DIO CREÒ L’UOMO A SUA IMMAGINE

DIO CREÒ L’UOMO A SUA IMMAGINE?

Dio creò l’uomo a sua immagine?

O fu l’uomo a creare Dio a sua immagine?

Questo è il dilemma.

Quanto c’è dell’uomo nella visione di Dio che abbiamo oggi?

Quanto la religione, in ogni tradizione, ha da sempre umanizzato ciò che di umano non ha nulla?

Il problema principale di ogni credenza, di ogni religione, è sempre stato proprio questo: immaginare Dio e umanizzarlo, per renderlo reale, più simile all’uomo, trasformandolo, purtroppo, in un’entità antropomorfa, sia fisicamente, che mentalmente, che emotivamente, attribuendogli tutti i limiti che un essere umano è capace di esprimere.

Ancora oggi in un mondo sempre più laicizzato, almeno apparentemente, basta scorrere le pagine di internet o di qualsiasi social network per scoprire una gran quantità di interpretazioni su ciò che si nasconde dietro il volto divino.

C’è chi interpreta le scritture e riconosce in Dio qualità di giudizio, di vendetta, di ira; un Dio in perenne lotta con le forze del male da lui stesso create, un Dio che promette pianto e stridore di denti a chi non si piega alle sue leggi eterne.

Chi invece lo vorrebbe benevolo, tutto amore e sentimento, indulgente e misericordioso, o chi lo riconosce, in fenomeni miracolosi o in manifestazioni “energetiche” e negli stati emotivi di estasi e bellezza.

Tutti aspetti e forme di interpretazione molto valide, secondo i singoli punti di vista, ma che alla fine non riescono, in nessun modo, a penetrare quel velo d’illusione e di relatività da cui hanno origine.  

Da millenni gli uomini si rifanno a scritture, definite sacre, proprio perché, a loro parere, direttamente ispirate da Dio, per scoprire, dietro interpretazioni di vario genere, quale sia la Verità, cosa ci sia dietro al velo del Mistero attraverso cui scorgere il suo vero volto.

Ma è destinata ad essere una ricerca senza fine poiché ciò che chiamiamo Dio non è né definibile né circoscrivibile.

Sarebbe come chiedere ad un uomo di descrivere quale sia stata la propria realtà prima della propria nascita.

L’uomo non può descrivere Dio.

Non può conoscerne il pensiero, non può conoscerne la Natura.

Ciò che l’uomo può conoscere è la creazione divina, ciò che da Dio ha preso forma e che di Dio incarna le leggi e le manifesta.

Non è un caso che per le tradizioni più antiche, come per quella cabalistica-ebraica, l’uomo è separato da Dio da un Abisso insondabile.

L’Albero sephirotico della Vita

Dietro quell’Abisso, Dio non è “Yahweh”, manifestazione divina nei quattro elementi, ma “Ain Soph”, Dio prima della sua manifestazione, nella sua Potenza creativa, prima di passare all’atto, “Uno” nel suo pensiero profondo.

Oltre quell’Abisso l’uomo non può vedere perché non è nelle condizioni di farlo.

Potrà riuscire a vedere, nelle condizioni più favorevoli, solo le manifestazioni intermedie di quella realtà, filtrata dall’Abisso, attraverso i diversi gradi di materializzazione del pensiero, fino alla realtà creata.

L’uomo potrà sforzarsi in eterno di interpretare correttamente ciò che si manifesta attraverso l’Abisso, ma ne avrà sempre una risposta parziale e scorretta, in quanto non potrà mai conoscere il vero pensiero originario divino.

L’albero sephirotico descrive molto bene i passaggi attraverso le Sephiroth del Raggio Divino fino al suo consolidarsi nella piena manifestazione della materia, in Malkuth, la sephirah del Regno.

Cogliere solo uno di questi passaggi non ci permette di cogliere comunque il progetto completo che c’è dietro.

Ma cos’è che spinge l’uomo a volere, a tutti i costi, rappresentare in forma ciò che in realtà è al di là della forma?

L’uomo essendo forma di Dio, immagine di Dio, tende continuamente ad imitarlo, dando forma alle cose e dando un nome ad esse.

Ma c’è differenza tra conoscere la natura delle cose e dare il nome alla loro forma.

L’uomo non può creare, può solo generare.

È ridicolo, se non addirittura presuntuoso, pretendere di interpretare il pensiero divino.

L’uomo, nella sua condizione limitata, molto prossima alla natura animale, può soltanto contemplare ciò che è manifestazione divina.

Non è un caso che quasi tutte le tradizioni pongano, tra l’uomo e Dio, delle gerarchie, dei gradi qualitativi di Entità, ognuna delle quali filtra la Potenza dell’Altissimo, Ain Soph, fino al più piccolo minerale.

La Forza e Potenza divina, passando attraverso i gradi inferiori, perde la propria qualità originaria, come la luce lo farebbe attraversando diversi filtri.

Ma tutto ciò è necessario poiché il destinatario di tutto questo, nel nostro caso l’uomo, non sarebbe in grado di sostenere tanta Potenza e Forza e ne verrebbe altrimenti schiacciato.

Per questo, quello che noi riceviamo dalla Sorgente è sempre una forma “vaga” di ciò da cui ha origine.

È quindi un grave errore quello di voler interpretare a proprio piacimento e secondo propria disposizione ciò che viene dall’alto.

Perché è giusto non giudicare?

Perché non conosciamo e non conosceremo mai cosa c’è dietro il velo dell’Abisso: ne conosciamo solo riflessi distorti.

Le gerarchie angeliche e le sephiroth attribuite

Anche le schiere angeliche più alte, quelle che siedono accanto al trono dell’Altissimo non conoscono l’intima essenza del pensiero Divino.

Esse eseguono la sua volontà, senza giudizio.

Chi siamo noi per giudicare? Noi che siamo l’ultima ruota del carro?!

Chi giudica è solo chi non conosce.

Per questo non può esserci un Dio giudice dietro il velo dell’Abisso.

Poiché Dio è onniscienza e conosce ogni sfaccettatura del suo progetto, in tutte le sue dinamiche evolutive e involutive.

Ciò che per l’uomo potrebbe sembrare un orrore non lo è agli occhi di Dio.

Le cose vanno secondo le leggi cosmiche.

Dio è Legge, non Giudizio.

È legge in quanto ordina la sua creazione.

È legge in quanto “Noumeno”, mente cosmica, che armonizza ed equilibra ciò che da Lui emana.

La grandezza di Dio non è misurabile, in quanto l’Amore non è misurabile, non ha quantità, essendo qualità.

Non è misurabile in quanto la misura è la limitazione della stessa qualità e della stessa Unità che risiede in Dio.

Sorrido quando leggo le tesi dicotomiche di qualcuno sulla realtà, in cui viene descritta, in maniera riduttiva, la Storia della Vita Eterna, rilegata ad una battaglia tra fazioni. Tra Luce e Tenebre.

La dicotomia è in chi la teorizza!

Quello di cui si parla, non è il contenuto, ma la dinamica evolutiva che porta al contenuto.

Tutto il creato è “maschio e femmina”, tutta la creazione si basa sugli opposti, proprio perché attraverso la “contrapposizione” di questi opposti l’Origine possa manifestarsi.

Non si tratta, quindi, di una contrapposizione destinata all’annientamento di uno dei due poli, ma di una contrapposizione destinata alla ricerca continua di uno stato di equilibrio, di una modulazione che genera molteplicità di genere.

Le diverse forme create non sono altro che la conseguenza di queste continue contrapposizioni atomiche che, a seconda del prevalere di una o l’altra forza, determinano quella o l’altra forma.

Nell’albero sephirotico della creazione il passaggio da una sephirah all’altra è lo stesso processo in cui, nella teoria hegeliana, la manifestazione della Sintesi si palesa attraverso la contrapposizione di Tesi e Antitesi.

Giudicare qualcosa con accezione di bene o male sarebbe come giudicare qualcosa con qualità maschile o femminile.

La contrapposizione e la lotta, come già espresso, sono il motore dell’Universo.

Sono aspetti motori e non morali.

Le leggi che ci governano sono forze che mantengono il Sistema in equilibrio e la loro natura sarà per noi sempre un mistero poiché ancora non ci siamo innalzati al di sopra di esse.

Finché guarderemo la realtà dal basso della nostra statura vedremo sempre tutto sul piano della nostra piccola statura.

Di fronte a questa limitata condizione cosa può fare l’uomo per connettersi a Dio e cogliere pienamente il suo raggio di emanazione senza distorcerlo?

Per prima cosa, non riflettere in Dio i limiti che lo caratterizzano.

Secondo, considerare tutto ciò che succede intorno a lui come non giudicabile, in quanto ciò che è percepito è soltanto un riflesso lontano della realtà Prima.

L’ostacolo principale che si frappone tra l’uomo e Dio è proprio la Paura.

L’uomo ha paura di ciò che non conosce tanto da rendere ciò di cui ha paura simile a lui, per esorcizzarla.

Da qui l’umanizzazione di Dio.

Da qui la creazione da parte dell’uomo di un Dio iracondo, geloso e pieno di debolezze umane.

L’uomo ha paura di Dio perché non riesce a “comprenderlo”.

Ma cosa può salvare l’uomo da questo distacco dalla vera sorgente divina? Sorgente che in forma microcosmica risiede in lui?

La Fede.

Ma non parliamo di Fede in senso religioso.

La Fede di cui parlo è la Visione “muta” e “cieca” del raggio divino, l’abbandono in ciò che è insondabile, ma nello stesso tempo presente in noi stessi come Essenza e Presenza.

La lama del Matto

È il contatto col proprio Centro Edenico che ci ricongiunge alla Sorgente, attraversando l’Abisso.

Questo stato lo ritroviamo nella lama “0” dei tarocchi: “il Matto”, dove si vede un uomo che cammina senza timore verso l’Abisso, mentre un cane svela la sua nuda Verità strappandogli con un morso un lembo dei pantaloni.

Nell’Albero sephirotico della Vita tale centro è rappresentato dalla sephirah “Daath”, la sephirah nascosta, la sephirah della Conoscenza, che una volta rivelata ci riporta a Dio.

Questa Sephira mi piace associarla al frutto “proibito” della Conoscenza, strappato dallo stesso albero, nel giardino dell’Eden, da Adamo ed Eva, e per questo invisibile, in quello sephirotico, fino a quando non sarà nuovamente riposizionato al suo posto e, quindi, “svelato”.

Tale Conoscenza non è quindi una conoscenza mentale, ma un’identità, un riconoscere nel seme divino che vive in noi la stessa natura divina della Sorgente.

In questo, l’uomo è immagine di Dio e, grazie a questo, l’uomo non ha bisogno di immaginare Dio simile a lui, ma prende coscienza di essere parte di Lui.

L’Apertura del cuore, inteso come svelamento del Daath è l’attivazione di quell’atomo divino che, per risonanza, riconosce il raggio di emanazione divina nella creazione e trasforma in Fede, sintesi di conoscenza, fiducia e consapevolezza, ciò che prima era paura e non conoscenza.

Nell’albero sephirotico, il percorso del raggio divino non termina nella materializzazione in “Malkuth”, ma, in un viaggio di andata e ritorno, si sublima nuovamente nell’Ain Soph.

Ogni cosa ritorna a Dio.

Lo stesso percorso di andata e ritorno lo ritroviamo nel processo alchemico, ma capovolto.

L’alchimista, infatti, parte dalla materia formata e la lavora riportandola allo stato spirituale per poi riportarla alla materia in forma rettificata.

In questo, l’uomo imita Dio e, simile a lui, trasforma la materia, aiutando la Natura ad evolvere.

La materia di cui parliamo è chiaramente la materia dell’uomo.

I propri difetti, che oscuravano la luce divina, vengono rettificati, lasciando spazio ad essa di manifestare la scintilla divina che, una volta attivata, connetterà la materia allo spirito. Materializzando lo Spirito e spiritualizzando la Materia.

L’azione congiunta dell’uomo con Dio, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, è l’incontro tra il creatore e la creatura attraverso la creazione.

È la sintesi tra l’azione del Padre con quella del Figlio.

Tra colui che dà la Vita e Colui che, attraverso la Morte, la rigenera nella Resurrezione, riportandola al Padre!

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La materia di cui parliamo è chiaramente la materia dell’uomo.

I propri difetti, che oscuravano la luce divina, vengono rettificati, lasciando spazio ad essa di manifestare la scintilla divina che, una volta attivata, connetterà la materia allo spirito. Materializzando lo Spirito e spiritualizzando la Materia.

L’azione congiunta dell’uomo con Dio, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, è l’incontro tra il creatore e la creatura attraverso la creazione.

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