SULLA SCIENZA SACRA DEI NUMERI

SULLA SCIENZA SACRA DEI NUMERI

È sempre esistito un fascino pel numero, fascino che ha certamente influenzato in modo notevole le men­ti più evolute di ogni tempo.

Si sostiene che al tempo di Omero non si sapesse contare: i Ciclopi usavano, per contare le pecore, il rudimentale sistema dei sassolini mettendo in una borsa un sassolino per ogni pecora che usciva al pa­scolo e tirandone fuori uno per ogni pecora rientrata; se alla fine rima­nevano sassolini nella bisaccia si an­dava alla ricerca delle smarrite. E proprio partendo da pochi sassolini si arrivò successivamente a costruire l’edificio numerico: dall’abitudine di usare le pietruzze (dette in greco calculi) per segnare le unità ed i nu­meri, è venuto al computo aritme­tico il nome di calcolo.

1 Greci, come gli Ebrei, abbina­vano i numeri alle lettere dell’alfa­beto. Ad esempio, delta rappresenta il 4, l’alfa è l’1.

In tempi successivi gli Arabi crea­rono l’attuale sistema numerico po­sizionale a base dieci, tanto semplice quanto pratico: però la matematica restò riservata per secoli e secoli a pochi iniziati quali Talete, Pitagora, Euclide, Eratostene.

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Considerazioni sul Sistema Decimale

La moderna numerologia, studian­do i rapporti fra l’individuo ed il nu­mero, si dedica alla ricerca delle in­fluenze vibratorie dei numeri nei ri­guardi di ognuno: essa trova la pro­pria radice nello studio della Qabalah che ha avuto certamente in Mosè il primo Maestro. Dalla qabalah di pura tradizione Ebraica si arriva alla Qabalah moderna che ha in Dante, Raimondo Lullo, Pico della Miran­dola, Agrippa e Paracelso gli espo­nenti più in vista. Attualmente, nel­la società consumistica e dei Mass Media, i numeri sono entrati nell’ambito mentale di ognuno di noi e sono talmente compenetrati che li usiamo assai di più di quanto in realtà siano necessari.

Sembra che Talete definisse il nu­mero una collezione di unità, definizione che fu accettata dai Pita­gorici e da Platone, e ripresa quasi con le stesse parole da Euclide. Ca­ratteristica di tale concezione è la posizione privilegiata attribuita all’Unità (Monade) che viene a tro­varsi fuori della serie dei numeri, come una entità autonoma che ha contro di sé la molteplicità.

Il nome di Pitagora è gloriosa­mente legato a quella metafisica dei numeri che sta alla base non solo delle matematiche, ma anche della fisica, della cosmogonia, della religione. Egli trasformò questo stu­dio in una forma di insegnamento liberale, investigando dall’alto i suoi principi ed indagando i suoi teoremi astrattamente ed intellettualmente: questa è l’originalità di Pitagora di fronte alla scienza degli Egizi e de­gli Assiro-Babilonesi. Pitagora diede importanza capitale alla legge del ternario; si può dire che essa forma la pietra angolare della scienza eso­terica. Il numero non era conside­rato come una quantità astratta ma quale virtù intrinseca ed attiva dell’Uno Supremo: Dio, fonte della ar­monia universale, ha infatti per nu­mero l’Unità, la sostanza indivisibile. La Monade perciò rappresenta l’es­senza di Dio; la Diade la sua fa­coltà generatrice e riproduttiva; la Triade o legge del Ternario (vale a dire il mondo naturale, l’umano, il divino) è perciò la legge costitutiva delle cose e la vera chiave della vita. [non ci troviamo d’accordo con questa visione del Fratello, secondo noi il Ternario rappresenta il mondo delle Energie, la produzione è demandata al Quaternario] Pitagora attribuiva grande importan­za anche al numero sette, che signi­ficava secondo lui l’unione dell’Uo­mo e della Divinità: era la cifra che per gli iniziati rappresentava la leg­ge dell’evoluzione. È più che evi­dente il riferimento ai motivi ispi­ratori della dottrina esoterica Masso­nica.

Se Pitagora è per noi molto im­portante avendoci insegnato il po­tere della musica e del numero (di­ceva: i numeri contengono il se­greto delle cose e Dio è l’armonia universale), non minor importan­za ha la scuola pitagorica perché essa fu il più notevole tentativo di una iniziazione laica. Quando i Pi­tagorici affermavano che le cose sono numeri volevano dire verosi­milmente che intendere le cose si­gnifica delimitarle con linee, e cioè con aggruppamenti variamente con­figurati di punti-unità. Il numero è in questo ambito di pensiero stret­tamente connesso con le nozioni di ordine e di intelligibilità: ciò che non ha limite non ha numero ed è perciò incomprensibile. Platone nel Timeo presenta il demiurgo che co­struisce il mondo secondo figure geometriche, numeri, proporzioni.

Con la nozione di numero come principio di razionalità convive tut­tavia un’altra nozione, ancora più arcaica, che carica il numero di ca­ratteri sacrali e magico-simbolici: questo filone dottrinario ha una sua storia particolare che va dalle ci­viltà pre-elleniche, attraverso Pita­gora ed il neo-pitagorismo, fino alla Qabalah ebraica, all’alchimia, alla scolastica, alla cultura umanistico-ri­nascimentale ed ai suoi riecheggia­menti romantici. Su questo argomen­to ritornerò tra poco: a questo pun­to merita dire qualcosa sulla Qabalah e sulla scolastica ricordando parti­colarmente Dante ed i suoi nu­meri sacri.

La Qabalah, che ha avuto certa­mente in Mosè il primo Maestro, è in sostanza un sistema metafisico e insieme mistico mediante il quale l’eletto penetrando nell’intimo signi­ficato della parola scritta può cono­scere Dio e l’Universo: secondo la Qabalah le sostanze emanate dalla lu­ce divina sono Sephiroth cioè numeri. Il segreto delle Sacre Scritture sfug­ge a chi interpreta alla lettera il testo di questo libro che invece è fortemente simbolico: forse per que­sto i Cabalisti sono stati considerati nel corso della storia come ingegnosi sognatori dai profani e come sublimi sapienti dagli iniziati.

E che dire di Dante e della Divina Commedia? Ne è stato osservato da sempre l’uso costante del simbolismo derivato dai multipli di tre.

Per la filosofia moderna, da Car­tesio a Kant, da Hobbes al positivi­smo, il numero è invece una realtà soggettiva, un modus cogitandi se­condo la espressione usata da Car­tesio, indipendentemente dal fatto che l’operazione mentale che lo pro­duce sia pensata come non dipen­dente dall’esperienza (Kant) o come condotta sui dati da questa offerti (empirismo, positivismo). Contro questa concezione la filosofia della matematica del XIX secolo (seconda metà) afferma vigorosamente, sulla linea di una generale polemica anti­psicologistica, l’oggettività ideale del numero: la matematica è tutta ri­conducibile alla logica e le leggi del numero sono le stesse leggi del pen­siero (Frege). Non si discosta da questo orientamento anche il pen­siero di Russell con la sua celebre definizione del numero come clas­se delle classi simili (dove per classi simili si intendono quelle per le quali sussiste una corrisponden­za biunivoca fra tutti i membri di ciascuna di esse). Con la  m e t a – matematica di Hilbert, di Gòdel e di altri si è infine venuto affer­mando il concetto, condiviso oggi largamente da matematici e filosofi, della molteplicità dei sistemi nume­rici possibili e dell’inesistenza di sistemi privilegiati.

Abbiamo prima accennato come all’epoca di Pitagora, dei Pitagorici e seguenti la metafisica dei nume­ri stesse alla base sia delle mate­matiche che della fisica, della cosmo­logia, della religione. Solo nei secoli successivi però la teoria dei numeri esce dal puro ambito matematico­geometrico ed invade il campo dell’astronomia e della teologia diven­tando aritmologia mistica e simbo­lica. Abbiamo accennato pure quale importanza abbia avuto il simboli­smo dei numeri nell’opera di Dante: se questo simbolismo non è unica­mente pitagorico, e se si ritrova in altre dottrine per la semplice ragione che la verità è una, è doveroso pen­sare che da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la catena della tradizione non fu senza dubbio rot­ta sulla terra d’Italia (Guénon). Anche la numerologia moderna, più scienza divinatoria che interpre­tativo-mistica, si riallaccia alla sim­bologia esoterica ed alla tradizione: essa rapporta tutti i numeri ai primi nove seguendo una tecnica che si av­vicina a quella degli antichi cabali­sti. Sorvolando sui numeri intellet­tuali e limitandomi a parlare di quel­li scientifici (causa generatrice della molteplicità che procede dall’unità), la prima considerazione lapalissiana da farsi è che essi sono pari (cioè su­scettibili di una infinità di divisioni in parti sempre uguali) e dispari (nu­meri più perfetti).

L’Unità (o numero 1) è il simbolo del Dio Creatore ed è consi­derato un numero fortunato. Nume­ro primo che è pari-impari, è l’ori­gine di tutti i numeri, è la sostanza di Dio, del Bene e dell’Intelligenza, come il punto è l’origine della linea.

Il numero due, primo numero pa­ri, considerato infausto specie per potenti e per Re, è la sostanza del male, della discordia, dell’opinione . Plutarco dice che i discepoli di Pitagora chiamavano il due il numero della contesa e della arroganza. Come il numero 1 desi­gnava un tempo l’armonia, l’ordine o il buon principio, così il numero 2 esprimeva l’idea contraria, lo stato di contrarietà nel quale si trova la natura dove tutto è doppio: la not­te ed il giorno, il bene ed il male, la luce e le tenebre, il freddo ed il caldo, l’umido ed il secco, la salute e lo stato di malattia, l’errore e la verità ecc. ecc. ecc.

Il tre è un numero filosofico e sacro: primo dei dispari riunisce in sé stesso la proprietà dei primi due numeri. Immagine dell’essere supre­mo, il tre è il numero della massima saggezza e della perfetta armonia, della ab­bondanza e della fertilità: esso de­nota la compiutezza del reale in quanto ha principio, mezzo, fine. Un oracolo di Zoroastro diceva:

Il numero tre regna dovunque nel­l’Universo, e la Monade è il suo principio.

La rappresentazione del 3 nella tra­dizione esoterica è il Triangolo: con la punta verso l’alto rappresenta il fuoco, la potenza celeste ed è il sim­bolo della Perfezione Spirituale; con la punta verso il basso rappresenta il materialismo e significa l’acqua e le schiere infernali.

Facendo riferimento alla nostra comunione, come ben sapete non vi sono che tre gradi essenziali presso la Massoneria i quali venerano, nel Triangolo, il più augusto mistero og­getto dei loro studi, quello del Ter­nario Sacro. Infatti:

a) il primo lato del triangolo, of­ferto allo studio dell’Appren­dista, è il regno minerale sim­bolizzato da Tubalc.

b) il secondo lato, che deve medi­tare il Compagno, è il regno ve­getale simbolizzato da Schibb (spiga).

c) il terzo lato, il cui studio con­cerne il regno animale e com­pleta l’istruzione del Maestro, è simbolizzato da Macben (fi­glio della putrefazione).

Nella tradizione mistico-religiosa il triangolo, la prima figura regolar­mente perfetta, è servita e serve an­cora a caratterizzare l’Eterno che è infinitamente perfetto per sua na­tura. Ho detto è servita a caratte­rizzare l’Eterno: infatti già nella Teologia Indiana ricorreva la Tri­murti, trilogia filiale composta da Brama, Siva, Visnù personificata nel mondo delle idee da Creazione, Con­servazione, Distruzione e nel mondo dei fatti da Terra, Acqua, Fuoco.

Ed ancora: una delle dottrine di Manes era la Trinità Gnostica (un Dio e due principii: il buono ed il cattivo).

Ed infine: l’unitrinità Cristiana rappresentata da un Dio in tre per­sone, vale a dire un Dio che è sim­bolizzato da una triplice persona: creatore, animatore, conservatore; Padre, Figlio, Spirito Santo.

Il numero quattro è il simbolo di ciò che è materiale, con­creto, solido. Uno dei sim­boli più occulti del quattro è la pietra cubica (31 = 3 + 1). Come simbolo del principio eterno e crea­tore, Pitagora comunicava ai suoi di­scepoli, sotto la denominazione di quaternario, il nome ineffabile di Dio (che in ebraico è di quattro let­tere = Yud – Hé – Vav – Hé). É proprio nel quaternario che si trova la prima figura solida, simbolo uni­versale della immortalità: la pira­mide.

Il numero cinque è il simbolo della vita : mentre tutto ciò che è privo di vita (come i cristalli) è formato da strutture cubiche, esa­gonali, romboidali, ciò che è ani­mato (animali, vegetali, uomo) con­tiene una struttura pentenaria, figu­ra fra le più difficili da costruire an­che nella geometria piana. Inoltre il cinque è un numero particolarmente misterioso, dotato di potere magico. Composto del binario (simbolo di ciò che è falso e dubbio) e del ter­nario (così interessante nei suoi si­gnificati) il cinque esprime lo stato d’imperfezione: di or­dine e di disordine; di felicità e di sventura; di vita e di morte.

E ancora: il cinque, sotto un rap­porto diverso, era l’emblema del matrimonio poiché esso è composto dal due (primo numero pari) e dal tre (primo numero di­spari). Questo numero era non me­no importante nella tradizione eso­terica, basti pensare alle piramidi formate da quattro angoli alla base e da un quinto angolo al vertice. Ed infine il cinque offre una delle proprietà del numero nove, quella di riprodursi moltiplicandosi per sé stesso: viene sempre un 5 alla de­stra del prodotto, risultato che lo faceva usare come simbolo delle vi­cende materiali.

Il numero sei era considerato il simbolo della bellezza, dell’amore e della perfezio­ne sulla terra, era dagli an­tichi consacrato a Venere. Il sei è la somma di due tre, e dei due trian­goli (quello materiale e quello spi­rituale) da cui si forma la stella a sei punte.

Dio ha creato il mondo in sei gior­ni e proprio nel sesto ha creato l’uomo. Presso gli antichi popoli il sei era il simbolo del globo terrestre a­nimato da uno spirito divino, mentre i saggi attribuivano il senario all’uomo fisico. Infine nei misteri an­tichi questo numero era un emblema molto importante della natura in quanto offriva le sei dimensioni di tutti i corpi, le sei linee che ne compongono la forma, le quattro linee di direzione verso il Nord, il Mezzogiorno, l’Oriente, l’Occidente, e le due linee di altezza e profondi­tà rispondenti allo Zenit e al Nadir.

Il numero sette, considerato parti­colarmente benefico, appartiene alle cose sacre ed è simbolo di perfezio­ne e di saggezza. Il sette ha avuto un valore simbolico nelle ci­viltà più diverse. Tutte le divisioni per sette menzionate nell’Apocalisse e in tutti gli altri libri sacri, anche Indiani, provano a sufficienza che il numero sette giocava un ruolo im­portantissimo nei misteri e nelle re­ligioni antiche, essi esaltavano le proprietà del sette come aventi sot­tintesa la perfezione dell’Unità, che è il numero dei numeri. Il sette pres­so gli Egizi simboleggiava la vita.

A proposito di questo numero fra la moltitudine di esempi disponibili scegliamo – in tema di iatricia o arte di guarire – un trattato inse­rito tra le opere di Ippocrate (460 a.C.) che sviluppava il concetto se­condo cui il sette ed i suoi multipli avrebbero un significato di crisi nella vita degli individui e nel decorso del­le malattie.

Il numero otto simbolizza la perfezione: la sua figura 8 oppure ∞  indica il movimento per­petuo e regolare dell’Universo. Con­siderato dotato di grande potere da­gli Antichi, questo numero designa­va la legge naturale e primitiva, che supponeva tutti gli uomini uguali. L’ogdoade gnostica aveva otto stelle che equivalevano agli otto cabiri di Samotracia, agli otto principii Egi­ziani e Fenici, agli otto Dei di Se­nocrate, agli otto angoli della pietra cubica. Pitagora ed i suoi discepoli chiamavano l’otto il numero della giustizia e della completezza. Esso rappresenta il diritto di accedere alla conoscenza, ma solo quando è for­mato da un quadrato e da un cer­chio riuniti con una diagonale per­ché così diventano indeformabili.

Otto sono le benedizioni dei beati; otto sono le pene inflitte ai dannati; otto i paramenti sacerdotali.

Il numero nove, simbolo dell’idealismo e della no­biltà dei sentimenti, era consacrato alle Sfere ed alle Muse. Se il numero tre è stato celebrato presso i Saggi primitivi, quello del 3 volte 3 non lo è stato meno; infatti ciascuno dei tre elementi che costituiscono il nostro corpo è ter­nario: l’acqua (limitata dalla terra e dal fuoco); la Terra (che contiene particelle ignee e acquose); il Fuoco (temperato dai globuli d’acqua e dai corpuscoli terrestri che gli servono di alimento).

La rappresentazione grafica del 9 è una successione di tre triangoli, il materiale, lo spirituale, il mate­riale superiore. Questo numero è inoltre il segno di ogni circonferenza poiché il suo valore in gradi è ugua­le a 9, vale a dire 3 + 6 + 0.

Anche presso i Pitagorici ogni linea curva aveva per segno rappre­sentativo il numero nove, essi ave­vano osservato la proprietà che pos­siede questo numero di riprodurre senza posa se medesimo e per intero in ogni moltiplicazione (simbolo del­la materia che si ricompone senza

posa ai nostri occhi dopo aver subito mille e mille decomposizioni). Nove sono le Muse; nove gli Dei Etruschi; nove quelli Sabini; nove i cori degli Angeli e nove gli Angeli che dominano i cieli. Secondo i Cabalisti il nove simbolizzava l’ope­ra generatrice; invece presso gli An­tichi era considerato di cattivo pre­sagio come simbolo di leggerezza, di cambiamento e come emblema della fragilità delle cose umane.

Aggiungendo un tre al nove ab­biamo il numero 12, sebbene Pita­gora non ne parli affatto, esso nondi­meno era un numero sacro, simbolo della perfezione totale, numero che si ritrova nei monumen­ti religiosi di tutti i popoli del mon­do antico fin nell’estremo Oriente. Esso è infatti l’immagine dello Zo­diaco (e per conseguenza quella del sole), degli Apostoli, dei mesi dell’anno, delle città dell’Etruria. Su di esso lo steineriano Lamberto Caffa­relli fondava la musica dodecafonica.

Il numero 10, chiamato cielo, è perfezione e consumazione di tut­te le cose, contenendo tutte le rela­zioni numeriche ed armoniche, e tut­te le prerogative dei numeri che lo precedono (il numero 10 era chia­mato tetractys perché 1 + 2 + 3 + 4 = 10), esso termina l’abaco o tavola pitagorica.

Questo numero era per i saggi un segno di concordanza, d i            amore, di pace. Anche per i Massoni esso era ed è segno di unione e di buona fede, e si trova espresso nella presa da Maestro con la congiunzione di due mani (quindi di 10 dita). Presso le società misteriosofiche il 10 raffigurava la riunione di tutte le meraviglie dell’universo. In esse società il numero era tracciato in questo modo: Θ vale a dire l’unità in mezzo allo zero, come centro di un circolo, simbolo della divinità; il centro, il raggio, la circonferenza rappresentavano Dio, l’Uomo, l’Universo.

I Saggi dell’antichità erano d’accordo nel riconoscere una causa pri­ma ed unica dell’esistenza dell’Uni­verso, da ciò l’Unità è divenuta il simbolo della Divinità Suprema; così come nella dottrina pitagorica il si­stema dei numeri risolveva il proble­ma della cosmogonia basandosi sul fatto che questo sistema esprimeva non solo delle qualità aritmetiche ma anche ogni grandezza ed ogni proporzione. Per mezzo suo si do­veva arrivare alla scoperta del prin­cipio delle cose, a ciò che oggi si chiamerebbe l’Assoluto, principio di vita non conosciuto nella sua essen­za ma manifesto nei suoi effetti.

Uno degli aspetti della deviazione moderna, negatrice dell’intellettuali­smo, consiste nell’aver fatto confu­sione fra tradizione e mondo di oggi, fra conoscenza e illusione del sapere scientifico, e soprattutto nell’aver minimizzato e rigettato all’ultimo piano ogni insegnamento dottrinale tradizionale, facendo invece posto a tutto ciò che viene definito laico, inteso però nel senso non di laico ma di laicità, di quella laicità che secondo alcuni ha la pre­tesa, di chiamarsi iniziatica ma che in realtà è ben lungi dal fondarsi sul­la conoscenza iniziatica. E che si sia effettivamente perduto di vista il significato iniziatico delle cose, lo dimostra il fatto che la maggior par­te dei segni tanto espressivi presso le Società Iniziatiche dell’Antichità sono oggi divenuti quasi insi­gnificanti.

E non solo per i numeri,  ma a­nalogo discorso lo si potrebbe fare a proposito dei caratteri della scrit­tura. È vero che la scrittura sarà sempre indietro alla parala che essa esprime senza dipingerla; così come la parola  resterà indietro al pensie­ro che essa non esprimerà mai com­pletamente perché nel pensiero vi è qualcosa d’inesprimibile; però se si potesse perfezionare l’antica scrit­tura, che figurava le idee invece dei suoni, una figura rappresenterebbe un suono per l’orecchio ma un’idea per l’intelligenza e ne risulterebbe – come per i numeri – una lingua universale comprensibile a tutti i popoli. Così facendo basterebbe sa­per leggere per comprendere tutte le lingue allo stesso modo delle cifre aritmetiche.

Pertanto, noi siamo veramente convinti che l’organicità e la logicità profonda dei simboli iniziatici – quali essi siano, numeri com­presi – risieda in quel loro tradurre in modo sensibile, in quel loro spiegare e illustrare quelle zone dell’essere alle quali non sa proten­dersi lo sguardo limitato dell’uomo decaduto, riscoprirle non è operazio­ne posticcia o commento estrinseco ma è assimilazione e spiegazione di tutta l’armoniosa rispondenza del simbolo con l’ordine interiore. Per­ciò o noi aderiamo alle forme tra­dizionali in generale ed a quelle eso­terico-iniziatiche in particolare, le quali sono indispensabili anche all’uomo moderno come presupposto sacrosanto per percorrere davvero il cammino verso la realizzazione di ciò che è al di là di esse forme (come ben sapevano i Maestri della Antica Massoneria Operativa); oppure non sfuggiremo alla sorte di essere ri­dotti e assimilati a quello che Gué­non chiama l’uomo del volgo al quale – dice sempre Guénon – si può soltanto chiedere di credere quanto non è capace di comprendere, perché è questo il solo mezzo per farlo partecipare alla dottrina nella. misura delle sue possibilità. E questo è maggiormente vero e sen­tito nelle presenti circostanze e nel­le attuali difficoltà storiche, a moti­vo delle quali tutto ciò che doveva rappresentare in Occidente l’aspet­to religioso della tradizione è de­caduto in modo tale da non servire più – o quasi – quale adeguata base exoterica per una via inizia­tica.

La seconda considerazione si rife­risce alle cosiddette necessità an­ticonformistiche dell’uomo moderno. Le necessità dell’uomo moderno, ben lungi dal fondarsi sulla cono­scenza iniziatica, sono ormai tali da esigere l’appellativo categorico di super applicato a qualsiasi pro­dotto che voglia porsi al di sopra del normale, a tal punto che proba­bilmente fra non molto diverrà tut­to super e si arriverà inevitabilmen­te ad applicare questo termine anche nei domini più impensati, si parle­rà quindi di supermetafisica, superin­finito, supermagia, e – perché no? – supertradizione iniziatica. L’interpretazione materialistica della vita e dell’universo è oggi uno degli aspetti del Male, di quel male che è una triste caratteristica di gran parte della nostra Società. Il materialismo, sia che sorga spontaneo in popoli anche civili sia che si insedi nelle coscienze come legittima reazione ad aspetti fallaci e deteriori di situazio­ni contingenti, ha sempre avuto co­me oggetto la persecuzione di tutte le forme aristocratiche del sapere. I Magi, gli Alchimisti, gli Astrolo­gi ed i loro Collegi Iniziatici furono e sono sempre stati combattuti.

Oggi l’umanità si gloria di camminare di scoperta in scoperta ma non si accorge che essa non fa altro che ritrovare o riacquistare ciò che sapeva già ben 3-4 mila anni fa ma che aveva perduto a seguito di de­vastazioni, stragi, incendi, guerre. L’umanità di oggi non sa che non vi sono termini di vita o di morte nel vero senso della parola ma sola­mente perpetue trasformazioni.

L’umanità non si accorge della grande ombra storica che domina sopra tutto e tutti e del grande velo di silenzio che si sta stendendo, quale maledizione Karmica, su quasi tutti i popoli del nostro pianeta.

L’umanità deve sapere che tut­to deve apprendere di nuovo per quel che ri­guarda la vera vita, la vita inte­riore. Solo dai simboli, dalle parole magiche, dai numeri sacri – verità eterne, queste, che trasmesseci dai dotti Sacerdoti e dagli Antichi Mae­stri sono alla base dell’Ermetismo, dell’Alchimia, della Tradizione Se­greta – solo da questi simboli pro­manano ancor oggi torrenti continui di forze energetiche che alimentano ininterrottamente ed inavvertitamen­te la fiammella divina che è in ciascuno di noi e che, volenti o nolenti, ci trascina in un lungo viaggio ciclico teso al ritorno verso ciò che è la nostra meta, verso la perfezione. E che cosa meglio della Tradizione Segreta, custodita dalla Massoneria Occulta, ci può fa conoscere tutto questo materiale ricco di luce, di contenuto, di forza?

Anche il numero può essere soggetto e nel contempo oggetto di meditazione. Proprio per questo la Li­bera Muratoria ancor oggi compren­de – nel suo patrimonio simboli­co – anche il numero sacro reso operante dalla ritualità. Il continuo parallelismo simbolico del Tempio e dei lavori di Loggia deve determi­nare nell’attento Libero Muratore un lavorio mentale per la loro in­terpretazione nelle immediate e me­diate significanze.

Questa interpretazione, che costi­tuisce una efficace scuola di perfe­zionamento dello spirito, può per­mettere di raggiungere, per mezzo della meditazione, quella verità che in generale la parola e lo scritto non riescono a rendere evidenti.

CARLO FRANZINI

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