FARSI ATLETI DELLA VITA

“FARSI ATLETI DELLA VITA” :

Una raccomandazione di un Maestro Libero Muratore  Scozzese

rivolta ai giovani

di  C. S. 

Questa lettura è stata effettuata in occasione del “ II Incontro Giovanile per la Formazione Umana”, svoltosi a Orbetello dal 13 al 15 Settembre 2017. L’evento, rivolto esclusivamente ai giovani, ha come unico scopo quello di offrire una “ riflessione intorno all’uomo ” per cercare di comprendere, con leggerezza, che cosa sia l’uomo e per meditare sulla sua forza intellettiva ma anche sulla sua debolezza, sulla sua precarietà e sulla sua finitezza. Pertanto, l’intendimento di questo incontro culturale è di favorire, quello che noi abbiamo definito, in modo arbitrario, la “crescita umana”.

 

“Cultura” è sete di conoscenza, è stimolo alla riflessione critica, è “ricerca disinteressata della verità”. Una ricerca continua rivolta non solo all’esterno, verso la realtà che ci circonda, ma anche all’interno, verso noi stessi, verso la parte più profonda, più spirituale.  Quindi, cultura è, non sola “ricerca accademica”, su temi razionali, scientifici e umanistici”, ma è anche “ricerca sapienziale” – termine non facilmente esprimibile- una forma di conoscenza superiore che ha come scopo quello di permettere  una riflessione sul senso della vita, sui principi supremi, sulla “posizione dell’uomo nel cosmo” – concetto caro a Max Scheler ed a tutta la filosofia antropologica- , una riflessione sul senso del Sacro, sul “Motore Primo Immobile”, secondo la definizione Aristotelica. La sapienza è l’arte di vivere di un “Maestro”. Sapienza non è solamente avere conoscenza, ma è anche essere in grado di applicarla/utilizzarla nella vita pratica. Entrambe, cioè la ricerca accademica e quella sapienziale, devono dialogare e integrarsi per migliorare la nostra formazione; perché solo così possiamo raggiungere una “libertà di pensiero; solo così possiamo diventare “Uomini Liberi” e per Libero, intendo, colui che è fine a se stesso, colui che non è sottomesso ad altri. “Libero” è colui che ubbidisce solo alla sua “coscienza” e non gli altri uomini.

 

Penso che sia necessario acquisire questo tipo di “educazione culturale” per affrontare, nel migliore dei modi, gli “inciampi” del vivere; per affrontare la “contraddizione sempre crescente” – come ci ricorda un breve scritto hegeliano ( Georg Wilheim Friedrich Hegel. Libertà e destino, abbozzo preparatorio, quaderno 13-1799-1800) – insita in tutti noi, tra l’ignoto ed inconsapevole desiderio di una vita migliore, e la vita reale,  la vita che il destino ci offre.

 

Io credo che l’“uomo post moderno” debba “lottare” quotidianamente per superare le difficoltà che la vita costantemente e beffardamente gli dona, e per fare ciò sia necessario farsi: “ ATLETI DELLA VITA”. Infatti, l’etimologia del termine “atleta” ha un origine greca “ἀθλητής” («athletés»), evoluzione di “âthlos” che significa «lotta» e per lotta si intende un combattimento individuale a corpo a corpo tra noi ed il nostro avversario; dove vengono utilizzate mosse e contromosse, al fine di proteggerci.  La “lotta”, in questa situazione, è la metafora della vita; cioè una lotta tra i nostri sogni, tra i nostri desideri, le nostre passioni, le nostre idee, le nostre speranze e tutto ciò che ostacola la loro realizzazione. Il tutto porta ad un avvicendamento di momenti di sottomissione-ribellione, obbedienza-disubbidienza, sconfitta-vittoria. Simile al cammino di un bambino che compie i primi passi; che cade senza cadere, ma sempre si rialza e riparte. E solamente dopo cadute e ricadute riesce a mettersi definitamente in piedi, a raddrizzarsi e camminare. Il “pensiero”  stesso, opera come il camminare; i nostri pensieri è come se camminassero; sono in un continuo movimento, pieni di inciampi e di raddrizzamenti. Le nostre idee possono cadere, quando sono messe alla prova dalla vita, dall’esperienza del vivere: ciò che si credeva una certezza può perdere sicurezza per poi ottenere nuove ed apparenti verità.  Per questo, se desideriamo uscire da questo scontro senza le ossa rotte, dobbiamo essere dei veri atleti della vita; perché un “atleta”, non è solo chi corre una maratona sotto tre ore ma tutti quelli che s’impegnano con volontà d’animo, con dedizione, con sacrificio e con coraggio estremo per un ideale. Un atleta della vita è colui che non ha paura di essere quello che  è, con le sue debolezze e le sue fragilità. Tutti noi siamo degli atleti, ma la differenza è che alcuni sono allenati e altri no.  Un “atleta vero” è chi si allena intensamente, indipendentemente dai risultati, perché sa benissimo che essi potranno o non potranno realizzarsi.  L’importante non è la meta; come ci insegna, in modo esemplare, la poesia di Konstantinos Kafavis “Itaca”: << Quando partirai, diretto ad Itaca, che il tuo viaggio sia lungo ricco di avventure e di conoscenza…non aspettarti che Itaca ti dia altre ricchezze. Itaca ti ha già dato un bel viaggio, senza Itaca tu non saresti mai partito. Essa ti ha già dato tutto e null’altro può darti. Se alla fine troverai che Itaca è povera , non pensare che ti abbia ingannato>>. Un “Atleta della vita “ è chi è capace di distaccarsi dalla materia; chi è capaci di andare oltre, di “volare con la mente”, di avere grandi “ideali”, il più delle volte inscrivibili in vere e proprie utopie. L’utopia, pur essendo una cosa “apparentemente insensata”, è necessaria per l’uomo, sia per la crescita personale, sia per quella collettiva; se non avessimo creduto nelle nostre “utopie” saremmo sempre all’età della pietra. Nella storia del pensiero umano; nella storia delle grandi scoperte scientifiche e umanistiche, prima sono nate le “idee”, che sono state quasi sempre utopiche, ed in seguito, talvolta anche dopo molti secoli, si sono concretizzate.

 

Dobbiamo essere ben consci che le nostre idee e di conseguenza i nostri atti, da un punto di vista cronologico, potranno realizzarsi in tempi brevi o in tempi lunghissimi; ed è per questo motivo, che dobbiamo educarci; dobbiamo allenarci; dobbiamo acquisire la capacità  di vedere lontano; di  “farsi, per quanto è possibile, immortali ed eterni”. Questo concetto  “di farsi immortali”  di straordinaria nobiltà, lo ritroviamo in Aristotele nella Metafisica ( IV 2, 1003 b 22-32) dove afferma che l’’intelligenza è la cosa più elevata e la vita secondo l’intelligenza è vita divina, e scrive addirittura che: “ Non bisogna seguire quelli che consigliano che, in quanto noi siamo uomini, , dobbiamo tendere a cose umane , e che, in quanto siamo mortali , a cose mortali, invece per quanto è possibile , dobbiamo farci immortali  e fare di tutto per vivere secondo la parte più elevata che è in noi”. Questa “edificante intuizione”, che da significato alla nostra vita, è stata tracciata in modo chiaro e sintetico, anche dalla mente illuminata del Sommo Poeta nel XV Canto dell’Inferno, quando si rivolge al suo ex Maestro, Brunetto Latini, e gli dice: Voi “ M’insegnavate come l’uom s’etterna” . L’illusoria prospettiva d’immortalità è indispensabile per l’uomo, altrimenti non produrrebbe nulla, nè scienza, né cultura, né arte. Essa stimola a credere nel futuro ed è stato questo il modo di pensare che ha caratterizzato, secondo me, i “Grandi Atleti della Vita”, i “Grandi Iniziati della storia del pensiero umano”, coloro che hanno pensato in senso “eterno”, in “sub specie aeternitatis”, come Platone, Socrate, Gesù, Maometto, Seneca, Eraclito, Dante, Giordano Bruno  etc. uomini aperti a conoscenze superiori. Un “ Iniziato” è colui che crede in modo irremovibile alle proprie idee, ai propri principi, ai propri valori, alle proprie passioni e le protegge, le difende, le vigila, le cura, senza un’impellente necessità temporale per la loro realizzazione, come se fosse un uomo immortale, come se vivesse in un mondo senza tempo, eterno.

Mi piace concludere con questa frase: “A teacher effects eternity. He can never tell where his influence stops” (M. Albom in “Tuesdays with Morrie”, 2004) in cui viene sottolineato il ruolo educativo di un insegnante, di un Maestro , il cui effetto è eterno. Nessuno potrà mai dire, dove finisce la sua influenza. Un “Maestro” è colui che insegna ed il termine “insegnare” significa “lasciare il segno”. Personalmente credo che un “Maestro” sia colui che si accorge dell’altro; l’altro che ti passa vicino; l’altro che vuole essere scoperto, accettato, compreso; il suo compito è, infatti, di affiancare il discente durante il suo arduo cammino e di insegnarli come “ l’Uom s’etterna “.

 

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