IL TRICOLORE

IL TRICOLORE    

11 Tricolore: 200 anni, 1797 -1997

di

Blasco Mucci

Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo, ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’Etna; le nevi delle Alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la Patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che divina l’anima nella costanza dei savi; il verde la perpetua rifioritura a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione e il sangue dei martiri e degli eroi. E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà: ond’è che ella, come là dice la scritta, “piena di fati mosse alla gloria del  Campidoglio “…

(Giosue Carducci, commemorazione a Reggio Emilia, il 7 gennaio

1897, del Primo Centenario del Tricolore)

Premessa

Parigi: quattordici luglio 1789. Il vecchio castello medievale della Bastiglia, utilizzato come prigione politica, viene assalito e espugnato dagli insorti guidati da Camillo Desmoulins, da Georges Danton, da Antonio Giuseppe Santerre e da altri capi rivoluzionari. Crollano con esso le fosche leggende che per secoli ne avevano puntellato l’immagine, ma crolla soprattutto il simbolo di quell’assolutismo che aveva, per secoli, dominato tirannicamente il popolo. Così afferma Adolfo Omodeo: “Dal momentaneo entusiasmo provocato dall’avvenimento, nacque il tricolore francese, per la fusione della bianca bandiera della monarchia con i colori di Parigi: il rosso e il turchino. ” (“L’età del Risorgimento italiano”; Messina-Milano, 1930, pag. 94). Da questo momento la bandiera quale simbolo del potere di un principe scompare, nasce la bandiera espressione della nazionalità. Il tricolore francese, “figlio del popolo “, apre la strada.

Le notizie degli straordinari avvenimenti francesi scuotono l’Europa. Gli ambienti culturali italiani, influenzati dalle illuministiche pagine dell’Enciclopédie e avvezzi da decenni a polemizzare sui numerosi giornali letterari nazionali e d’ oltralpe, cercano sulle Gazzette le informazioni più aggiornate ed esaurienti.

Le notizie dell’ appena iniziata e già vittoriosa Rivoluzione giungendo in Italia, accrescono le speranze dei novatori, ansiosi di ripetere anche nella nostra Penisola le esperienze europee. Giacobini e Fratelli massoni — esistevano da tempo in tutti gli Stati italiani attivissime Logge massoniche — si organizzano in “club” clandestini per prepararsi al “grande giorno”. Emissari francesi li favoriscono e li consigliano. Portano da Parigi i testi del Ça ira, del Reveil du peuple souverain e della Marseillaise, i canti fatidici che, insieme al tricolore, guidano il nuovo esercito rivoluzionario. Pafrioti e principi sono in attesa: i primi impazienti, i secondi preoccupaiü.

Nel 1790 Pietro Verri scrive: “I principi  sociali sono sviluppati nel centro d’Europa; la luce dilatarsi rapidamente; il popolo milanese sarà fra pochi anni illuminato “. E rivolgendosi egli stessi giorni ai suoi concittadini, che in qualità di decurioni governano la capitale lombarda, li incita a leggere i giornali che parlano degli avvenimenti francesi: “Svegliatevi! Non è più tempo di arrogarvi soli la rappresentanza della città. Ogni cittadino al paro di voi ha diritto di eleggere e di essere scelto in servigio della patria (…). Se vi accontentate di essere schiavi purché abbiate dei schiavi sottoposti a voi, sarete voi i nemici della patria. Se scegliete questo partito, vi annunzio in breve la vostra rovina ‘

Particolarmente sensibili ai princìpi rivoluzionari laici d’ oltralpe sono i borghesi ma anche i contadini e i braccianti di Reggio Emilia, i quali — costretti a subire le prepotenze di un patriziato locale esausto e sprovvisto ormai di valori intellettuali ed economici — covano secolari risentimenti contro la dinastia degli Estensi che governa il loro territorio. Pertanto, tra il 30 aprile e il 2 maggio 1791 , in occasione della prevista rappresentazione serale del dramma giocoso “La bella pescatrice “, molti democratici armati, di ogni ceto sociale, organizzano uno dei primi episodi insurrezionali italiani e impediscono con la forza che la rappresentazione teatrale abbia luogo. Negli scontri verificatisi con le truppe ducali, i rivoltosi uccidono addirittura il colonnello comandante la guarnigione, Antonio Fabbrichi. Nel novembre del 1794 i giovani Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis diffondono a Bologna un manifesto che invita i cittadini ad insorgere contro lo Stato pontificio. Per l’ occasione preparano alcune nappe con i tre colori, bianco, rosso e verde. Pagheranno con la vita il loro ardimento. I due giovani appartenevano alla Libera Muratoria. Una Loggia del Grande Oriente d’Italia, la n. 651 all ‘Oriente di Bologna, porta oggi il loro nome.

Le corti italiane, sollecitate dall’Inghilterra, si organizzano nella prima coalizione contro la Francia, impegnata ad esportare le proprie idee rivoluzionarie. Ma l’alleanza è fragile e ne fa le spese, in Italia, il Regno di Sardegna che, fra il 1792 e il 1795, vede le proprie terre, fra le quali la Savoia e il Nizzardo, invase dalle truppe del Direttorio.

Nel marzo del 1796, alla fine di un logorante inverno, il governo francese affida il comando dell’An•nata d’Italia ad un giovane generale di ventisette anni: quel Napoleone Bonaparte che nel 1793, quale comandante dell’ artiglieria, era stato il principale artefice della riconquista della piazzaforte di Tolone occupata dagli inglesi.

L’ Armata d’Italia, nei piani elaborati da Lazzaro Carnot ministro della Guerra del governo francese, doveva svolgere un compito subordinato e di supporto per facilitare le operazioni dell ‘ Armata del Reno che, agli ordini del generale Giovanni Vittorio Moreau, operava in Germania e nelle Fiandre.

Ma ben diversamente, per il genio militare e politico di Napoleone, si svolsero gli eventi.

La campagna d’Italia del 1796 — 1797

1796-1797

La efficienza e la forza dell’Arrnata d’Italia è però alquanto modesta. Circa quarantamila uomini in tutto, molti dei quali malati per i lunghi mesi trascorsi nei bivacchi montani fra le nevi. I cannoni sono ventiquattro e i cavalli non arrivano a quattromila. Ma il nuovo generale, Napoleone Bonaparte — … un giovane d’ingegno smisurato e di cupidità ardentissima di dominio… ” (Carlo Botta, 1824, Storia d’Italia dal 1789 al 1814; tomo secondo: 66) — sa parlare come pochi alle truppe. Egli punta sul loro orgoglio rivoluzionario e repubblicano e ottiene la loro stima e il loro consenso. Il 26 marzo 1796, da

Nizza, inizia la prima campagna d’ Italia.

Prima della partenza, dal Quartier Generale, Napoleone indirizza ai soldati un proclama che galvanizza gli animi e restituisce coraggio e fermezza ai soldati già depressi e sfiduciati. In sintesi gli avvenimenti successivi: valicate le Alpi al Colle di Cadibona; sconfitto l’esercito piemontese a Montenotte, Dego, Millesimo, Mondovì, Fossano, Alba e costretto, il 28 aprile, il re Vittorio Amedeo III di Savoia a firmare l’ armistizio di Cherasco.

Già dal 22 aprile, il generale francese Amedée La Harpe aveva indirizzato alle comunità di Mondovì, Alba e Acqui una esortazione con la quale le invitava a dare prova dei loro “princìpi repubblicani ” facendo sventolare sui campanili le bandiere tricolori e di innalzare nelle piazze gli “alberi della libertà”. Negli stessi giorni, sollecitata da alcuni giacobini guidati da Antonio Ranza — che vorrebbe addirittura costituire delle “legioni rivoluzionarie italiane ” con proprie bandiere dai colori “rosso, turchino e rancio ” — la comunità di Alba dà vita ad una autonoma “repubblica piemontese “. In diverse località della zona — Guarene, Magliano, Piobesi, Castellinado e Castagnito — gli abitanti, spontaneamente, si appuntano sul petto le coccarde con i colori del tricolore francese.

Eliminato l’esercito piemontese, Napoleone rivolse tutte le sue forze contro gli austriaci che sconfisse

il 10 maggio 1796 a Lodi. Questa vittoria consentì l’ immediato ingresso dei francesi a Milano, già in mano ai giacobini locali, trionfalmente accolti dalla popolazione esultante. Intanto si erano svolte felicemente le ulteriori imprese di guerra nella pianura padana. Il centro della lotta fu la città di Mantova, difesa dal generale austriaco Dagoberto Sigismondo von Würmser, alla quale i francesi posero l’ assedio. Le operazioni di guerra successive si svolsero con rapidità impressionante: 3 agosto 1796, battaglia e vittoria di Lonato; 5 agosto 1796, battaglia e vittoria di Castiglione; 8 settembre 1796, battaglia e vittoria di Bassano; 15, 16 e 17 novembre, battaglia e vittoria di Arcole; 14 gennaio 1797, battaglia e vittoria di Rivoli; 2 febbraio 1797, battaglia e vittoria della Favorita con la conseguente capitolazione di Mantova. Costretto, nel frattempo, il papa Pio VI al trattato di Tolentino — con il quale lo Stato pontificio era privato di tutte le Legazioni — e ormai sicuro di essere coperto a sud, Napoleone, dopo aver forzato il Tagliamento, portò  l’offenSiva oltralpe, in territorio austriaco, dove avanzò fino alle alture del Semmering a meno di ottanta chilometri da Vienna.

Iniziati, il 7 aprile 1797, i preliminari di pace a Loeben, questa fu conclusa il 17 ottobre 1797 a Campoformio. Questo trattato consentiva alla Francia rivoluzionaria I ‘ influenza completa su tutta la Penisola e favoriva la creazione di repubbliche italiche indipendenti anche se, purtroppo, vassalle della — sorella maggiore — Repubblica Francese.

Napoleone e l’Italia

Dopo l’ ingresso del Bonaparte a Milano si era costituita, sotto il controllo dei francesi, la “Municipalità di Milano” che, nei desideri dei patrioti milanesi, avrebbe dovuto denominarsi successivamente “Repubblica Transpadana”.

Questo termine fu effettivamente assunto ma soltanto in modo formale. Infatti i francesi non consentirono mai che si costituisse uno stato indipendente, con proprie leggi, proprio governo e una effettiva autonomia politica. Tuttavia, una mattina del settembre 1796, per le vie di Milano si vide una lunga sfilata di popolo sventolare una bandiera bianca, rossa e verde e cantare, sull’aria di una canzone in voga, “La Giroletta “, il seguente ritornello nato spontaneo dalle labbra dei dimostranti: “L’è bianca, rossa e verde e la forma i trii color’.

Chi aveva ispirato i milanesi a scegliersi quel tricolore che mai si era visto prima di allora? Si ignora il nome dell’ideatore ma l’ipotesi più probabile è la seguente: nelle vicende rivoluzionarie francesi ebbero parte rilevante molte associazioni a base filosofica e intellettuale, più o meno segrete, ma più di tutte la Massoneria.

È logico pertanto che gli avvenimenti d’ oltralpe sollevassero l’entusiasmo dei massoni italiani e, in linea generale, di tutti gli spiriti liberi della Penisola che allora si definivano illuminati. Questi patrioti vollero assumere una identità nazionale scegliendo, quale simbolo, un tricolore affine a quello francese, ma in cui l’ azzurro era sostituito dal verde, colore massonico per eccellenza e che, simboleggiando la natura, stava anche a rappresentare i diritti naturali degli uomini.

Un mese dopo, il 17 vendemmiaio dell ‘ anno V (8 ottobre 1796), con un decreto dell ‘ Amministrazione della Lombardia, firmato da Napoleone Bonaparte e in nome della Repubblica Francese una ed indivisibile, viene costituita la “Legione Lombarda” composta da 3741 uomini e suddivisa in sette coorti di 500 uomini ciascuna e una compagnia di Cacciatori volontari a cavallo di 120 uomini. Due articoli del sopracitato decreto così stabiliscono:

“Art. IX — Ogni Coorte avrà il suo stendardo tricolorato Nazionale .Lombardo distinto per numero, ed ornato degli emblemi della libertà

“Art. X — L’abbigliamento dell’Infanteria sarà un abito verde con paramani, e mostre scarlato,  iletto verde, pantaloni verdi con gance e galloni rossi, e bottoni coll’lscrizione — Legione Lombarda — Libertà — Eguaglianza —. L’abbigliamento dei Cacciatori a cavallo sarà simile a quello di quest’Arma dell’Armata francese. Le distinzioni saranno bianche, e rosse come nell’uniforme d ‘Infanteria.

I ragazzi milanesi, che assistevano alle sfilate di queste Ùuppe, le chiamavano burlescamente “remolazzit’ per il richiamo al colore dei ravanelli.

Ma non sono ancora questi i vessilli destinati a rappresentare I’ ideale nazionale. Sono bandiere militari e, come tali, dovevano ricevere pochi giorni dopo la loro istituzione il battesimo del fuoco alla battaglia di Arcole. Una di queste bandiere, assegnata alla Legione Lombarda il 6 novembre 1796, è pervenuta sino a noi ed è conservata nel Museo del Risorgimento di Milano.

Ma non trascorse molto tempo che il Tricolore, da insegna militare, diventò simbolo nazionale, e ciò avvenne sotto i migliori auspici

La Repubblica Cispadana

Bonaparte aveva istituito governi municipali per amministrare in via temporanea le province occupate, ma Bologna e Ferrara si erano già costituite in Repubblica e cominciavano a fare leve di soldati. Il fine di Napoleone era di riunire queste due ex Legazioni pontificie agli Stati del duca di Modena per costituire una sola Repubblica situata tutta quanta al di qua del Po. Tutto questo nell’ eventualità che, al momento della pace con l’Austria, si potesse impedire la restituzione al papa di Bologna e Ferrara e, al duca di Modena, il Modenese e Reggio nell’Emilia. Contemporaneamente nasceva nei cittadini l’aspirazione — alimentata dall’ attività politica svolta da “club” patriottici composti prevalentemente da Fratelli massoni ma anche da liberi pensatori, da rivoluzionari, da elementi progressisti e da liberali — di creare uno Stato laico moderno sul modello di quello francese. Per realizzare questo progetto Napoleone convocò, per il 16 ottobre 1796, un congresso da tenersi a Modena ove cento deputati delle quattro province dovevano costituire una Assemblea nazionale incaricata di proclamare la nuova Repubblica e di elaborare una Costituzione.

Questo “Primo Congresso Cispadano”, che si svolge a Modena nei giorni 16, 17 e 18 ottobre 1796 delibera la costituzione della “Confederazione Cispadana” e invita gli italiani ad unirsi nel nome della comune libertà. Per la prima volta dopo secoli di dominazione straniera risuona nuovamente il nome “Italia”.

Contemporaneamente il Congresso abolì la feudalità, decretò l’ eguaglianza civile, nominò un Commissario incaricato di formare una legione di quattromila uomini e decretò la riunione di una seconda Assemblea, a Reggio Emilia in dicembre, per deliberare sulla Costituzione da adottarsi. Gli abitanti di Reggio manifestarono il più grande entusiasmo. Essendo uscito il 4 di ottobre da Mantova un corpo di circa 200 soldati austriaci, corsero alle armi, lo accerchiarono a Montechiarugolo vicino a Correggio e lo condussero, al completo, prigioniero a Reggio. Nello scontro caddero due cittadini reggiani che, a giusta ragione, possono considerarsi i primi martiri della rinascita nazionale.

Questo II Congresso Cispadano di Reggio Emilia nelle sedute del 27 e 28 dicembre 1796 delibera all’unanimità di trasformare la Confederazione Cispadana in “Repubblica Cispadana, una e indivisibile”, dando vita al primo Stato unitario della storia italiana. Il 7 gennaio 1797, nel corso dei lavori dello stesso Congresso, il deputato di Lugo di Romagna, Giuseppe Compagnoni, propose ai convenuti che la bandiera dai colori verde, bianco e rosso fosse adottata come vessillo ufficiale della neonata Repubblica. Una fraterna, ma accesa, discussione avvenne sull’ adozione del terzo colore, oltre il bianco e il rosso.

La componente filofrancese propose l’ azzurro che vedeva in esso il colore più simile al bleu francese; i seguaci della Carboneria proponevano il nero; dai rappresentanti filopontifici fu proposto il giallo, ma prevalse il verde, scelto dalla componente massonica di cui il colore verde è un simbolo, per la volontà dell ‘elevato numero dei Fratelli massoni presenti nel Congresso. Fu altresì deciso che la banda centrale bianca fosse “caricata” di un turcasso portante quattro frecce, circondato da due rami di alloro, poggiante su di un tamburo disposto orizzontalmente con alla base due affusti di cannone incrociati e le lettere R (Repubblica) e C (Cispadana) ai lati.

Il turcasso venne scelto come simbolo “raccoglitore” di idee e princìpi libertari nuovi; le quattro frecce rappresentavano le quattro province unite; alcuni fori nel turcasso esprimevano l’intento che altre città italiane accorressero sotto il vessillo, animate dallo stesso spirito di indipendenza; l’ alloro simboleggiava la vittoria che coronava l’ azione rivoluzionaria secondo I ‘ antico uso greco e romano; il tamburo — strumento di richiamo a raccolta del popolo e dei soldati — e gli affusti di cannone stavano a rappresentare la forza armata della neonata Repubblica.

Da quel momento la bandiera tricolore “italiana”, così approvata dal Congresso, inizia il suo cammino, alquanto avventuroso, nella storia. Ma già il 12 febbraio 1797 la sua foggia venne modificata dalla costituita Guardia Civica Modenese, che inalberò un vessillo — la cosiddetta ” — privo del tamburo, degli affusti di cannone e delle quattro frecce sulla banda centrale bianca, ma con la scritta “Libertà e Eguaglianza” sulla banda superiore rossa e con la dicitura “Guardia Civica Modenese” sulla banda inferiore verde. Il 19 marzo dello stesso anno anche il turcasso scomparve e fu sostituito dal berretto frigio, già presente nel tricolore dei Cacciatori della Legione Lombarda.

   La Repubblica Cisalpina       

Il | 0 giugno 1797 Napoleone decretò l’unificazione della Repubblica Transpadana con la Repubblica Cispadana alla quale fu assegnato il nome di “Repubblica Cisalpina” con Milano capitale. La solenne proclamazione fu fatta il 29 giugno e, ben presto, furono annessi alla Cisalpina i territori del Mantovano, del Bergamasco, del Bresciano, parte del Veronese, l’ex ducato di Massa e la Valtellina. Come bandiera venne assunto il tricolore verde, bianco e rosso, a bande uguali ma, per la prima volta, verticali e senza alcuna iscrizione. Il bianco venne però successivamente “caricato”, sotto I ‘ impulso dei concetti libertari e liberali che stavano confusamente farsi strada. Nel giro di due anni apparvero, e scomparvero, sul bianco del tricolore fasci littori sormontati dal Leone di San Marco, aquile ad ali spiegate; pugnali di Bruto incrociati o meno a rami di palma; fasci con asce bipenni, posti orizzontalmente, artigliati da aquile reali ad ali spiegate e squadre con fili a piombo o squadre e compassi intrecciati, di netta ispirazione massonica.

Nel 1799, a seguito dell’ occupazione dell ‘Italia da parte delle truppe della II Coalizione — Napoleone era impegnato nella Campagna d’Egitto — tutti gli ordinamenti francesi vennero aboliti, ivi compresi i simboli delle varie Repubbliche italiche istituite in precedenza dal Bonaparte. La bandiera della Cisalpina non era ancora stata sostituita che Napoleone, rientrato dall’Egitto e vittorioso a Marengo il 14 giugno 1800, impose agli Alleati della II Coalizione il ripristino, nel Nord Italia, dell’ ordinamento politico precedente e il riconoscimento, con la pace di Luneville del 9 febbraio 1801 , della ricostituita Repubblica Cisalpina. Il tricolore cisalpino venne di nuovo adottato ma “puro” senza cioè nessun fregio e nessuna iscrizione, nonostante un violento intervento, in sede di ricostituzione del Governo repubblicano, da parte del conte Francesco Melzi d’Eril, clericale e filopapalino, che propose di sostituire il colore verde con il colore giallo. Questo tentativo venne respinto dall’altrettanto violenta difesa di questo colore da parte del massone generale napoleonico Jean Baptiste Guichard.

Il cammino del Tricolore

Il 26 gennaio 1802 dalla “Consulta di Lione” viene proclamata la “Repubblica Italiana” e ne fu acclamato Presidente lo stesso Napoleone Bonaparte, in quel momento anche Primo Console della Repubblica Francese.

Come insegna venne adottato uno strano tricolore costituito da un drappo quadrato rosso ove era inserito un rombo bianco nel cui interno, a sua volta, era posto un quadrato verde. Il tutto senza alcuna iscrizione né fregio. Tale vessillo rimase invariato sino al 1805, anno in cui Napoleone, divenuto Imperatore dei Francesi, trasformò la Repubblica Italiana in Regno d’Italia acquisendone il titolo di sovrano. In questa circostanza la bandiera, pur mantenendo gli stessi colori, venne ad assumere un aspetto ancor più singolare: un drappo quadrato con inserito un rombo bianco, delimitato da fronde di alloro dorato, e con le quattro bande triangolari, formatisi agli angoli del vessillo, alternativamente di colore rosso e verde. Il rombo bianco, talvolta, ornato di fregi e motti.

Caduto definitivamente Napoleone, il tricolore italiano venne abolito insieme al Regno che rappresentava e, in tutta I ‘Italia, vennero ripristinate le bandiere delle precedenti dinastie. Ma sotto il dominio austriaco a proliferare società segrete patriottiche che assunsero come loro simbolo unitario il tricolore verde, bianco e rosso a bande verticali, sia pure con qualche variante a seconda del gruppo che l’aveva adottato. La “Giovine Italia”, per esempio, creò un tricolore con la banda verde più ampia delle altre due per significare la preponderante componente massonica nella Associazione.

Nel 1848 Carlo Alberto, all ‘ alba delle guerre d’ Indipendenza, adottò per le sue truppe un inedito tricolore a bande verticali uguali, con disposizione bianco, rosso e verde a partire dall ‘ asta “caricato”, sulla banda centrale rossa, di una croce bianca così da ottenere l’insegna savoiarda. Ma già nel luglio dello stesso anno tale vessillo fu sostituito da quello “risorgimentale” ove il tricolore verde, bianco e rosso — a bande verticali a partire dall ‘ asta — era “caricato” sul bianco con lo stemma savoiardo rosso con croce bianca, inscritto in uno scudo sannitico di colore azzurro.

La Repubblica Romana, nata il 9 febbraio 1849, retta dai triunviri Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini, Aurelio Saffi e difesa da Giuseppe Garibaldi, adottò, con decreto del 12 febbraio 1849, quale bandiera della neonata Repubblica il tricolore italiano con I ‘ aquila romana sull ‘ asta.

Il tricolore italiano, con al centro lo scudo sabaudo, rimarrà anche dopo “la fatal Novara” la bandiera del Regno di Sardegna e dopo la proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta il 17 marzo 1861 , sarà il vessillo nazionale sino al 1946. Nel 1936, dopo la conquista dell’Abissinia e l’assunzione del titolo di Imperatore di Etiopia da parte di Vittorio Emanuele III, lo scudo savoiardo sul bianco venne sormontato da una corona imperiale. Nel 1943, durante la guerra civile, la Repubblica Sociale Italiana mantenne come vessillo il tricolore con l’asta della bandiera cuspidata da un fascio repubblicano e “caricando” il bianco, eliminando lo scudo sabaudo, di un fascio con l’ ascia bipenne posto orizzontalmente e artigliato da un’ aquila ad ali spiegate.

Con l’avvento, nel 1946, della seconda “Repubblica Italiana”, il Tricolore riassunse l’aspetto “puro” del vessillo della Repubblica Cisalpina, a bande verticali uguali verde, bianco e rosso, senza iscrizioni o fregi di sorta.

Nel bianco possono essere “caricati”, ma soltanto sulle bandiere in dotazione alla Marina, mercantile e militare, gli stemmi delle quattro Repubbliche marinare — Venezia, Genova, Pisa e Amalfi — racchiusi in uno scudo sannitico.

Sulla bandiera della Marina militare l’emblema è sormontato dalla corona turrita e rostrata e, nello stemma di Venezia, il Leone di San Marco impugna la spada. Sulla bandiera della Marina mercantile I ‘ emblema non è sormontato dalla corona turrita e rostrata e, nello stemma di Venezia, il Leone di San Marco regge un libro anziché impugnare la spada.

I tre colori, bianco, rosso e verde sono stati adottati anche per il sigillo della Repubblica Italiana. Il decreto legislativo del Presidente della Repubblica così testualmente recita: “L’emblema dello Stato approvato dall’Assemblea Costituente con deliberazione del 31 gennaio 1948, è composto da una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota di acciaio dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro di rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale: Repubblica Italiana“.

Conclusione

Terminando questa breve storia del Tricolore, non possiamo fare a meno di rilevare come esso si sia trasformato nel tempo secondo le presunte necessità di coloro che hanno ritenuto di doverlo utilizzare. Bande orizzontali, verticali, larghe, strette, scudi, fasci, stemmi ed una grande quantità di fregi si sono alternati nella nostra bandiera secondo anche la fantasia di chi ci ha preceduto. Qualcosa però è rimasto immutato: i colori e il simbolo. Il verde, caro a noi massoni, ci ricorda un glorioso passato di battaglie per l’ Unità d’Italia alla quale tanti nostri Fratelli hanno dato la propria vita. Il simbolo, anch’ esso rimasto immutato nei secoli, è quel qualcosa che tiene uniti eticamente tutti coloro che sono nati in terra italica. E quel sentimento che ci lega e ci accomuna, nel bene e nel male, nelle manifestazioni di solidarietà e in un altruismo operante.

Il nostro Tricolore dovrebbe ancor più farci “ricordare” il nostro avvenire, il futuro dei nostri figli e quindi la necessità ed il dovere, da parte di ogni cittadino, di costruire una società migliore e più civile, meglio se laica, democratica ed effettivamente basata sulla libertà e il rispetto per l’ altro, qualunque esso sia.•

Dagli Atti del Congresso di Reggio Emilia aperto il 26 Vendemmiatore dell’anno V (17 Ottobre 1796)

Nelle ore tre pomeridiane del 28 dicembre 1796 il suono delle trombe ha annunziato al popolo l’inizio delle sedute del Congresso. In un momento le tribune della sala elegantemente disposte sono ripiene di cittadini. Montato alla tribuna, il cittadino Fava di Bologna manifestò il desiderio di vedere ivi radunati non solo i rappresentanti della Nazione Cispadana e del Popolo di Reggio, ma anche popoli tutti d’Italia.

Lesse quindi decreti fatti nelle diverse città ed invito i rappresentanti a rinnovare l’atto solenne che dichiara l’•unità e l’indivisibilità della Repubblica. Un moto simultaneo fece ergere in piedi tutti i presenti e, i cappelli sollevati •in aria approvarono con l’unanimità dei sentimenti’

Il 7 gennaio 1797 il deputato di Lugo di Romagna Giuseppe Compagnoni propose ed ottenne l’adozione della bandiera verde bianco rossa quale vessillo della neonata Repubblica, affine a quella francese ma nel quale l’azzurro era sostituito dal verde, colore massonico per eccellenza e che, simboleggiando la natura, rappresentava anche i diritti naturali degli uomini.

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