LA LIBERTA’ PER IL MASSONE

La libertà del Massone

di D. D. B.

Cosa significa essere uomo libero”?

Può sembrare una domanda superflua.

Ma lo è veramente, oppure è vero il contrario?

Fatto sta che vi è una assai diffusa tendenza a confondere

l’uomo libero con un essere privo di vincoli

e preda della più sfrenata anarchia.

1 – La nozione di libertà

La comune nozione di “libertà” sembra indicare quel particolare stato in cui viene a trovarsi un soggetto che può compiere una qualsiasi azione in modo del tutto volontario ed autonomo, al di fuori di ogni possibile influenza esterna.

Da tale definizione discende la seguente errata convinzione: un uomo è “totalmente” libero, quando può esercitare tutte le scelte possibili.

Ma esistono davvero un simile uomo ed una simile libertà?

C’è da dubitarne.

Tentando adesso di completare il concetto appena espresso, si può affermare che la nozione di “libertà” suddescritta, indica in primo luogo l’esistenza di un “soggetto” operante, che poi è il soggetto al quale la libertà viene attribuita, in secondo luogo l’esistenza di un “sistema ambientale” nel quale la libertà viene esercitata e, finalmente, attribuisce al soggetto la volontà e la capacità di agire in modo tale da far dipendere ogni sua azione esclusivamente dalla propria decisione di “fare” o di “non fare”.

Ne discende che se il concetto di libertà è astratto e assoluto, astratto ed assoluto certamente non è l’esercizio di siffatta libertà che, anzi, si associa e patteggia con la concretezza dei fatti. La libertà è dunque condizione umana “relativa” in quanto ferreamente subordinata alla “natura” del soggetto ed al “sistema ambientale” nel quale il soggetto la esercita.

Diciamo subito, come immediata conseguenza, che la libertà di un uomo è condizionata dal fatto di essere ciò che è, ovvero dal proprio speciale stato naturale che delimita i confini della sua libertà. Egli non potrà quindi compiere alcuna azione che non sia nelle sue concrete facoltà di uomo: non potrà volare come gli uccelli, respirare nell’acqua come i pesci e così via. L’osservazione è elementare, tuttavia ci fa subito comprende come la libertà intesa come valore assoluto, almeno per l’uomo, non esiste.

2 – La scelta: perdita o conquista di libertà?

Ogni volta che un uomo fa uso della propria libertà, compie necessariamente una scelta. Così facendo riduce la sua libertà, precludendosi la possibilità di effettuare altre scelte opposte o alternative.

Non sempre una scelta è obbligatoria. Alcune lo sono. Le scelte di “fare o non fare”, ad esempio, non sono in alcun modo eludibili, perché l’attività o la inattività di un soggetto, ove non esistano ostacoli esterni che le condizionino, dipendono sempre da un’unica scelta che lo stesso soggetto obbligatoriamente deve compiere: se sceglie di fare, si preclude di non fare e viceversa.

La prima scelta da compiere – anche se può sembrare tardiva poiché solitamente qualcuno ha già deciso per noi prima che raggiungessimo l’età della ragione è “se vivere da soli o se vivere con gli altri’ . Essa è inderogabile. Ed infatti, raggiunta che abbiamo una sufficiente autonomia, tale da permetterci di sottoporre un esame critico la nostra posizione nel mondo, costatiamo di trovarci di fronte ad un bivio: dobbiamo decidere se proseguire il nostro cammino da soli o insieme agli altri: alcuni, o molti, o tutti. E’quello il momento delle scelte consapevoli, di quelle scelte che segnano la nostra vita. Obbligatorio è quindi scegliere di far parte di una collettività umana oppure no. Se decidiamo vivere da anacoreti, sappiamo ciò che ci spetta, quali saranno le libertà che la nostra scelta di isolamento ci assicura e le libertà che ci vieta. Se decidiamo di vivere con gli altri, anche in questo caso sappiamo quali sono le libertà che perdiamo e quelle che acquistiamo.

Sapremo anche – ma qui il ragionamento si sposta sul terreno etico, anch’esso frutto di scelte liberamente compiute – che non sarà possibile usufruire dei vantaggi di una vita collettiva ed allo stesso tempo ignorare gli obblighi che da tale modo di vivere ci derivano.

Si scoprono così due aspetti della nostra vita: il primo ci mostra che al mestiere di vivere si associa sempre e comunque l’obbligo di compiere una scelta; il secondo ci mostra che di scelta in scelta vengono progressivamente ridotte le nostre libertà.

Non mancheremo perciò di constatare, che la nostra personalità, il nostro essere noi stessi, è frutto di scelte che abbiamo in qualche momento ed in qualche modo compiuto, non importa se sempre consapevolmente. Che è come dire con parole diverse, che abbiamo costruito noi stessi rinunciando progressivamente a più ampie libertà. E, come corollario, potremo aggiungere che tanto maggiore sarà la nostra personalità, quanto più limitati saranno gli spazi entro i quali potremo esercitare la nostra libertà.

Così facendo (o così vivendo), noi abbiamo ridotto i nostri spazi di libertà. Ma è poi vero, come un illustre filosofo della scuola di Francoforte ironicamente ebbe a dire, che per non ridurre i nostri spazi di libertà occorrerebbe scegliere di non scegliere, il che equivarrebbe a rinunciare a vivere?

Probabilmente, la nostra autentica libertà di uomini consiste nel poter liberamente scegliere le regole cui la libertà stessa dovrà essere assoggettata.

Ciò non significa che una scelta sbagliata non possa essere corretta o sostituita con altra più giusta. Diciamo piuttosto che i confini, da noi assegnati alla nostra libertà, debbono essere rispettati, poiché in caso contrario verremmo meno ad una delle regole fondamentali che ci siamo imposte: quella di onorare gli impegni che abbiamo assunto nei confronti degli altri e di noi stessi. E, neanche a farlo apposta, è questa una delle regole che definisce i limiti del nostro libero agire, da noi imposti a noi stessi con le nostre scelte etiche.

3 – Il paradosso della libertà

Se accrescere la nostra personalità significa anche restringere i confini della nostra libertà, potremo continuare a chiamarci uomini liberi quando avremo raggiunto un soddisfacente grado di maturità?

Vanno a questo punto svolte altre riflessioni sul concetto di scelta come riduzione di libertà e sul modello di uomo libero cui spesso facciamo ricorso.

In primo luogo va tenuto conto che le prospettive di libertà non possono aprirsi a trecentosessanta gradi, poichè tali particolari prospettive non sono umane.

Va inoltre tenuto conto che se è vero che col procedere delle nostre scelte l’angolatura prospettica si restringe, si amplia invece lo spazio a nostra disposizione. E’ come dire che diminuisce il numero dei campi nei quali la nostra libertà può espandersi, ma aumenta notevolmente la dimensione di ogni singolo campo residuo.

In secondo luogo va tenuto conto che un uomo libero è prima di tutto un uomo consapevole. Ed un uomo consapevole, è un uomo “maturo” che non solo ha accresciuto certe sue capacità di intendere se stesso, il mondo e la realtà che lo circonda, ma è anche uomo che durante la sua vita si è ingegnato per scegliere bene e che è ancora in grado di scegliere bene. Non vi sono speciali indicazioni da seguire per individuare un uomo libero, se non verificare princìpi ed indirizzi di natura generale, da interpretare di volta in volta con sensibilità e comprensione, con spirito di adattamento e con tolleranza, nel rigoroso rispetto del quadro di libertà individuato.

Un uomo libero non somiglierà mai ad una trottola impazzita, ma sarà ricco di esperienza, equilibrato, saggio, non facile agli entusiasmi né incline alle depressioni, sempre capace di esprimere sensatamente i propri giudizi senza cadere nei tranelli del pregiudizio e del già sentenziato.

Il paradosso è dunque il seguente: per essere uomini liberi è necessario ridurre la propria libertà.

4 – Una tipologia molto frequente: l’uomo-massa

Spesso ricorrono nei nostri discorsi alcuni termini che fanno parte di un lessico di uso frequente e tanto familiare da trascurarne talvolta il significato. Tra questi i termini: massa, uomo-massa, individuo, persona.

Per massa si intende comunemente una quantità di oggetti, riferita alla consistenza e alla dimensione materiale o numerica dell’insieme. Non le si attribuisce alcuna proprietà né alcuna qualità particolare, tantomeno organica. Quando si allude ad una “massa di uomini” il significato non cambia, resta quella che è: una quantità priva di qualsiasi accenno riferito ad una seppure tenue organizzazione. A voler essere pignoli, una proprietà la possiede ed è quella di trasformare gli uomini in oggetti: quando un uomo partecipa della massa, perde le sue caratteristiche peculiari e si trasforma da soggetto pensante ed autonomo quale è, in oggetto, in cosa, in numero, in uomo-massa. Un ben triste destino.

Proviamoci a buttar giù una schedina di tale uomo-massa.

Esso è privo di una personalità propria, incapace di possedere opinioni proprie, di esprimere giudizi propri, di assumere iniziative proprie. Come cittadino è un rimorchiato: utilizza le idee degli altri, le opinioni degli altri, è facile preda di ogni forma di persuasione occulta o palese poco importa, si presta docilmente ad ogni tipo di manipolazione, specialmente se politica o religiosa. Essendo disposto ad allinearsi e ad eseguire ordini, purché ci sia qualcuno che li impartisca, rappresenta il modello ideale per operazioni globalizzanti, anche di tipo autoritario. E’ convinto di essere libero ma, sollevato com’è dall’obbligo di pensare e di scegliere, è assai felice di non esserlo.

L’uomo-massa è un uomo che non pensa e, conseguentemente, non sceglie.

Esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere, di ciò che è un uomo.

5 – Libertà come “condizione” dell’essere o come “modo” di essere?

Quale differenza esiste tra una “massa” di uomini ed una “associazione” di uomini? Cosa distingue la “massa” dalla “associazione”?

Anche in questo caso la differenza è sostanziale: la massa si configura come insieme informe di oggetti, mentre la associazione si connota come unione di soggetti. La prima non presenta segni di strutturazione e di organicità. La seconda è strutturata ed organica. Nella prima i partecipanti perdono le loro prerogative di uomini, nella seconda le conservano e le arricchiscono. Nella prima è assente ogni manifestazione di volontà e di intenzionalità di coloro che ne fanno parte, la seconda, invece, sorge, ed è tale, per “volontà” di chi ne fa parte. La prima opera per raggiungere obiettivi che vengono scelti al suo esterno. La seconda sceglie i propri obiettivi e si organizza appositamente per raggiungerli ed inoltre, in tali frangenti, ha l’attitudine a comportarsi come un organismo collettivo.

Cos’è che conferisce organicità all’associazione?

E’ questa una domanda importante e la risposta non è da meno: a conferire organicità all’associazione sono “le regole”. Vi è un vecchio detto che conserva ancora intatta la sua antica saggezza: “senza regole non si dà alcun convento”. E perché le regole assolvano la loro funzione e conferiscano organicità alla associazione, occorre che, esse regole, vengano rispettate.

Entrare in una associazione, significa quindi accettarne le regole, e perciò anche i legami e le limitazioni che da esse derivano. In sostanza, almeno ad un primo giudizio, entrare a far parte di una associazione equivale a ridurre la propria libertà.

Ed allora che bisogno abbiamo di far parte di una associazione, se il prezzo da noi pagato è rappresentato da una quota perduta di libertà?

Perché accettare una riduzione di libertà?

Tali domande esigono risposte meditate. Va ricordato che non sempre entrare a far parte di una associazione significa accettare regole che possano limitare la nostra libertà. Assai spesso si entra in una associazione sol perché essa risponde al nostro modo di interpretare i rapporti che abbiamo col mondo e con noi stessi, sicché il nostro ingresso altro non è che la omologazione di uno stato in larga misura preesistente.

Può anche darsi che si scelga di far parte di una associazione per una intrinseca debolezza dalla quale può sorgere un vago desiderio di ricercare nuovi contatti umani, di accrescere le proprie amicizie, intessere nuovi rapporti e quindi per allontanare le minacce angosciose della solitudine, per non essere soli, od anche per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza, per capire qualcosa di più del mondo, per arricchire i nostri punti di osservazione, per affinare le nostre capacità di giudizio.

E’ curioso – e qui il paradosso si riconferma – ma. talvolta, per aumentare la nostra libertà si rende necessario… ridurla.

6 – Libertà come regola di vita

Per comprendere pienamente il significato di questa frase, occorre far ricorso alla nozione di “disciplina”.

In senso lato, tale parola significa rispetto ed obbedienza verso un potere costituito. Nel senso che indichiamo noi, significa individuazione di un ordine e rispetto delle regole che lo governano. In questo senso la disciplina diviene disciplina di libertà. Essa consente di dare un indirizzo alla nostra vita, di non disperdere ed anzi di accrescere le nostre energie ordinandole ed utilizzandole per gli scopi che intendiamo raggiungere.

Se decidere di far parte di una determinata collettività significa anche contrarre alcuni obblighi derivanti direttamente dal nuovo stato associativo – e, in ultima analisi, ciò equivale ad abbassare il proprio grado di libertà – non c’è da meravigliarsi se appartenere alla Massoneria ugualmente significhi aver contratto degli obblighi ed avere abbassato il proprio grado di libertà.

Ma quali sono le fondamentali richieste che questa istituzione rivolge ai propri adepti e delle quali pretende il più assoluto rispetto?

La Massoneria richiede che i propri adepti, siano uomini LIBERI E DI BUONI COSTUMI. Si tratta di qualità che rientrano nel quadro dei valori etici propri della Massoneria.

“Libero”, per la Massoneria significa non assoggettato a vincoli che possano impedire la libera costruzione del proprio pensiero, la sua piena manifestazione e, coprattutto, che ostacolino l’attuazione pratica dei princìpi di Fratellanza e di Tolleranza, i valori fondamentali su cui si costruisce l’ampio e complesso edificio massonico, il Tempio stesso della Massoneria e il Tempio interiore di ogni massone.

Egli dovrà aver bandito per sempre ogni atteggiamento di faziosità e di intolleranza e dovrà essere sempre pronto ad intendere le ragioni degli altri, anche se non sarà obbligato a seguirle. Per la Massoneria essere libero, significa essere affrancato da condizionamenti, soprattutto dello spirito.

“Di buoni costumi”, si dice di uomo che ha fatto scelte di vita limitative della propria libertà, in seguito alle quali egli assume atteggiamenti moralmente apprezzabili nei confronti di se stesso e degli altri.

Riassumendo, siamo di fronte ad uomo che ha scelto non già la libertà di fare qualunque cosa, ma di fare solo quelle cose che sono compatibili con la scelta, assorbente, di essere massone, da lui stesso consapevolmente compiuta.

E, a scanso di qualsiasi equivoco, è bene ricordare che si tratta di scelte di carattere esclusivamente etico, prima fra tutte la scelta severamente condizionante di essere uomo di “buoni costumi” estesa ad ogni possibile manifestazione del suo agire.

Altri condizionamenti non esistono, perché tali non possono essere definiti quelli discendenti dalle norme, necessarie, che regolano i rapporti tra i massoni e tra i massoni e la Comunione massonica di cui fanno parte. Non nella religione, per la quale al massone viene unicamente richiesto il requisito minimale della credenza nell’Essere Supremo, simbolicamente indicato come G.A.D.U. Non nella politica, non nella scienza, non nella filosofia, ritenute, per quello che esse effettivamente sono, strumenti del vivere e del conoscere.

(tratto da HIRAM, N.5/6-7/8 maggio/agosto 1991 – Soc. Eras

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