IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA

Il Grande Oriente d’Italia dell’esilio (1930-1938)        

PREFAZIONE

      A mezzo secolo dalla loro scomparsa, la Massoneria italiana ricorda il Gran Maestro, Domizio Torrigiani, e il Gran Maestro Aggiunto, Giuseppe Meoni, arrestati e condannati al confino dal regime mussoliniano. I loro nomi – con quelli del S.·.Gr.·.C.·., Ettore Ferrari, e di molti altri Fratelli – bastano a provare l’intimo e immarcescibile legame fra la tradizione liberomuratòria, le lotte per le libertà e il « principio democratico nell’ordine politico e sociale », iscritto dalla Massoneria italiana, sin dal 1906, nell’art. 2 della sua Costituzione. In quali modi e attraverso quali azioni – generose sino al sacrificio della vita – tali intenti siano stati perseguiti dai massoni italiani rimane in massima parte da narrare; al riguardo la documentazione non è però affatto carente e da tempo il Grande Oriente ha aperto il suo archivio storico a studiosi qualificati e di onesto intendimento. Non si tratta, ben inteso, di inseguire traguardi di vana erudizione, né solo di rivendicare – con pur legittimo orgoglio – la memoria della nostra opera, bensì di soccorrere a quanti, disinformati, dimentichi o volutamente distratti, non cercano le radici dell’Italia contemporanea là dov’esse furono più profonde e consapevoli: nella lunga schiera di Fratelli, aperta da Tommaso Crudeli, Francesco Mario Pagano, Giandomenico Romagnosi, Melchiorre Delfico…
      Il saggio di Aldo Alessandro Mola sul Grande Oriente d’Italia dell’esilio – rigorosamente documentato, com’è costume dello storico apprezzato dentro e fuori la nostra Famiglia – prova in modo inoppugnabile la reciprocità tra la risorta Comunione dei Liberi Muratori d’Italia e il risorgimento della democrazia: i partiti della Concentrazione Antifascista e « Giustizia e Libertà », la cui organizzazione, in Italia, in larga misura coincise proprio con le logge clandestine. Non solo: ma i Grandi Maestri dell’esilio e il S.·.Gr.·.C.·., Giuseppe Leti, furono il punto di riferimento dei più animosi esponenti dell’antifascismo – Sforza, Turati, Treves, Nenni, Carlo Rosselli, Tarchiani, Salvemini… -, cioè anche di quanti, pur senza far parte della Famiglia, intesero che proprio tra le colonne delle Officine massoniche eran cresciuti all’amore per la libertà e per la giustizia i nostri Facchinetti, Chiostergi, Francesco Fausto Nitti, Raffaele Cantoni… e quanti, come Giordano Viezzoli e Mario Angeloni, combattendo in Ispagna contro i nazifascisti, iscrissero il loro nome nel martirologio della nuova Italia.
      Quando la storia della nostra Istituzione sia meglio conosciuta nella sua vera essenza, dovrà esser riscritta anche quella dell’Italia contemporanea, secondo l’auspicio espresso nel 1980 dal Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che invitava a constatare la presenza dei simboli massonici anche nelle insegne del movimento operaio sorgente nell’Italia dei nostri Lemmi, Nathan, Andrea Costa, Giovanni Bovio, Antonio Labriola e dell’insuperato Giuseppe Garibaldi, cui quella contemporanea idealmente si congiunge, nel segno di una collaborazione sovrannazionale che, tra i precedenti più validi, pone l’« Alleanza delle Massonerie perseguitate », promossa dal Grande Oriente d’Italia 45 anni orsono, quando il virulento antimassonismo nazifascista (sorretto o non tempestivamente né debitamente stigmatizzato da forze che poi ebbero amaramente a dolersene e già corrivo a pubblicare elenchi di Fratelli quali vere e proprie “liste di proscrizione“) rivelava i suoi estremi obiettivi: dopo i pogrom antisemiti la « soluzione finale » e la catastrofe di una nuova guerra mondiale.
      Quei precedenti – rievocati e documentati in questo denso saggio di Aldo Alessandro Mola – siano motivo di meditazione per tutti, così come sono norma d’azione per la nostra Famiglia: su tali pietre bene squadrate è fondata la nostra antica, attuale, perenne legittimità. ARMANDO CORONA
Gran Maestro della Massoneria Italiana

Dal Tamigi alla Senna: alla ricerca della Vera Luce

 

      Il 18 dicembre 1932, in una sala riservata di rue St. Martin, a Parigi, si svolse la terza Assemblea della Massoneria italiana in esilio. Con la presidenza di Giuseppe Leti, Sovrano Gran Commendatore della Giurisdizione italiana del Rito Scozzese Antico e Accettato, verificati i poteri dei presenti, il Gran Maestro dell’Ordine Alessandro Tedeschi – 36 anni di luce massonica -, sintetizzò due lustri di travagli della Famiglia  . Dal 1922 il governo di Roma era nelle mani di Benito Mussolini e da sei la Massoneria era stata messa fuori legge nel Regno e nelle sue colonie. « Da quando ci siamo lasciati l’ultima volta – riferì il Potentissimo – un triste avvenimento ha portato il lutto nella nostra Famiglia: è morto in Italia, prigioniero nella sua stessa tenuta di Lamporecchio, il nostro amato e venerato Fr.·.G.·.M.·., Domizio Torrigiani » 1.
      La scomparsa dell’ultimo Gran Maestro regolarmente eletto da una Gran Loggia d’Italia era stata solennemente celebrata da molte comunioni massoniche d’Oltralpe, finalmente comprese dal dramma che aveva travolto la Libera Muratoria della penisola. Anche il direttivo dell’A.M.I. 2, riunito a Istanbul, s’era fatto interprete della solidarietà della Massoneria universale nei confronti dei superstiti fratelli della Comunione italiana e Groussier, della Gran Loggia di Francia, in visita alle logge di Tunisi, s’era rivolto con inaspettata cordialità ai Fratelli della locale officina italiana, « Mazzini e Garibaldi », destinando anzi alle loro crescenti necessità i proventi del tronco di beneficenza, fatto circolare tra massoni francofoni allarmati per il bellicismo sbandierato dal governo di Roma e quindi più consci delle sofferenze di cui eran vittime gl’italiani da tanto tempo in esilio. Negli Stati Uniti, infine, in linea con la raccomandazione del Gran Maestro, Tedeschi, le commemorazioni di Domizio Torrigiani – celebrate da Arturo Di Pietro e da altri « bravi Fratelli », come Franck Bellini e G. Battistoni – avevano avuto una netta « impronta antifascista ».       La scomparsa di Torrigiani cadde mentre tra i massoni italiani era vivo il dibattito sull’assetto del nuovo Grande Oriente e sull’impronta delle iniziative dell’Ordine nel « mondo profano ». Ma qual era l’effettiva consistenza della Comunione italiana alla vigilia dell’ascesa di Hitler alla Cancelleria di Berlino? Su quali aiuti essa poteva contare nella sua ormai lunga e tormentata testimonianza di fiducia negl’ideali liberomuratorí? In quali direzioni la sua azione sarebbe potuta riuscir più efficace?
      Al termine di un’accorata perorazione, subito dopo la conferma a Gran Maestro, Alessandro Tedeschi annunziò la determinazione di « conservare la face che ci è stata commessa, sperando di portarla accesa a Palazzo Giustiniani, cooperare con tutte le iniziative serie che si propongono di propagare l’antifascismo e di abbattere il fascismo ». Quali riflessi ebbe dunque quel Grande Oriente sulla rinascita della Massoneria italiana dopo il 1943?       Sulla fine del 1932 la consistenza della Famiglia rimaneva modesta, ma di gran lunga superiore alle tre officine richieste per la costituzione di una Gran Loggia nazionale: all’obbedienza del G.·.O.·.d’I.·. si riconoscevano infatti otto logge, quattro delle quali in Argentina, una a Parigi, una a Tunisi, una a Salonicco, una ad Alessandria d’Egitto 3, oltre ad alcuni nuclei e a una loggia clandestina in Italia, con un numero segreto d’affiliati, taciuto – per comprensibili motivi di riserbo – anche ai partecipanti all’Assemblea parigina e nelle stesse sedute del Governo dell’Ordine. Decisamente penose erano invece le condizioni finanziarie dell’Ordine, comunicate all’Assemblea dal Gran Tesoriere, Ettore Zanellini: le entrate erano infatti scese da 24 a 6.000 franchi, mentre le uscite erano aumentate da 8 a 12.000 franchi. Il divario – accentuato dall’eccezionalità dei tributi riscossi l’anno precedente, pel versamento al Tesoro centrale dei fondi di alcune logge italofone, disciolte negli Usa per disposizione di Tedeschi – solo in parte era riconducibile al deperimento della situazione economica generale. Due sole officine, infatti, risultavano in regola con le quote annuali e dall’aprile al novembre 1932 nelle casse dell’Ordine erano entrati solo 146 franchi: sicché per il futuro le previsioni dovevano farsi via via più fosche.
      All’amarezza per la morte inulta di Domizio Torrigiani e alle preoccupazioni per la povertà dei mezzi disponibili – che d’altra parte investiva tutte le organizzazioni politiche e culturali degl’italiani in esilio, come due anni prima aveva fatto sapere Filippo Turati all’attivissimo organizzatore finanziario della Massoneria, Arturo Di Pietro 4 – il G.·.O.·. in esilio poteva però contrapporre molti e validi motivi di crescente soddisfazione.
      Proprio la scomparsa di Torrigiani, infatti, scioglieva il riserbo che sino a quel momento aveva suggerito di indicare « vacanti » i seggi di Gran Maestro Effettivo e di Gran Maestro Aggiunto    Grande Oriente. Esso poteva ora assumere pienezza di titoli e di poteri nei confronti della Comunione italiana e nei riguardi di quelle degli altri Stati: chiarificazione, questa, che – a giudizio di alcuni Fratelli stranieri 5 – avrebbe potuto favorire il riconoscimento della nuova struttura quale unica e autentica espressione della Massoneria italiana, senza più soluzione di continuità con la tradizione dei Lemmi, Nathan, Ferrari, menzionati in epigrafe degli atti ufficiali del G.·.O.·. in esilio.
      Anziché sul novero degli affiliati e sul difficile pareggio del bilancio, la forza del nuovo Grande Ordine riposava dunque su una solida base storica e morale, ch’era compito del suo gruppo dirigente far valere e fruttificare. La corale risposta delle Massonerie regolari europee – con due sole eccezioni – all’invito rivolto dalla Gran Segreteria a riannodare relazioni fraterne col G.·.O.·.d’I.·. provava inoltre che le vicissitudini dei massoni italiani erano ormai considerate paradigmatiche anche da molti che, in passato, avevan creduto di doverle imputare a un eccesso di militanza nel mondo profano. L’involuzione della situazione europea ormai non chiedeva molte dimostrazioni per esser compresa in tutta la sua gravità. Il recente pogrom di Salonicco, ove anche alcuni Fratelli dell’italiana « Labor et Lux » erano stati vittime di un’ennesima ondata di antisemitismo, non rimandava l’eco delle persecuzioni di fine Ottocento, bensì preludeva alla sistematica offensiva antiebraica e antimassonica, più volte minacciata dai nazisti, prossimi a conquistare il potere, in Germania, e determinati ad attuare il loro programma liberticida e razzistico.
      Erano dunque molte le ragioni che spingevano il Grande Oriente ad assumere un atteggiamento di pronunciata e pubblica condanna del fascismo, nella certezza che tale scelta non potesse più venir fraintesa quale ulteriore previcace « voie substituée », bensì dovesse venire accolta come estrema fedeltà ai princìpi costitutivi di un Ordine sorto per le libertà e per quei valori – aveva scritto Torrigiani sin dal 19 ottobre 1922 – per i quali i Liberi Muratori italiani vivevano e per la cui difesa, all’occorrenza, erano pronti a dare anche la vita 6.
NOTE
  1. Il 5 giugno 1932, nel corso di una seduta del Governo dell’Ordine il Gran Maestro, Tedeschi, rievocati i massoni italiani passati all’Oriente Eterno, aveva menzionato Filippo Turati, « non fratello, ma soldato valoroso della nostra comune battaglia » (Verbali GOIE). Sui contatti tra Turati e il G.·.O.·.d’I.·. dell’esilio cfr. Appendice, doc. n. IV.

2. Associazione Massonica Internazionale. A. Groussier faceva parte della Giunta Esecutiva dell’Ami, presieduta da A. Mossaz, insieme con Carpentier, Erculisse, Mueller per il Belgio, C. Gonzales per la Spagna, Estebe per la Francia, H. Glivic per la Polonia, C. Pierre per la Cecoslovacchia, M. Rachid per la Turchia, Militchevich per la Jugoslavia. La freddezza iniziale dell’Ami nei confronti del risorto G.·.O.·.d’I.·. era attribuita all’influenza che su di essa esercitava l’André Lebey, col quale erano sorti gravi malintesi a proposito dei confini postbellici: tema del Convento delle « Massonerie alleate e dei paesi neutrali », svoltosi a Parigi nel giugno 1917 e che avevano condotto alle dimissioni di Ettore Ferrari (documentazione al riguardo in GOI, AS, in parte utilizzata per la Mostra I massoni nella storia d’Italia, Roma, Grande Oriente, marzo-aprile 1981 e in ACS, MI, DGPS, AA GG RR (1920-45), G/1, b. 67, Grande Oriente d’Italia).

3. Le Logge rappresentate all’Assemblea del 18-XII-1932 erano: « Italia Nuova » di Parigi, « Mazzini e Garibaldi » di Tunisi, « Cincinnato » di Alessandria d’Egitto, « Labor et Lux » di Salonicco, « Figli d’Italia » di Buenos Aires, « Unione italiana » di Buenos Aires, « Ettore Ferrari » di Londra. La loggia clandestina italiana non recava denominazione.

4. Un suo ampio profilo autobiografico in una “divagazione” indirizzata a Giuseppe Leti il 6-IX-1930. Figlio di massone, Di Pietro era stato più volte sul punto di essere iniziato prima di emigrare, ma gli spostamenti da Palermo ad altre città ne avevano sempre rinviato l’ingresso nell’Istituzione. Negli Usa Di Pietro collaborava con il dott. Charles Fama, medico di straordinario attivismo, sia professionale, che in numerose istituzioni filantropiche e nella propaganda contro il regime fascista.

5. Seduta del Governo dell’Ordine, 10-X-1931 (Verbali GOIE) e, in tal senso, A. Di Pietro a Giuseppe Leti, New York, 24 maggio 1930, ove sono ricostruite le difficoltà incontrate dalle iniziative democratiche per il disorientamento di molti massoni italoamericani dinanzi al regime che sembrava aver « rivalutato » l’immagine dell’Italia all’estero. « In queste settimane – scriveva Di Pietro – io sono venuto nel convincimento che a Parigi in tutti gli ambienti (anti)fascisti di qualsiasi colore e gradazione, non ci sia una idea esatta della vera situazione in America ( … ) ».
L’ipotesi di scindere il nuovo G.·.O.·. da quello, storico, di Palazzo Giustiniani – il cui epilogo rimaneva giuridicamente indecifrabile alla luce delle Costituzioni massoniche vigenti – venne più volte affacciata (ma sempre respinta) anche tra le file dei massoni italiani in esilio.

6. La dichiarazione, contenuta nella circolare di Torrigiani alle logge del 19 ottobre 1922, spiega l’atteggiamento di attesa nei confronti del governo insediato il 31 ottobre 1922 con la partecipazione, oltre a fascisti e nazionalisti, di rappresentanti del variegato fronte liberalcostituzionale, democratici sociali e dei popolari. Sul contrasto tra Massoneria e fascismo rinviamo ai nostri saggi Massoneria e fascismo sulla « questione nazionale », in Storia della Società italiana, vol. 21, La disgregazione dello Stato liberale, Teti, Milano, 1982, pp. 355-74 e La Massoneria italiana nella crisi dello Stato liberale (1914-1926), in AA.VV., La M. nella storia d’Italia, Roma, Atanòr, 1980, pp. 115-41.  
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