INTEGRAZIONE E’

 INTEGRAZIONE E’…

      Risp.mo Maestro Venerabile, carissimi Fratelli,

il tema che mi accingo a trattare è molto vasto e spazia in ambito religioso, politico, storico, filosofico, ecc. Ritengo personalmente che sia abbastanza noto e dibattuto    l’aspetto riguardante l’integrazione dei migranti, specie nel mondo occidentale, che si trova di fronte a flussi migratori imponenti e non facilmente gestibili, e che sia altrettanto conosciuto e discusso il fenomeno delle differenze di credo spirituale, che sfociano spesso in lotte cruente e feroci, con rari tentativi mal riusciti di giungere ad un vero e duraturo ecumenismo. Per questi motivi ho ritenuto più opportuno affrontare l’argomento da un punto di vista sociale, con la speranza di suscitare ulteriori riflessioni in merito.

      Nelle scienze sociali il termine integrazione indica l’insieme dei processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società; il singolo diviene parte integrante della comunità, tramite una reductio ad unum che si articola in accettazione, cooperazione, solidarietà e socializzazione.

      Tra questi strumenti il primo e più importante è certamente quello della socializzazione primaria, ovvero la trasmissione al neonato e successivamente al bambino, da parte soprattutto della famiglia, di quel catalogo di competenze sociali, valori e norme attraverso le quali la società riproduce se stessa, venendo interiorizzata dall’individuo.

      Successivamente, egli andrà incontro ad altri tipi di socializzazione praticati da agenti diversi (la scuola, il lavoro, le cerchie amicali, le associazioni) accumulando e specializzando le sue competenze di definizione del mondo e le interazioni con esso.

      Nelle società complesse e molto strutturate, l’integrazione è ottenuta tramite l’adesione formale dei suoi membri ai principi sanciti da ambiti culturali quali la morale e l’etica, codificati in sistemi normativi di tipo legislativo.

      Nelle società di carattere comunitario, invece, l’integrazione attiene più profondamente al vissuto individuale, essendo tali società basate su una fusione spontanea delle volontà dei singoli e non sull’adesione generalizzata a norme rigide di carattere impersonale.

      Questo secondo tipo di società viene definito a solidarietà meccanica: qui l’integrazione – e quindi il mantenimento e la riproduzione dell’ordine materiale e simbolico in cui sono immersi gli individui – è garantita dalla caratteristica delle singole “anime” individuali di sentirsi articolazioni di un’anima “collettiva”, con la quale vi è un legame d’appartenenza forte e totalizzante.

      Nelle società complesse vige, al contrario, un tipo di solidarietà organico, basato cioè sulla consapevolezza della necessità d’interdipendenza tra i vari “organi” del corpo sociale, i quali curando ognuno la riproduzione di un singolo aspetto della vita collettiva (la produzione, l’organizzazione, la trasmissione dei valori) si necessitano reciprocamente per la conservazione dell’organismo rappresentato dalla società. A livello individuale, questa consapevolezza si esplica nel riconoscimento della necessità di una regolazione della vita sociale dal punto di vista economico, legislativo, culturale, ecc. ovvero di una disciplina generalmente accettata riguardante i rapporti tra individui e tra gruppi in ciascuno di questi

      Le situazioni di carenza o mancanza d’integrazione sono definite da Emile Durkheim con il termine di “anomia”, fenomeno consistente nel declino di rapporti che può sfociare nella scomparsa di regole morali generalmente accettate, causata da un mutamento nelle condizioni materiali di esistenza di determinati gruppi sociali cui non corrisponde, o non corrisponde in modo esaustivo, un cambiamento normativo. Durkheim include, tra le circostanze potenzialmente responsabili del verificarsi di situazioni “anomiche”, i momenti di effervescenza collettiva, in cui la produzione culturale di una società aumenta d’intensità e di problematicità, con fenomeni quali l’emersione di nuove tendenze religiose o di nuove “visioni del mondo”, che possono sfociare nella formazione di ulteriori movimenti sociali e politici. Questi processi, latori nel breve periodo di situazioni di “anomia” e di conseguente instabilità sociale, possono essere istituzionalizzati attraverso un percorso di generalizzazione, codificazione ed accettazione delle loro proposte, che vengono acquisite dal senso comune e rientrano nelle dinamiche di integrazione sociale descritte in precedenza.

      Nelle moderne democrazie i fenomeni sociali mutano costantemente, anche se non sempre avvertiamo la consistenza e lo spessore di tali mutamenti, con il rischio di perderne il controllo e di non mettere in atto gli opportuni correttivi.

      Robert Putman, uno dei più influenti politologi americani, nel suo studio più famoso contenuto nel saggio “Bowling Alone” edito negli Stati Uniti nel 2000, ha fatto aprire gli occhi a tutto il mondo palesando la progressiva regressione dell’integrazione sociale. Sfruttando la metafora del gioco del bowling, racconta l’abitudine americana di incontrarsi nelle relative sale da gioco, organizzare tornei e riunirsi in associazioni sportive, rendendo corposa la natura di una società vivace, in cui i singoli individui dimostrano la loro propensione a stringere legami interpersonali. Le associazioni sono, infatti, per gli americani lo strumento per percepire, al di fuori di ogni singola esistenza, il mondo esterno come proprio e vivere pienamente la realtà di cui si fa parte.

      Putman osserva un’inversione di marcia nelle ultime due decadi: le associazioni tradizionali stanno scomparendo, la fitta rete di vincoli interpersonali si sta sfaldando, la società assume una forma sempre più individualizzata. Ci s’incontra meno, non si stringono più rapporti con il vicinato, non ci si riunisce in gruppi organizzati, diminuisce l’impegno a mettere in comune le proprie esperienze con altre persone. E così il tempo libero diventa una risorsa da consumare spesso da soli.

      Da questa sintetica e certamente incompleta analisi dell’integrazione sociale, ne deriva, a mio modo di vedere, una riflessione sulla validità e attualità di una forma particolare e importante di associazionismo qual è la Massoneria, la quale persegue la più ampia armonia fra i popoli, al di sopra delle razze, delle religioni, delle idee politiche e filosofiche, realizzando una vera e profonda integrazione fra i propri adepti i quali, formati e modellati dai principi e dai valori massonici, divengono lo strumento fondamentale per l’affermazione dell’amore fraterno fra tutte le genti. Nel Tempio, durante i Lavori Rituali, si raggiunge la totale uguaglianza tra i Fratelli, scomparendo ogni distinzione di rango, di censo, di scolarità, di posizione sociale; le uniche distinzioni sono date dal Grado e dalle gerarchie della Loggia, liberamente e democraticamente elette ogni anno. Nel nostro Ordine possono operare serenamente uomini diversi per etnia, per sensibilità spirituale, per livello culturale, per esperienze di vita; sono queste diversità, armonicamente unite, che danno alla Massoneria forza e vigore e che ci spingono a “lavorare per il bene e il progresso dell’Umanità”. E’ un obiettivo ambizioso, raggiungibile solo a piccoli passi, con faticosa costanza, ma è un’utopia per la quale, credo, valga la pena di lottare e di impegnarsi; anche se il risultato finale non sarà mai raggiunto totalmente, sono convinto fermamente che il solo provarci può dare un senso compiuto e sublime alla nostra esistenza.

Per il bene e la gloria dell’Ordine.                                                                         

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