UOMINI, SQUALI E CHIACCHIERE

 

UOMINI, SQUALI E CHIACCHIERE di G. G.

Una sera d’estate di tanti anni fa, alle isole Eolie, ero andato a pesca di totani. Tante altre volte sono uscito in mare, di notte, per pescare, ma ricordo in modo particolare quella sera per la frase che un anziano pescatore pronunciò per un mio modo particolare di stare in quel momento in barca. Eravamo in quattro su un gozzo a remi: due alla voga, uno ad armeggiare con gli «ontrati» (particolari grossi ami per totani) e le lenze ed io, a poppa, con le gambe fuori bordo ed i piedi a mollo. Ero intento a godermi la pace ed il silenzio di quella calma notte senza luna. Il cielo sembrava un immenso soffitto punteggiato da miliardi di luci che simili a gemme preziose si riflettevano su un mare liscio e nero. Il gozzo frusciava leggero nell’acqua a tratti fosforescente, allontanandosi lentamente dalla costa. Ad un tratto il più anziano dei tre, quello che armeggiava con le lenze, richiamò la mia attenzione e mi invitò a rientrare con i piedi in barca. «Tenga le gambe dentro», mi disse, «con questo buio non sappiamo quello che può emergere dall’acqua. Sotto abbiamo quasi cinquecento metri di fondo». Immediatamente ritrassi le gambe facendole rientrare in barca, vergognandomi non poco per quella mia sbadataggine. Mi conoscevano come sommozzatore e valente cacciatore, quindi in possesso di precise norme di comportamento. La discussione ovviamente ci portò a parlare di ciò che poteva esserci in mare e quindi, secondo quanto avevano pescato o visto per anni da quelle parti, non poteva essere infrequente l’incontro con i grandi predatori carnivori, compresa l’Orca assassina e lo squalo martello, a loro dire, i più feroci di tutti.

Fino a quel momento non avevo assolutamente pensato, immergendomi con le bombole o in apnea, che nel mare di casa, nel Mediterraneo, potessero esistere pericoli ben maggiori della sincope da apnea prolungata o della embolia gassosa. Gli squali, tanto per parlare fuori dai denti, erano bestie di altri mari, di altre latitudini. Da noi poteva esserci qualche timida verdesca, innocui gattucci e palombi,. tra l’altro poco graditi dal punto di vista culinario in quegli anni di abbondanza di pesce pregiato nelle acque del Mediterraneo. Per quanto riguardava gli attacchi in mare subiti dai sub, nemmeno a parlarne in quanto quello presunto contro un fotosub dell’epoca finì per essere declassato (per lo meno nell’ambiente subacqueo così ancora si dice) ad incidente da elica di motoscafo. Sicuramente, gli unici veri attacchi da pescecani sono quelli abbondantemente documentati durante il periodo bellico contro naufraghi di navi affondate. Ma già siamo lontani nel tempo e la memoria dell’uomo moderno rifiuta sia la guerra sia quello che poteva capitare ai naufraghi sballottati come sugheri, in mezzo a centinaia di cadaveri di propri simili. Ma gli squali nel Mediterraneo ci stanno e ci sono sempre stati. E non solo loro, visto che è stata documentata la presenza di grossi cetacei, persino dell’Orcinus Orca. L’intelligente Orca assassina è stata fotografata nel 1985 al largo di Finale Ligure mentre divorava un raro Zifio, ucciso da poco tempo, in quanto è arcinoto che tale odontoceto non divora carogne, solo carne fresca. Tornando agli squali, diremo che ne esistono circa 350 specie e solo per una trentina di esse possediamo notizie certe e documentate di attacchi diretti contro l’uomo o la sua imbarcazione. Le specie più pericolose sono quelle cui appartengono il grande squalo bianco, il più grosso e feroce di tutti; lo squalo tigre; il longimano e il leuca. Possono raggiungere gli otto metri di lunghezza e le tre tonnellate e mezzo di peso. Abitano tutti i mari del globo sotto tutte le latitudini e sono presenti quindi, anche se rari, nel Mediterraneo. Abbiamo notizie certe di catture, di avvistamenti e di attacchi a Malta, Favignana, isole La Galite, stretto di Messina, mar Ligure e Bocche di Bonifacio. A Favignana, nella zona delle tonnare, il grande squalo bianco è, si può dire, di casa. L’ultima cattura è dell’8 maggio 1985: una femmina di Carcharodon Carcharias, grande squalo bianco, lunga m 5,35 per tre tonnellate di peso. D’altro canto non dobbiamo meravigliarci per la presenza di tali bestie nel Mediterraneo. E la loro fame spropositata che li porta a scorrere tutti i mari in un perenne inseguimento ai grandi banchi di pesce. E il tonno è una delle sue leccornie preferite e lui lo segue con particolare cu

ara. Sappiamo che il tonno si riproduce nel mar Caraibico. Da quelle plaghe, seguendo la corrente del golfo, si dirige nel Nord Atlantico con rotta NE, fino ai banchi di Terranova. Poi devia ad oriente e quindi verso sud, ridiscendendo l’Atlantico lungo le coste occidentali dell’Europa e dell’Africa, in direzione del Capo. Da qui si dirige verso l’Australia ed il Pacifico che risale verso il Giappone e quindi, ad ovest, verso il continente americano. Ridiscende poi a sud lungo le coste delle Americhe, doppia capo Horn e risale l’Atlantico, tornando ai luoghi di riproduzione. Durante questo lungo viaggio, sempre seguito ed a volte attaccato da ogni tipo di grande predatore, da milioni di anni il tonno entra in Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra. Un tempo le tonnare delle nostre isole maggiori erano famose per la enorme quantità di tonni catturati. Nella vecchia tonnara Florio ubicata sullo scoglio di Formica, davanti a Trapani, è visibile una vecchia lapide commemorativa in cui si legge che in una sola mattanza furono catturati più di novemila tonni. Ed ecco uno dei più importanti motivi per cui gli squali entrano in Mediterraneo. Lo squalo è una perfetta macchina da preda, rimasta immutata nella sua struttura sin dai tempi della sua evoluzione. E rapido, agile, resistente. Possiede denti triangolari affilati come rasoi in costante rinnovamento, disposti su più file. E ricoperto da una pelle durissima e fortemente abrasiva. Ha una vista molto sviluppata ed un udito sensibilissimo alle basse frequenze. Possiede un sofisticato sistema sensitivo in grado di consentirgli di individuare una possibile preda in difficoltà, dentro quello spazio opaco e tridimensionale che è il mare. E come se non bastasse, nella zona sottocutanea del capo, vicino al muso, possiede le cosiddette ‘ampolle di Lorenzini’, organo che gli dà l’ulteriore facoltà di avvertire campi elettrici dell’ordine di 0,01 microvolt per centimetro quadrato. Un animale così dotato da madre natura è solo e soltanto un cacciatore. Oltretutto, come già accennato, il suo metabolismo lo tiene in stato di perenne fame. Ingoia tutto quello che incontra: cose, uomini e bestie che siano. E cannibale in quanto divora i propri simili in difficoltà e tale sua brutta abitudine è stata

 osservata anche all’interno dell’utero materno. Gli attacchi contro

 l’uomo sono frequentissimi ed è immancabilmente presente laddove si verificano naufragi o disastri aerei in mare. Alcune nazioni come l’Australia e l’America del Nord hanno istituito da tempo sofisticati sistemi di vigilanza lungo le spiagge frequentate da bagnanti. Sappiamo che sente il sangue, disciolto anche in minima parte nell’acqua. E attirato dagli scarichi fognari o da movimenti scomposti e non coordinati e difende molto energicamente il suo territorio contro eventuali intrusi. Nel suo ventre è stato trovato di tutto: uomini, bestie, bottiglie, vestiti e cappotti, pezzi di auto, uccelli, orologi a pendolo, scarpe, cassette di verdura e persino valige ancora chiuse. Il due di febbraio davanti a Piombino, nel golfo di Baratti, un sub viene attaccato, ucciso e divorato da uno squalo su di un fondale di ventisette metri. Il sub si chiamava Luciano Costanzo. Testimoni impotenti ed atterriti, sulla barca, il figlio Gianluca e l’Ing. Bader, di Napoli. A distanza di qualche mese e mentre l’autorità giudiziaria ancora indaga, prendono corpo due teorie contrastanti tra di loro e che non contribuiscono certo a far luce sull’episodio. Di certo esistono le dichiarazioni dei due testimoni, fino a prova contraria attendibilissimi, e ciò che rimane di Luciano Costanzo: le bombole con uno spallaccio strappato, la cintura di zavorra, le pinne, qualche pezzetto di neoprene ed un’ansa intestinale. Ecco i fatti, le dichiarazioni e le supposizioni.

Dichiarazione dell’ing. Bader rilasciata ad un telegiornale: «Premetto che per me non si è trattato di un’avventura ma di un tristissimo episodio conclusosi con la morte di un amico. Nel grosso cabinato del Costanzo eravamo il figlio Gianluca diciannovenne, io e Costanzo. Luciano si è immerso e noi lo seguivamo in barca a venti metri di distanza. Ad un certo punto sulle bolle del subacqueo appaiono due pinne, due pinne nere a circa due metri di distanza l’una dall’altra. Il ragazzo mi chiede cos’è, io rispondo di colpo, uno squalo. Di squali ne ho visti in altre occasioni. Sono stato parecchie volte nel mar Rosso; ma uno squalo del genere, ovviamente, non l’avevo mai visto, però ne avevo letto più volte sui libri e quindi sono sicuro nella mia versione dei fatti. D’improvviso lo squalo come era apparso è scomparso e le bolle del sub si sono radunate in un solo punto aumentando d’intensità, sintomo di una sua veloce risalita che certamente non avrebbe fatto se non si fosse trovato in grave difficoltà. E un grosso errore una risalita rapida. Con Costanzo ci conoscevamo da oltre 15 anni. Era un sub esperto. Ad un certo punto ho visto Luciano emergere fino a metà del busto ed è ricomparso il pescecane. La bestia lo ha attaccato frontalmente per due volte, ma senza successo perché, per il suo abbrivio, lo ha soltanto sospinto con il muso. Quindi si è allontanato leggermente, ha preso un certo abbrivio e, compiendo un arco di circa sette metri, ha attaccato ancora Costanzo azzannandolo all’emitorace sinistro e trascinandolo sott’acqua. Durante gli attacchi ho visto chiaramente la bocca della bestia ed il suo ventre bianco. Tutto ciò è successo in 30, 40 secondi. Non ho visto sangue in superficie, Siamo rimasti ancora in zona per circa mezz’ora nella speranza assurda di un miracolo. Avevo dato per scontata la morte del sub perché l’avevo visto esattamente tra le fauci del pescecane. E non siamo andati a Baratti bensì a Piombino per due motivi. Il primo perché la differenza tra i due approdi è di circa mezz’ora; il secondo perché a Piombino c’è l’approdo per la barca, nonché un’autorità marittima. E poi, il porto di Baratti non ha un approdo per una barca delle dimensioni del grosso cabinato su cui eravamo imbarcati. A Piombino mi conoscono bene perché frequento quella città da 25 anni in quanto tratto metalli elettrici che congiungono il continente italiano con la Sardegna. Chi mi conosce, crede a quanto dico. Chi non conosce né me né Costanzo, fa delle illazioni. Costanzo non ha mai pescato con le bombe, era una persona per bene. Sono convinto che in questo caso intervengono interessi turistici e commerciali».

Quindi per l’ingegner Bader esistono altri motivi portati avanti da chi cerca di confutare quanto lui, e soprattutto il figlio di Costanzo, hanno visto. E evidente che la presenza di uno squalo in una qualsiasi parte di una qualsiasi costa porta lo scompiglio turistico, nel senso che la gente, quella zona, la diserta sicuramente in estate. Del resto, convinti che lo squalo ci sia sono il Pretore di Piombino ed il Comandante del porto, anche se una delle tante perizie dovrà stabilire ed accertare se la morte possa essere stata provocata da una esplosione. Per Guido Picchetti, subacqueo esperto oltreché giornalista e fotosub di valore, il killer esiste. Ecco la sua intervista rilasciata al redattore capo dei servizi subacquei della Rai TV, durante il telegiornale. «In questi ultimi tempi sono affiorati dubbi e perplessità sulla faccenda Costanzo ma in realtà non ci sono elementi per avvalorare una ipotesi diversa da quella accreditata fin dal primo giorno, cioè l’attacco dello squalo. Qui si parla addirittura di montatura delle prove. Io ho visto il filmato dei rilevamenti con la posizione dei reperti e mi sembra che proprio la loro posizione sia la prova migliore che non ci sia stata montatura. Se si avesse voluto montare un incidente si sarebbe fatto, io ritengo, in modo più intelligente. Avrebbero aperto la cintura di zavorra; avrebbero sganciato la cintura delle bombole, che è stata trovata chiusa, e avrebbero rotto o rovinato le pinne. Esiste la faccenda della bomba. Ma quando è stata tirata? Quando era in acqua? E perché, se la bomba è stata tirata prima, in acqua non ci sono pesci? Non dico in superficie, ma sul fondo. Ma poi, per quale ragione tirare bombe su quei fondali? Non sono rocciosi o particolarmente ricchi di pesce. Ritengo la questione bomba fondata sulla volontà di ricreare un ” mostro “. Tutto sommato è un episodio che non deve meravigliare. Sì, certo, è straordinario che sia accaduto. E rarissimo che accada, però la presenza di questi squali in tutte le acque del mondo è documentata, come pure in Mediterraneo».

Di parere decisamente opposto è Enrico Cappelletti, esperto giornalista subacqueo, fotosub di valore, redattore capo di Aqua: «Le pinne. La probabilità che cadano sullo stesso punto è assurda. Sott’ acqua queste pinne pesano 100 gr, quindi con un filo di corrente si spostano nella caduta e vanno a posarsi in posti molto lontani l’una dall’altra. Questo è stato il primo dubbio. Poi la cintura dei piombi. Il secondo dubbio è che la cintura è chiusa, come pure la cintura delle bombole. E rotto solo uno spallaccio. E come se lo squalo si fosse risucchiato il sub. Preciso una cosa. Io non sono un esperto come altri hanno tentato di presentarsi. Sono una persona che va da tanti anni sott’acqua; ho visto gli squali sott’acqua, come mordono e come mangiano, cosa combinano. Mi sembra inconsueto che uno squalo possa avere risucchiato un sub lasciando tanti pezzetti in un solo punto. Veniamo alla misura della cintura. Quella è la cosa che mi ha praticamente messo un dubbio fortissimo sin dal primo momento. E impossibile che un uomo della taglia di Costanzo, un 52, possa avere indossato quella cintura. Non sta a me che ho taglia 46. E poi, i tagli impressi dai denti dovrebbero essere sui fianchi della cintura». Ma allora, cosa potrebbe essere successo, chiede Mino D’Amato, l’intervistatore. «Non lo so, non riesco a capire. E un dubbio che deve risolvere l’autorità giudiziaria». Il Direttore di Aqua, Mario Oriani, non ha dubbi: «Io ho chiamato i miei redattori, ho chiamato il mio miglior specialista che è Cappelletti ed ho dato loro disposizione di condurre una inchiesta. Non dico i fatti appurati nell’inchiesta, ma sono almeno 12 le ragioni fondamentali, alcune apparse sui giornali, per le quali è impossibile che sia avvenuto ciò che è stato raccontato dal figlio della presunta vittima, diciamo, e dal signore svizzero. Tutto si contraddice, non c’è un punto che funzioni. Difendo lo squalo. Sono sicuro che lo squalo non c’entra niente».

Ma allora, se non è stato lo squalo; se non può essere stata la bomba, in quanto avrebbe dovuto avere una potenza dirompente enorme per fare disintegrare un uomo e contemporaneamente la facoltà di non fare esplodere le bombole, caricate ad un paio di centinaia di atmosfere; chi è stato? Ed il figlio di Costanzo, che figlio è, per avere detto tale bugia? Non ha una coscienza, una madre, dei parenti? Infine un’ultima domanda: se non è stato lo squalo e non è stata la bomba, dov’è Costanzo?

Nessun ‘altro era presente tranne i due testimoni. A questo punto il nostro pensiero è sostenuto da una sola certezza: la consapevolezza che in mare vi sono ancora tanti e tali fenomeni, in parte ancora da penetrare, che la nostra immaginazione fa fatica a contenerli tutti. Qualunque manuale che parla di subacquea, alla voce «pericoli oltre ad elencare meduse, murene e razze, accenna anche agli squali. Certo, dice pure che gli incontri in Mediterraneo sono rari e che la bestia, in genere, è timida. Ma non nega che si possano incontrare.

Il nostro raziocinio, comunque, ci deve condurre ad una sola considerazione certa: Luciano Costanzo non esiste più su questa terra perché, sia pure per un caso eccezionale e fortuito (diciamo pure un caso su dieci milioni), è stato attaccato, ucciso e divorato, forse da uno squalo, in un giorno di febbraio, nel golfo di Baratti, davanti a Piombino.

Perlomeno, fino a prova contraria certa.

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