DE OTIO (l’ozio)


Per Seneca, il De otio (inattività contemplativa) non consiste nel distinguere il bene dal male, il piacere dalle virtù e così via, ma nell’osservare l’armonia in tutto ciò che ci circonda, così come si trova nella mente di Dio. Secondo Seneca, “siamo sballottati come dai flutti e ci attacchiamo a una cosa e poi a un’altra, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti”. Ciò che Seneca vuol dire è che gli “inattivi” sono soggetti all’incostanza, ma anche alla curiosità, al desiderio di scoprire cose nuove. “Questa curiosità ce l’ha data la natura… ci ha creati quali testimoni di un così stupendo spettacolo”. “La Natura ci ha assegnato un luogo e ci ha posti nel suo centro, dandoci la facoltà di vedere ciò che ci circonda… sopra la posizione eretta ha messo il capo in alto e un collo snodabile, affinché si possa osservarla più facilmente…” “Il pensiero infrange le barriere del cielo, non si accontenta di conoscere ciò che si mostra allo sguardo”.Il pensiero “inattivo”, secondo il ragionamento di Seneca vuole andare oltre l’universo, per vedere se lo spazio è illimitato o delimitato. Vive secondo natura chi si dedica completamente a lei per contemplarla. Tutto questo è azione, attività dell’inattività, azione della mente. E’ impossibile essere inattivi quando la mente è attiva. La vita contemplativa assume una legittimità quando è frutto di una libera scelta e non adesione passiva a uno stato di inattività letterale. In definitiva, se uno sceglie liberamente di contemplare il Creato e il suo Creatore, non può definirsi inattivo passivo, perché la contemplazione è azione dell’inazione.Tutti sono d’accordo nel ritenere che, vivendo in società, è difficile essere immuni dai vizi, e allora, se non abbiamo altro mezzo per salvarci da essi, isoliamoci: già questo solo fatto ci renderà migliori. D’altronde chi c’impedisce, pur vivendo appartati, di avvicinare uomini virtuosi e ricavarne un esempio su cui modellare la nostra esistenza? E ciò non è possibile se non in una vita tranquilla, lontana dalle pubbliche faccende: solo così potremo mantenere fermi i nostri propositi, non avendo accanto nessuno che, sollecitato dalla grande massa che gli sta intorno, possa distoglierci dalla nostra decisione, ancora instabile, all’inizio, e perciò facile a sgretolarsi. Allora sì la nostra vita potrà procedere uniforme e costante, perché non turbata dalle idee più diverse e contrastanti. Per giunta, come se già non bastassero i numerosi mali che ci affliggono, passiamo da un vizio all’altro, e questo è il guaio peggiore: restassimo almeno attaccati a un vizio solo, quello che ci è più familiare e che abbiamo ormai sperimentato! Così a questo inconveniente si aggiunge pure il tormento che ci rode nel constatare come le nostre scelte, oltre che cattive, siano anche incostanti. Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, ed ora ci attacchiamo ad una cosa, ora ad un’altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori e non ciò che va lodato e ricercato per il suo intrinseco valore, così come una strada la giudichiamo buona o cattiva non di per se stessa ma dalla quantità delle impronte e dal fatto che fra di queste non ce ne sia nessuna che torni indietro

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