ma lo sguardo e il volto del loro sire li rassicura.

           Basta poco, e le due navi si sono avvicinate tanto che le due prue sono separate da appena un passo di mare. I due marinai si fronteggiano, mentre i loro fedeli uomini rimangono in silenzio. Non una parola. Basta un solo sguardo. I due uomini, il greco e l’arabo, si sono compresi. Hanno riconosciuto se stessi negli occhi di un volto straniero.

           Sarebbe potuto andare così un ipotetico incontro tra Sindbad, il viaggiatore del Sind (questo vuoi dire il suo nome), il mitico marinaio protagonista di un ciclo di racconti de “Le mille e una notte“, ed Ulisse, l’uomo “dal multiforme ingegno”, l’eroe greco re di Itaca il cui sofferto ritorno a casa dopo la conquista di Troia ci è stato tramandato dall’Odissea di Omero. Sarebbe potuto andare così, con Ulisse alla ricerca, come gli aveva predetto l’ombra di Tiresia, di un luogo in cui fosse sconosciuto il mare dove offrire un’ecatombe a Poseidone, con Sindbad alla ricerca di nuovi mercati.., ma non avvenne, per il motivo (così banale!) che entrambi non sono altro che eroi mitici, prodotti di due civiltà diverse, e l’idea stessa di un loro incontro sarebbe stata assurda fino a poco tempo fa.

           La storia del loro incontro si scrive oggi, ed è la storia dell’incontro sempre più necessario tra le diverse culture.

           Globalizzazione. Questa parola viene ripetuta sempre più spesso dai giornali, dai mass- media, dalle persone; è oramai sulla bocca di tutti. E’ una parola, questa, che in alcuni suscita forti timori, anche di natura economica: basti pensare ai recenti episodi di forte protesta come quello avvenuto a Seattle nei confronti della globalizzazione dei mercati. Uno degli slogan usati era (parafrasando un vecchio slogan americano) “no globalization without representation”, no alla globalizzazione senza rappresentanza.

           Questi movimenti di protesta riflettono un disagio effettivo, realmente presente nella società. Da molto tempo, ormai, la storia è costretta a seguire l’impetuosa corsa dell’economia: negare questa evidenza ci priverebbe di un importante strumento di analisi del presente e di previsione del futuro.

           Il disagio della società nasce dal fatto che certi meccanismi economici appaiono incomprensibili o peggio ancora indifferenti all’uomo che li ha originati e ai suoi reali bisogni. C’è, in sostanza, il timore di perdere il controllo della situazione, sovrastati da strutture che noi stessi abbiamo creato. Dal timore scaturiscono il rifiuto e la protesta. Credo che tale atteggiamento sia inutile. Il gigante dell’economia non può essere fermato semplicemente chiudendo gli occhi.

           La globalizzazione è inevitabile. Nel 1929 si ebbe una prova eclatante della forte interdipendenza dei mercati: il crollo della Borsa di Wall Street si ripercosse sull’economia mondiale portando un generale periodo di crisi. Certamente il processo di globalizzazione nasconde dei pericoli, ma non credo che il modo migliore di risolverli sia ignorarli. Inoltre, se in un tale processo si annidano pericoli, vi trovano pure alimento opportunità che potrebbero far ben sperare per il destino del nostro pianeta. Certo, i problemi sono molti. Prima di tutto c’è quello dell’integrazione tra “razze” e culture diverse, che non è affatto un problema da poco. Il professor Samuel Huntington dell’Università di Harvard ha scritto un saggio di successo sul presunto “clash of civilizations” (scontro tra civiltà) di dimensione mondiale che incomberebbe su di noi in un futuro imminente. In pratica egli teorizza un inevitabile scontro tra le diverse culture, tra i diversi sistemi filosofici dell’umanità, puntando soprattutto l’attenzione sullo scontro che ci dovrebbe essere tra l’Occidente e l’Islam.

           Oggi nel mondo ci sono più di un miliardo di musulmani e più di un miliardo di cristiani. A questi devono essere aggiunti almeno mezzo miliardo di individui fortemente plasmati dal confucianesimo e un po’ meno di un miliardo di indù, oltre ai buddisti e a molti altri ancora. Il pericolo di scontri tra i fondamentalismi di ispirazione religiosa è innegabile. Questo pericolo è particolarmente grande nell’Asia centrale, nel Caucaso meridionale, in Asia sud-occidentale, nel Medio Oriente inclusa la Turchia, in molte regioni dell’Africa, dall’Algeria fino alla Somalia o alla Nigeria.

           Ma tale pericolo è tangibile anche nei paesi europei. E’ necessario però sottolineare che questo è un pericolo, non un esito inevitabile. E’ un pericolo da prendere in considerazione con attenzione e molta cautela, ma non per questo va considerato come la predizione esatta di quello che sicuramente accadrà. Chiunque si sia interessato ad altre religioni ha trovato sicuramente (forse con sua grande sorpresa) che, assieme alle più vistose divergenze, esistono numerose concordanze sul piano etico tra le diverse religioni. Basti citare la cosiddetta “regola aurea” dei teologi: “Non fare agli altri ciò che non vuoi che essi facciano a te”. Questa regola è l’equivalente dell’imperativo categorico (laicissimo e assolutamente razionale) formulato dal filosofo Immanuel Kant; in principio si tratta dello stesso comandamento morale che si trova nell’Islam, nell’Induismo così come nell’Occidente cristiano.

           Chi scava ancora più profondamente troverà ulteriori concordanze tra queste dottrine: il rispetto della vita, il principio fondamentale della non-violenza (con l’eccezione dell’autodifesa), il principio di solidarietà nei confronti del vicino (equivalente a l’amore per il prossimo proprio dei cristiani). Variano semmai le scale di valori: le democrazie occidentali pongono sul più alto gradino i diritti e le libertà del singolo, mentre le culture orientali vi pongono piuttosto i doveri verso la famiglia e la società.

           Ci sono comunque delle buone basi di partenza per un fruttuoso dialogo tra culture: dunque è davvero possibile una convivenza pacifica tra i popoli. Si potrebbe obiettare che una cultura come quella islamica, che predica la diffusione delle dottrine di Maometto tramite ogni mezzo, sembra difficilmente integrabile con quella occidentale. Ma se nel XII secolo d.C. a Cordoba, nella Spagna mussulmana, un filosofo come Averroé ha potuto sviluppare le sue idee in un clima di relativa tolleranza, è possibile sperare che certe forme di tolleranza ideologica possano ripetersi al di là di ogni contrasto religioso. Certamente occorre mettere da parte i fondamentalismi, ma il fondamentalismo non può e non deve identificarsi con la religione. Tolleranza, dunque. Ma la tolleranza da auspicare, necessaria nel processo di globalizzazione (pena il clash of civilizations), non deve nascere dall’indifferenza, bensì dal rispetto attivo e concreto, dalla stima verso le altre convinzioni fondamentali maturate nel corso della storia. In pratica, non passività e accettazione, ma tolleranza “alla Voltaire”, una casa comune dei valori dell’uomo. Non ci può essere tolleranza senza comprensione.

           Questa è la lezione, assai amara, che ricaviamo da un libro di Tzvetan Todorov, “La conquista dell’America”, dove è reso evidente come lo sterminio delle popolazioni dell’America Centrale da parte degli Spagnoli guidati da Cortés derivi proprio dall’incomprensione della cultura degli Aztechi e dei Maya da parte dei “civilizzati” Europei, dal rifiuto dell’Altro. Non a caso, il libro di Todorov reca come sottotitolo: “Il problema dell’Altro”.

           In fondo, lo scontro tra civiltà nasce proprio dal rifiuto dell’altro da noi, del diverso, dalla paura di perdere di fronte a l’altro la propria identità. L’identità originaria di ciascuna cultura non va cancellata, sarebbe una perdita. La lingua di ciascun popolo va mantenuta. La lingua di un popolo riflette la sua storia, la sua mentalità, la sua energia. Non è giusto che tale patrimonio si disperda. “Tolleranza” e “convivenza comune” non significano affatto “mescolanza omogenea di culture”.

           Occorre fare attenzione, quindi, perché, se le culture non mantengono la loro individualità nel dialogo, rischiano di alimentare inutili timori tipici degli integralismi. Non ci può essere comprensione senza scambio, senza dialogo. Per questo sono molto importanti i nuovi strumenti di comunicazione, primo fra tutti Internet, che consente uno scambio immediato tra più culture. Proprio sul Web si misura con mano la forza della globalizzazione: tramite Internet noi possiamo dialogare con qualunque angolo del pianeta e ricevere notizie in tempo reale. Impensabile, fino a poco tempo fa.

           Scambio, comprensione, tolleranza. È esemplare in questo la figura di Sindbad, l’eroe-simbolo dello scambio tra culture. Nel suo primo viaggio Sindbad instaura subito un dialogo con l’altro, con lo straniero: «Stavo anche in compagnia dei sapienti delle Indie, e li ascoltavo […] io facevo loro domande, e loro le facevano a me, e tutti imparavamo cose piacevoli e nuove.” (dal racconto del primo viaggio di Sindbad). Non è l’unico esempio riportato nei racconti. Sindbad è il viaggiatore che porta con sé merci e cultura, è un mercante spinto dal guadagno ma è anche attento al dialogo con l’altro, sempre pronto ad imparare dal proprio interlocutore.

           La figura di Ulisse è più complessa. Levinas, nel libro “Humanisme de l’autre homme”, definisce Ulisse come un uomo che vive il ritorno alla sua isola come compiacimento di sé, conferma dei propri saperi e misconoscimento dell’altro. In effetti, se guardiamo bene, Ulisse nell’incontro con l’altro è sempre estremamente sospettoso e diffidente (anche con la graziosa Nausicaa); inoltre la maggior parte degli incontri fatti da Ulisse nell’Odissea sono incontri pericolosi, violenti, risolti nello scontro o nella fuga.

           Lo stesso incontro col Ciclope si risolve in stratagemma: in pratica, Ulisse sembra davvero affermare il proprio “io” in opposizione a l’altro bestiale incontrato; lo stesso succede con la maga Circe, quando l’eroe sconfigge (e per questo seduce) la maga con la spada e l’aiuto degli dei. Vi è poco dialogo, qui, in effetti… Non bisogna però dimenticare l’episodio (importante) della narrazione da parte di Ulisse delle proprie vicende ad Alcinoo, re dei Feaci (nel libro IX dell’Odissea): innegabile momento di scambio e di comunicazione tra Ulisse e l’Altro. Tuttavia, nel complesso, l’immagine di un Ulisse sospettoso, tormentato dagli dei, accerchiato dai pericoli, rappresenta più, forse, l’uomo moderno spaventato dai “misteriosi” corsi dell’economia, l’uomo che cerca di mantenere la propria integrità, la propria individualità in mezzo a un turbine di eventi (la globalizzazione) che non comprende e che sente come una punizione divina per qualcosa che ha commesso (quasi la persecuzione di Poseidone contro Ulisse).

           Ed in effetti la guerra di Troia, da cui Ulisse fa ritorno, si può spiegare come la trasposizione mitica di una guerra realmente avvenuta in tempi molto remoti tra i greci e le popolazioni “troiane” per il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, importanti snodi strategici ma soprattutto  economici..; certamente, però, non è stata l’economia a dare origine al lunghissimo peregrinare di Ulisse verso casa: sembra essere, questa, semplicemente una curiosa coincidenza, che bene si adatta alla nostra situazione. Non dimentichiamo che Ulisse è un simbolo complesso, ambiguo, multiforme (eroe “dal multiforme ingegno”) , che possiede in sé anche la figura dell’uomo temerario, desideroso di conoscere, che affronta impavido il canto delle Sirene.

           Grazie soprattutto a quest’ultimo aspetto, la figura di Ulisse ha avuto molta fortuna nei secoli successivi, da Dante fino al Novecento, divenendo un simbolo non più soltanto greco, ma europeo, il simbolo dell’uomo che è spinto a soddisfare la sua inesauribile sete di conoscenza andando oltre le Colonne d’Ercole, anche se questo significa morire (come dice di lui Dante nell’Inferno, canto XXVI, vv.85-142). Proprio l’Ulisse dantesco dichiara di aver desiderato di “divenir del mondo esperto, e delli vizi umani e del valore»: forse è proprio lui il simbolo che più si avvicina al desiderio di conoscenza di Sindbad.

           Nonostante tutto, Ulisse va considerato nella sua interezza, con tutte le contraddizioni che lo contraddistinguono e che lo rendono, nel bene o nel male, così vicino a noi. Ulisse ci riflette, riflette l’ambiguità di noi europei in declino, rappresenta la nostra forza assieme alle nostre paure. Dobbiamo fare i conti anche con lui e con i suoi lati oscuri, oltre che con un personaggio ben più «solare» come quello di Sindbad. Sembra quindi che i nostri due eroi-guida non siano poi così simili. Certamente no, eppure (paradossalmente, quasi) Ulisse e Sindbad sono la stessa cosa. Ulisse è un personaggio peculiare, diverso dai tipici eroi greci, dai Greci stessi guardato con diffidenza, per la sua caratteristica di utilizzare l’astuzia e non la forza. Ulisse è, in effetti, un personaggio “orientale”, poiché somiglia molto agli eroi di “Le mille e una notte” (per esempio) per questa sua propensione ad usare l’intelletto. È molto probabile che il personaggio sia di effettiva origine orientale, poi integrato tra gli altri eroi greci.

           Dunque Ulisse e Sindbad avrebbero un’origine comune, proverrebbero entrambi dallo stesso archetipo. Questo, però, non vanifica l’idea e la validità di un loro incontro: infatti Ulisse è stato accolto ed elaborato dal mondo greco secondo i suoi canoni e i suoi valori; si propone ancora, quindi, come un ideale personaggio di confronto con Sindbad, il mercante arabo.

           Il poeta americano T.S.Eliot scrisse un poema intitolato “La terra desolata” (“The waste land”).Il tema fondamentale di questo complesso poema, vero leitmotiv dell’opera, è la contrapposizione sterilità/fertilità che porta il poeta ad auspicare una rinascita, un nuovo ciclo di fertilità che risollevi la «terra desolata» e sterile dei tempi moderni.

           Ma la sterilità è data, in fin dei conti, dall’incomunicabilità, dall’estrema e irragionevole chiusura nell’individualismo, da l’incomprensione dell’Altro da noi: basti pensare a quanto detto finora. La fertilità è quindi comunicazione e scambio. Il poeta stesso ci indica la strada da seguire, la stessa che ci suggerisce l’incontro tra Ulisse e Sindbad.

           Egli scrive negli ultimi versi del suo poema tre parole indiane, riprese dall’Upanishad, un testo sacro Indù. Le tre parole sono: “Datta, dayadhvam, damyata”. Sono tre imperativi che la Voce del Tuono rivolge agli uomini: “DA’, COMPATISCI, RAFFRENA». Ma potremmo anche dire, in altre parole: «SCAMBIA, COMPRENDI, TOLLERA”. Questo è ciò che può portare alla fertilità, ad una globalizzazione vera, sostanziale, ad un reale scambio tra culture.

           È questo il messaggio ultimo dell’incontro tra Ulisse e Sindbad.

           Scambio, comprensione, tolleranza.

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