IL TRONCO DELLA VEDOVA

Il Tronco della Vedova

di Ruggiero di Castiglione

Secondo il celebre mito egizio di Osi­ride, l’infido fratello gemello di costui, Set, architettò, con la collaborazione di 72 complici, una spietata congiura.

Nel più completo segreto, quest’ulti­mo fece costruire, decorandolo sontuosamente, un “cofano” di dimensioni esattamente pari a quelle del corpo del più noto congiunto.

Il 17 del mese di Athyr, quando il sole era nel segno dello Scorpione, nel ventottesimo anno del regno o della vi­ta di Osiride, Set organizzò con i suoi fe­deli una serata di allegra baldoria nel­la sua bella abitazione, invitando anche l’ignaro fratello.

Mentre la birra sortiva i primi effet­ti sugli ospiti, ad un cenno del padrone di casa, alcuni schiavi introdussero nella sala la pregiata cassa.

Set invitò tutti i presenti a coricarsi nel­l’interno, promettendola in regalo a co­lui che fosse andato a misura.

I 72 congiurati provarono, uno dopo l’altro, ad entrare nell’elegante cofano, ma le misure di ciascuno si dimostrarono inadeguate. Solo Osiride, adagiatosi per ultimo, vi aderì perfettamente.

Mentre egli indugiava nella sua posi­zione supina, ecco che alcuni congiurati, approfittando del momento favorevole, si precipitarono sulla cassa chiudendola con un robusto coperchio. Essa fu, quindi, in­chiodata solidamente, saldata con piom­bo fuso e, infine, scaraventata nel Ni­lo.

Quando Iside — sorella e sposa del di­vino Osiride — apprese l’accaduto si ta­gliò una ciocca di capelli, si vestì a lut­to ed errò sconsolatamente in cerca del corpo esanime del suo amato consorte.

Nel frattempo il cofano, trascinato dalla corrente, aveva vagato per l’intero corso del fiume fino al mare, e alla fine si era arenato sulla riva di Gubla, lungo la co­sta della Siria. Ivi un bell’albero di erica spuntò improvvisamente, racchiu­dendo la cassa all’interno del suo tron­co.

Il re del luogo, stupefatto per la prodi­giosa crescita dell’albero, lo fece abbat­tere e lo trasformò in una colonna per la sua dimora, ignorando che dentro ad essa vi fosse il cofano col corpo di Osiride. L’eco di questi avvenimenti giunse a Iside. La giovane vedova si recò immedia­tamente nella città fenicia e si abbando­nò, umilmente vestita e col viso rigato di lacrime, vicino al pozzo del cortile reale.

“Non volle parlare a nessuno sin che non vennero le ancelle del re; allora le sa­lutò cortesemente, intrecciò loro le chio­me , e respirò su loro un meraviglioso profumo dal suo corpo divino.

Quando la regina vide le trecce delle sue ancelle, e sentì il dolce profumo che ne emanava, volle fosse chiamata la stra­niera; la p rese in casa e la fece nutrice del suo bambino.

Ma Iside diede da succhiare al bambi­no il suo dito  invece del suo seno, e verso sera cominciò a bruciare tutto ciò che vi era in lui di mortale, mentre essa stes­sa, sotto l’apparenza di una rondine  e mandando lamentosi pigoli, svolazzava intorno alla colonna che racchiudeva il suo fratello morto.

La regina spiava ciò che Iside faceva e quando vide suo figlio in fiamme gettò acutissime grida, impedendo così che di­venisse immortale. Allora la dea si rivelò e domandò la colonna e gli ospiti gliela diedero: Iside ne estrasse il cofano, si gettò sul cadavere, lo abbracciò e pianse così for­te che il più giovane dei figli del re morì di paura all’istante”.   

Il tronco dell’albero, ormai vuoto, fu avvolto con una finissima tela, cosparso di sacro unguento e riconsegnato al re, il quale collocò il tronco presso un tempio innalzato in onore della dea, dove — af­fermava Plutarco — “…ancora oggi il po­polo di Gubla si reca in pellegrinag­gio

Da allora in poi, in tutti i templi dedi­cati ad Iside, i fedeli — ognuno secondo i propri mezzi — contribuivano alla be­neficenza deponendo le loro offerte in un tronco posto all’interno del sacro recin­to.

“Fin dai tempi minoici e fino al cre­puscolo dell’ellenismo, si incontra sem­pre l’albero cultuale accanto a una roccia. Spesso il santuario semitico arcaico era for­mato da un albero e un betilo. L’albero o l’ashera (tronco scortecciato che sostitui­va l’albero verde) più tardi rimase solo ac­canto all’altare. I luoghi ove Cananei ed Ebrei deponevano le offerte erano situati su ogni collina e su ogni albero verdeg­gianti”.

Ancora oggi, presso le logge massoni­che, il “sacco della beneficenza’’ è deno­minato “tronco della vedova”. Esso è una borsa di seta che il Fratello Elemosiniere fa circolare prima della chiusura dei lavo­ri per raccogliere le offerte dei Fratelli27. Così come il ‘‘tronco d’Iside’’ (la “vedo­va”) preservò i resti mortali di Osiride dal­la definitiva distruzione in attesa della ri­surrezione, così “il sacco della beneficen­za”, lenendo le sofferenze del bisogno­so, lo sottrarrà dall’indigenza per aiutar­lo ad elevarsi dal contingente. In ambe­due i casi abbiamo il superamento di un ciclo negativo (materiale) con l’avvento di uno positivo (spirituale).

(Hiram  19898 n°11-12)

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