STORIA E DOCUMENTI

STORIA E DOCUMENTI

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Illuminismo – Rivoluzione – Massoneria. Le idee di A. Menzio Egalité.

1831. Esce «Lo spirito della Rivoluzione» di Roederer che individua la maggior parte dei problemi che saranno poi dibattuti nel XIX secolo, quando si vorrà chiarire quale idea della eguaglianza ebbero gli uomini della Rivoluzione.

Secondo l’autore l’uguaglianza nell’opinione pubblica era già ben radicata prima ancora che la Rivoluzione la imponesse. Derivava dalla decadenza della nobiltà che sempre si accompagna all’elevazione materiale, morale e spirituale delle altre classi. Non solo. Ma essendo in Francia l’élite profondamente delusa e mortificata, l’eguaglianza assunse l’aspetto di una passione tanto impetuosa da giustificare persino le eccezioni fatte a danno della libertà.

  1. rivoluzionari hanno sempre diffidato della eguaglianza di fatto che, livellando, non tiene conto degli «spiriti superiori», ma hanno invece privilegiato l’eguaglianza dei diritti che consente a ciascuno tutte le possibilità.

Sulla idea dell’uguaglianza ha molto influito il pensiero giansenista che vede nella eguaglianza delle persone della Trinità il fondamento della eguaglianza fra i cristiani. Uguaglianza che si manifesta (come predicava Bossuet) nella morte che annulla ogni privilegio. La morte confonde il principe ed il suddito.

Pur avendo giocato un ruolo sovversivo contro la «grandezza delle istituzioni» il giansenismo non corrisponde alla eguaglianza prediletta dal XVIII secolo. E un secolo troppo edonistico per apprezzare l’etica della privazione.

  1. concetto privilegiato è quello meritocratico. Il che provoca delle ineguaglianze che tuttavia sono accettate, ad esempio da Voltaire, per cui è giusto che i primi posti spettino agli illuminati. E una diseguaglianza che nasce, come dice Montesquieu, dalla eguaglianza stessa. Questo tipo di eguaglianza meritocratica è contro il privilegio, l’ereditarietà che, secondo Mirabeau, è un vero mostro. L’uguaglianza dovuta ai meriti spazza via le prerogative della nascita e consente un miglior reggimento della cosa pubblica, dove ognuno, secondo le proprie capacità, svolge un ruolo utile

Ruoli diversi e diversi trattamenti economici. Maggior capacità, maggiori guadagni. Si innesta qui il problema della proprietà che lo stesso Rousseau non vuole distruggere, ma solo contenere.

Possiamo dire che la rivoluzione sembra illustrare nelle sue fasi i diversi pensieri del secolo:

prima si propugna una eguaglianza di diritti che apre al merito le cariche. In un secondo momento si preoccupa dell’eguaglianza dei beni. Alla fine si riconcilza con la proprietà e le disuguaglzanze sociali.

Fraternité.

Dal punto di vista cronologico la fraternité è la più tardiva. Sino al 1792 trionfa la Liberté, poi è la volta dell’egalité e soltanto con la dittatura montagnarda arriva il momento della fraternité.

Negli scritti dell’epoca la Fraternité è associata o al cristianesimo o alla massoneria, ma non compare, ad esempio, nei cahiers de doleances. Essa non venne mai identificata come un diritto, ma solo come obbligo o raccomandazione morale.

Nella dichiarazione dei diritti non viene nominata.

Il termine compare in un testo ufficiale solo in un articolo aggiuntivo alla Costituzione che nel ’91 la considera nelle future feste nazionali che vengono istituite per «coltivare» la fratellanza. Essa non è intesa come una immediata rivendicazione, ma come elemento di una formazione civica a lungo termine.

Bisogna arrivare al 1848 perché la fratellanza compaia accanto alla libertà ed alla uguaglianza.

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Il concetto però, già nel 1789, è presente tra i rivoluzionari. La riunione degli Ordini si pone sotto il segno della «unione fraterna». Quando La Fayette giura al Campo di Marte promette di restare unito a tutti i Francesi con i legami indissolubili della Fraternità.

La festa del 14 luglio (lo dice Camille Desmulines) «ci porta a guardare, se non il Signar Capeto come un nostro amico, almeno tutti gli uomini e tutti i popoli come fratelli».

Non è in fondo importante che la parola Fraternité compaia nei testi legislativi. Tutta la Rivoluzione è permeata da questo concetto. Roederer, incaricato di formare l’elenco dei giurati del Tribunale dipartimentale di Parigi, sceglie cattolici, protestanti ed ebrei per dimostrare «la fratellanza degli uomini quale che fosse il loro credo» ed un uomo di colore «per consacrare la fratellanza dei colori». Nel costume rivoluzionario la Fratellanza è alla base di tutti i nuovi comportamenti.

Le «società» (tipo quella che ha sede presso i Giacobini e che si de. nomina «Amici della Libertà e della Eguaglianza») si chiamano «fraterne». Ci si saluta come fratelli, si firmano le lettere con «salute e fratellanza», ci si dà del tu perché questo sviluppa la fratellanza.

Uno degli slogans fu «Fratellanza o morte! » da intendersi anche nel senso che il venir meno del patto di Fratellanza ha come conseguenza quella estrema. Qualcuno, a questo proposito, ha parlato di « Fratellanza-Terrore

In realtà è semplicemente la necessità della sicurezza del sodalizio ad imporre tanta severità.

Certo durante il periodo del Terrore bisognava dare una giustificazione alle violenze di Stato. Così si disse che se il senso della Repubblica era quello di camminare verso la fratellanza con la dedizione ed il sacrificio, allora era necessario «eliminare uno dopo l’altro tutti gli ostacoli».

Già durante il periodo rivoluzionario si ebbero due opposti concetti della fratellanza. Per alcuni essa è il fondamento stesso della Repubblica; per altri essa ha origini divine ed è perciò essenziale. Nonostante i «distinguo» tutte e due le tesi convengono sulla indefettibilità della Fratellanza.

Liberté.

Durante la Costituente i rivoluzionari si trovarono a dover risolvere una grave dicotomia tra l’uomo di «natura» e l’uomo dello «stato civile».

Infatti si resero conto immediatamente che la libertà individuale, basata sul diritto naturale, ostacolava la libertà pubblica e dovettero ammettere che l’uomo in società deve «sostituire dei doveri ai dlritti».

Qualche esempio.

L’appropriazione dei beni del clero è una deroga al diritto di proprie tà che i fisiocratici avevano dichiarato essere anteriore allo stato sociale e diritto naturale ed inalienabile. O ancora. Nel dibattito sulla libertà di emigrazione, che si apre nel ’91 dopo la partenza delle mesdames (le zie del Re), si riconosce il diritto di andare e venire ma, si precisa, in momenti straordinari nessuno deve poter dubitare della necessità di sospendere la libertà dei cittadini di uscire dal Paese. Mentre in un primo entusiastico momento tutti inneggiano alla libertà più assoluta, ben presto si rendono conto che essa è un sistema di limiti.

La grande innovazione della Rivoluzione è quella della Libertà concessa a tutti di partecipare alla vita pubblica. E il principio fonda mentale della democrazia.

I Costituenti, impegnati nel difficile compito di conciliare il principio della libertà individuale con quella dello Stato, dovettero dimostrare la compatibilità dello Stato con la libertà.

E ricorsero a Rousseau.

Essi non cessarono di ripetere che passando allo stato sociale, facendo entrare nel «contratto» i propri diritti il cittadino non li sacrifica, ma da uomo si trasforma in cives ed il suo interesse particolare deve cedere di fronte all’interesse generale.

Il Giacobinismo, che alcuno vuole interpretare come una sbandata tirannica imprevedibile, di fronte alle oscillazioni tra preminenza dei diritti naturali e volontà generale, inventa formule come: «Nessuna libertà per i nemici della libertà».

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L’aggravarsi delle circostanze (come la guerra) dà una certa logica sia alla salute pubblica, sia alle principali deroghe ai principi generali, deroghe che divengono presto la norma.

Robespierre dice: «Sotto il regime costituzionale è sufficiente proteggere i cittadini dall’abuso dei poteri pubblici; sotto il regime rivoIuzionario il potere è obbligato a difendersi contro le fazioni che lo minacciano

Si identifica anche il potere con il popolo, con una indubbia finzione, in quanto è una minoranza quella che legifera e, soprattutto, condanna.

Dopo il Terrore il Termidoro scoppia come una esplosione di libertà e si teorizza contro il dogma della sovranità illimitata del popolo, si oltrepassa il sogno utopistico dello Stato che dispensa la felicità, si ritorna alla idea della preminenza del sociale sul politico.

Constant pone le basi del concetto di libertà moderna quando distingue tra libertà antica (piccoli stati dove il governo del popolo può essere diretto) e libertà «d’oggi», adatta al mondo della fabbrica e del commercio, ad una società articolata dove un sistema di limiti rende possibile a tutti una sfera di tranquilla e protetta autonomia.

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